Libri > I Miserabili
Segui la storia  |      
Autore: euryale_    22/05/2012    3 recensioni
Correva l’anno 1807, lo stesso in cui Napoleone, assieme alle sue truppe, vinse la battaglia di Friedland svoltasi a Königsberg contro la Russia. Era il quattordici giugno, allora, e quella era stata ritenuta una delle sue maggiori vittorie. D’altronde, cosa aveva fatto egli che non potesse parere grande agli occhi degli uomini?
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

A Giulietta, colei che mi ha sempre
sopportato in ogni momento e che è stata
il Grantaire di ogni situazione.


Capitolo primo
 



   Correva l’anno 1807, lo stesso in cui Napoleone, assieme alle sue truppe, vinse la battaglia di Friedland svoltasi a Königsberg contro la Russia. Era il quattordici giugno, allora, e quella era stata ritenuta una delle sue maggiori vittorie. D’altronde, cosa aveva fatto egli che non potesse parere grande agli occhi degli uomini? Con quell’uomo, la Francia era stata capace di vedere la luce; un lento risorgere dalle ceneri: era diventata il centro dell’Europa sotto al suo regno, ora più che mai. Certo, la Francia con i suoi ideali, la sua arte e la sua immensa sapienza era già una delle più grandi e meravigliose nazioni che il mondo avesse mai posseduto, ma solo Napoleone, una conquista dopo l’altra, era stato capace di ampliare quella fama che essa già possedeva e custodiva gelosamente dai tempi passati.
   La battaglia di Friedland aveva successivamente portato ad un trattato di pace, che era stato firmato il sette giugno a Tilsit (cittadina da cui prende il nome lo stesso documento), dal grande imperatore stesso e da Alessandro I di Russia. Cosa aveva portato quest’ultimo ad accettare la sconfitta? Semplice: egli si era ritrovato davanti un uomo dall’intelletto sorprendente e fu sopraffatto dalla sua generosità. Alessandro era stato completamente vinto su quel campo di battaglia.
   Il tredicesimo giorno le truppe russe avevano respinto un corpo di cavalleria del generale francese Lannes ed occupato Posthenen. Il generale russo Bennigsen aveva successivamente ordinato alle sue truppe di attraversare il fiume Saale e schierarsi in battaglia. Prima dello schieramento russo, però, ricevuti i rinforzi, Lannes aveva riconquistato Posthenen e aveva cercato di bloccare l’avanzata russa verso Friedland. Ma verso le sei del mattino, il generale francese Grouchy e la sua avanzata si ritrovarono impantanati in una zona ricca di corsi d’acqua; e da lì venne l’idea. L’arrivo di Napoleone fu decisivo: ordinò ad una delle sue truppe di attaccare sulla destra, impedendo in questo modo la fuga dei russi. Questi, impossibilitati nella ritirata dai corsi d’acqua furono decimati.
   Napoleone, uomo d’astuzia, era stato in grado di battere la Russia, da sempre temuta in quasi tutta l’Europa: i cuori gelidi e freddi, come le intemperie, dei suoi abitanti intimorivano alla pari del suo numeroso esercito.
   Ma, senza perderci troppo nella battaglia – crudeltà del genere umano – tentiamo di soffermarci su Parigi, culla della nazione francese, e sull’anno in cui questa storia ha inizio.
   Il 1807 oltre a numerose vittorie, era stato capace di portare altre novità in quell’epoca. Per fare un semplice esempio, il ventotto gennaio il Pall Mall (famosa strada londinese ritenuta il centro delle belle arti) era stata la prima strada ad essere illuminata dai lampioni a gas. Così come il popolo di Francia veniva illuminato dalla grandezza e dalle conquiste, una semplice strada dell’Inghilterra, eternamente in guerra con la nazione francese, era stata illuminata da un progresso nella tecnologia.
   Ma la vita di qualcun altro stava per essere illuminata, non solo quella dei cittadini di Londra, pochi mesi dopo la guerra citata precedentemente.
