Salve a tutti, miei cari lettori e care
lettrici!
Qui scrive una febbricitante e varicellosa Marta - ebbene sì, mi son beccata all'università
la malattia che avrei dovuto prendermi all'asilo... sto impazzendo e sono anche
in periodo di esami, qualcuno fermi il tempo!
Anyway, maledizioni a parte, ecco il nuovo capitolo di questa cosa, spero vi piaccia come i
precedenti. :)
Grazie di cuore a tutti coloro che
continuano a seguirmi, vi stritolerei di coccole uno ad uno - ma dato che non posso
accontentatevi della mia profonda gratitudine e di bacini virtuali! :P
Buona lettura,
Marta.
Betulla
08.
11 Marzo 3019 T. E.
Boromir non aveva chiuso occhio quella
notte. Non aveva potuto godere del rientro di suo fratello, della gioia di
riabbracciarlo e di assaporare nuovamente il suono della sua voce. E non solo
perché Faramir fosse troppo stanco per reggersi in piedi, dopo la battaglia e
il terrore di avere i Nazgûl sopra il capo, ma perché il resoconto della sua
spedizione aveva fatto emergere qualcosa che Boromir aveva tenuto nascosto con
abilità e che sperava non venisse rivelato con così tanto anticipo. L'idea che
avesse visto Frodo e Sam, tre giorni prima, l'aveva rincuorato tantissimo, così
come gli aveva fatto capire quanto fosse stato debole in confronto al fratello,
che non aveva pensato di sottrargli l'Anello per portarlo al padre. Ed era
stato proprio Denethor a sollevare critiche e rabbia, contro il figlio minore
per la sua stupida volontà di apparire nobile e benevolo, ma soprattutto contro
il prediletto, che lo aveva deluso profondamente.
Sei
sempre stato leale con me, figlio mio, né uno Stregone ti ha mai fatto da
maestro, da bambino. Credevo che avresti ricordato tuo padre bisognoso di
aiuto, ma ancor prima la tua terra, e non avresti rifiutato ciò che la fortuna
ti dava. Saresti dovuto tornare con un meraviglioso dono, Boromir!
Così,
frustrato e adirato con se stesso e con il genitore, l'Uomo aveva detto che sì,
avrebbe teso la mano come aveva tentato di fare, ma se lo sarebbe tenuto per sé,
soggiogato da quelle voci e da quel male che avevano già iniziato ad
avvelenargli la mente. Oh, se solo Denethor avesse saputo cosa aveva provato a
desiderarlo giorno dopo giorno, con un ardore tale da portarlo alla follia, mentre
c'era ancora un briciolo di umanità nel suo animo corrotto che lo ammoniva e lo
metteva in guardia! Se solo lo avesse visto, in quel momento, non avrebbe
riconosciuto suo figlio e lo avrebbe ripudiato, spaventato e deluso ancor di
più dal suo egoismo e dalla sua avidità.
E Gandalf, che aveva ascoltato il suo
racconto con attenzione, aveva sorriso e aveva assecondato le sue parole,
poiché solo ora Boromir comprendeva il suo pensiero. Poi, temendo ciò che
avrebbe potuto vedere, l'uomo aveva voltato con lentezza gli occhi verso
Pipino, immobile dietro il seggio del Sovrintendente, che lo osservava attonito
e scioccato per quella rivelazione di cui non sospettava minimamente. Non lo
avrebbe biasimato certo se avesse deciso di rifiutare la sua amicizia, dopo che
lui aveva messo a repentaglio la vita di uno dei suoi migliori amici. Ma non vi
era rabbia negli occhi di Pipino, bensì pena e comprensione. Perché aveva visto
in quei pochi giorni l'oscurità che attanagliava Gondor e non poteva
rimproverare l'Uomo di aver creduto che l'Anello avrebbe potuto fare la
differenza.
Si era commosso quando lo Hobbit gli
aveva confidato i suoi pensieri e si chiese cosa avesse fatto di così bello da
non meritarsi le ire dei suoi amici. L'aveva abbracciato con tutte le forze e
Gandalf aveva riso, sollevato anche lui dalla saggezza di Pipino, per aver
capito cosa fosse accaduto nella mente dell'Uomo.
