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Autore: extraordinharry    24/05/2012    68 recensioni
Apro la porta del bar e la vedo. Come ogni mattina gira lentamente con un cucchiaino il suo caffè, che ovviamente non berrà.
E’ solo scena.
Vuole far vedere che vada tutto bene, quando invece muore dentro.
Bere il caffè la fa sentire normale. Strano? No, io la capisco.
Il mio cuore inciampa. E’ diventato così maldestro da quando la ‘conosco’. Prima non era così goffo. Per non parlare di quanto funzioni male quando vuole. Basta una sua occhiata distratta per farlo accelerare o bloccare per qualche istante.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Bad day.

 
 
 

“Where is the moment we needed the most?
You kick up the leaves and the magic is lost.
They tell me your blue sky’s faded to grey.
They tell me your passion’s gone away.
And I don’t need no carrying on”.

 
 
 
7.00
15 settembre
Resto immobile nel letto, sentendo la sveglia della ragazza che abita nell’appartamento accanto a me suonare.
Posso sentire la sua mano dare un colpo all’apparecchio, il materasso cigolare e lei scostare le coperte.
Uno sbadiglio e infine il rumore dei suoi passi sul pavimento.
Un’altra giornata è iniziata.
Ogni giorno, la sua sveglia suona mezz’ora prima della mia. Ogni giorno arrivo nello stesso bar in cui lei fa colazione, ma appena mi siedo accanto a lei, si alza dallo sgabello, paga frettolosamente e scappa via.
I capelli castani, gli occhi verdi, spenti.
L’aria sempre stanca. Stanca di tutto.
7.30
La mia sveglia suona fastidiosamente. Con un colpo la spengo, scosto le coperte e mi siedo sul bordo del letto. Se voglio incontrarla devo muovermi, e anche in fretta.
Corro in bagno, facendo una smorfia alla vista dei ricci spettinati. Mi butto dentro la doccia e mi lavo.
Indosso la solita camicia, i pantaloni e sono pronto per andare a lavoro.
La verità è che sono stanco anche io. Sono stanco anche io di tutto. Ogni singola cosa che faccio mi fa stare male. Vorrei che la mia vita cambiasse. E invece ogni giorno mi ritrovo a fare sempre le stesse cose. Il lavoro non mi fa respirare: non trovo tempo per gli amici, ormai anche loro stanchi di me e del mio non saper più sorridere.
Ma quando vedo lei, tutto sembra più bello.
Sento il bisogno di prenderla tra le mie braccia e stringerla forte, dirle: “Va tutto bene”.
Scuoto la testa, chiudendo la porta dell’appartamento.
Mi precipito velocemente lungo il marciapiede e spintono i londinesi borbottando qualche ‘scusi’, ‘permesso’.
Apro la porta del bar e la vedo. Come ogni mattina gira lentamente con un cucchiaino il suo caffè, che ovviamente non berrà.
E’ solo scena.
Vuole far vedere che vada tutto bene, quando invece muore dentro.
Bere il caffè la fa sentire normale. Strano? No, io la capisco.
Il mio cuore inciampa. E’ diventato così maldestro da quando la ‘conosco’. Prima non era così goffo. Per non parlare di quanto funzioni male quando vuole. Basta una sua occhiata distratta per farlo accelerare o bloccare per qualche istante.
 

“Stand in the line just to hit a new low.
You’re faking a smile with the coffee to go”.

 
 