 



   Vi era a Parigi, un uomo di nome Etienne Enjolras. Possedeva ricchezza di spirito e di materia e la custodiva entrambe con parsimonia. La sua ricchezza materiale, era dovuta ad un’eredità che da tempo passava di padre in figlio, dando frutto ad un susseguirsi di successivi arricchimenti ad ogni passaggio di questa. Il patrimonio si era mantenuto nel tempo per una tradizione, se così può essere chiamata; ogni Enjolras aveva sempre mantenuto un temperamento cosciente e ben solido su come spendere il proprio denaro.
   Esso non era mai stato speso in modo irrispettoso per la fatica degli avi, né era stato sperperato in inutili fronzoli. Possiamo pensare, con stima, che essi avessero a mente il loro prossimo più del presente che essi stavano vivendo. E quindi, anche Etienne aveva ereditato questa tenacia alle tentazioni del troppo denaro. Non aveva parenti con cui condividere la sua fortuna, tranne una sorella che però si era fatta suora prima ancora di raggiungere la maggiore età e quindi egli poteva ritenersi ormai solo al mondo, siccome madre e padre erano morti da quasi sei anni.  Erano originari del sud della Francia ma ormai da tre generazioni vivevano a Parigi, continuando a mantenere le proprie tradizioni.
   Etienne poteva essere ritenuto un bell’uomo, tralasciando la durezza dei lineamenti che lo caratterizzava. Occhi chiari e capelli castani, perennemente spettinati nella fretta di sbrigare lavori di qua e di là; eppure ad una festa avrebbe potuto apparire il più elegante e raffinato degli ospiti.
   Non possedeva un vero e proprio lavoro, nonostante si abbassasse a lavorare come avvocato presso un amico fidato che egli conosceva sin dalla tenera età e che riteneva quasi come un fratello di sangue. Quel suo amico faceva Dubois di cognome. Abitava  in compagnia dei suoi tre figli. Il maggiore aveva diciassette anni, si chiamava Albert e oltre agli studi, aiutava il padre nella sua professione. Era un bel giovanotto, piuttosto robusto dagli occhi color nocciola e dai capelli come il grano – presi dalla madre ormai defunta. In qualunque situazione, era capace di portare il buon umore semplicemente sorridendo: aveva uno spazio tra gli incisivi che a vedersi faceva parecchio ridere, nonostante questo sembrasse non causargli problemi.
   Le altre figlie di Dubois, erano due ragazzine gemelle che raggiungevano a malapena i quattordici anni. Erano l’una la copia dell’altra, tranne che per il colore degli occhi: la prima li aveva scuri e profondi, si chiamava Anne; la seconda aveva lo sguardo di ghiaccio e si chiamava Beatrice. Avevano il fare civettuolo tipico della loro età e delle giovani che tentano in un qualche modo di dimostrarsi troppo adulte. Il signor Enjolras le vedeva poco, dato che esse erano spesso fuori a passeggiare nel parco deliziandosi dei giovani studenti che passavano lì le loro ore.
   Vivevano come semplici borghesi in un appartamento – che occupava un intero piano - nei pressi di Place de la Concorde, ed accanto ad esso, Albert aveva installato il proprio ufficio, a cui vi si accedeva attraverso ad una porta laterale all’ingresso. Erano due appartamenti, mantenerli non era semplice, soprattutto con i tempi che andavano di male in peggio.
   Esattamente per questo, si permetteva di far lavorare con sé Etienne che non chiedeva denaro in cambio, ma che lavorava egregiamente. In effetti, Enjolras non approfittava della sua ricchezza e si destreggiava nel lavoro con tale voglia di fare da lasciare quasi sempre sorpresa la moglie.
   Ella prendeva il nome di Marianne, nonostante non fosse il suo vero nome. In pochi lo conoscevano ed è per questo che per noi sarà semplicemente madame Enjolras, o Marianne come precedentemente detto. Aveva i capelli del grano, gli occhi chiari perennemente ridenti: sembrava la personificazione della gioia e della libertà. Quando sorrideva sembrava che tutto ciò che fosse attorno a lei si illuminasse. Il corpo era minuto ed ella passava le sue giornate con le mani dietro alla schiena, camminando per la casa e sistemando i fiori nei vasi. Parlava con chiunque, senza preoccuparsi che fosse la cameriera, il marito, la cuoca o il maggiordomo.
