Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Due Di Picche    24/05/2012    1 recensioni
«Allontanati Valley, non riesco a guardare i fuochi».
«Non li vedresti comunque e poi non sono così belli».
«Se è per questo nemmeno tu sei un bello spettacolo». La mia voce cominciò a tremare quando mi accorsi che le mie parole non combaciavano con i miei pensieri.
«Stai mentendo».
«Non è vero!», ribattei. Non avrei mai ammesso davanti a lui di provare qualcosa nei suoi confronti.
«Allora provamelo. Guardami come sempre, con ira. Dimmi che mi odi, Ginevra!»
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Due parole...

Ringrazio Alyce_Maya per il commento e per le correzzioni dei vari capitoli, ma ringrazio le eprsone che hanno messo la storia tra le seguite, come inizio lo trovo buono, ma spero di coinvolgere più persone in questa "Commedia romantica" dove l'odio e l'amore sono la medesima cosa.
Come alcuni mi hanno suggerito ho fatto una bella immagina (collage) anche per Aaron e Ginny che vedrete qui sotto! Spero che vi piaccia... cercare un attore che assomigli anche lontanamente ad Aaron è stata un'impresa O__O
Buona lettura!

***


2.Perché non ti capisco…
 

La vita mi aveva portato ad odiare molte cose e molte persone ma, soprattutto, odiavo me stessa. La persona dolce e gentile che tutti credevano che fossi, era solo una stupida maschera per avere una buona reputazione a scuola. Sempre gentile, sorridente, dalle frasi intelligenti e dagli atteggiamenti responsabili. Rivelare ad Aaron Valley la mia lingua biforcuta era stata difatti una pessima idea. Ma mostrarmi angelica e santerellina con il peggiore ragazzo della scuola non se ne parlava proprio.
Quel giorno di inizio luglio mi stavo recando a scuola, il mio inferno sarebbe iniziato quella mattina stessa in compagnia di un batterista che ragionava con una parte del corpo, che non era il cervello.
Salii le scale d’entrata della scuola. Dovevamo trovarci là, ma di lui non c’era ombra. Irresponsabile!
Mi guardai attorno e con mia grande sfortuna, vidi che un ragazzo biondo, alto e fisicamente ben piazzato, stava camminando nella mia direzione. Alzai gli occhi. Sospirai. E sorrisi. Christopher Gens stava passando all’attacco. Bel fusto, capitano della squadra di football e perso di me in una maniera tremenda.


 
Mi ero messo nel casino peggiore che potessi desiderare. Io volevo solo una vita tranquilla: musica, successo e ragazze. Lo studio non rientrava in queste tre cose, era secondario. Avevo deciso di impegnarmi il minimo indispensabile quell’estate dei miei diciotto anni, freschi freschi, compiuti a maggio. Ora invece avevo un’insegnate privata maledettamente eccitante e insopportabilmente sfacciata.
Sbadigliai mentre entravo nel giardino della scuola. Le occhiaie le avevo coperte con gli occhiali da sole. Una notte di baldoria come sempre: com’era dura essere una star!
Faceva caldo e i miei capelli, umidi com’erano, non mi aiutavano per niente a uscire da quell’afa estiva di inizio luglio. Ci voleva qualcosa di stimolante, di divertente, qualcosa come la scena che si stava creando davanti ai miei occhi: la Wilson in dolce compagnia di Gens. Allora anche lei se la intendeva con qualcuno? E chi di meglio se non quel palestrato del mio compagno di classe?!

