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Autore: Elos    22/05/2012    18 recensioni
“Potremmo andare anche noi. Sappiamo dove sono andati, possiamo seguirl...”
“No.”
Draco parve sorpreso dalla brusca interruzione:
“Cosa...? Perché?”
“Perché no. Neville ci ha dato degli ordini e noi li eseguiremo.”
L'espressione di Draco passò dallo stupore all'irritazione e dall'irritazione al disprezzo. Le sue labbra sottili diventarono fini come un filo mentre lui le torceva in un atteggiamento che Hermione ricordava dai tempi della scuola:
“Perché tu e i tuoi piccoli amici siete sempre stati così bravi nell'eseguire gli ordini, non è vero? Tu e San Potter e...”
“Esattamente,” lo interruppe Hermione prima che potessero arrivare altri nomi ad aprirle una voragine di nulla nel cuore. “E guarda dove ci ha portati questo.”
Scese il silenzio. [...]

Harry Potter è morto, lunga vita a Voldemort.
I Mangiamorte hanno il controllo dell'Inghilterra, e tutto quel che resta dell'Ordine della Fenice si nasconde a Grimmauld Place portando avanti un'ostinata guerriglia. Qualcosa è andato storto, ma non tutti vogliono gettare la spugna.
Esercito di Potter, il reclutamento è ancora aperto.
Genere: Azione, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Neville Paciock, Remus Lupin, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Da VI libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Come (non) doveva andare' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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3. Mondi al collasso




Al principio i Babbani si erano chiesti come fosse possibile che solo l'Inghilterra stesse attraversando un lunghissimo, gelido inverno che non sembrava voler finire mai, mentre il resto dell'Europa si scioglieva in una delle primavere più calde del secolo. Anche quando il sole splendeva, la sensazione di gelo non se ne andava mai: rimaneva su tutte le cose, come una brina, una nebbia, uno strato sottilissimo di ghiaccio che si insinuava nel sangue e rendeva i pensieri lenti e pesanti. Dopo quella pallida primavera senza calore era arrivata l'estate... per tutti tranne che per gli inglesi... e poi di nuovo l'autunno, l'inverno... primavera...
Era successo tre anni prima.
Non c'era più stata alcuna primavera, per la Gran Bretagna, da quando Voldemort aveva lasciato i Dissennatori a piede libero: i Babbani non potevano vederli, ma potevano sentirli, sicuro, e mentre restavano sulle strade, colti da malori che nessun medico riusciva a spiegare, mentre non si svegliavano al mattino e trovavano i corpi gelidi nei letti, mentre morivano e non c'erano ragioni e non c'era modo di fermare tutto ciò, la paura cresceva, cresceva, cresceva. Una pandemia. Un morbo. Un attacco terroristico. Gli alieni. La fine del mondo, l'Apocalisse...
Il primo attacco di Voldemort ai Babbani non aveva avuto nulla di fisicamente visibile: era solo lì, nell'aria. Impalpabile. Nessuno usciva di casa se poteva farne a meno – ma nessuna casa era sicura.
Però, in quell'angolo di Cornovaglia, sotto agli strati su strati di barriere, incantesimi e schermi, l'aria era chiara, il cielo limpido: il vento filtrava tra una barriera e l'altra e neanche i Dissennatori riuscivano ad arrivare fin lì. L'erba era verde come una promessa, e c'erano drappi di papaveri che emergevano dal suolo con ostinata tenacia: tutti gli altri fiori morivano e appassivano nell'aria che crepitava di freddo e di maledizioni, e nessuno aveva tempo di seminare e far crescere niente che non fosse immediatamente convertibile in cibo, ma i papaveri riapparivano ad ogni aprile come niente fosse.
Le pietre bianche, lì in mezzo, erano come piccole vele: emergevano da un mare di fiori rossi ed erbe selvatiche e c'erano tanti nomi sottili scritti su ciascuna di esse. Al principio loro avevano cercato di metterne una per ognuno dei caduti, per quelli che conoscevano e quelli che non conoscevano, quelli che avevano combattuto e quelli che erano stati solo tirati in mezzo: ma dopo un po' si erano resi conto che i nomi erano troppi, semplicemente, e allora che fare...? Tirar su una pietra solo per i morti dell'Ordine? Solo per quelli che morivano a Grimmauld Place? Sembrava così ingiusto.
Non c'erano nomi più grandi o nomi più piccoli. Non c'erano date: avevano cominciato a scriverle, al principio, ma poi faceva male vederle, tutte quelle date che arrivavano fino a diciassette, fino a diciotto anni, e poi si fermavano. Tutte possibilità interrotte. Perdute.
C'era il nome di Ron, là in mezzo. C'era quello di Harry, due righe più giù del nome di Minerva McGranitt, Harry Potter, e ogni volta Hermione si chinava a cercarli sulla pietra bianca sperando che vederli avrebbe fatto meno male, almeno un po'.
Posarono la bara di legno in una fossa a poca distanza dalle pietre bianche. Millicent se ne stava prostrata in un angolo, gli occhi infossati e le labbra strette, e, quando il signor Weasley andò a chiederle se voleva dire qualche parola, scosse la testa con un barlume di terrore negli occhi. Luna era arrivata da pochi minuti, distratta e trasognata, con una Passaporta da Newcastle ed un gran mazzo di giunchiglie gialle in mano. Con lei era venuta Hestia Jones, ma non i Baston; tutti sapevano che Oliver aveva perso una gamba nell'ultimo attacco, e che probabilmente nessun incantesimo conosciuto sarebbe stato in grado di farla ricrescere. Aveva sperato di giocare a Quidditch da professionista. Dall'età di undici anni non aveva mai passato più di una settimana di fila senza salire su una scopa. In qualche modo, nel mezzo di tutti quelli che morivano, quella pareva una perdita più sporca. Era come vedere il mondo attraverso uno specchio deformante: tutto quel che aveva avuto importanza prima ne stava perdendo, adesso, a poco a poco.
Alla fine fu Anthony Goldstein a dire qualcosa. In piedi sulla tomba aperta parlò di quanto Terry fosse stato eccezionale, di quanto tutti gli avessero voluto bene, di quanto sarebbe mancato a tutti. Erano parole vuote, pensò Hermione, svuotate del loro significato perché le avevano ripetute troppo spesso in quegli anni, per troppe persone, in troppe occasioni; ma era tutto quel che si poteva dire. Terry Boot era stato coraggioso. Terry Boot non si era tirato indietro. Era stato buono e leale. Era stato vicino a Millicent quando non tutti erano stati disposti a correre il rischio. Aveva desiderato di fare altro e si era trovato incastrato come tutti loro, bloccato al di là del riflesso deformato di tutte le cose che erano andate male e che erano andate peggio: e, invece che fare la scelta più facile, aveva fatto quella giusta.