   Apparentemente la loro vita in quei sette anni era stata ricca di felicità, ma vi era la mancanza di qualcosa che ancora non era giunto.  O meglio, si era dovuto attendere parecchio, ma con molta pazienza.
   E la pazienza, in quegli ultimi nove mesi, di certo non era mancata a marito e moglie che nonostante la grande eccitazione, erano riusciti a controllarsi. Ma nonostante ciò, sembrava che questo dono non volesse arrivare: si ritardò di qualche giorno.
   Etienne era come sempre nello studio di Dubois: sbrigava alcune pratiche; gli occhi fissi sulle carte sembravano non volersi staccare da lì per nessun motivo. Corrugava la fronte, allontanava la carta e la osservava con fare pensieroso, come qualcuno indeciso su che fare. Poi sollevava le sopracciglia come a voler dire “Ah! Nulla di più semplice!” e si calava nuovamente sulle scartoffie; intingeva la penna e riprendeva a scrivere.
   La sua scrivania era nell’angolo più lontano della stanza, al punto opposto di quella di Dubois. Quell’appartamento era di forma rettangolare; entrando, sul lato sinistro vi erano due grandi finestre che lasciavano filtrare parecchia luce, così che non si dovesse usare candele se non di notte. Al centro vi era un grande tappeto persiano vecchio di chissà quanto tempo – si dice addirittura che fosse lì da prima che Dubois comprasse l’appartamento – e lungo la parete di fondo, correva una lunga libreria. La scrivania di Etienne dava le spalle ad essa, ed era vicina all’ultima finestra.
   Dubois, invece, possedeva la scrivania che dava le spalle alla porta, in modo da poter comunicare con facilità con il suo collega. Il figlio, Albert, lavorava nel suo studio personale, nell’alloggio in cui vivevano.
   Nessuno dei due familiari si era ancora fatto vedere, ma nonostante tutto, Etienne possedeva le chiavi dell’ufficio e poteva entrare in ogni momento della giornata. Il suo amico si fidava ed egli non intendeva tradire la sua fiducia, quindi si limitava ad entrare nei suoi orari di lavoro; si permetteva di accedere all’ufficio al di fuori di questi solo quando doveva sbrigare qualche altro lavoro che necessitava più tempo.
   E quella mattina, il signor Enjolras era entrato alle cinque del mattino, nel momento stesso in cui l’alba fuori si presentava in tutto il suo splendore. Solo coloro che osano svegliarsi in quelle ore, possono godere lo spettacolo di Parigi che si sveglia la mattina. Essa è come una donna: tenta di nascondersi, imbarazzata per il suo aspetto dopo aver passato la notte nelle tenebre, ma poi, con una forza e una luce mai vista, si lascia ammirare, abbandonando ogni pudore. Gli uccelli iniziano a cantare, sottofondo gioioso per quella rinascita; si sentono le prime grida degli uomini che vanno a lavorare; i monelli che fischiettano motivetti tenendo le mani in tasca e tirando calci alle pietre per terra.
Sembra quasi che le ombre, alla vista di tutto ciò, scappino nei bassifondi, il loro regno, terrorizzate da quella bellezza pura che solo in una città come quella può esistere.
   Ma Etienne era troppo occupato dal suo lavoro per potersi abbandonare ad uno spettacolo che in fondo aveva già visto parecchie volte nella sua vita. Non distoglieva lo sguardo nemmeno per un secondo da quei fogli. Nulla, in quell’istante, sarebbe stato capace di distrarlo. Tranne Emile.
   Emile Meunier era il maggiordomo della signora e del signor Enjolras da quasi sei anni. Nonostante fosse un uomo abbastanza robusto e in carne, aveva la vaga forma di un pinguino all’interno dei suoi abiti. Il naso adunco, i capelli grigi e il petto perennemente in fuori, gli donavano un aspetto severo che non lo caratterizzava nemmeno un po’: Emile era di una dolcezza quasi paterna nei confronti dei suoi superiori. Ed Etienne, molto spesso, o senza rendersene conto, si rivolgeva a lui nel caso vi fossero problemi.