 
“Allora quando usciamo Ginny?” mi chiese il ragazzo biondo a cui avevo dato buca per tutto l’anno. Deglutii e sorrisi indietreggiando leggermente, anche perché lui non faceva altro che venirmi sempre più vicino. Caldo!
“Chris, ho da fare. Ho poco tempo per divertirmi anche d’estate e sai anche il perché …”
“Ma le selezioni delle cheerleader sono appena a inizio settembre. Hai tutta l’estate davanti. Un’uscita non ti chiedo altro. Lo sai che mi piaci da impazzire Ginny.” Arrossii e abbassai lo sguardo. L’ultima frase mi metteva sempre a disagio e me la ripeteva in continuazione. Christopher era molto insistente. Gli piacevo sul serio e lo sapevo ma, a me lui non piaceva per niente. Ora che ci pensavo non avevo mai riflettuto sul “ragazzo ideale” a dire il vero.
“Usciremo prima o poi” dissi dandogli le solite false speranze. Ero proprio cattiva con lui.
“Dici sempre così. Cosa posso fare per piacerti?”
La mia popolarità non era ai livelli di Marina McChervelle, da sempre la ragazza più bella e desiderata della scuola, ma era sicuramente abbastanza alta da procurarmi certi fastidi. Rifiutavo ragazzi in continuazione ma Gens non mollava mai. Avevo 17 anni, 18 ad agosto, avevo dato il primo bacio per sbaglio, ed ero vergine. Ne andavo fiera!

 

Decisi di immischiarmi in quella ridicola situazione. Mi avvicinai e con tono sfacciato decisi di interrompere quel corteggiamento che stava coinvolgendo la mia insegnante privata e il fusto biondo.
“Oh! Wilson!” esclamai con un tono falsamente sorpreso “Scusa il ritardo”
Alzai gli occhiali da sole, tolsi l’espressione stanca e assonnata e sfoderai il mio più malizioso sorriso alla coppia. Lei, appena mi vide, si impietrì. Ero così maledettamente bello da farla rimanere di sasso?
“Qual buon vento ti porta da queste parti, Aaron? Ah! I recuperi scolastici forse?” era come sempre invidioso della mia popolarità; ecco perché, da alcuni anni, aveva smesso di essermi amico. E dire che ragionavamo con la stessa parte del corpo. Forse lui un po’ di più con il cervello a dire il vero, ma in quanto istinti adolescenziali non era da meno.
“Proprio così. E la tua ragazza mi da ripetizioni sotto richiesta del preside” ora lei era alquanto infastidita. I suoi occhi di fuoco mi fulminarono e le sue sopracciglia si corrugarono. Era davvero divertente vedere quell’espressione nascosta in quel momento agli occhi di Christopher.
“Dimmi che non è vero, Ginny?!”
“Non è vero che sono la tua ragazza, ma è vero che devo dare ripetizioni a Valley” e con quella frase lo stroncò.
 

Se c’era una cosa che odiavo di Aaron più della sua stessa presenza, era l’ironia. Quel sorrisetto da deficiente glielo avrei levato con uno schiaffo. Quel giorno aveva rovinato la vita con Gens che, sicuramente, ora mi avrebbe girato ancora più attorno scioccato dalla notizia che davo ripetizioni ad un idiota.
 
Bevevo quella lattina di The al Limone mentre, assieme a Sue, uscivamo da scuola. Gli allenamenti ci avevano sfinito, ma io avevo sicuramente sfinito la mia amica raccontandole la piega orrenda che aveva preso la mia vita.
“Contesa tra Valley e Gens? Cosa di vuoi di più dalla vita, scusa?” la faceva facile lei! Infondo non era lei che aveva a che fare con soggetti dei quali, non le importava niente. Avevo passato la mattina ad offendere Aaron reputandolo proprio un ignorante. Le ripetizioni, insomma erano andate male. Dovevo indossare una tuta da sci per non farlo distrarre?
“Mi fa schifo quel suo sguardo perverso addosso.” Ripetevo mentre i suoi occhi verdi mi tornavano in mente. Odiosamente ipnotici risaltavano più del dovuto nella mia mente.
“Ti senti meglio quando Christopher ti guarda sotto la gonna mentre ti alleni?”
“Cosa?” Sue aveva il potere di scioccarmi all’istante con semplici frasi. Odiavo tutto ciò che era al di fuori dei miei obbiettivi vitali.
“Tu non te ne accorgi ma tutti i ragazzi in verità sono pervertiti. Perciò non reputare Gens un santo e insultare Aaron a tuo piacimento” la mia amica prendeva sempre le difese di quel batterista, soprattutto perché era una  sua grande fan.