Quando fu il momento, tutti presero una vanga o ne Trasfigurarono una e cominciarono a buttare terra ed erba sulla cassa di legno. Millicent scavava come se avesse voluto seppellire, insieme al corpo di Terry, tutte le speranze che aveva dovuto impilare su di lui nel corso degli anni. Hannah, alla sua sinistra, era una figurina magrolina e smunta con troppi capelli del color della paglia.
Sotto ad una macchia d'alberi, Madama Chips si stava facendo aiutare da un gruppo di bambini a stendere per terra larghi teli colorati e i piatti del pranzo freddo che avevano preparato per tutti loro: Hermione li guardò fare, e ce n'erano alcuni così piccoli che le arrivavano a malapena a mezza coscia, altri che potevano essere quasi in età da Hogwarts, e poi tutte le età e le dimensioni nel mezzo. Sembravano relativamente contenti di essere lì; doveva essere bello essere autorizzati a starsene in mezzo a così tanta gente per una mezza giornata, doveva essere come una festa, là all'aperto sotto un cielo misericordiosamente azzurro. A qualche passo di distanza, Draco li stava osservando con un'espressione come ipnotizzata, trasfigurata, che ad Hermione non piacque affatto: fece per avvicinarglisi, ma Remus la precedette, raggiungendolo e toccandogli una spalla e convincendolo in qualche modo a spostarsi altrove.
Hermione non sapeva precisamente cosa fosse accaduto a Draco, prima; aveva appreso nel corso degli anni che non fare domande era una salutare abitudine e che la curiosità era qualcosa che avrebbe fatto meglio a rimanere, insieme a Ron, ad Harry ed al ricordo dei giorni verdi di luce di Hogwarts, tra i segmenti di una vita passata. Ma la notte Draco si agitava. Si lamentava nel sonno, e loro avevano diviso una delle tende del signor Weasley ogni volta che avevano lasciato Grimmauld Place per una missione... ed era difficile avere un po' di privacy in una di quelle. A Draco non piaceva essere toccato. A Draco facevano paura i bambini.
Non era che ci fosse precisamente bisogno di fare domande, a volte, per avere risposte. L'ultima palata di terra piovve sulla bara chiusa. Luna si chinò e posò le giunchiglie, gentilmente, in cima al cumulo.

C'erano cose luminose che Hannah ricordava di aver desiderato. Paure che ricordava di aver avuto. La Camera dei Segreti al secondo anno, ogni volta che Harry Potter le era passato a meno di cinque passi di distanza e lei aveva pensato che forse era lui il mostro, Sirius Black a piede libero, i manifesti appesi alle mura di Hogsmeade con le loro orribili facce scure e come aggrovigliate, temere di essere l'unica che sarebbe andata al Ballo del Ceppo da sola, ma poi Ernie si era deciso ad invitarla e tutte le cose si erano risolte. Cedric e la Umbridge e Silente, e poi Voldemort, sopra a tutto il resto, come un'ombra nera che aveva macchiato i suoi anni di scuola.
Tutti i ricordi di quelle cose luminose erano come spersi, adesso, in una nebbia di giorni neri e di mattine in cui si svegliava chiedendosi se ne valesse veramente la pena, di alzarsi, e tutte le paure che ricordava – vagamente, ma le ricordava – sembravano niente al confronto. Era diventato faticoso anche solo aver paura.
“Ho saputo di Ernì.”
Tutti sapevano di Ernie, pensò Hannah. Chi non lo sapeva?
“Sono molto dispiosciuta, Hannah.”
Hannah pensò per un attimo che si sarebbe messa ad urlare. Pensò che si sarebbe girata verso Fleur e che le avrebbe tirato i capelli e graffiato la faccia, perché c'era dentro di lei tutto un grumo di pensieri orribili e mostruosi che continuava a gonfiarsi, a gonfiarsi, a gonfiarsi, e che prima o poi sarebbe esploso. Ad Hannah non importava. Non importava che gli altri si dispiacessero e non importava che gli altri capissero. Avevano trovato il corpo di Ernie in una fossa ed erano occorse due pozioni ed un incantesimo per identificarlo, perché era stato irriconoscibile. Gli avevano strappato dei pezzi. Gli occhi, gli mancavano gli occhi. La sua faccia era stata torta in un'espressione di terrore tanto grande da essere percettibile anche senza la pelle. Doveva averci messo molto tempo a morire, e non era stata una bella morte.
Insieme con lui erano morte altre ventisette persone, uomini e donne, ma soprattutto bambini, tutti quelli che Ernie aveva custodito sotto la cupola dell'Incanto Fidelius.
C'era un limite oltre il quale la tortura spezzava tutte le cose, portandosi dietro strati dopo strati di pelle e viscere e pezzi e resistenza, strappando via l'umanità e con quella anche il ricordo delle cose che si volevano proteggere, salvare, la memoria delle cose che avevano avuto importanza. Ernie doveva aver detto ai Mangiamorte quel che volevano sentirsi dire pur di farli smettere, purché la tortura cessasse, perché il suo corpo era stato trovato dopo solo due giorni dalla sua scomparsa, e, quando l'Ordine era corso a controllare che il Fidelius fosse ancora al suo posto, avevano trovato ad aspettarli soltanto una trappola e ventisette cadaveri.
L'Ordine aveva cercato di tenere la storia per sé: c'erano ancora tre luoghi sicuri, protetti dal Fidelius e da uno strato di barriere contro i Dissennatori, contro le maledizioni, contro i veleni e contro il freddo e la paura... ma tutti i luoghi erano sicuri solo finché la persona che li custodiva lo era. Ernie doveva aver fatto una sciocchezza. Doveva aver commesso un errore. Un'imprudenza. Erano morti in ventotto per questo.
“Se sc'è qualcosa che posso fare... se hai bisogno di qualche giorno per riposare, qualche giorno per tu...”
Hannah aprì bocca e si trovò una replica crudele sulla punta della lingua: ma poi la ricacciò indietro, ingoiandola, perché Fleur stava solamente cercando di aiutare. Era inutile balzare gli uni alla gola degli altri, anche se questi altri stavano facendo di tutto, davvero, per provocare reazioni feroci, perché c'era già un mondo intero da affrontare, fuori di lì, non potevano litigare e discutere e incattivirsi anche qui.