   L’uomo, rosso in viso e con il fiatone – sicuramente per le scale per raggiungere l’appartamento – aveva spalancato la porta con tale forza da far sobbalzare il suo padrone, che era stato costretto a sollevare lo sguardo per capire quale tornado fosse appena precipitato nella stanza con tale foga. Alla visione di Emile in quelle condizioni, si era poi alzato con tale rapidità dalla sedia, che tutti i fogli gli erano svolazzati qua e là per terra, in disordine.
   Il maggiordomo si era permesso di non parlare per qualche minuto, per riprendere il fiato, nonostante stesse comunque guardando ad occhi spalancati Etienne, che inarcava le sopracciglia come a volergli chiedere “E allora?”. Poi, indicando la porta aveva balbettato qualcosa come ‹‹E’ ar….sta per nascere!›› e allora, aveva tentato di raddrizzarsi come se volesse rendere importante quella notizia. Nell’udire quelle poche e confuse parole, quasi indistinguibili, il signor Enjolras aveva sgranato gli occhi a sua volta, nell’esatto momento in cui l’inchiostro, già in bilico su una pila di libri, era caduto sul legno della scrivania, macchiandola di nero. Senza farci alcun caso, egli si era guardato attorno alla ricerca del soprabito e del cappello; trovati appesi sull’attaccapanni all’ingresso, vi si era precipitato mentre sul suo volto si era dipinto un sorriso di pura gioia.
   Ci sono eventi, nella propria vita, che causano confusione e gioia immensa sin dal primo momento, ed Etienne era capitato in uno di questi. In effetti, ci mancava poco che mettesse il soprabito al contrario.
   Ma cosa sarebbe importato tutto ciò davanti alla nascita del suo primo figlio, un maschio per di più? Nove mesi di attesa erano stati quasi estenuanti. Il padre, all’inizio si convince che questo non sia importante, che il figlio sarà solo l’ennesimo problema; ma c’è un periodo, nei pochi mesi prima della nascita, in cui l’eccitazione si fa tale da non poterla più nascondere dietro a queste poche scuse. E così era stato anche per lui.
   Senza badare a Emile, che lo guardava ammutolito, vedendo quel suo strano comportamento, era corso giù per le scale in tutta fretta, indossando il suo cappello mentre svoltava al primo pianerottolo. Si poteva dire che egli stesse letteralmente balzando giù di quattro gradini alla volta, mentre a squarciagola cantava un inno. E tutto ciò, gli dava l’aspetto di un pazzo.
   Parigi si apriva davanti a lui, ed egli la trovò infinitamente noiosa davanti all’evento che stava per accadere in quel giorno che a prima vista, potrebbe esser stato normale per chiunque. Correva per la strada, sistemandosi ogni tanto il cappello che gli scivolava giù dalla foga con cui svoltava nelle vie alla ricerca di una carrozza disponibile: ma in quella zona erano ben rare.
   Passava accanto ai monelli che portavano un dito alla tempia quando lo guardavano come a volergli dire “Sei pazzo!”. Ma egli non vi badava, preso com’era dalla ricerca di un mezzo per giungere a casa, nonostante il fatto che se avesse voluto avrebbe potuto avere energie sufficienti fino a casa, vista la velocità con cui egli correva sulla polvere della strada. Le vecchiette che a quell’ora erano già sveglie e sedevano sulle loro sedie davanti all’ingresso delle loro misere case, lo guardavano senza sorpresa e commentavano con un
‹‹Sta per diventare padre››; d’altronde, avevano i loro anni di esperienza.
   Le falde del soprabito svolazzavano al ritmo dei suoi passi. La via che egli stava seguendo pendeva lievemente verso il basso e ciò non poteva indicare che una cosa: si stava dirigendo verso la Senna, in quei luoghi dove si portano ad abbeverare gli animali. Sperava di trovare una carrozza nei pressi della riva. Ed infatti, quasi con sollievo, la scorse.
