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Autore: Sefiriel    23/05/2012    2 recensioni
Una Regina orgogliosa del proprio corpo come nessun'altra, ed una figlia con una beltà che metteva sotto gli occhi della madre l'evidenza dell'inesorabile ciclo della vita.
Una storia di cui probabilmente molti hanno sentito narrare l'antefatto. No: non vi fu affatto un lieto fine.
Genere: Drammatico, Fantasy, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Luka Megurine, Miku Hatsune
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tanto tempo fa, in un castello, che dominava imponente e fastoso su un regno prospero, si narra che vivesse una Regina, una donna meravigliosa, invidiata da molti per la sua bellezza stupefacente.

Gli occhi erano di un celeste limpido e profondo, capaci di incantare ogni uomo. La pelle era candida e delicata, né troppo scura né troppo rosea. Le mani erano affusolate e ben curate, con delle meravigliose unghie. I capelli erano lunghi e sempre lucenti, capaci di farsi desiderare da ogni donna. Le gambe erano snelle ed atletiche al punto giusto. La vita era stretta ma non troppo, capace di farse desiderare da molti, di ogni età. Il viso era colorato da due splenide guance rosee.
La Regina era sempre sorridente con il popolo... poiché ad esso si sentiva superiore, nella sua ineffabile beltà. 
Si diceva che avesse ereditato una parte del regno dalla sua vecchia matrigna, morta ormai da molti anni, mentre l'altra parte era venuta dal marito, perito a causa di una maledizione di sconosciute origini poco dopo il matrimonio.

Sotto quel viso dolce, incantevole ed etereo, però, la donna nascondeva un animo che era tutto fuorché simile alla sua estetica.
Se qualcuno si fosse potuto avvicinare alla torre più alta di quel castello, avrebbe spesso udito una voce femminile, che avrebbe forse scambiato per quella di una dea, seguita da un'altra voce, che sarebbe sembrata invece fatta completamente di vetro ed argento impalpabili.
«Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?»
«Mia Regina, la più bella del reame sei tu. La fragranza dei tuoi petali è soave, le tue foglie smeraldine attirerebbero qualsiasi umano, ed il colore del tuo fiore appare come una meraviglia agli occhi di chiunque.»
 

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I giorni passavano orgogliosi per la regina, fiera della sua bellezza semidivina, e lieti per la figlioletta, avuta dall'ormai defunto re. La creaturina, già da piccola mostrava visibili segni dell'eredità ricevuta dalla madre, mostrandosi ricca della sua stessa beltà, ma probabilmente non della stessa vanità.
Di ella la Regina non si curava molto, indaffarata com'era a curare sé stessa e la sua sete di superbia.

Quando la bambina crebbe, però, successe una cosa insolita, che attirò l'attenzione della madre.
Il giorno del settimo compleanno della figlia, la Regina si recò, come spesso faceva, da colui dal quale preferiva sentire elogiare la propria beltà più di chiunque altro.
«Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?» - «Mia regina, la più bella del reame sei ancora tu.... probabilmente.»
A quella risposta, mai udita prima di allora, la Regina si pietrificò, per poi avvicinarsi allo specchio ed afferrarlo violentemente per la cornice, tanto da ferirsi leggermente le mani con le ricche decorazioni del bordo di esso.
«Cosa !? Come osi! La mia bellezza non ha eguali, né ora né mai, né nel castello né nel reame, né nel mondo né nell'universo!».
Immediatamente però, si ricompose, andando a guardare un piccolo rivolo di sangue che scendeva succulento da una piccola ferita procuratasi afferrando i bordi frastagliati dell'oggetto. Per poco non svenne, a guardare un minuscolo lembo di pelle sollevato alla base dell'indice, sul quale probabilmente sarebbe rimasta una minima cicatrice.
«Il tempo scorre, mia Regina, per te addirittura corre. I petali appassiscono, prima o poi. Non esiste frutto che prima o poi non marcisca, e l'anima degli umani, presto o tardi, tira a sé il loro corpo. Il suono delle campane non può prescindere da quello delle lancette del loro orologio.»
La donna stavolta non si mosse, ma passò l'indice dell'altra mano sopra la ferita, che magicamente si richiuse su sé stessa.

Voltò le spalle alla prima cosa che l'avesse mai turbata da quando era diventata Regina, e se ne andò.