“Io sto bene, Fleur,” replicò perciò, la voce piatta. “Davvero. I bambini sono sempre molto carini, ed ho la signora Hopkins ad aiutarmi con loro.”
I bambini erano carini. Anche la signora Hopkins era carina: carina sul modello vecchia zitella molto sola e un po' invadente, ma carina lo stesso. Erano stati molto gentili con lei, quando avevano saputo di Ernie. A loro Hannah non aveva raccontato che Ernie era stato il quarto del Fidelius, la quarta persona a reggere, con lei, Madama Chips e Fleur Delacour le barriere dei piccoli atolli protetti per Mezzosangue e Nati Babbani in Inghilterra. A loro non aveva raccontato che la morte di Ernie era stata la prima di una strage.
Ad Hannah la Hopkins e i bambini piacevano. Non voleva spaventarli, perché era quello il problema, no? Dopotutto, Ernie e lei erano stati amici, ma Hannah ne aveva persi già molti, di amici. Aveva perso i suoi genitori. I suoi cugini. Aveva perso Susan, e il dolore per quella morte era stato come una pugnalata, lancinante. Non era quello il punto – il punto era che il primo era stato Ernie, quale di loro sarebbe stato il prossimo?
A chi toccherà adesso? Era la domanda che si faceva tutte le mattine. C'erano giorni in cui Hannah pensava che morire non sarebbe stato poi tanto male, giorni in cui la speranza usciva dalla finestra insieme con il sonno, giorni bui dove pioveva più del solito e i Dissennatori passavano troppo vicini alle barriere: ma Hannah non voleva morire così, Hannah non voleva perdere la pelle del viso e le dita e gli occhi, e venire fatta a pezzi, pezzo dopo pezzo dopo pezzo, finché niente più di umano sarebbe rimasto in lei, finché avrebbe detto e fatto qualunque cosa, tradito chiunque, tutti, purché ogni dolore finisse.
Fleur aprì bocca di nuovo, e sembrava sul punto di dire qualcos'altro – presumibilmente, valutò Hannah, qualcosa che l'avrebbe spinta finalmente oltre il bordo, così avrebbe potuto cominciare a strillare e ad insultarla e a dar sfogo al grumo nero nel suo stomaco – ma non fece in tempo a parlare prima di essere interrotta dalla voce di Hermione.
“Hannah?”
Se anche lei le avesse detto che le dispiaceva, pensò Hannah con un vago sentimento di disperazione, l'avrebbe picchiata. Davvero.
“Stiamo tornando a Grimmauld Place,” disse invece Hermione, quietamente. “Emmeline ha chiesto una riunione generale. Madama Chips vuole venire con noi per dare un'occhiata al professor Piton, e speravamo che tu e Fleur poteste restare qui con Anthony fino a stasera per dare un'occhiata ai bambini.”
Grimmauld Place era un posto buio e freddo che ad Hannah non piaceva per niente; a Londra la concentrazione di Dissennatori era troppo alta per permettere ad una qualunque barriera di essere veramente efficace, e così il gelo filtrava anche lì, attraverso le pareti, e manteneva vivo l'inverno tutto l'anno. Alla riunione avrebbero probabilmente parlato di quanto le cose stessero andando male e di come sarebbero sicuramente andate peggio e alla fine, tra quello, il freddo e la depressione, Hannah avrebbe trovato molto, molto difficile alzarsi la mattina dopo senza pensieri neri.
Restarsene nell'angolo di Cornovaglia luminoso e azzurro come un mondo alieno alla realtà buia non era poi questo gran sacrificio.
Annuì e Fleur disse:
Mais oui.”
Hermione ne parve sollevata. “Madama Chips tornerà prima delle nove e vi riferirà tutto quel che è stato detto.”
Altre buone notizie, perciò, in previsione per le nove. Delizioso.
Hermione fece per allontanarsi, ma poi esitò. Spostò lo sguardo da Fleur ad Hannah e parve tentennare per un lunghissimo istante, prima di domandare:
“Posso parlarti per un attimo, Hannah? In privato.”
Fleur non aspettò che le venisse chiesto di farlo, prima di girarsi e andarsene. Alla luce del sole i suoi lunghissimi capelli scintillarono come argento pallido, così lunghi da perdersi sul cotone della gonna chiara, mentre si incamminava verso la cima della collina, dove Bill e gli altri stavano incidendo il nome di Terry su una delle pietre bianche. Hannah si morse un labbro.
“Che cosa c'è?”
La domanda era venuta fuori più bruscamente di quanto l'avesse intesa, ma ormai era tardi per rimangiarsela.
Hermione si guardò intorno, per esser certa che nessuno fosse a portata di orecchio, prima di affermare a bassa voce:
“Vorrei solo che tu sapessi che la signora Weasley ha detto di essere interessata ad occuparsi un po' più dei bambini. Vuole tenere loro lezione... una specie di scuola. Per insegnare a leggere... a scrivere... un po' di magia... soprattutto per quelli che non hanno più i genitori, o che li hanno lontani da qui. Non le dispiacerebbe prendere il tuo posto sotto il Fidelius, e, se tu preferisci, potresti avere un incarico diverso. Più attivo, magari. Con una delle squadre, o... o a Grimmauld Place, con noi. Millicent avrà bisogno di un altro compagno.”
Hannah la ascoltò parlare, un senso di incredulità crescente che le montava dentro, e sbatté le palpebre, al principio, confusa e perplessa. Dapprima non riuscì a credere a quel che le stava venendo offerto, ma poi ci credette, e l'indignazione prese il posto dell'incredulità, e dopo l'indignazione arrivò la rabbia.
Pensavano così poco di lei? Cos'era, un modo gentile per offrirle... per offrirle di tirarsi indietro? Credevano fosse spaventata e che volesse andarsene, tirarsi fuori, lasciare che il Fidelius passasse a qualcun altro? Fare di qualcun altro un bersaglio? Pensavano che fosse...
… pensavano che avesse paura?
Il gelo la invase e schiacciò anche l'ira.
Aveva paura. Aveva paura da morire. Aveva paura e se ne vergognava, ma non riusciva a smettere di averne. Aveva paura di venire uccisa, paura che l'incantesimo sbagliato la colpisse durante uno scontro, ma ancor più aveva paura di venire catturata, presa viva, torturata, che a lei fosse fatto quel che avevano fatto ad Ernie. Il resto non riusciva, proprio non riusciva, a spaventarla così tanto.