   Sembrava che i cavalli avessero appena smesso di abbeverarsi e che un uomo li stesse preparando per la partenza. Etienne, come risvegliato improvvisamente alla vista di ciò, si era tolto il cappello e lo aveva agitato in aria per attirare l’attenzione del cocchiere che nel sentire le sue grida, si era voltato con aria incuriosita, domandandosi chi mai potesse essere quell’uomo così ben vestito che pareva un pazzo.
   Etienne invece, notando che era riuscito nel suo intento, aveva sorriso ancora di più e si era precipitato in direzione dell’uomo. Aveva afferrato un appiglio sulla carrozza ed era letteralmente balzato all’interno di essa, scomparendovi per qualche secondo prima di sbucare nuovamente fuori dal finestrino ed esclamare questa volta serio:
   ‹‹Al numero sedici di via H….! Il più presto possibile!›› e di nuovo si era rinchiuso all’interno della vettura. Il cocchiere non se l’era fatto ripetere due volte ed era salito al suo posto: in poco tempo frustava i cavalli in direzione di via H….
   La velocità a cui la carrozza viaggiava per le strade, lasciò perplessi non pochi osservatori della scena. Un fornaio si era sporto dal suo bancone per seguire con lo sguardo la sua corsa sfrenata e così, nel frattempo, dal forno iniziò ad uscire dell’odore di bruciato. Se ne accorse troppo tardi: ormai quel pane non sarebbe stato buono da mettere in vendita.
Poco più avanti vi era un gruppetto di donne che proseguivano in fila lungo il lato della strada: ci mancò poco che venissero travolte dalla vettura in corsa. Ma dentro ad essa, Etienne faticava a contenersi. Cambiava continuamente posizione, batteva le dita sul sedile rivestito di rosso e lanciava occhiate nervose al di fuori degli sportelli, domandandosi dentro di sé se sarebbe mai arrivato in tempo.
   E fu proprio allora, prima che egli potesse sporgersi l’ennesima volta a guardare le case di Parigi scorrere al loro fianco, che si sentì un sobbalzo improvviso che fece quasi cadere la carrozza. I cavalli continuavano a nitrire, spaventati e poteva sentire la voce del cocchiere che borbottava alcuni insulti. Quasi con foga, si sporse e, non riuscendo a vedere niente dato che la scena si svolgeva dalla parte opposta, decise di scendere. Completò il giro e finalmente riuscì a vedere cos’era stata la causa di quel disastro: a terra, nella polvere, vi era un uomo vestito discretamente. Sembrava non essersi fatto nulla di serio e già tentava di rialzarsi con l’aiuto del cocchiere.
   ‹‹Che succede?›› trovò finalmente la forza di chiedere, attirando immediatamente l’attenzione dei due. Finalmente, poteva vedere in faccia lo sconosciuto che fino ad ora era stato coperto dall’altro. Indossava un pastrano verde scuro, tutto impolverato per la caduta e due occhiali montati sul naso che gli davano l’aria da intellettuale. Aveva il naso aquilino e gli occhi erano nascosti dai capelli arruffati. Egli non rispose ma si limitò a chinarsi e a raccogliere un libro che doveva essergli caduto prima dell’incidente. Al suo posto, parlò il cocchiere, piuttosto irato:
  ‹‹Se ne stava con la faccia nel libro e ha attraversato la strada, questo…questo…oh ma se non c’è nulla di preoccupante, possiamo partire subito!›› e mentre sistemava di nuovo i finimenti, continuava a borbottare cose come ‹‹’Sti uomini di cultura! Tengono sempre gli occhi sui libri e non pensano alle conseguenze…ma la vita reale è ben diversa, lo dico io!››
   Senza quasi badare a quello sfogo da parte del cocchiere, nonostante stesse attendendo con impazienza che tutto fosse pronto per ripartire, Etienne si avvicinò al poveretto che era andato contro alla carrozza.
   ‹‹Siete sicuro che tutto sia a posto? Se posso fare qualcosa per voi…››
   ‹‹Niente, signore. Tutto a posto.››
   E sembrava che egli volesse finire lì il discorso, ma il signor Enjolras, cercando un modo per allontanare il pensiero che premeva nella sua mente, ovvero quello della moglie, aveva bisogno di parlare e parlare ancora.  Si tolse il cappello e indicò la carrozza.
