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Autore: chriscolfah    21/05/2012    3 recensioni
Blaine è solo e triste, la sua vita sembra essere uno schifo. Cammina da solo per le strade di Westerville, nel buio della notte, quando sopra un ponte pensa che ci sia solo un modo per mettere fine a tutti i suoi problemi. E nessuno può fermarlo o fargli cambiare idea, forse solo un angelo.
"In mezzo ai lunghi fili d’erba c’erano delle piccole lucine tremanti che si muovevano da una parte all’altra luccicando nel buio di quella notte estiva.
«Sono lucciole.» precisò il ragazzo mentre Blaine guardava con occhi sognanti quello spettacolo di lucine davanti a sè.
«È bellissimo.» commentò Blaine e il ragazzo accennò un sorriso."
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note Autrice: Salve! È la prima volta che pubblico una delle tante cose che ho salvate nel mio computer ed è tutta colpa di due persone: la mia omonima ToXiC che voleva per forza leggere qualcosa scritto da me e la mia compare Anna nonché beta delle mie traduzioni. Non so se ringraziarvi o odiarvi (no scherzo, non vi odio poi così tanto u.u).
Non ho tanto da dire se non che spero non vi faccia schifo, ecco xD
Grazie a chiunque leggerà! :)
 
 
 
 

 
 
 
 
Blaine aveva sedic’anni e come tutti i sedicenni aveva i soliti problemi adolescenziali. La sua infanzia era stata felice, come del resto quella di ogni altro bambino, ma ormai era passata e tutto era completamente diverso. Suo fratello maggiore se n’era andato di casa già da qualche anno e adesso se la spassava a posare come modello per varie pubblicità ad Hollywood. Un po’ lo invidiava perchè dopotutto lui era riuscito ad essere felice, realizzando il suo sogno, ma infondo era orgoglioso di lui perché era pur sempre suo fratello. Anche Blaine aveva un sogno e per molto tempo aveva creduto che prima o poi l’avrebbe realizzato, incoraggiato dal fatto che suo fratello ci fosse riuscito. Il suo sogno era quello di diventare un cantante di successo, trasferirsi a New York e vivere una vita felice con una famiglia. Ma ormai non ci credeva più, aveva smesso da quando per primi i suoi genitori gli avevano smontato tutto. Non che a loro andasse male che diventasse un cantante di successo, e nemmeno che si trasferisse a New York, ma era il concetto di famiglia che non era per niente lo stesso che immaginava Blaine. Loro lo vedevano in un cottage con un grande giardino, una moglie bella e famosa e tre bambini allegri che correvano per il prato con un cane. Blaine invece non aveva mai immaginato la sua famiglia dei sogni così, e mai l’avrebbe immaginata. Lui si vedeva in una casa dell’Upper East Side di New York con una chitarra in grembo, un cane grande e cuccioloso che correva per il salotto, una bambina con capelli ricci e scuri e occhi azzurri che rincorreva il cane felice e suo marito seduto sul divano che li guardava ridendo. Quando i suoi genitori erano venuti a sapere quale fosse la sua vera  visione del futuro tutto ciò che si era costruito intorno era crollato. Tutte le certezze che aveva, tutte le sue idee erano andate in frantumi e quella che fino a poco prima era la sua famiglia si era trasformata in un inutile gruppo di persone a cui lui non si sentiva di appartenere. Aveva sedic’anni e la sua adolescenza era appena iniziata, ma non credeva che potesse essere così orribile. Sapeva che sarebbe stato un periodo difficile, ma non credeva così tanto. Perché la vita non era così per tutti, ma solo per lui? Perché doveva essere trattato così male dalle persone che avrebbero dovuto essere quelle ad amarlo più di tutti in quel mondo? Perché doveva venir scaraventato contro gli armadietti a scuola, buttato nel bidone della spazzatura e rinchiuso nei bagni chimici dai bulli? Perché doveva stare così male da pensare addirittura di volersi suicidare? Il mondo faceva schifo, lui  faceva schifo: tutti lo odiavano, lo definivano “diverso” e “malato”, non esisteva nessuno che lo amasse. Probabilmente l’unica persona su cui poteva ancora contare era suo fratello, ma non lo vedeva mai e chissà per quanto tempo avrebbe continuato a non vederlo.
 

Una sera, immerso nei suoi pensieri e nella sua tristezza, stava camminando per le strade deserte di Westerville. Ormai era notte fonda e tutti stavano dormendo e in quella cittadina non c’era anima viva che vagasse per le strade, a parte lui. Certo, lui era quello diverso dagli altri e doveva fare cose diverse dagli altri. E scappare di casa dopo aver assistito all’ennesima sfuriata dei suoi genitori era probabilmente una cosa che un ragazzo normale non avrebbe mai fatto. Ma forse un ragazzo normale non avrebbe nemmeno mai dovuto assistere a quella cosa.