Hermione la stava osservando con gentilezza ed Hannah pensò che loro l'avrebbero capita. La signora Weasley avrebbe preso il suo posto ed Hannah... Hannah avrebbe potuto tornare a Grimmauld Place e far parte degli scontri, delle squadre. Certo, c'era sempre il rischio di farsi ammazzare, così, ma il rischio di far ammazzare qualcun altro sarebbe stato minore. Non avrebbe avuto il peso di tutti gli altri sulle spalle, solo... solo il suo.
E la signora Weasley avrebbe preso il suo posto.
Hannah aprì bocca e tutto dentro di lei gridò sì sì sì, e invece quel che le uscì fuori fu:
“No.”
No, perché i bambini le piacevano. I bambini le piacevano e la signora Hopkins le piaceva e lasciarli in mano a qualcun altro, fosse anche stato la signora Weasley, le sarebbe sembrato un tradimento. Lei non sarebbe stata come Ernie. Lei sarebbe stata prudente e sarebbe stata accorta ed avrebbe tenuto gli occhi aperti e sarebbe morta prima di farsi prendere viva. Nessuno sarebbe arrivato a loro finché c'era lei in mezzo.
“Non ce n'è bisogno,” ripeté.
Qualcosa si spezzò dentro di lei e per la prima volta da quelli che parevano mesi le sembrò di respirare.
“Andrà tutto bene.”

- - -



Hermione fece il giro del tavolo e Draco spinse una sedia vuota con il piede, pigramente, per farle spazio; lei ci si lasciò cadere seduta sopra e si piegò verso di lui.
“Qual è il problema, adesso?” bisbigliò. “Credevo avessimo deciso di rimandare tutti gli incontri a domani.”
“La Vance è tornata da Edimburgo,” replicò Draco, gli occhi socchiusi e l'espressione annoiata. “Hanno preso MacNair.”
Hermione rabbrividì.
Walden MacNair...?”
Draco scosse la testa.
“Il padre.”
Non era MacNair. Il disappunto era gelido e sapeva di ricordi scuri e sporchi. L'ascia sulla testa di Fierobecco, il Ministero al quinto anno, la Battaglia di Hogwarts e... e tutti sapevano che era il boia di Maeshowe, tutti sapevano per le mani di chi passavano quelli dell'Ordine che venivano catturati. Saperlo morto le avrebbe lasciato in bocca un buon sapore. Poi, qualcosa di quel che Draco aveva detto la colpì come assurdo e la spinse ad alzare la testa:
“E l'hanno preso vivo?”
“Esattamente.”
I Mangiamorte facevano prigionieri, qualche volta. I Mangiamorte facevano prigionieri e poi li facevano a pezzi un po' alla volta. Facevano arrivare le teste nelle ceste davanti alle case di Diagon Alley e appendevano le pelli alle porte – come avevano fatto sei mesi prima sul battente sfasciato dei Tiri Vispi Weasley. Nessuno ad Hogsmeade aveva avuto il coraggio di avvicinarsi a quella cosa sottile come pergamena, come la pergamena tesa, asciutta, che aveva ondeggiato nel vento per giorni e giorni, finché a Grimmauld Place non erano venuti a saperlo e non avevano organizzato una spedizione per rimuoverla. Nessuno aveva mai trovato il coraggio, poi, di dire a Susan Bones che la pelle inchiodata al legno era stata quella di sua zia.
Ad ogni modo, l'Ordine non faceva prigionieri. Prigionieri – e per metterli dove? Ad Azkaban? Non c'era più nessuna Azkaban, e il resto dell'Europa si era delicatamente rifiutato di ospitare nelle sue prigioni i Mangiamorte. A nessuno faceva piacere il pensiero di poter essere il prossimo probabile bersaglio di Voldemort.
Draco dovette leggerle la perplessità in faccia, perché reclinò ancor più il capo all'indietro, le gambe allungate sotto al tavolo e le braccia abbandonate nella postura di qualcuno che si trovava lì solo perché costretto, e che non aveva intenzione di far niente per nasconderlo.
“Le Patil...” spiegò oziosamente, “... stanno portando avanti non si sa quale ricerca e hanno chiesto a tutte le squadre di far avere loro Mangiamorte vivi, quando possibile. Sembra che Paciock lo sapesse.”
Hermione aggrottò la fronte.
“Io non lo sapevo.”
Draco sogghignò, aprendo un occhio quel tanto che serviva per guardarla:
“Forse perché pensavano che tu avresti fatto di tutto per non farglieli avere vivi, Granger.”
Hermione serrò le labbra. Non era così. Lei non era così. Fece per aprire bocca e dire a Malfoy di ficcarsi la lingua tra i denti e di tenerla lì, ben stretta, invece di sputare stupide sentenze su cose delle quali non sapeva niente, quando ripensò a MacNair, che era il boia di Maeshowe, che torturava quelli che Voldemort gli dava, che forse aveva avuto le mani su Ginny, su Harry, su Ron...
Si ritrovò a fissare il sopracciglio inarcato di Draco con i pensieri in fiamme e la bocca inaridita.
Madama Chips, accanto a lei, si mosse sulla sedia e la fece scricchiolare, ed Hermione lanciò una lunga occhiata circolare alla stanza, improvvisamente allarmata: ma sembrava che nessuno avesse seguito la loro conversazione. Kingsley era in piedi in un angolo e parlava con il signor Weasley ed Amos Diggory, Cho seduta accanto a lui e Millicent ad ascoltare quel che stavano dicendo. Sembrava in condizioni lievemente migliori, Millicent, e non aveva più lo sguardo spaventosamente infossato che aveva esibito solo poche ore prima: pensare alle cose che poteva fare, evidentemente, le faceva bene. C'erano altri in giro per la sala, i gemelli Weasley e Bill, il braccio ferito stretto in una fasciatura fissata al petto, Michael Corner afflosciato su una sedia e, inaspettatamente, Dedalus Lux accanto a lui. Le rivolse un piccolo cenno della mano ed un minuscolo sorriso, e lei rispose dopo una lieve esitazione.