   ‹‹Non l’avevate proprio vista, eh?››
   ‹‹Già.››
   ‹‹Ce l’avete un nome?›› domandò poi, calcandosi di nuovo il cappello sulla zazzera spettinata e arricciando la bocca in quello che poteva sembrare un sorriso.
   ‹‹Stephane Combeferre…insegno alla Sorbona.›› rispose l’uomo sorridendo a sua volta e facendo un vago cenno alle sue spalle, prima di porgergli la mano.
   ‹‹Etienne Enjolras.›› si presentò a sua volta stringendogliela. ‹‹Dovreste fare più attenzione la prossima volta…siete un professore ma questo non vuol dire che non potreste ritrovarvi con il cranio e le costole fratturati. Parecchi ne sono morti.››
   ‹‹Insegno alla facoltà di medicina…penso che forse saprei cavarmela fino ad un certo punto, signore.››
   ‹‹Non quando un cavallo vi sfonderà la testa con uno dei suoi zoccoli…non pesano poco quei bestioni!›› fece un vago cenno nella direzione dei due splendidi animali bianchi che trainavano la carrozza. Vi fu una pausa, scandita ancora da un paio di nitriti dei cavalli, ma fu interrotta subito dallo stesso Etienne, che non poté trattenersi dal raccontare per quale motivo avesse così tanta fretta. ‹‹Sapete, mia moglie sta per dare alla luce il nostro primo figlio…quindi in parte è questo il motivo della corsa folle. Ma visto questo ostacolo, temo che non arriverò in tempo…ci vogliono ancora parecchi minuti a via H…››
   ‹‹Temo che vi sbagliate.›› lo fermò Stephane, guardando un punto indefinito alle sue spalle e facendo un cenno col capo chiedendogli di voltarsi. ‹‹La carrozza è pronta.››
   Ed in quell’istante, il cocchiere si era issato nuovamente alla sua postazione, prima di fare segno ad Etienne e gridare ‹‹Siamo pronti!››
   Etienne, preso dall’eccitazione del momento, dovette costringersi a girarsi di nuovo in direzione di Combeferre che lo guardava sorridendo. Gli occhi verdi dietro agli occhiali ridevano a loro volta. Forse aveva già provato la gioia di essere padre ed ora la stava riprovando nel vedere Etienne così agitato. Vi fu un momento di silenzio, in cui si guardarono, forse riconoscenti ed amici, prima che Stephane aprisse nuovamente il suo libro prima di aggiungere ‹‹Andrà tutto bene, vedrete. Auguro a voi, a vostra moglie e a colui che arriverà presto, tutta la gioia di questo mondo.›› E prima che Etienne potesse aggiungere altro, si calò sul libro e riprese a leggere, allontanandosi in una delle vie laterali, diretto chissà dove. Il signor Enjolras rimase ancora per un istante a guardarlo sparire, finchè egli non si perse dentro ad un altro viale. A quel punto, fu richiamato dal cocchiere e risalì alla carrozza. Qualcosa gli diceva che un giorno, avrebbe rivisto quell’uomo, in un modo o nell’altro.  Il rumore della frusta, interruppe i suoi pensieri e la carrozza ripartì tra la polvere dal colore dell’oro nella mattina di Parigi.



 
   Il numero sedici di via H… corrispondeva ad un edificio dall’aria nobile ed antica che si sviluppava su due piani; risaliva ad almeno sessant’anni prima, anche se era mantenuto curato e ordinato. Gli esterni erano dipinti di bianco, e col tempo sembrava che vi fosse stato un modo per aggiungervi un giardino; al centro di esso, si poteva notare una maestosa quercia che doveva avere all’incirca la stessa età della casa. L’ingresso si trovava a distanza di pochi metri da essa ed era segnalato da due colonnine – anch’esse dipinte di bianco – che lasciavano intravedere la veranda e la porta scura. Poco sopra, un grande balcone era sovrastato da alcune grandi porta-finestre.