Quella mattina Denethor aveva convocato
prestissimo il Consiglio di Gondor e sia lui che i capitani ritenevano troppo
grave la minaccia dal Sud, decidendo di presiedere le difese sul Rammas e sul
Fiume, poiché se fossero crollate anche quelle Minas Tirith sarebbe stata
assediata dalla marea nera di Mordor. A niente erano valse le proteste e le
ragioni di Faramir, tanto meno quelle di Boromir, che solitamente veniva
ascoltato. Denethor era troppo deluso dal suo primogenito per prestargli
ascolto; così il fratello si era visto costretto a rimediare tutti i soldati
che avevano intenzione di seguirlo e che potevano lasciare la città, e Boromir
temette che quella sarebbe stata davvero l'ultima volta che avrebbe rivisto
Faramir sulle sue gambe.
Si ritrovò davanti alla porta delle
Case di Guarigione, dietro la quale Brethil probabilmente dormiva
profondamente, ancora stanca per la lunga cavalcata. Poggiò la fronte contro il
legno, sentendosi improvvisamente debole; poi aprì con lentezza la porta,
tentando di non farla cigolare, ed entrò. Brethil riposava su un fianco,
avvolta nelle coperte come un salame, e Boromir trovò la forza di sorridere.
Avvicinò una sedia al letto e si sedette, osservandola per un poco. I corti
capelli neri erano disordinati e un po' sporchi - probabilmente non aveva avuto
la forza di farsi un bagno, il giorno prima, così si appuntò di avvertire
Ioreth o chi per lei di prepararle la vasca appena si fosse svegliata.
Controllò che il suo viso fosse rilassato, e non teso per qualche altro incubo
riguardante la sua morte; ma era tranquilla e respirava con calma. Così si
prese il permesso di chiudere gli occhi, solo per qualche minuto; incrociò le
braccia al petto e sentì subito la testa farsi pesante. Neanche si rese conto
che si addormentò pochi minuti dopo che ebbe poggiato il capo tra le braccia,
sul bordo del letto. Era semplicemente distrutto.
Brethil si svegliò un'ora dopo,
percependo forse la sua presenza e il respiro pesante, troppo debole per osare
muovere un muscolo, tranne che le palpebre. La luce bassa del mattino, oscurata
dalle nuvole ormai onnipresenti, non le diede la possibilità di capire che ore
fossero. Ma c'era calma tutto intorno, e Ioreth non era piombata nella sua
stanza, svegliandola con la sua parlantina, quindi dedusse che non dovessero
essere neanche le nove. Si accorse di una figura profondamente addormentata sul
bordo del letto e impiegò qualche secondo per metterla a fuoco. Riconobbe i
capelli castani chiari, lisci e tagliati poco sopra le spalle, la divisa blu ed
elegante che portava anche la notte scorsa, in cui l'Albero Bianco brillava per
il contrasto sulla schiena.
Corrugò la fronte, più che perplessa.
Cosa faceva Boromir nella sua stanza, addormentato sul suo letto? Non ricordava
che si fosse avvicinato dopo averla salutata, prima di cena, né che l'avesse
avvisata di una visita quella notte.
Sospirò e sorrise, reprimendo la voglia
di stiracchiare i muscoli indolenziti per non svegliarlo. Volgeva metà del viso
verso il suo e si ritrovò ad osservarne i lineamenti virili forse per la prima
volta. Non si era mai soffermata a guardarlo con gli occhi di una donna, forse
perché era stata troppo occupata a preoccuparsi per se stessa e per la salute
del ferito, piuttosto che perdersi in sciocchezze del genere. Non aveva la
bellezza e la regalità di Aragorn, ma c'era qualcosa in lui che lo rendeva affascinante.