Dopo alcuni minuti arrivarono Neville ed Emmeline, le braccia piene di pergamene arrotolate, seguiti dalle gemelle Patil. Hermione ricordava Calì come una ragazza dal viso grazioso, con un gusto per tutto quel che era colorato e scintillante. Ricordava il suo vestito molto rosa il giorno del Ballo del Ceppo e la farfalla che la McGranitt le aveva fatto togliere dai capelli e il modo in cui si era chinata, l'espressione adorante, ad ascoltare quel che Sibilla Cooman diceva a lezione. Padma, a confronto, le era sempre sembrata un poco scura, un poco tetra: ma adesso erano come due gocce d'acqua, come un riflesso in uno specchio, uguali in una maniera in qualche modo differente da quella in cui lo erano i gemelli Weasley. Mentre Neville ed Emmeline sedevano, loro rimasero in piedi e cominciarono a srotolare le pergamene sul tavolo: erano ricoperte di grafici e di appunti in una grafia minuta e strettissima. Hermione adocchiò un disegno familiare e sgranò gli occhi, sporgendosi attraverso il tavolo per guardare meglio; sentì Draco, alla sua sinistra, far scricchiolare la sedia mentre faceva lo stesso.
Fu uno dei gemelli Weasley, tuttavia, a dar voce a quello che loro avevano solo pensato:
“Ehi, questa non è Maeshowe?”
Tutta la tavolata, stavolta, si sporse per guardare meglio.
“L'abbiamo trovato,” disse una delle gemelle – Calì, forse. Portava i capelli sciolti.
“Abbiamo scoperto come ha fatto Tu-Sai-Chi a trasformare Maeshowe in una fonte di potere,” disse l'altra.
“E' il Cerchio di Brodgar,” spiegò Calì. “Maeshowe non è niente più che una tomba. Poteva essere trasformata in una fortezza, una volta che sono riusciti a superare le barriere e ad accedere alle vere stanze sotterranee, ma questo non spiegava come Tu-Sa... come lui fosse in grado di accedere a tutto quel potere. E' colpa del Cerchio di Brodgar. L'ha spostato attorno a Maeshowe e...” Le sue dita sottili tracciarono percorsi sulla carta, spostandosi al di sopra dello schizzo della bassa collina erbosa di Maeshowe e indicando le pietre che Voldemort aveva posto attorno ad essa – ventisette pietre lavorate antiche di migliaia di anni, disposte attorno ad un diametro di oltre cento metri, sature con tutto il potere che aveva continuato ad accumularsi attorno ad esse da quando i primi maghi della Gran Bretagna le avevano alzate verso il cielo; “... l'ha trasformato in un imbuto. E' il Cerchio di Brodgar che fa da sifone a tutto il potere dell'isola. Ha tutto il potere della Gran Bretagna, tutto quello che gli viene dai siti magici sparsi per il Paese. L'unico posto che non può toccare è Hogwarts... perché le barriere della scuola la proteggono... ma anche le barriere non dureranno a lungo. L'Inghilterra è piena di luoghi adatti – Diagon Alley, Skara Brae, le pietre di Stenness... continuerà a succhiare potere finché ce ne sarà. Finché non sarà tutto prosciugato.”
“Finché sarà legato al Cerchio di Brodgar, ed il Cerchio di Brodgar a Maeshowe...” sostenne Padma, “.. non ci sarà modo per fermarlo.”
Pensare a Maeshowe era pensare a cose che Hermione avrebbe preferito dimenticare; ma lei toccò lo stesso con un dito la pergamena, sporgendosi per leggere gli appunti segnati sul bordo di questa.
“Mi sembra avessimo già ipotizzato qualcosa del genere,” affermò Kingsley Shacklebolt, cautamente.
Le gemelle Patil alzarono gli occhi verso di lui.
“Ma noi abbiamo il rito, adesso,” disse Padma. C'era una vena di soddisfatta eccitazione che le vibrava nella voce. “Tutto il rito, completo di incantesimo e presupposti e materiali... Ce l'aveva Edmund MacNair.”
“Edmund MacNair deve avere cento anni o giù di lì...” disse Draco, la voce strascicata. “E' un vecchio rincretinito. MacNair se ne vergognava, lo teneva chiuso in casa per non farlo vedere a nessuno.”
“... e per tenerlo lontano dal Ministero,” intervenne Emmeline Vance, aspramente. “E' vecchio, ma non è rincretinito per niente. Era amico di famiglia dei Nott e dei Lestrange, ed aveva sostenuto neanche troppo velatamente la campagna dei Mangiamorte. Dopo la scomparsa di Voldemort ha faticato a dimostrare la propria innocenza, e solo il denaro di famiglia gli ha evitato Azkaban. Il figlio ha portato al processo la testimonianza di una mezza dozzina di guaritori che hanno sostenuto che MacNair era vecchio e non del tutto lucido, e sembrava non avesse il Marchio Oscuro, perciò... Dopodiché si è chiuso in casa e nessuno l'ha più visto né incontrato. E adesso se ne va in giro con i Mangiamorte, e il Marchio Oscuro ce l'ha eccome!”
“Ha aiutato Tu-Sai... be', lui, ad alzare il Cerchio di Brodgar,” disse Padma, nel silenzio che seguì le parole di Emmeline. “Insieme ad altri quattro Mangiamorte – tutti morti. Voldemort si è sbarazzato di loro, ma MacNair doveva essergli utile, perché è rimasto vivo.”
Le possibili conseguenze di quel che Padma e Calì stavano dicendo colpirono per la prima volta Hermione, dritte attraverso uno strato di incredulità e di sospetto che era la naturale conseguenza a tre anni di cose andate storte. Era così strano pensare che potesse essere vero, che ci fosse qualcosa – soltanto qualcosa! – che potesse... funzionare.
“Che ne avete fatto di lui?” domandò, un brivido di panico improvviso a scorrerle lungo la schiena.
“Non l'abbiamo ucciso,” esclamò Calì, la voce nuovamente orgogliosa. “Il professor Lumacorno l'ha Obliviato e noi l'abbiamo rimesso esattamente dove l'avevamo trovato.”
“Lumacorno sa di tutto ciò?” Nella voce del signor Diggory c'era più di una semplice punta di sfiducia.
Le gemelle Patil gli lanciarono un'occhiata infastidita. Calì aveva vissuto, dopo la morte di Sibilla Cooman, un periodo di generale depressione che si era concluso quando il professor Lumacorno, che non faceva precisamente parte dell'Ordine, ma quasi, aveva cominciato ad interessarsi a lei ed alla sorella. Lumacorno era intelligente, ed era un abile mago, ed era qualcuno che pensava sempre diversi passi avanti rispetto agli altri, ed anche se a nessuno piaceva davvero – non abbastanza da permettergli l'accesso a Grimmauld Place, almeno – non potevano negare che sapesse rendersi molto utile quando voleva.