   Era leggermente più isolato dalla città, ed ecco per quale motivo non poteva essere raggiunto velocemente a piedi e per cui Etienne era stato obbligato a cercare una carrozza. Coloro che vi passavano davanti, rimanevano stupiti dalla sua presenza in un luogo del genere, così poco trafficato e pulito, eppure il padre di Etienne lo aveva voluto lì proprio per quel motivo: sarebbe spiccato di più davanti a tutto il resto. Non vi erano stati sprechi di denaro e tutto ciò era stato realizzato nel puro spirito di lasciare quell’enorme residenza al figlio, che avrebbe iniziato a tramandarla ai successivi componenti della famiglia Enjolras.
   La carrozza si fermò esattamente davanti al grosso cancello in ferro. Etienne scese e pagò il cocchiere mentre dall’edificio gli veniva incontro una donnetta grassottella col fiatone.
   ‹‹Marie? Aprimi, avanti!›› esclamò l’uomo mentre con strizzava gli occhi per riconoscere quale fosse la cameriera che gli veniva incontro. La carrozza ripartì.
   La donna prese ad armeggiare con il grosso mazzo di chiavi che teneva in mano.
   ‹‹S-signore! Vi attendevamo! La signora aveva minacciato di non voler partorire senza la vostra presenza…ma sembra che anche il futuro signorino sia della stessa idea! Ha…iniziato più o meno tre quarti d’ora fa; considerando che Emile ci avrà sicuramente messo mezz’ora ad arrivare – lo conosco, signore! Non vuole mai sbrigarsi! – voi…come avete fatto ad arrivare qui in solo un quarto d’ora?›› borbottò tutto d’un fiato mentre infilava la chiave nella toppa, apriva il cancello, e scortava il nervoso Etienne all’interno della casa.
   ‹‹Spiegherò tutto dopo, Marie! Al momento ho altro di cui preoccuparmi!›› e fu così che l’uomo si abbandonò alle spalle la donna, raggiungendo la veranda e spalancando la porta con tale forza da farla tremare. Gettò il soprabito e il capello sul corrimano delle scale –sicuramente qualcuno si sarebbe occupato di sistemarli – e iniziò a salire queste. Dall’ingresso, le scale si trovavano direttamente a destra, superando il salotto, a sinistra, lo studio e la cucina in fondo. Erano due gradinate, interrotte da un pianerottolo che si affacciava sul cortile davanti alla facciata della casa.  Già giunto ad esso, potè individuare la porta in cui si trovava la moglie: sentiva delle grida provenire da essa. La prima porta che si apriva davanti a lui, era, giustamente, quella delle stanze di Marianne.
    Vi si fermò in preda all’agitazione, sbuffando e passandosi una mano tra i capelli mentre le urla da dietro alla porta, continuavano, interrotte ogni tanto dalla voce di cameriere che sicuramente stavano ronzando per la camera con la stessa agitazione che provava Etienne.
    La maniglia girò lentamente, permettendogli di veder sbucare una ragazza dai capelli rossi. Portava in mano un asciugamano ed era sicuramente diretta al bagno in fondo al corridoio. Alla vista di Etienne, sobbalzò, richiudendo subito dietro di sé la porta in modo da non permettere la vista di quel che vi accadeva dentro.
   ‹‹Allora?›› le chiese lui prendendola per le spalle in un gesto troppo azzardato ma dettato solo dall’ansia che gli stava provocando quel momento.
   ‹‹Bene…›› sussurrò lei, imbarazzata dal modo in cui l’uomo l’aveva assalita per sapere informazioni sulla moglie. Notando ciò, Etienne lasciò la presa su di lei.
   ‹‹Credo che Marie vi abbia detto della sua minaccia…ma ora, sarà felice di sapere che siete qui e che attendete che lei vi dia vostro figlio!›› e così dicendo, sfuggì da altre domande rientrando nella stanza. Si alzò un brusio da dentro di essa, tra cui riuscì a percepire una conversazione, evidentemente tra la cameriera dai capelli rossi, sua moglie e un’altra delle donne presenti lì dentro.