L’aria soffiava fredda e leggera contro il suo viso mentre guardava il buio sotto il ponte su cui si stava sporgendo. L’acqua scorreva sotto di lui, si sentiva lo scroscio, ma tutto era nero e là sotto sembrava esserci il vuoto. Chissà come dev’essere farsi il bagno in un fiume che scorre pensava Blaine mentre ad occhi chiusi si immaginava quello stesso posto con la luce del sole. Quella era una delle cose che avrebbe sempre voluto provare in vita sua ma non ci era mai riuscito. Chissà come dev’essere fare il bagno di notte, quando non vedi nulla di quello che ti circonda pensava ancora, ricordandosi di tutte le volte in cui avrebbe voluto mettersi il costume e buttarsi nell’acqua del mare notturno quand’era in vacanza con i suoi genitori, ma non aveva potuto. Chissà quant’è alto questo ponte, chissà se l’acqua è abbastanza alta da non farti sbattere sul fondo buttandoti da quassù. Chissà se ci provassi cosa succederebbe, chissà se qualcuno si accorgerebbe di me, di quello che sto facendo. Chissà cosa penserebbero tutti domani mattina, quando la luce del sole illuminerà la mia camera vuota e le sponde di questo fiume. Chissà cosa farebbero i miei genitori, se farebbero qualcosa o se continuerebbero a far finta che non esista e che non sia loro figlio. E mentre pensava, si sedette sul bordo del parapetto del ponte guardando in basso, nel vuoto sotto i suoi piedi.

«Ehy!» una voce dolce e acuta richiamò la sua attenzione, facendolo girare di colpo per vedere chi fosse a richiamarlo. Davanti ai suoi occhi, illuminato dalla luce di un lampione, c’era un ragazzo dalla pelle pallida, occhi color cielo nelle giornate limpide e capelli castano chiaro. Indossava dei pantaloni bianchi attillati, degli stivaletti che arrivavano al polpaccio neri, una cintura nera laccata, una camicia bianca infilata nei pantaloni e un papillon rosso chiaro e bianco. Per un attimo Blaine pensò di esserselo immaginato; era notte fonda e da quelle parti non passava mai nessuno, che ci faceva un ragazzo così da solo in giro per un paese deserto a quell’ora? Lui era quello strano che scappava di casa dopo aver passato un quarto d’ora sotto le urla dei suoi genitori. Era un angelo forse quello che aveva davanti?

«Che stai facendo?» domandò il ragazzo avvicinandosi con un espressione preoccupata.

«Niente. Stavo solo…guardando.» rispose Blaine togliendo lo sguardo dal suo e passando una gamba al di qua del parapetto.

«Guardando…cosa?» chiese il ragazzo mentre appoggiava le mani sulla pietra bianca del parapetto sporgendosi un po’ per guardare in basso.

Blaine esitò un secondo, senza sapere cosa rispondergli.

«Volevi buttarti?» chiese il ragazzo guardandolo preoccupato più di prima.

«Io…no!» rispose Blaine, forse un po’ troppo poco convinto.

Il ragazzo gli prese un polso e lo fece scendere.

«Vieni.» disse poi stringendogli la mano e intrecciando le dita con le sue. Camminò a passo veloce verso una zona non illuminata dai lampioni, una parte di quel paese che Blaine non aveva mai visto. Era passato un sacco di volte da quelle parti ma non aveva mai notato la piccola stradina in cui quel ragazzo adesso lo stava portando. Sbucarono in un una piccola piazzetta che in tre dei suoi lati era circondata da case, e sul quarto si trovava un parchetto.  Il ragazzo continuò a camminare finché non arrivarono al parchetto dall’altra parte della piazzetta, poi lasciò la mano di Blaine.

«Non avevo mai visto questo posto.» disse guardando stupito dove quel ragazzo l’aveva portato.

«No? Allora ti faccio vedere una cosa che probabilmente non avrai mai visto.» disse lui attraversando il parchetto e andando verso un campo con dell’erba alta. Blaine lo seguì e si fermò a pochi passi da lui. In mezzo ai lunghi fili d’erba c’erano delle piccole lucine tremanti che si muovevano da una parte all’altra luccicando nel buio di quella notte estiva.

«Sono lucciole.» precisò il ragazzo mentre Blaine guardava con occhi sognanti quello spettacolo di lucine davanti a sè.

«È bellissimo.» commentò Blaine e il ragazzo accennò un sorriso.

«Come conosci questo posto?» gli chiese continuando ad ammirare le lucciole e avvicinandosi ancora un po’.

«Ci venivo da piccolo, la mia casa non è molto lontana da qui.»

Blaine rimase a guardare quei piccoli insettini ancora un po’, poi si voltò per trovare il ragazzo che lo fissava con un dolce sorriso.

«Non pensavo che a Westerville potesse esserci una cosa del genere.» gli disse sorridendo.

«E questa è solo una città sperduta nell’Ohio. Pensa quante cose che non hai mai visto ci sono là fuori. C’è un mondo intero.»