 
Tardo pomeriggio, nella mia classe deserta, io e Ginevra studiavamo. A dire la verità io studiavo, lei mi aiutava a capire quella famosa matematica che avevo sempre fatto a meno di conoscere.
Si legò i capelli biondi in una coda bassa. Accavallò le gambe nude facendo penzolare da un piede l’infradito in paglia. Mi passo un foglio con la spiegazione delle equazioni. Era argomento di terza ma, dovevo incominciare dalle basi per capire poi, quelli di quarta.
Mi guardò mantenendo un’espressione seria. La sua canottiera beige le metteva in risalto le spalline del reggiseno nero,  e i suoi short di jeans erano veramente corti. Non avevo fatto altro che osservarla da più di un’ora, stando in silenzio. La matematica la capivo ma subito dopo la dimenticavo. Terribile.
Sbuffai. Alzai gli occhi al soffitto.
“Non ci riesco”
“Fino ad adesso però c’è stato qualche miglioramento. Non è difficile” ma proprio non capiva che lei stessa era la causa della mia continua ignoranza? Si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. 
“Non riesco a concentrarmi con te qui davanti”
Offesa, incrociò le braccia al petto facendo risaltare la sua terza misura, era sicuramente una terza! Ma perché non me ne stavo zitto? Non ero mai stato così a lungo da solo, con una ragazza vestita in modo così provocante. E non erano niente di più di una canottiera e un paio di pantaloncini.

 
Che sfacciato. Perché mai avrei dovuto essere io la causa della sua mancata concentrazione? Stupido Valley! Spostai lo sguardo fuori dalla finestra ma quegli occhi smeraldo continuavano a fissarmi.
“Che c’è?” chiesi notando l’espressione pensierosa. Non gli si addiceva per niente. “Ti sei illuminato su come risolvere quell’equazione?”
“Non capisco perché hai un carattere così di merda e un fisico così da favola”
“Cos’è? Un problema esistenziale?”  mi sentii leggermente in imbarazzo forse perché, sotto sotto,lo presi come un complimento. Non per il corpo da favola intendo, ma per il carattere di merda. Finalmente qualcuno mi metteva davanti agli occhi l’ amara realtà, quel lato che volevo nascondere e che soltanto davanti a Valley riemergeva con facilità. Non che questo lo rendesse migliore ai miei occhi, infondo era pur sempre un insulto per una persona normale.
Il suo sguardo tornò sul foglio dove avevo scritto l’equazione matematica.
Accavallai le gambe dall’altra parte e, per sbaglio, sfiorai leggermente quelle di Aaron.
Lui alzò il volto verso di me. Corrugò la fronte e disse “Vedi. Non fai che distrarmi. Che bisogno c’era di urtarmi?”
Tutte le scuse erano buone per non studiare. Tutte le colpe erano mie se lui non studiava “Oddio! Ora non posso manco respirare? Urtarti poi, ti ho a malapena sfiorato i jeans”


 
Non capivo se ogni suo movimento fosse fatto apposta, non capivo se ci trovasse gusto a provocarmi esteticamente, non capivo niente di lei, e tutto ciò mi rodeva alquanto. Perché era così maledettamente odiosa?
Incominciai a risolvere l’ennesimo problema matematico che, la mia insegnate, mi stava obbligando a fare. Dovevo concentrarmi su altro, non potevo continuare a essere ossessionato dalla sua presenza.
La guardavo di tanto in tanto con la coda dell’occhio. Osservava seria il cielo fuori dalla finestra, il sole stava incominciando a nascondersi dietro i grattacieli del centro città. Non trasmetteva alcuna emozione o pensiero, era concentrata su qualcosa di suo e irraggiungibile per me. La Wilson nascondeva sicuramente qualcosa di irraggiungibile per tutti.
Infine le porsi il foglio con lo svolgimento dell’equazione e mi alzai “Io vado”
“Non vuoi sapere se hai fatto giusto o meno?”
“Se sto ancora un altro po’ in questa stanza impazzisco. Domani vestiti in maniera più adeguata all’ambiente scolastico” avevo parlato io che andavo in giro tutto l’anno con i jeans bassi e le camicie slacciate, però un conto ero io e un altro era lei: così maledettamente ben fornita esteticamente.