Sorrido. Il sorriso che fino a qualche tempo fa era capace di sciogliere il cuore di ogni ragazza.
Mi siedo accanto a lei, assaporando il suo profumo. La ragazza si volta verso di me, sorpresa. Probabilmente dopo un mese si ricorderà di me. I suoi occhi verdi, come sempre spenti e privi di vita, mi fissano per istanti interminabili.
“Io sono …”, faccio per presentarmi porgendole la mano.
Lei si alza di scatto, dando un colpo con la sua borsa alla tazza di caffè, che cade rovinosamente a terra.
Sbarra gli occhi, mentre il cameriere si precipita per rimediare al danno fatto. “Mi scusi… Io non volevo”, mormora senza un minimo di imbarazzo.
“Non fa niente”, il ragazzo le sorride.
Appena pronunciata quella frase, lei scompare, come sua abitudine.
Sospiro, mandando giù in un solo sorso il mio cappuccino. “Amico, l’ho capito anche io che se vuoi parlarle, devi alzarti mezz’ora prima”, mi dice il cameriere – che dovrebbe farsi i cazzi suoi – poggiandomi una mano sulla spalla.
Annuisco debolmente, pago ed esco.
Lentamente mi avvio verso la stazione, da dove prenderò la metropolitana. Più precisamente quella delle otto e venti. Lei sale sempre su quella delle otto e un quarto.
Mi fermo davanti al cartellone pubblicitario.
Sorrido, ancora.
C’è una ragazza, seduta su una panchina.
Lei ha disegnato con un pennarello nero due nuvole sopra la sua testa, dalle quali scendono delle gocce di pioggia.
Tiro fuori dalla mia borsa il mio pennarello rosso e le disegno un ombrello che la protegga.
E’ esattamente da un mese che facciamo questo gioco. E’ così pessimista. Ma la cosa mi diverte. Mi diverto a provare a farla sorridere. Mi diverto a immaginare la sua faccia mentre vede come ho salvato il soggetto del cartellone che lei ha ‘messo in pericolo’ facendo accadere tramite un disegno qualche imprevisto.
 

“You had a bad day, you’re taking one down.
You sing a sad song just to turn it around.
You say you don’t know,
You tell me don’t lie.
You work at a smile and you go for a ride.
You had a bad day, the camera don’t lie.
You’re coming back down and you really don’t mind
You had a bad day, you had a bad day”.

 
7.00
16 settembre
La sua sveglia suona.
E la solita routine riparte, instancabile. Il colpo, le coperte scostate, uno sbadiglio e il rumore dei passi sul pavimento.
Sospiro e aspetto, immobile, che anche la mia giornata riparta.
Aspetto di poter ripetere le solite azioni abituali che faccio ogni giorno.
Sempre le stesse.
Non sei stanco, Harry? La verità è che sta diventando un inferno. Ma non posso licenziarmi e mandare tutto a fanculo.
7.30 ecco la mia sveglia. Anche per me inizia la giornata.
Mi lavo e mi vesto.
Sono più depresso del solito, oggi. Vorrei afferrare per le spalle il primo passante che mi capita davanti e urlargli: “Sono stufo di fare solo quello che mi dicono gli altri! Vaffanculo!”.
Mi blocco davanti alla vetrina del bar. I suoi capelli castani sono legati in uno chignon spettinato, sta parlando al telefono.
Sorride.
Be’, almeno lei è di buon umore.
Entro, facendo suonare il campanello. Lei si volta, mi guarda e tenta un sorriso. E’ bellissima.
Tossisco, senza ricambiare, e mi siedo ad un tavolino poco distante da lei. Oggi non ho proprio voglia di tentare di presentarmi, di farle notare che esisto e che è da un mese che provo a conoscerla.
Il suo sguardo è puntato addosso a me. Rabbrividisco. Sono proprio una femminuccia.
Sollevo il mio leggermente, occhi negli occhi. Mi sorride, ancora. Rimango impassibile, osservando le mie mani che giocherellano insieme. Sono un bambino, oltre che una femminuccia.
La sento alzarsi bruscamente dallo sgabello, pestare i piedi per terra e sbattere la porta del bar.
“Amico, era quasi fatta!”, esclama il cameriere.
Lo fulmino con lo sguardo ed esco pure io, senza aver preso niente. Mi avvio alla metropolitana, e la vedo disegnare sul cartellone.
Una macchina sta schizzando d’acqua la ragazza seduta sulla panchina.
Sorrido, intenerito dal suo sguardo concentrato e dalla fronte corrugata.
Aspetto che si allontani per afferrare il mio pennarello rosso e disegnare un ragazzo che copra la ragazza seduta, vittima di una mora che ha avuto una brutta giornata.
 

