1.
Hermione, con quei suoi
capelli come code di volpe che cadono flebili sulle spalle forti, la bacchetta
tesa, gli occhi determinati a fissare la minaccia davanti a lei. Erano lì, con
una carta di cattura per un mangiamorte, che stava proprio dietro di lei, senza
la magica stecca.
I suoi occhi scorrevano,
ghiacciati, contro ogni capo dall’altra parte dell’improvvisato campo di
battaglia.
«Hermione,
lasciami andare...» la supplicò l’uomo,
con gli occhi ripieni di quella malinconia che lo ottenebrava nei primi giorni
in quel luogo incantato che era la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
«Non permetterò
che quelli del Ministero ti prendano.» sibilò, mantenendo la concentrazione,
continuando a fissare la schiera di maghi armati contro di lei, unica ragazza
schierata dalla parte opposta.
Harry la fissava, indeciso e combattuto se stare dalla
parte degli Auror di cui un giorno voleva far parte oppure dalla sua amica.
Ron, sornione, sorrideva dalle spalle dei combattenti del
Ministero, vedendo la sua vendetta compiuta così, per pura fortuna e qualche
ricerca. Quel ghigno disegnatogli in volto era quasi più affilato di quello di
Malfoy, che appoggiato allo stipite del portone scuoteva la testa, come a
rimproverare la giovane coppia sola, con le spalle alla Foresta Proibita.
«Hermione,
sappiamo benissimo come il tuo ruolo sia stato importante nella II Guerra
Magica, ma di certo questo non ti giustifica nel metterti contro il Ministero
della Magia.» parlò l’uomo
di colore, dall’altro campo.
«E voi non
siete nessuno per piombare in una scuola per trarre qualcuno da qui, soprattutto
senza prima un processo equo.» rispose con
rabbia, ringhiando furore, la punta della bacchetta sputava piccole bave di
esplosivo, riflettendo la furia contenuta della giovane Grifondoro.
«Hermione,
lasciali fare il loro lavoro!» aggiunse
Harry, esasperato, vedendo le cose andare di male in peggio.
Lo sguardo si spostò
verso quello di Harry, e lo zittì all’istante con sputi di veleno.
«Tu, traditore,
non osare rivolgermi mai più la parola.» e riportò lo sguardo allo squadrone di Auror.
Il giovane mangiamorte
parlò da dietro le sue spalle, che con gesto nervoso portò i capelli scuri all’indietro.
«Amore...ti
prego...» proruppe, vedendo le due mani stringersi nervose intorno alla bacchetta
unico strumento che rendeva esitanti gli uomini. La fama della maestria della
Granger avevano fatto il giro del mondo magico, costruendo una immagine di
donna dalla grande dote negli incanti.
Il Ragazzo che è Sopravissuto li osservava, e prese una
decisione. Sfoderando la bacchetta lanciò un incantesimo, respinto dalla mora,
che si aspettava un gesto come quello.
Gli Auror, di fronte a un ribaltamento simile, si fecero
da parte, lasciando giostrare ai due la bacchetta e il combattimento.
«Non ti mettere in mezzo, Harry!» proruppe la giovane,
schivando e contrastando i fasci di luce variopinti che venivano scoccati come
frecce da una parte come dall’altra.
«Nemmeno tu!» rispose il giovane, intensificando il ritmo
dei colpi. La giovane non cedette, ma dovette abbassare l’offesa per riparare
nella difesa.
Un giovane Auror, cogliendo delle falle nella difesa di
Hermione, messa in difficoltà da Potter, esaltato dalla magia che traboccava,
si intromise nel combattimento. Hermione si sentì in difficoltà, cercando di
rimediare con la maestria dei suoi incantesimi. Un colpo improvviso beccò l’Auror
di striscio, rompendogli l’osso della spalla, facendolo schiantare verso terra.
Con nuovo furore però il giovane Auror si rialzò, ricominciando lo scontro con
maggiore fervore cosicché la giovane, trovandosi contro due giovani incalzanti non
poté parare un colpo schiantante dell’Auror.
Il corpo della giovane, colpito in pieno, venne
scaraventata verso la foresta, dove però trovò le braccia del mangiamorte,
dietro di lei, a farle da cuscino per la caduta.
«No!» urlò l’uomo, preoccupato per la salute di Hermione,
svenuta sotto il forte colpo.
L’Auror sorrise e lanciò un grido soddisfatto, Harry
abbassò la bacchetta, dilaniato da un senso di colpa di cui non si sarebbe
liberato molto facilmente.
Gli occhi ghiacciati percorsero il volto della giovane,
fermo in una smorfia di dolore, appoggiato al suo petto, i capelli intorno al
volto, incastrati nelle labbra aperte in un sussurro silente. Il suo sorriso
non lo illuminava più, non sentiva più la sua voce, la sua risata. Il suo corpo
giaceva tra le sue braccia abbandonato a se stesso.
E gli occhi si colorarono di ghiaccio rovente.