 
Come potevo mantenere, d’ora in poi, un self control di fronte a Sue? Unica mia vera amica, unica mia fonte di sfogo. Eravamo al bar del centro quella mattina, a fare colazione, mentre sfogliavamo una rivista di moda. Lei, alla ricerca di costumi da bagno io, svogliatamente, buttavo l’occhio ogni tanto a qualche vetrina. Il mio sguardo era diviso tra il Magazine e il mio cellulare. Aspettavo una chiamata da tempo ormai, una chiamata dall’istituto di riabilitazione di mia madre. Non la sentivo da molto. Lei non mi chiamava mai e io non me la sentivo di disturbarla. Però mi preoccupavo molto per lei nonostante fosse per una persona che, infondo, non era mai stata parte della mia vita.
“Ti vedo turbata Ginny. Tutto bene?” mi chiese Sue mente addentava la seconda brioche al cioccolato. Fortuna che si lamentava raramente della linea.
Sospirai “Solito. Niente di nuovo. Famiglia, sport, Valley. Sono solo un po’ stanca” non volevo farla preoccupare. Nemmeno la mia migliore amica conosceva il mio stato famigliare che ormai, da molti anni, aveva interrotto la mia quotidianità.
“Fai troppe cose Ginevra. Dovresti avere un po’ di tempo anche per divertirti d’estate. Vieni, con me e le altre, al mare un giorno. Non hai ancora toccato acqua o messo costume quest’anno”
Sue aveva sempre ragione. Ero una persona che si stressava troppo però, non potevo permettermi svaghi. Non potevo permettermi niente finché non avessi raggiunto i miei obbiettivi.
“Ci penserò. Magari appena Valley farà qualche miglioramento in matematica mi unirò a voi”


 
Appoggiai i pesi al loro posto e afferrai l’asciugamano. Ero completamente sudato ma mi piaceva fare palestra ogni tanto, poi il nostro capo band, Steven Power, era un ereditiere con tanto di palestra privata a casa. Anche se odiavo lo sport dovevo comunque rafforzare il fisico. In quel caso il successo con le ragazze era secondario. Per suonare una batteria dovevo avere braccia e fiato: non era sempre semplice come avevo pensato la vita di un musicista.
“Sei ancora qua?” la voce di Matt mi arrivò all’orecchio obbligandomi a voltarmi “Non dirmi che hai passato la nottata in palestra. Ok che non fai niente tutto il giorno e che oggi è domenica, ma questa sera dobbiamo suonare.”
“Meglio ancora. Avrò il fisico più rafforzato” dissi sorridendo al mio migliore amico. Matt aveva una personalità troppo tranquilla per le mie avventure notturne, e poi era felicemente legato alla sua bella pattinatrice per andare a donne, infondo era da sempre un ragazzo serio con la testa sulle spalle. Lo invidiavo.
Avrei voluto avere la sua stessa sicurezza nelle mie azioni. Lui aveva degli obbiettivi, io desideravo soltanto divertirmi.
“Ho visto che hai degli appunti di matematica tra gli spartiti. La Wilson ti sta facendo lavorare sodo, eh?”
“La Wilson non fa altro che distrarmi. Non riesco a studiare decentemente con una che si mette cannoniere e shorts a scuola” Matt conosceva, ovviamente il mio rapporto con il sesso opposto, conosceva ogni dettaglio del mio passato, e conosceva il sentimento che nutrivo ancora per Marina e l’odio per le ragazze sportive.
Il mio amico dai capelli biondi sorrise con ironia “Ammettilo che ti piace .”
Matt aveva sempre ragione, maledettamente ragione. Avevo veramente un debole per il corpo di Ginevra!

