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Autore: justletitbe    25/05/2012    7 recensioni
Credo che esistano persone capaci di rimanere in bilico fra presente e passato. Persone la quale vita va avanti anche dopo essere finita. John Lennon è una di queste persone. John Lennon è l'infinito.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Lennon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hey, Mr. Lennon

 

Imagine all the people living for today...
(John Lennon - Imagine)


Sembrava che il cielo notturno si riflettesse sull'asfalto nero ed umido. 

John rise divertito, canticchiando qualcosa di poco conto. Le labbra di Yoko si schiusero, mentre la luce di un lampione illuminò il suo viso dai lineamenti marchiati. La folta chioma nera le si ramificava lungo la schiena, coperta da un lungo cappotto.
Una folata di vento sembrò dividerli. John si nascose sotto lo sciarpone che lo copriva fin sopra le labbra e sollevò meccanicamente il capo verso il cielo. 
Chissà se mi sta guardando, pensò. E il luccichio di una stella, più forte, intenso, non fece che dare una risposta ad una domanda che - pensandoci bene- di una risposta non aveva bisogno. Però sì, Julia lo stava guardando, da qualche parte, nascosta sotto un fitto velo, o magari proprio su quella stella, con il suo solito sorriso ammiccante e i suoi occhi da eterna bambina.
«Yoko» sussurrò, intonando una buffa melodia.
«John» rispose lei, di rimando.
I loro sguardi si incrociarono e - come la prima volta - a John parve di affogare. Di droghe ne aveva provate tante, ma Yoko era sicuramente la più forte, la più sballante; c'era qualcosa di enigmatico - frai suoi occhi neri - che gli faceva da musa ispiratrice, c'era una canzone - fra il suo sorriso - che si rifiutava di essere cantata dalla sua voce. E come ogni volta, ecco che l'adrenalina prese a pulsargli nelle vene, a battere forte contro gli occhi miopi, a lasciargli un sapore dolciastro in bocca.
Com'era bella, Yoko. Com'erano belli Julian e Sean. Com'era bella la sua vita.
Ma una targa, un'incisione scura su un cartello marmoreo, gli infilzò una siringa sul braccio e risucchiò via ogni tipo di euforia. Un boccone amaro, pesante quanto un macigno, gli scorticò la gola.
John deglutì, quasi spaventato, col cuore in moto e i muscoli del viso tesi.

72ª strada.

«Che c'è?» domandò la moglie, cercando di decifrare le emozioni nascoste in quella smorfia che -ci avrebbe messo la mano sul fuoco- aveva tutta l'aria d'essere di dolore.
«Niente» disse lui, però, in un sospiro.
Ma se non c'era davvero niente, perchè sentiva la voce di sua madre tuonargli nelle orecchie, gli organi contorcersi, il petto sgretolarsi e il sangue battere i pugni contro le tempie? Perchè non riusciva a vedere altro che quella che - a prima vista- non era altro che la via del palazzo nel quale risiedeva? 
«John?» insistette Yoko «che fai lì impalato?»
Scosse la testa, così come si fa con le bibite troppo gasate, e improvvisando un sorriso cercò di raggiungerla. I piedi, però, sembravano essere incapaci di muoversi, e per quanto lui desiderasse che seguissero i suoi comandi, sentiva una strana forma di pace sovrastare tutta quell'inspiegabile paura. Ma ormai era troppo tardi, perchè il palmo della sua mano aderì nuovamente con quello della moglie, e le loro dita si intrecciarono saldamente, come quelle di due bambini.
Svoltarono l'angolo e il dolore lo pietrificò. Yoko sobbalzò, spaventata, ma poi riprese a camminare, cercando di farsi coraggio. 
Un ombra iniziò a comparire fra l'oscurità di quella notte. John socchiuse gli occhi in una fessura, maledicendo la sua vista che -nonostante gli occhiali- gli impediva di vedere perfettamente ciò che lo circondava.
Più si avvicinavano, però, più quell'ombra prendeva forma e un viso, due occhi sgranati, da matto, iniziarono a dare a quell'uomo un' identità.
E questo coglione da dove viene fuori? pensò, istintivamente.
La voce di Yoko si spezzò in quello che a John parve un lamento. Gli stessi occhi neri di prima, ora, sfavillavano nel il buio della notte, velati da un fitto strato di terrore. Lo sguardo di John passò dal viso paralizzato della moglie alla mano destra di quello sconosciuto. E fra le forti braccia delle tenebre, una strana forma si rivelò appartenere a quella di una pistola.
Indietreggiò, con la bile in gola, col cuore intento a suonare una marcia funebre, col fiato sospeso a mezz'aria. Riusciva quasi a vederlo, lì, in bilico. Ma lui? lui lo avrebbe preso o lo avrebbe lasciato là, a dare ossigeno a qualcun altro? a quel pazzo, magari, o alla sua Yoko, ai suoi bimbi che -ignari di tutto- dormivano, al riparo, magari pensando a lui, al loro papà.
Fuggire, ecco cosa avrebbe dovuto fare, e se proprio non ci sarebbe riuscito avrebbe comunque dovuto urlare a sua moglie di farlo, per lei, per lui, per Sean.
E ogni battito, era una crepa sul petto, una ferita sanguinante. E ogni respiro equivaleva al terrore che fosse l'ultimo.
La sagoma esitò, tremante. John riusciva quasi a vedersi riflesso su quegli occhi enormi, pieni di paura, tondi, accecati da un desiderio ben distinguibile: quello di vendetta, di odio.
Ma vendetta di cosa? Cosa poteva rivendicargli uno sconosciuto? Come poteva odiarlo, se non lo aveva mai visto prima?
E due parole colpirono John in pieno petto, prima ancora che succedesse realmente. «Hei, mr. Lennon!»
John vide passare l'infinito, fra il movimento brusco di quelle labbra e l'arrivo immediato del suono di quella voce. Che voce strana, aveva quell'uomo, somigliava più che altro ad un singhiozzo disperato, constatò.
Ma l'urlo gracchiante, nero, feroce, di uno sparo pose fine ai suoi pensieri. Per sempre. E dopo quello, come uno stormo, un'esplosione di fuochi d'artificio, ecco arrivarne altri, di seguito, come le parole di una canzone.
Chissà poi, che canzone. Magari quella nascosta nel sorriso di Yoko, o una di quelle portate al successo con i suoi Beatles, o magari una di quelle scritte con Paul. Paul, chissà cosa stav...
Il grido logorante di sua moglie si dipinse come una saetta sul cielo. La guardò, curvando il corpo in una posa innaturale, e senza capire aprì le labbra in una "o".
Che c'è, tesoro? Perchè urli? Cosa sono quelle lacrime? avrebbe voluto chiederle, ma le parole sembravano non voler uscire dalle sue labbra, sembravano essersi seccate, guastate.
Qualcosa di diverso, di brillante, iniziò a comparire fra le linee curve del palmo della sua mano. Un forte tanfo di ferro impregnò l'aria. Per la prima volta in vita sua John vedette veramente bene qualcosa. Chinò il capo verso il suo petto e lo stomaco fece una capriola.
Si accasciò a terra, dolorante, senza neanche più dar retta alle grida disperate di Yoko, agli urli laceranti emessi da ogni singola cellula del suo corpo, al cielo che aveva appena iniziato a piangere.
L'uomo, l'assassino, lasciò cadere la pistola in terra. John lasciò che quel suono si ripetesse all'infinito.