“E cosa ne pensa lui, di questo?” chiese Neville, indicando le pergamene sul tavolo.
“Pensa che abbiamo ragione. Gli abbiamo lasciato una copia del rito, e ha detto che ci penserà su.”
Ci fu un altro, lunghissimo istante di silenzio; e in questa pausa parve quasi di riuscire a sentire le rotelle di tutti che ronzavano.
“Abbiamo preparato una copia anche per te, Hermione,” disse Calì, lentamente. “Potremmo trovare una falla. Un modo per staccare il Cerchio da Maeshowe, per indebolire Tu-Sai...” prese un respiro percettibilmente profondo, “... V-Voldemort. Per renderlo umano. Se si potesse...”
“Hermione!” La porta della stanza si spalancò e la signora Weasley apparve sulla soglia, trafelata e sconvolta, boccheggiando come se avesse sceso le scale di corsa. “Hermione, sei... Oh, Madama Chips! Presto, dovete... dovete venire!”
Hermione realizzò di essersi alzata in piedi senza accorgersene. Quando parlò, si stupì che la voce riuscisse ad uscirle dalle labbra malgrado il groppo pulsante che si sentiva in gola:
“Che succede?” Ginny. Ginny. Ginny.
“E' il professor Piton...” annaspò Molly Weasley.
Oddio.

Quando arrivarono nella sua stanza, il professor Piton doveva aver smesso di respirare già da alcuni minuti. Aveva le labbra bluastre, il viso cianotico, le pupille come due striature nere al di là delle palpebre semichiuse. Il petto non si alzava e non si abbassava sotto il camice, e quando Madama Chips gli batté la bacchetta due volte sul torace non si levò alcuna scintilla dorata a segnalare che c'era ancora un cuore che batteva, lì dentro.
Hermione sentì qualcosa andarle in pezzi, dentro, esplodere in un milione di minuscoli frammenti che si lasciarono dietro solo strie brucianti, al principio, e poi, il vuoto.
La voce di Draco arrivò soffocata da dietro la porta socchiusa, e lei fece per girarsi e fermarlo, per impedirgli di entrare nella stanza, di vedere, di sapere, ma le sue gambe sembravano di piombo e non volevano saperne di muoversi. La porta cigolò e Draco apparve nel riquadro di spazio tra il battente e lo stipite.
Hermione non si mosse. Continuò a guardare dritta di fronte a sé.
Era stata lei. Era stata lei a versargli il distillato in bocca. Lei a dargli il veleno, era... era colpa sua. Come per Ron. Per Harry. Colpa sua. Colpa sua se stavano perdendo la guerra, colpa sua, colpa sua se sarebbero tutti morti, colpa sua, colpa sua, colpa sua. Aveva ucciso il professor Piton.
“E' morto?” chiese Draco, nel silenzio. La sua voce suonò piccola e vacua come quella di una persona molto, molto più giovane.
Madama Chips esitò per un lunghissimo istante, prima di annuire. Piegandosi, sollevò la mano del professor Piton per stringerla per un attimo tra le sue, accarezzandone il dorso prima di posarla nuovamente sulle lenzuola del letto.
“Il cuore ha ceduto,” affermò quietamente.
Draco avanzò d'un passo nella stanza; ma poi, come colto da un improvviso terrore, si ritrasse di nuovo:
“Tutto qui? E non... non può... non si può fare niente?”
Poppy Chips alzò gli occhi, finalmente, e guardò verso di lui prima di scuotere la testa.
“Temo sarebbe inutile,” mormorò, la voce che scivolava verso il mite tono gentile che Hermione le sentiva usare ogni volta che c'era una cattiva notizia da dare. “Era molto debole.”
Ed io l'ho ucciso, pensò Hermione. Il colpo di grazia. Gli aveva versato il veleno tra le labbra e gli aveva augurato buona fortuna. Dio. Gli aveva augurato buona fortuna.
Forse era quello che Piton avrebbe voluto. Morire, morire finalmente, morire e farla finita con le pozioni che gli andavano di traverso e le cose che sperimentavano su di lui nella speranza che si svegliasse, morire finalmente e farla finire con la bava sul cuscino e le mutande che dovevano essergli cambiate e dover esser visto in quelle condizioni... lui che era stato così pieno di orgoglio, ferocissimo, spietato orgoglio.
Hermione ricordava che c'era stato un tempo in cui l'aveva odiato, Piton, aveva odiato la sua lingua tagliente e l'aveva odiato per essersela presa con Harry, Harry così buono, Harry così candido, così piccolo, e l'aveva odiato per averla insultata e derisa e umiliata, sicuro, ma mai una volta avrebbe pensato – mai una volta aveva pensato – di poterlo uccidere.
“Avete fatto tutto quel che potevate,” stava dicendo Madama Chips, dolcemente. “E molto di più, per lui.”
Hermione si trovò sul punto di dire abbiamo fatto di più – io, ad esempio, l'ho ucciso, ma si trattenne. Lei aveva dato la Mandragola a Piton, ma era stato Draco a dirle di distillarla perché fosse più potente. E Draco, Dio, l'ultima cosa della quale Draco aveva bisogno era un'altra dose di senso di colpa.
Sentiva la voce della signora Weasley, al di là della porta, parlare con qualcun altro in toni bassi e concitati. Aveva la voce rauca di pianto ed Hermione si chiese per chi stesse piangendo esattamente, se per Piton o per Ginny... perché era stato Piton a morire, ma c'era anche Ginny, addormentata su un letto da anni senza mai riaprire gli occhi, senza mai svegliarsi, e il suo risveglio sembrava diventare un sogno lontano ogni giorno di più. Hermione scivolò più vicina al letto e vide con la coda dell'occhio Draco appoggiarsi alla parete, come se anche stare in piedi fosse diventato improvvisamente faticoso.