Un colpo freddo e potente lanciò Harry oltre la radura,
la mano del mangiamorte tesa, mentre un ennesimo incantesimo colpiva il giovane
Auror, che crollava a terra, come preso da un dolore lancinante che urlava
dentro il suo cuore, come uno stridio di mille unghie contro la lavagna del suo
cuore, dilaniandolo. Le sue urla si propagavano nella radura. Lo squadrone
rispose con un arcobaleno fulminante di incantesimi diversi, rivolti verso il
giovane mangiamorte, a terra per sorreggere il corpo della giovane Hermione,
svenuta.
Un muro di ghiacciata protezione si erse dal suolo a un
semplice movimento del giovane, uccidendo come specchio il micidiale arcobaleno
degli Auror, stupendo l’intero gruppo.
«Stupidi, non pensiate che una manciata di bacchette
possano fermare un Ferchirante!» e poggiando con
dolcezza la giovane sul suo petto, liberando entrambe le mani, il giovane mago
incominciò il suo ennesimo, ma non ultimo, “spettacolo di magia”.
Qualche mese prima...
La preside McGranitt scriveva con una scrittura minuta e
precisa, quando un bussare le fece alzare le pupille sottili, sopra la
montatura, rispondendo alla cordiale richiesta di entrata.
Un giovane dagli occhi ghiacciati e i capelli neri a
coprire il volto entrò, con passo timido e il capo basso, la schiena ricurva,
come a nascondere la sua altezza.
Era vestito malamente, con una palandrana che più per
vestito fungeva da costume.
«Mi ha chiamato, preside?» disse, con voce profonda, da
ragazzo ormai cresciuto.
«Hai riposato bene stanotte?» domandò la signora,
sistemandosi gli occhiali sul setto nasale, riponendo la penna.
«Sì signora, per quanto mi sentivo in colpa nell’occupare
un letto non mio.» rispose, creando un sorrisetto nel volto della donna. Il perfetto
chignon in testa alla donna non riusciva più a nascondere ormai i ciuffi
bianchi.
I dipinti sul muro si muovevano, sussurrando. Gli occhi della
donna si erano quasi appoggiati con distrazione sul ritratto dell’uomo dalla
lunga barba bianca e dal mantello azzurrino.
«Non ti preoccupare per questo, avrai una nuova casa, e
un tuo letto dove dormire. Il Cappello Parlante oggi, in via straordinaria, ti
smisterà in una delle nostre quattro Case. Da oggi frequenterai i corsi, e
diventerai un mago. Uno di quelli veri però.» il volto del giovane si illuminò,
sbalordito, e McGranitt notò, con una certa felicità, una nascosta lacrima
scendere sul volto nascosto del ragazzo.
«Ma dovrai rimetterti in pari, sei all’ultimo anno, hai
sei anni davanti di studio arretrato. Ti senti preparato?» gli domandò, sapendo
quanta mole di studio doveva fare il ragazzo.
«Ho già studiato Storia della Magia e Incantesimi a
memoria. Può esaminarmi anche oggi.» rispose il giovane entusiasta creando una
piacevole soddisfazione nella preside.
«Prima devo sapere in che Casa sarai, prima di
esaminarti. Dopotutto ti devi ancora procurare i materiali necessari per il nuovo
anno che incomincia oggi.» e parlando afferrò un vecchio e liso cappello nero
da uno scaffale.
Il giovane si sedette a un cenno della donna, lasciando
che le poggiasse il cappello sulla nuca.
Uno squarcio nel copricapo creò voce, e parlò.
«Mmm...era da tanto, tanto
tempo che non mi capitava un caso così magico...» il ragazzo sobbalzò, non
aspettandosi una reazione così da un copricapo. Ma non osò fiatare.
«Quanta magia, quanta potenza, quanto coraggio, quanta
forza c’è in questo ragazzo...» parlava, lo squarcio, e il giovane iniziò a
sudare freddo. La preside teneva d’occhio una clessidra.
«...eppure c’è un’ombra che lo attanaglia, difficile,
difficile scelta che devo far oggi...» i minuti passavano, i granelli di sabbia
cadevano, e il capello continuava in un mugugno continuo.
Passarono più di dieci minuti in silenzio, sorprendendo
persino la preside, una Testurbante.
Mai il cappello si era limitato a star zitto e a
meditare, e nessuno osò interromperlo o fargli fretta. Dovevano solo aspettare.
«Grifondoro!» urlò infine, spezzando l’inquietudine nei
due spettatori e facendo sobbalzare il ragazzo sotto di esso.La
preside, con un sorriso soddisfatto sfilò il cappello, riponendolo dove lo
aveva preso.
Il giovane aveva il cuore a mille, la felicità così tanta
da traboccare oltre gli occhi. Era in Grifondoro. Era nella stessa Casa dove c’era
Lei.
«Benvenuto in Grifondoro, Andreas.»
mormorò Minerva, orgogliosa che un caso così raro come quel ragazzo entrasse
nella sua vecchia Casa.
Il giovane alzò gli occhi, e pianse di felicità,
annuendo, sentendosi per la prima volta...vivo.