   ‹‹E’ qui…l’ho incontrato uscendo e mi ha chiesto come procedeva la signora.››
   ‹‹Oh, ce ne ha messo poco di tempo! E io che credevo che se la sarebbe presa comoda…avrà cambiato idea!›› sentì rispondere da un vocione da donna. A quella affermazione, da dietro la porta, Etienne scosse la testa come contrariato. Come gli altri fossero riusciti a capire che inizialmente egli non era d’accordo con la nascita di suo figlio, rimaneva un mistero, almeno per il momento; la risposta, però, era molto più semplice di quanto ci si potesse aspettare: in fondo vi sono persone che sanno leggere i sentimenti della gente solo con uno sguardo. Improvvisamente, però, quei pensieri furono interrotti da una voce flebile e sforzata che, oltre alla porta aveva sussurrato il suo nome.
‹‹Etienne!›› era stato quasi un sussurro, ma egli lo aveva colto attraverso tutto il rumore che proveniva dalla stanza. Impercettibilmente, aveva appoggiato il viso contro il legno della porta, cercando di captare qualche altra parola di quella che era la voce di sua moglie. Ma non sentì altro che le grida che riprendevano.
   Si allontanò così dalla porta, portando le mani dietro alla schiena ed iniziando ad andare avanti ed indietro.
   I minuti passavano e sembravano ore, mentre ciò che accadeva rimaneva chiuso ed inaccessibile dietro a quella porta che non faceva altro che aumentare l’ansia dell’uomo. La vedeva come un enorme ostacolo davanti alla sua felicità. E il tempo continuava a scorrere lento, più lento che mai mentre la pazienza di Etienne non faceva altro che diminuire.
   La porta si spalancò all’improvviso, facendo sobbalzare l’uomo, in attesa, per l’ennesima volta. Dietro ad essa riuscì a scorgere il volto della cameriera dai capelli rossi che aveva incontrato prima. Sorrideva, e lo fissava con insistenza, come a volergli far intendere qualcosa. Il volto di Etienne si illuminò all’improvviso, i lineamenti si rasserenarono mentre notava che la ragazza stava lentamente spalancando la porta permettendogli finalmente di vedere ciò che vi era all’interno.
   La moglie era distesa nel letto, al capezzale di esso vi erano altre due cameriere, entrambe piuttosto grosse, e ve ne erano altre tre, compresa quella con i capelli rossi, che giravano per la stanza sistemando nervosamente gli ultimi particolari.
   Ma ciò che riuscì a catturare immediatamente lo sguardo dell’uomo, fu il fagotto che Marianne teneva tra le braccia: suo figlio. Lei sorrideva, stanca, ma come non mai, come a volerlo invitare ad andargli vicino a vedere per la prima volta quella che era la loro creatura. Con passo incerto e sotto allo sguardo di tutti, Etienne avanzò con solennità. I raggi di sole che filtravano attraverso la finestra aperta illuminavano il letto e la sua figura.
La donna gli porse il bambino, attendendo che egli lo prendesse. Ma Etienne non era pratico con la cosa, quasi come ogni padre. Le mani gli tremavano, mentre dovette deglutire un paio di volte prima di rendersi conto che si trattava solamente di prendere in braccio suo figlio, non di mettere al sicuro un tesoro. Ma cosa sarebbe mai valso quel tesoro a confronto della creaturina che sbucava tra le coperte?
   Era un uomo, ma sentiva che sarebbe stato capace di scoppiare a piangere di gioia in quel momento stesso.
   Lo prese tra le braccia e lo guardò, a lungo, finchè il suo sguardo non corse alla moglie che, con sua grande sorpresa, tentava a sua volta di trattenere le lacrime; ma era anche troppo stanca per resistere ed un’unica lacrima le scese sulla guancia. Etienne si chinò, avvicinandosi a lei e mettendole accanto il figlio. Il silenzio era calato sulla stanza, interrotto solo da qualche sussurrò emozionato delle cameriere al capezzale del letto.
   La luce illuminava ancora il quadretto familiare, quando improvvisamente dal fagotto provenne quella che poteva sembrare una risata, che sfociò in un grido.
   Il venticinque agosto 1807, in casa Enjolras, era nato l’erede: la sua nascita aveva illuminato l’intera famiglia e così avrebbe fatto ancora per molto. 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > I Miserabili / Vai alla pagina dell'autore: euryale_