“Sometimes the system goes on the blink and the
whole thing it turns out wrong”.

 
 
7.00
La sua e la mia sveglia suonano in contemporanea.
Mi alzo dal letto e mi preparo in fretta e furia rischiando di inciampare come uno stupido, per terra.
Afferro la mia valigetta ed esco di casa, correndo per le strade. Niente ‘scusi’, ‘permesso’ o stronzate varie.
E’ ora di cambiare la mia vita, partendo da lei.
Entro nel bar, e il cameriere mi fissa sconvolto. “Buongiorno”, saluto cordialmente, per impedirgli di intromettersi ancora.
Aspetto impaziente di sentire i suoi passi.
E quando la sento sedersi accanto a me, sorrido.
“Un caffè”, dice solamente.
Con la coda dell’occhio osservo il suo profilo delicato. “Harry”, mormoro.
“Maria”.
“Bel nome. Italiano?”. Che domande sono, Styles? Ovvio che è italiano! Idiota.
Una risatina. “Sì”, fa una pausa. Mette lo zucchero. “Il tuo…?”.
“Harold”.
“Bel nome. Inglese?”.
Mi giro verso di lei e sorrido, ricambia. “Sì”.
“Come mai ogni mattina in questo bar, se non prendi mai niente?”, mi chiede.
“Per vederti”, arrossisce. “E poi non mi sembra che tu sia messa meglio di me”.
Inarca un sopracciglio. “Come, prego?”.
“Ogni mattina sei seduta su questo sgabello, lo sguardo fisso sulla tazzina di caffè, il cucchiaino che gira tracciando la circonferenza del fondo, e puntualmente c’è sempre quel tanto di caffè che avanza”.
Si irrigidisce. “Non sei nessuno per…”.
So cosa provi”, la interrompo.
“Ah, davvero?”, il suo tono si è fatto sarcastico. Una nota di acidità.
“Sì”.
Lo sgabello cigola e si volta verso di me, le braccia conserte e lo sguardo di sfida. “E sentiamo, cosa provo?”.
Prendo un bel respiro. “Ti senti soffocare. Ogni singolo istante della giornata. Perché quello che fai non ti piace. Dannazione, odi tutto quello che fai. Dal tuo lavoro alle persone che ti stanno intorno. Ogni giorno è uguale all’altro, e speri sempre che qualcosa cambi, anche se sai che tu sei la sola persona che può cambiare tutto. Se ti costringessero a fare una foto, sorrideresti, allegra. Ma alla fine, se mi capitasse tra le mani l’immagine, capirei subito che è tutto falso. E’ una stupida maschera, perché non vuoi far vedere agli altri come stai. Non vuoi ammettere che hai fatto le scelte sbagliate. Non vuoi sentirti dire: ‘te l’avevo detto’. Ti senti vuota. Senza niente. Vorresti urlare un ‘vaffanculo’ a tutto, andare via, perderti, cambiare posto, abitudini e vita. Ma qualcosa ti tiene bloccata qua”.
Una volta finito di parlare, noto che Maria ha gli occhi spalancati. Si ricompone subito, irrigidendo la mascella. “La sai una cosa? Ho sempre creduto che tu fossi un pazzo. Una specie di stalker. E adesso ne ho avuto la conferma”.
Mi volta le spalle e fa per andarsene.
La blocco per un polso. “Maria”, la mia voce trema. “Non sono pazzo. Perché se fossi pazzo, allora anche tu saresti pazza. Proviamo le stesse cose, e spero che te ne accorgerai presto”.
Maria rimane immobile per qualche istante, poi si scrolla via la mia mano dal polso e si allontana a grandi passi.
Il cameriere mi sta fissando con i gomiti appoggiati al bancone, scuote la testa. “Amico…”.
Hai rotto i coglioni!”, gli grido contro esasperato. Poggio una banconota sul bancone e me ne vado.
Sono curioso di cosa avrà disegnato sul cartellone.
Rimango sorpreso, perché quello che ha aggiunto è solo un punto di domanda tra il ragazzo e la ragazza.
Mi mordo il labbro e con il mio pennarello rosso completo il punto di domanda trasformandolo in un cuore.
 