 

Intanto la ragazza continuò crescere, bella come una dea, e in un certo senso più affascinante di sua madre.
Quest'ultima però era ben lungi dall'accettare ciò. La notte cominciava addirittura a perdere ore di sonno, ossessionata dal proprio demone della vanità: «Perché? La mia bellezza non conosce tempo, e non deve farlo! Sarò ricordata per sempre, la mia leggenda attraverserà i secoli, ogni artista e poeta mi prenderà come concetto di perfezione estetica... lei non mi supererà, mai.».

E infatti fece di tutto perché ciò non avvenisse. La ricorpì di stracci, rinnegò la propria natura di madre e trattò il sangue del proprio sangue come una schiava qualsiasi, e forse anche peggio. Le affidò i compiti meno nobili, tentò in ogni modo di farla invecchiare precocemente. 
Il proprio ego le impediva di fare altrimenti, e la sua anima intirizzita davvero non fece nulla per ostacolarlo. Il bel fiore un tempo invidiato da tutti stava avvizzendo sulla propria effimera voluttuosità.
Eppure, sua figlia aveva ereditato veramente molto da lei, e non smise di crescere formosa, bella, delicata, con una pelle rosea e con delle dolcissime gote cremisi. La chiamavano
Rosso Fior, poiché ricordava a tutti un fiore dallo stelo candido ed i petali rossi, un fiore esotico di cui il profumo non conosceva eguali e che, si dice, avesse potenti capacità curative.
 

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«Oh, ma dai, siete così carini... eheh, smettete di saltarmi attorno dai!».
Sette piccoli uomini le giravano attorno, felici di ricevere una sua visita. Erano sempre molto lieti di poter stare un po' di tempo assieme alla figlia della Regina: era così solare, così bella, così genuina! Riempiva il loro cuore della gioia di vivere, ogni qualvolta mostrava a loro un sorriso che avrebbe potuto tranquillamente essere assimilato a quello di Venere o di Minerva. Era puro, candido e tiepido.
Anche il principe che l'altro giorno era andato sotto la sua finestra a corteggiarla era stato attirato da quell'innocenza così disarmante ed attraente.
Al contrario della madre, ella era pura sia nel corpo che nell'animo.

Mentre i sette piccolini facevano un allegro girotondo attorno alla ragazza, non immaginavano che, da un'alta finestra del castello, qualcuno li stesse guardando, altezzoso: «Guardatela. Che donna crudele! Mi ha portato via l'attenzione dei principi ed ora anche quella dei miei adorati Sette... Sia maledetta!».
La Regina stava infatti affacciata ad una delle finestre della propria camera, digrignando i denti e serrando stretti i pugni, alla vista di quel, per lei patetico, teatrino. 
Il demone della sua presunzione cominciava a scalciare con una forza notevole, all'interno del lato marcio di quella incantevole donna.

Come richiamata da uno sguardo assassino, la giovane donzella voltò lo sguardo a mirare proprio la finestra sulla quale si affacciava la madre, che, appena si accorse che il suo sguardo era ricambiato, rientrò immediatamente, non volendo dare ad altre donne il lusso di sapere che lei, invidiata da chiunque per un'intera vita, a sua volta stesse provando quel sentimento così ignobile.
Un sorriso misericordioso si delineò sulle rosse e carnose labbra della giovane principessa, che sussurrò a sé stessa: «
Non è un bene, madre. Perché continui ad essere così cieca? Non vedi il tuo cuore? Sei troppo dedita ad osservare il tuo corpo...».

I Sette Nani non prestarono attenzione a ciò, continuando a godere della presenza in mezzo a loro di una tale beltà.

Eppure, la Regina non demorse. Non aveva intenzione di arrendersi al tempo, né tantomeno di essere superata dalla sua stessa progenie.
«Non andrò mai in secondo piano. Io sono la Bellezza Perfetta. La magia regna in questo mondo, e nessuno sa usarla meglio di me. Figlia mia, dovevi sottometere la tua bellezza alla mia anni or sono... te ne pentirai».
Si narra che ella disse queste parole, con tono sadico, mentre teneva in mano una mela rossa... rossa come il sangue con cui era appena stata incantata, lo stesso sangue che scorreva nelle vene della figlia.

 

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«Madre, mi ha fatto chiamare?» - «Si, cara». Una pausa che alla giovane principessa sembrò durare secoli, mentre le successive parole della madre riecheggiarono aspre e pietrose in quell'enorme salone da ricevimento, a capo del quale stava seduta proprio la Regina: «Volevo sapere una cosa: ti sei accorta di quello che stai facendo, sciagurata?».
Silenzio. La ragazza sapeva bene che prima o poi la madre sarebbe arrivata a fare ciò.