Dovevano trovare Remus, pensò lei, confusamente. Allungò una mano e la posò sulle lenzuola fredde, a meno d'un millimetro dalle dita gelate di Piton. Trovare Remus, perché Remus avrebbe saputo cosa dire a Draco, cosa fare per farlo sentire solo un po' meglio, così come stava facendo con Angelina adesso. Ed Hermione poteva... lei poteva tornare giù dalle Patil e prendere la sua copia dello stramaledettissimo rito e fare la cosa che le riusciva meglio, pensare, perché era stato il suo cervello a cacciarli in quella situazione orribile, il suo cervello e il suo orgoglio a farle dire ad Harry che, sicuro, potevano farcela ad andare a prendere Ginny, certo, potevano farcela e sarebbero tornati indietro, vivi, e non avevano pensato che Voldemort fosse diventato così oscenamente potente in così poco tempo, ed era stato il suo cervello a farle tirar fuori la Mandragola, e così Piton era morto, ed Harry era morto e Ron era morto e stavano morendo, tutti, e se solo lei fosse riuscita a pensare, pensare, pensare ad una soluzione, ad un modo...
Quando Piton spalancò gli occhi e le afferrò un braccio, di scatto e con forza, convulsamente, facendole dolere anche l'osso, la prima reazione di Hermione fu quella di mettersi ad urlare.
Poi la stanza si riempì di gente, e fu il caos.

- - -



Tre ore, ventiquattro minuti e una manciata di secondi più tardi il peggio sembrava essere stato tamponato. Il cuore di Piton aveva collassato una seconda volta a cinque minuti di distanza, e poi erano collassati i polmoni, il fegato, ancora i polmoni, i reni... Madama Chips era andata avanti a salmodiare incantesimi per una ventina di minuti di fila, poi era arrivata Lavanda a darle il cambio, poi Hermione aveva tenuto la situazione sotto controllo finché Madama Chips non se l'era sentita di rimettersi in piedi e di ricominciare. Piton aveva sputato sangue, per un po', e poi aveva smesso. Aveva anche urlato – per dodici orribili minuti – con gli occhi sgranati spalancati a fissare il soffitto, gemendo e gridando e contorcendosi tanto violentemente che alla fine, quando anche gli incantesimi lanciati per calmarlo avevano fallito, avevano dovuto Schiantarlo.
Draco era stato mandato fuori quasi subito – non aveva mai avuto i nervi troppo saldi, Draco, e non serviva a nessuno avercelo intorno mentre faceva di tutto per rendersi il più inutile possibile.
Da ventiquattro minuti anche Hermione era stata sbattuta fuori dalla stanza del professore: quando aveva cominciato a barcollare su piedi che sembravano reggersi su un mondo estremamente instabile, Madama Chips le aveva ordinato di levarsi di lì e di andare a farsi un tè. Non era andata molto lontana: la signora Weasley la stava aspettando proprio dietro la soglia, con un vassoio già pronto con tazze di tè, tazze di caffè, tartine, cioccolata, panini... Hermione aveva svuotato due tazze di tè e aveva provato, davvero, a mangiare qualcosa, ma il primo boccone che era andato giù era sembrato pronto a prendere la strada del ritorno verso la bocca così in fretta da dissuaderla dal pensiero di provare con un altro pezzo.
Non sentiva la fame. Non sentiva neanche sollievo, non realmente, né paura né gioia né speranza... niente. La stanchezza si era mangiata qualunque altro pensiero.
Avevano spostato una mezza dozzina di sedie nel corridoio al primo piano, e su quelle sedie avevano continuato ad alternarsi, tutti, a turno: fino a cinque minuti fa c'erano stati Shacklebolt e il signor Diggory con loro, ma adesso c'erano solo Draco ed Hermione. Hermione aveva accostato due sedie per potersi sdraiare, le braccia intrecciate su uno dei sedili e la testa posata in mezzo ad esse, ma Draco se ne stava rigido e dritto seduto sull'orlo della sedia.
“Non c'è più tanto rumore, adesso, no?” le chiese lui tutto ad un tratto. Aveva le mani che gli tremavano ancora, per il nervosismo, gli occhi di un grigio così pallido che, nella penombra, parevano quasi bianchi.
Hermione scrollò le spalle e non disse niente. Le sarebbe piaciuto pensare che non c'era più tanto rumore perché le cose stavano andando meglio – ma pensare ciò avrebbe deragliato il treno dei suoi neuroni verso strade più buie, era colpa sua se Piton stava così, se stava male, se l'avevano quasi perso e se avevano creduto fosse morto – e perciò non pensava.
La porta della stanza del professor Piton si aprì e Lavanda Brown si affacciò sulla soglia. Sembrava invecchiata di cinque anni nell'arco di poche ore, era pallida e sudata ed aveva una grossa chiazza di sangue sulla camicia marrone, ed aveva l'espressione più esausta che Hermione le avesse mai visto sulla faccia; scivolò a sedere diritta e vide Draco, di fronte a lei, quasi schizzare in piedi con un saltello.
“Ti vuole il professor Piton, Hermione,” disse Lavanda, e per un attimo tutto quel che Hermione poté fare fu fissarla vacuamente e sbattere le palpebre, senza capire.
“Il professor Piton...?” le fece eco in tono incolore.
Draco, per una volta, sembrò afferrare le cose più in fretta di lei:
“Si è svegliato?”
Lavanda aggrottò la fronte. La stanchezza sembrava renderla irritabile e suscettibile e, nel complesso, assai poco paziente.
“Credevo fosse ovvio. Hermione, vuole te. Dobbiamo dargli una dose di Pozione Calmante entro dieci minuti, se non vogliamo rischiare il sesto collasso della serata, e lui non ha fatto altro che insistere per parlare con te da quando ha aperto bocca. Merlino, mi mancava proprio, prendere ordini da Piton...”
Hermione non rimase ad ascoltare il resto della tirata. Si trovò in piedi senza ricordare di essersi alzata, scivolò accanto a Lavanda come in sogno e si fermò sulla soglia della porta, per un lunghissimo istante, dimenticandosi di battere le palpebre.
Il professor Piton era sveglio. Sveglio. . Aveva i capelli incollati alla fronte e il volto sfregiato tirato in un'espressione di dolorante insoddisfazione, e l'occhiataccia che le rivolse era un po' annebbiata e non del tutto convinta, ma era un'occhiataccia. Di Piton. Che era sveglio. Hermione aveva passato così tanto tempo ad immaginarsi la scena che, adesso che ce l'aveva sotto mano, sembrava irreale. Sentì Draco trattenere il fiato, alle sue spalle, e fece un passo avanti per muoversi verso il letto.
“Con comodo,” bisbigliò Piton. Aveva a malapena fiato per respirare, ma sembrava che il sarcasmo fosse emerso sano ed immutato dall'altra parte di tre anni di bava e incoscienza.