“So where is the passion when you need it the most?
Oh, you and I.
You kick up the leaves and the magic is lost”.

 
 
Cammino distrattamente per il marciapiede, con l’ombrello in mano, mentre la pioggia cade violentemente per le strade di Londra.
Forse è meglio se prenda un taxi.
Appena allungo la mano per fermarne qualcuno, noto una sagoma che fa lo stesso. E’ una ragazza. Completamente bagnata, i capelli castani, un cappotto nero e dei tacchi. Si dondola sul posto, probabilmente infreddolita.
Mi affianco a lei, riparandola.
Maria si volta, stupita.
Ci guardiamo negli occhi per quella che mi pare un’eternità.
“Cosa ci fai qui?”, sussurra.
Scrollo le spalle. “Ogni giorno non riuscivamo ad incontrarci perché ci separavano trenta fottutissimi minuti. Oggi mi sono alzato alle sette, come te, per questo adesso sei al riparo sotto il mio ombrello”.
Abbassa lo sguardo, sta sorridendo.
“Harry…”.
“Dimmi”.
Ride. “Stamattina ho pensato una cosa…”.
“Cosa?”.
“Che tu sei pazzo”, mormora. Provo un senso di sconforto. “Tu sei fuori di testa, va bene? C’è qualcosa in te che non va. Però… Anche io sono pazza. Diamine, sono fuori di testa. Anche in me c’è qualcosa che non va”.
Sorrido. “Come mai?”.
“Perché una sana di mente non bacerebbe uno stalker che fa discorsi terribilmente veri, sotto la pioggia”.
Baciare? Ma…
Non riesco a finire di formulare il pensiero, perché le sue labbra sono sulle mie.
Sono morbide, dolci. Si muovo lentamente, e la sua lingua si fa spazio dentro la mia bocca. La lascio entrare, sorridendo del momento.
Lascio andare l’ombrello, iniziando a bagnarmi.
Prendo la sua testa tra le mani e la bacio con più foga.
Le sue mani accarezzano i miei riccioli, e io con le mie la sollevo da terra e la stringo a me.
Sì, qualcosa finalmente nella mia vita è cambiato.
Non è ancora cambiata completamente, ma lentamente accadrà.
“Qual è il prossimo passo?”, mi domanda stringendosi a me.
Mh. Ho una mezza idea. “Sai cosa? Domani mando a fanculo il mio capo e mi licenzio”.
“Oh, penso che lo farò anche io”.
“E partiremo insieme, non so dove, ma andremo via da qui”, le prometto.
Il suo naso sfiora il mio collo. “Però prima di andare via voglio prendere quel cartellone pubblicitario nella metropolitana”.
Spalanco gli occhi. “Come hai fatto a capire che ero io?”.
“Lo sapevo e basta, Harry”.
Appoggio il mento sopra la sua testa, sorridendo beato.
 
 
 
Aieah.
Che OS luuuuunga :’)
ASXDCFVGB.
No, è forse la più seria che abbia mai scritto.
E ci tengo tanto.
Mi fa cagare, però è la mia preferita.
Forse perché c’è molto di me, dentro quelle righe. (:
Adesso non sto a sputtanarmi e scrivere di preciso COSA, ma c’è extraordinharry in questa one shot.
Più che extraordinharry, Mary.
Notare che lei si chiama Maria, non Mary. E’ più seria AHAH
Il cameriere è figo, vero?
Immaginatelo con il volto di Gigi D’Alessio (?)
Ok, sto rovinando tutto.
BASTA.
Spero solo vi piaccia, per me è molto importante. c:
Aaah, è basata sul video di Daniel Powter, Bad day. Video e canzone bellissimi, ve li consiglio. *-*
Ciao, belle. <3
#STAYSTRONG.
 
Aaah (2 la vendetta), un grazie speciale a jazza, per il bellissimo banner. <3

   
 
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