 
Avevo preso, o quasi, le difese estetiche da quel maniaco di Valley. Una t-shirt lunga e larga, e un paio di shorts sportivi che si nascondevano sotto la maglia. Ero in tenuta sportiva. Entrambi stavamo sulle gradinate in cemento e di fronte a noi il campo, da calcio più quello di atletica, deserto.
Gli passai dei libri di teoria Elementare di fisica, altra materia da recuperare. Mi misi l’I-Pod con il volume al minimo, in modo da poter tenere d’occhio Aaron e fare i miei esercizi a ritmo di musica.


 
Cosa pensava, che mettendosi una t-shirt di qualche taglia in più avrebbe ridotto la mia immaginazione?! Se non altro l’aveva allargata. Vederla fare la ginnastica di riscaldamento con addosso una maglia che, non dava visione dei pantaloncini, sviluppava le mie più piccanti fantasie mentali.
Presi gli appunti e mi appoggiai contro il muro in cemento. Quella zona delle gradinate era ombreggiata, perciò il caldo afoso della piena estate si sentiva poco.
Riuscii a concentrarmi per un po’, riuscii a capire qualche strana legge gravitazionale e ad apprendere qualche formula. Stranamente gli schemi che mi faceva Ginevra erano molto chiari.

 
Non lo dovevo guardare eppure, ogni tanto provavo il desiderio di incrociare i suoi occhi verdi che, il più delle volte, si nascondevano sotto gli scompigliati capelli neri bagnati. La musica e il ritmo scorrevano nelle mie vene e, pian piano, mi dimenticai di tutto ciò che mi circondava finché, il suono del mio cellulare non mi riportò alla realtà.
Avevo portato la borsa con i miei effetti: non mi fidavo di lasciarla in spogliatoio. Il cellulare continuava a squillare. Lo sentii e mi precipitai a rispondere.


 
Tutto d’un tratto vidi la Wilson rovesciare il contenuto della sua borsa di pelle bianca. Il suo cellulare stava insistentemente squillando. La ragazza si tolse le cuffie dell’I-Pod: era identico al mio. Rispose al cellulare come se sapesse già chi la stava cercando.
La sua espressione mutò. Allarmata, pietrificata, impassibile. Sbiancò. Per la prima volta notai la fragilità di una ragazza che credevo odiosamente forte.

 
“Sua madre … ricaduta … spaccio … coma …” le parole più importanti pian piano mi fecero comprendere la realtà di quella telefonata improvvisa  “Wilson … irraggiungibile … subito!”
Risposi a malapena. La voce mi tremava mentre parlavo al telefono. Pian piano le gambe mi cedettero facendomi accasciare al suolo. Il mittente riattaccò e finalmente compresi la gravità della situazione. Mia mamma aveva abusato di nuovo, non si sa come, di sostanze stupefacenti; era in coma ora e, mio padre, come sempre, era troppo occupato per badare a certi problemi.
Rimisi i miei effetti dentro la borsa bianca con velocità. Mi alzai in piedi. “Devo andare”


 
Quella non era Ginevra Wilson. Quella voce così morta, così ansiosa, non poteva essere la sua. Qualcosa di brutto doveva esserle capitato fuori dall’ambiente scolastico, qualcosa che le stava mettendo paura.
“Cosa succede?” chiesi correndole dietro, giù per i gradoni.
Lei non rispose perciò la bloccai afferrandole una spalla. I suoi occhi di fuoco erano spenti, congelati “Lasciami andare”
“Non in queste condizioni. Vuoi una mano? Cosa succede? Sei … sei sconvolta”

 
Mi liberai dalla presa di Valley immediatamente. Non si doveva permettere di interessarsi a me, qualunque fosse il mio stato. Lui era l’ultimo che si doveva preoccupare per me. “Tu non sai niente. Non rompermi le scatole Valley, non mi bastavano i miei problemi quotidiani, ora ti ci metti anche tu, eh?” corsi via. Il più lontano da lui e verso la fermata dell’autobus più vicina. Ci avrei messo un’ora per raggiungere mia madre nella clinica fuori città.