 

«Non ho paura di morire, sono preparato alla morte perché non ci credo. Penso che sia solo scendere da un'auto per salire su un'altra.»
 

Che folle era stato, a pronunciare quelle parole. Che ipocrita!
Lui stava provando paura. Lui era immerso nella paura, stava cercando di nuotarci dentro ma la corrente era troppo forte. Lui stava morendo di paura. Lui era la paura.
E il dolore non faceva che fare a cazzotti con il suo petto, e ogni battito perduto non faceva che ricordargli il nulla che stava per diventare, e ogni affanno non faceva che spingerlo verso il traguardo di una gara che lui no, non aveva intenzione di vincere.
«Mi hanno sparato» ansimò, senza più neanche riconoscere la sua voce.
Sentì le mani piccole di Yoko sfiorargli la ferita, sentì il suo strazio passare per i pori di una pelle che ormai non gli apparteneva più, vide fiumi di lacrime solcare gli stessi zigomi che non avrebbe più accarezzato. E pianse anche lui, disperato, di nascosto, pensando a quanto avrebbe voluto trovarsi in uno studio di registrazione a cantare "hey Jude" con Paul, George e Ringo, a quanto avrebbe voluto essere svegliato dalla voce rigida e stridula di sua zia Mimì, a quanto avrebbe voluto sentirsi chiamare papà, ancora una volta.
Ed urlava, John, persino più forte di quanto non fosse stato capace in tutta la sua vita, persino più forte di Yoko che - disperata- tentava inutilmente di riavere il suo Lennon, suo marito, il padre del suo bambino.
Ma più il tempo passava, più la miopia peggiorava, più il dolore aumentava, più la paura svaniva, più la morte prendeva le sembianze del rumore assordante di una folla in delirio.
Chissà se la gente lo avrebbe riconosciuto, nel luogo in cui stava andando, chissà se avrebbe potuto cantare, là, dove quasi sicuramente c'era sua madre ad aspettarlo.
«Hei, mr. Lennon! Hei. mr. Lennon! Hei, mr. Lennon.»
Come un vortice di passione, quelle parole lo avvolgevano, lo mangiucchiavano, lo scottavano, lo uccidevano ulteriormente.
Come ulteriori spari, quelle parole, lo avvicinavano alla fine di quel concerto infinito, di quello spettacolo, di quel cd. Alla fine di John Lennon.
Chissà se sarebbe mancato a qualcuno, chissà se quei 3 finocchi avrebbero pianto per lui. Chissà se qualcuno, un giorno, lo avrebbe ricordato. Chissà se sarebbe stato infinito.
E dopo aver emesso anche l'ultimo gemito, sentii il dolore scomparire del tutto, gli occhi socchiudersi, e la fine di tutto incombere su lui. Un ultimo pensiero, però, gli percorse il corpo come una scossa, un flipper. Lui no, una fine non l'avrebbe mai avuta.

  
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