Madama Chips richiamò una sedia dall'altro angolo della stanza con un colpo di bacchetta ed Hermione ci si lasciò cadere seduta sopra per poter chinare la schiena ed avere il capo all'altezza di quello di Piton. Da vicino, l'uomo aveva un aspetto ancor più orribile.
“Dovrebbe riposare, professore...” non riuscì a trattenersi dal mormorare, mentre un'ondata di sensazioni contrastanti la sommergeva; tutto quel che riuscì a provare per l'uomo che aveva di fronte, per un attimo, fu incalcolabile affetto.
Piton, sfortunatamente, sembrava aver conservato intatta e immutabile la capacità di smontarla in ogni occasione, perché all'espressione di preoccupato interesse di Hermione replicò con un'occhiata di vago disgusto.
“Signorina Granger...” iniziò quel che sembrava predisporsi ad essere un promettente insulto. Il fiato sembrò mancargli, per un attimo, e la cosa troncò l'offensiva a metà. “Granger.” esalò poi. “Per quanto tempo sono rimasto...?”
Lasciò la domanda in sospeso, ma non era necessario che proseguisse.
“Tre anni, professore,” replicò Hermione, la voce rauca. “Quasi tre anni.”
Per la prima volta dall'inizio della conversazione, gli occhi di Severus Piton guizzarono verso Draco. Il ragazzo si avvicinò impercettibilmente, piazzandosi in piedi, pallido e turbato, alla destra di Hermione. Piton sgranò lievemente gli occhi, e poi tutta la sua espressione si ammorbidì impercettibilmente.
“Potrebbe essere tardi...” mormorò l'uomo, la voce spenta. “Tre anni. Tardi... tardi per...” Si guardò intorno, e per un attimo i suoi occhi sembrarono non riuscire a mettere a fuoco quel che aveva intorno: ora che non stava più guardando con disgusto nessuno, Hermione si rese conto di quanto confuso e stanco l'uomo le sembrasse. Tre anni sotto forma di pianta, pensò, non passavano senza conseguenze.
Madama Chips si avvicinò con una fiala in mano.
“Severus...?” lo chiamò, gentilmente. “Devi riposare, adesso.”
Il professor Piton riportò lo sguardo su di lei, gli occhi nuovamente lucidi, e foschi e torvi, l'espressione un miscuglio intensissimo di irritazione e disprezzo:
“Credo di aver già riposato abbastanza, Poppy... Granger. La bacchetta...”
Hermione la sollevò, incerta, pensando che Piton avrebbe allungato una mano ed avrebbe cercato di prenderla: e invece tutto quel che l'uomo fece fu guardarla. Dopo un istante dai suoi occhi cominciò a colare una materia pallida ed argentea, impalpabile come fumo. Hermione sussultò, sorpresa, e fece per toccarla; ma si trovò con la mano bloccata da Draco, che le bisbigliò furiosamente:
“Usa solo la bacchetta per toccarla!” e poi, guardandosi intorno: “Una bottiglia! Ci serve una bottiglia!”
Afferrò una fiala piena di un liquido giallastro dal comodino e Lavanda gliela strappò di mano, con un mugolio di disappunto, un istante prima che lui potesse rovesciarne il contenuto per terra, allungandogli invece un'ampolla vuota. Usando la punta della bacchetta, Hermione cominciò a tirare e a spingere la materia fumosa che usciva dagli occhi di Piton verso l'ampolla.
“Che cos'è?” chiese, confusa.
“Memorie,” replicò Draco, il viso fisso su quello del professore. “Sono ricordi!”
Ad ogni memoria che gli veniva tolta, gli occhi di Piton parevano schiarirsi: la lucidità gocciolava in essi come acqua in una crepa, e l'uomo sbatté le palpebre come ad un dolore improvviso, le dita serrate in una morsa sulle lenzuola e il viso contratto, mentre i suoi occhi piangevano memorie pallide e nebbiose.
Tutto ad un tratto gemette e spalancò gli occhi. Ancora una volta fece guizzare una mano per afferrare il polso di Hermione, ed ancora una volta Hermione si trovò, impreparata, con il braccio che le faceva male per la stretta feroce.
Piton annaspò e la tirò verso di sé, e fu solo la prontezza di riflessi di Draco che impedì all'ampolla piena di ricordi di finire a terra.
E:
“Harry Potter è vivo!” le bisbigliò l'uomo in tono d'urgenza. “Harry Potter è ancora vivo!”
Nel silenzio del suo stesso cuore che smetteva di battere e perdeva colpi, per un attimo, Hermione sentì distintamente la fiala sfuggire dalle mani di Madama Chips ed infrangersi al suolo.





Note: Ta-ta-ta-taaaaaan !Questa è quel che si dice (dierrevi docet) una sana dose di angstanfughguhangstangstangst.
... d'accordo. x°D La smetto.

Innanzitutto, vi chiedo infinitamente scusa per il ritardo: ma ieri pomeriggio mi sono resa conto che le otto graziose pagine previste per questo capitolo erano improvvisamente diventate di più, e che c'era un'intera sezione che andava riscritta. Così ho rimandato la pubblicazione. Alle undici di stasera stavo ancora battendo sulla tastiera, e sospetto di aver scritto le ultime righe del capitolo dormendo: per fortuna c'era dierrevi pronto a sobbarcarsi l'ingrato compito di rileggersi tutto il papiro.

La serie di Come (non) doveva andare tornerà presto; forse anche con un capitolo dal punto di vista di Harry... che sarà sicuramente pubblicato su Nocturne Alley, se mai sarà scritto, perché nel capitolo che avete appena letto ho già dato fondo a tutto il Vietato-Ai-Pulcini che mi sento disposta a pubblicare su EFP. Perdonatemi.
Non ci sarà quest'anno, invece, un altro capitolo per le domeniche buie - salvo divina e gratificante illuminazione durante questa settimana - perché la storia che avevo in progetto non è ancora conclusa e forse - per questioni di concorso - non potrà essere pubblicata anche se finita per tempo. Salvo cambiamento di programma dell'ultimo minuto, invece, domenica sera riprenderà la pubblicazione dei capitoli già pronti di La strada sbagliata. Per rispondere a chi me l'aveva chiesto. x°D

Un ringraziamento a tutti voi che vi fermate a lasciarmi un parere, dandomi la scarica d'entusiasmo necessaria a scrivere un capitolo dopo l'altro, una storia dopo l'altra. Sperando che la storia vi sia piaciuta... che non vi abbia lasciati delusi... e, soprattutto, che non vi abbia annoiati!
  
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