 
Lei nascondeva qualcosa, qualcosa che la turbava, qualcosa che non sapevo e che non mi era permesso sapere. Forse il carattere odioso della Wilson non era altro che il risultato di tanta sofferenza. Rimasi fermo e impotente. I suoi occhi e il suo volto, da quel giorno, rimasero perennemente impressi nella mia memoria proprio come la sua frase.
Io stesso provai curiosità verso di lei, verso una persona così diversa da me. Niente di lei mi era comprensibile, niente di lei era normale. Forse tutto questo mistero che l’avvolgeva incominciava a renderla sempre più intrigante.
 
Rientrai in quell’appartamento vuoto di centro città, al tramonto. Avevo trascorso il peggiore dei pomeriggi in compagnia di Jeanne McGrey, attuale signora Wilson, non che mia madre. Vederla in quello stato mi faceva male all’anima. Forse soffrivo più io che lei.
Sparpagliai le ciabatte nel corridoio di palchetti lucidi, sicuramente la signora delle pulizie era stata lì. Aprii le tende illuminando il salotto di quella calda luce arancione che filtrava dalle vetrate. Da queste, potevo ammirare la città dal decimo piano di uno dei più imponenti grattacieli del centro. Quello spettacolo era la mia quotidianità, la mia solitudine: ero la prova vivente che i soldi non facevano la felicità.
Mi distesi sul divano di pelle lanciando la borsa sul tavolino di cristallo. Con svogliatezza presi fuori l’I-Pod, dovevo dimenticare quell’orrenda giornata in qualche modo, dovevo elaborare una coreografia infondo. Meglio immergersi nel dovere infondo, Valley, che aiuto avrebbe mai potuto darmi?
Mi misi le cuffiette e premetti il tasto Play. Metal? Rock? Eh? Mi alzai di scatto. Da quando avevo canzoni del genere?
Osservai meglio l’apparecchio tecnologico nero. Notai dei graffi e che le cuffiette non erano della Sony. Bene! Mi ero accorta che io e Aaron avevamo lo stesso I-Pod, ma non avevo fatto caso, nella fretta, a quale dei due avessi riposto nella borsa dopo averla svuotata sulle gradinate in quel momento di panico. Addio esercitazioni!
Presa dall’ira, incominciai a premere tasti a casaccio. Tecno, House, Rock, Metal! Che schifo. Canzoni inutili!
Odiavo tutto di Aaron, odiavo quella musica di cui, il mio orecchio era capace di percepire il ritmo della batteria. Aaron suonava la batteria, Aaron era l’ennesimo problema che la vita mi aveva dato.
Mentre sfogliavo gli artisti notai i “Black Out” il famoso gruppo di cui Valley faceva parte. Orrendi proprio come immaginavo. Puramente rock e dalla voce femminile decisa e potente.
Passavo da una canzone all’altra finché non arrivai alla traccia nove che mi fece aprire gli occhi di colpo mentre, per la prima volta, una chitarra elettrica mi incantò. Un suono lieve, una voce dolce, così diversa, così profonda. Il basso si sentiva appena proprio come la batteria. La chitarra e la voce continuavano a dominare la scena. Poi, brividi incominciarono a percorrermi la schiena quando, una voce maschile affiancò quella femminile al secondo ritornello.
Ferma ed immobile, distesa sul divano, sentii gli occhi inumidirsi.
Nessuna canzone aveva mai avuto un effetto del genere su di me. Alzai la mano con cui reggevo l’apparecchio elettronico e, con una strana agitazione, lessi il titolo della canzone “Pincess On Ice”
Il titolo stesso mi sorprese. Rimisi da capo la canzone più volte. Mi rilassava. Riuscì perfino a farmi addormentare nella mia più odiata solitudine su quel divano di pelle. L’ultima cosa che sentii  fu una lacrima rigarmi il volto e poi il sonno piombare nella mia testa.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Due Di Picche