Blaine si fermò a pensare a quelle parole. Un attimo prima era seduto sul bordo di un parapetto su un ponte, sarebbe bastata una piccola spinta e avrebbe potuto mettere fine a tutto. E adesso era lì, con un ragazzo che probabilmente era un angelo mandato per salvargli la vita, perché gli stava facendo capire tutto quello che si sarebbe perso se poco prima si fosse dato quella spinta a si fosse buttato nel vuoto. Gli occhi gli diventarono lucidi e una lacrima gli scivolò sulla guancia senza che se ne accorgesse. Il ragazzo si avvicinò e passò leggermente un pollice sul suo volto per asciugare quella lacrima.

«Non piangere, Blaine.» disse in un sussurro mentre l’altro si passava il dorso della mano destra sugli occhi per asciugare le lacrime che gli stavano crescendo. Ci mise un po’ per rendersi conto che quel ragazzo l’aveva appena chiamato col suo nome, ma lui non gliel’aveva mai detto. Alzò lo sguardo e lo fissò sbalordito.

«Sei un angelo?» chiese.

«Cosa?» fece il ragazzo ridendo lievemente.

«Come- come sai il mio nome?» domandò Blaine.

«Beh, pensavo sapessi di essere il più “popolare” della scuola.» gli disse il ragazzo come se fosse un cosa ovvia. Oh, giusto, forse era una cosa ovvia. Era il solista dei Warblers, tutta la scuola conosceva i Warblers, e tutta la scuola conosceva il solista: Blaine Anderson.

Ma a Blaine non bastava. Quel ragazzo poteva dirgli quello che voleva, ma secondo lui in quel momento si trovava lì solo per salvargli la vita. Perché l’aveva fatto, l’aveva portato via da quel ponte e da quell’acqua nera che l’avrebbe risucchiato e l’aveva illuminato. Letteralmente. L’aveva illuminato con tutto il suo chiarore, con la luce di quei piccoli insetti che adesso volavano alle sue spalle. Gli aveva fatto capire quanto ancora avesse da scoprire nel mondo, gli aveva salvato la vita. E tutto ciò in così poco tempo.

«Io…non capisco. Fino a qualche minuto fa ero sul punto di buttarmi da un ponte, la mia vita faceva schifo e…tutto era così scuro. E poi arrivi tu, e mi porti…alla luce. Io…» disse, e le lacrime riniziarono a rigargli il viso. «Chi sei?» domandò guardandolo intensamente.

Il ragazzo si avvicinò lentamente, i loro volti sempre più vicini, fino a che le sue labbra non si appoggiarono su quelle di Blaine in un veloce bacio. Durò solo un secondo, poi il ragazzo si staccò e si girò velocemente per andarsene.

«Aspetta.» lo richiamò Blaine seguendolo e fermandolo prendendolo per un braccio. Lui si girò e i loro sguardi si incontrarono. «Come ti chiami?» gli chiese Blaine.

«Kurt.» rispose lui per poi sorridergli, girarsi e andarsene lasciandolo da solo in quel parchetto a guardarlo mentre si allontanava.
 



 
Per tutta l’estate Blaine uscì quasi tutte le sere per tornare in quel posto e sperare di ritrovarlo, ma non successe più. Ormai si era convinto che quello che aveva visto non era un essere umano, magari era il suo angelo custode, o magari si era semplicemente sognato tutto. Ormai l’estate era finita e doveva tornare alla Dalton Academy, l’ultima sera la passò di nuovo a quel parchetto, disteso sull’erba fresca a guardare le stelle e pensare che lassù, da qualche parte, probabilmente quel ragazzo lo stava guardando.

 
La prima riunione dei Warblers sarebbe stata da lì a pochi minuti. Blaine e Wes erano nella stanza delle riunione a parlare, quando un ragazzo entrò. Per un attimo Blaine credette di avere le allucinazioni. D’altra parte, era stato tutta l’estate ad immaginarsi di rivedere quel ragazzo, non doveva essere strano se adesso se lo immaginava dappertutto.

«Ciao, sono Kurt Hummel e vorrei entrare nei Warblers.» disse rivolgendosi a Wes.

Kurt. Allora era vero, era lui. Blaine si sentì mancare il respiro per un attimo, mentre lo fissava di stucco. Kurt lo guardò e sorrise mentre Wes scriveva qualcosa in un foglio. Blaine sentì il cuore esplodergli nel petto e si stupì di non essere ancora caduto per terra preso da un infarto. Quel ragazzo esisteva davvero, non era stato solo un sogno, non era stata una sua fantasia. Quel ragazzo c’era e adesso era nella sua stessa scuola, nella stessa stanza, e si stava unendo al coro di cui era solista. E quello fu l’inizio di qualcosa di speciale, qualcosa che Blaine per un certo tempo aveva creduto non gli sarebbe mai capitato, combattuto dai discorsi dei suoi genitori. Da quel giorno l’uomo seduto sul divano della sua casa nell’Upper East Side ebbe un volto, che qualche anno dopo si trasformò in realtà.
   
 
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