«Sai bene che non è colpa mia. E' il tempo. E' il ciclo della vita. Il tuo corpo sta andando incontro al suo naturale decorso, madre... ma sappi che non è per questo che stai perdendo il tuo fascino». La voce che proferì tali parole non vacillò, né si interruppe in qualsivoglia rimorso nel dirle. Era un'anima così pia che voleva salvare l'anima della madre, che ormai cominciava ad essere vistosamente accecata da una rabbia insensata.
l'altra, per tutta risposta, si alzò di scatto dal trono, dicendo con voce decisamente alta: 
«Piccola insolente! Come ti permetti! La mia beltà non ha tempo, e non avrà mai confini di spazio! Viaggerà nelle leggende per l'eternità, nessuno avrà mai il coraggio di negare la mia Perfezione!».
«Dì ciò che credi, ma fatto sta che la tua bellezza sta scemando. E non è solo per il battito inesorabile delle lancette dell'orologio, e tu lo sai. La tua perdita di beltà è causata dal tuo odio per le persone, dalla tua invidia verso di me, e dalla vanità verso te stessa!».
La principessa stavolta tali parole le proferì urlando, nel disperato tentativo di appellarsi a quel poco che rimaneva dell'anima della Regina. Però, quest'ultima non rispose, limitandosi ad estrarre, con fare sinuoso e quasi serpentino, una mela da sotto le vesti.

La figlia si immobilizzò, per poi proferire, ormai conscia di ciò che lo attendeva, con un sottile filo di voce: «Fa ciò che vuoi. Accetterò qualsiasi punizione. Ma sappi che le sue conseguenze non ricadranno su di me».

E fu un attimo. Negli occhi della donna, un riflesso rosso zampillò, assetato di vendetta.
Il braccio si portò all'indietro, per poi scagliare verso la figlia la mela cremisi.
A metà percorso, il frutto si disgregò, rilasciando un vortice rossastro di ombre, acuminate e taglienti come spade.
Con tutta la violenza che la Regina aveva riversato nell'incanto, esse si avventarono rapaci sulla povera principessa.
I suoi occhi vennero lacerati. Il suo volto venne sfigurato. La sua bellezza venne estirpata dall'acrimonia dell'invidia della madre.
Di quanto il dolore fu acuto, la ragazza non ebbe nemmeno la forza di gridare, e svenne.
A terra non v'era sangue, ma sul volto dell'ormai non più incantevole giovane erano ben visibili orrende deturpazioni, mentre quegli occhi verdi, in cui chiunque ne incrociava lo sguardo ne restava completamente estasiato, non avrebbero mai più visto la luce del sole.

La madre, però, di ciò non si curò: anzi, tutt'altro.
Un sorriso immenso si dipinse sulle sue fini labbra, e le gambe scattarono automaticamente verso il corridoio che conduceva alla torre dove era solita recarsi.
Si fiondò nella stanza in penombra che nascondeva il magico artefatto.
Il sorriso divenne demoniaco in tutto e per tutto, mentre si appoggiò con le braccia al muro e posizionava quel viso figlicida davanti all'apatica lastra dello specchio.

Non provenne risposta dall'oggetto. Però un suono lo emise.
Una crepa cominciò a scorrere repentina sulla superficie, a partire dal centro del volto che vi era riflesso. Prima una, poi un'altra ed un'altra ancora.
La Regina non fece in tempo a realizzare ciò che stava per accadere.
Lo specchio per una frazione di secondo riflesse non il corpo che aveva davanti, bensì l'anima in esso celata: era l'essere più rivoltante e disgustoso mai visto. Così ripugnante, che il vetro e l'argento andarono in frantumi, spezzandosi in una tempesta di frammenti scagliati a grande velocità.

Uno di essi andò dritto alla gola della Regina, perforandola da parte a parte.
Su di esso, solo una foglia morta, avvizzita e rinseccholita, vi era riflessa.
Si narra che, quel giorno in cui i servitori ritrovarono il corpo della regina, si sentì una frase provenire da quella torre, probabilmente proferita subito dopo che la Regina s'era affacciata sullo specchio:

«Specchio, specchio delle mie brame! Ora dimmi: chi è nuovamente la più bella del reame? Sono io, sono io, la più bella del reame sono io,»

«Biancaneve!»


 

-(La canzone a cui questa storia è ispirata si intitola "Snow White & Blossom Red", ve ne consiglio l'ascolto ^-^)-

   
 
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