Forse era la cura con cui si rifiniva la barba; o forse era il suo modo di
camminare, fiero e prestante; o il suo sorriso, così raro, eppure così dolce
come quello di un bambino; o forse l'intensità di quegli occhi grigi che poteva
immaginare nonostante fossero chiusi. Poteva leggervi di tutto in quelle iridi,
come un libro aperto. Aveva capito lui stesso che non potesse tenerle nascosto
niente di ciò che lo turbava, perché lei lo avrebbe capito comunque, anche solo
osservando il movimento involontario delle sue narici, che si dilatavano quando
era contrariato da qualcosa o da qualcuno.
Brethil si rese conto, non senza un
certo timore, che si sarebbe potuta innamorare facilmente di uno come lui, che
voleva proteggerla ed essere protetto a sua volta, che ricercava la sua
presenza e il suo consiglio costantemente da quando si erano incontrati. Sì,
sarebbe potuto accadere, se non fossero stati amici, se lui non fosse stato il
figlio di un Sovrintendente, se lei non fosse stata una traditrice dal volto
sfregiato e che non aveva niente di femminile se non il corpo. Quasi scoppiò a
ridere a quell'idea bizzarra eppure tentatrice. Forse amava già Boromir, ma era
l'amore che nutriva per Aragorn e per Halbarad, probabilmente. L'amore di
un'amica. E lì si sarebbe dovuta fermare.
«Per tutti i Valar, mio signore! Cosa
stai facendo?» esclamò Ioreth, entrata senza che lei neanche si accorgesse
della porta che veniva aperta. Brethil osservò la vecchia, braccia sui fianchi
e cipiglio severo in viso, mentre Boromir saltava sulla sedia e rischiava di
capottarsi per lo spavento.
La Dùnadan quasi scoppiò a ridere nel
vedergli il viso ancora scioccato dal sonno e dal repentino risveglio. «Buon
giorno, mio signore.» gli disse,
ricordando un po' delle buone maniere che avrebbe dovuto usare in quei giorni.
Boromir le lanciò un'occhiataccia, ma
non obiettò. «Ioreth, amica mia, temo che il tuo risveglio sia stato udito per
tutte le cerchie della città.» borbottò l'Uomo, alzandosi e riponendo la sedia
al suo posto.
Quella, d'altro canto, non si lasciò
intimidire. «Mio signore, non è decoroso che io ti trovi nella stanza della
nostra ospite, scompostamente addormentato sul suo letto! Hai una stanza anche
tu, sire, e sarebbe bene che la usassi.»
Incassando il colpo, Boromir annuì e si
voltò verso la Dùnadan, che aveva ancora un delizioso sorriso sulle labbra. «Dama Brethil, ti chiedo scusa se ti ho
offesa in qualche modo. Ma stavo...» Non ebbe il tempo di finire la frase, che
la vecchia guaritrice lo aveva spinto non troppo gentilmente verso la porta e
si era ritrovato fuori dalla stanza senza che se ne accorgesse. «Sono questi i
modi in cui tratti il figlio del Sovrintendente?» chiese Boromir. Sentì Ioreth
rispondere qualcosa sull'uguaglianza tra gli indisciplinati e se ne andò
ridendo. Forse avrebbe avuto qualche altra ora per riposarsi prima che il padre
lo mandasse a chiamare per un altro Consiglio.
Brethil si ritrovò nelle grinfie di
Ioreth, che la controllò per bene e la fece camminare per tutta la stanza,
assicurandosi che non ondeggiasse troppo per le vertigini della stanchezza. Poi
sparì per ordinare di prepararle una colazione sostanziosa, e tornò con una
ragazzetta di massimo diciassette anni, dai capelli bruni e ritirati in una
crocchia, nascosta da un copricapo bianco.
«Lei è Rainiel, si occuperà del tuo
bagno e di tutto ciò di cui avrai bisogno. Ho preso la libertà di rubarti per
un poco i tuoi indumenti per capire che misure hai, così da poter trovare un
abito per quest'oggi.»
La Dùnadan osservò la vecchia,
perplessa. «Abito?»
«Ragazza mia, non penserai di
presentarti a sire Denethor con quegli stracci vecchi, per caso?» esclamò
Ioreth.
«Preferirei di sì, mi troverei più a
mio agio con quelli.» ribatté Brethil. «Con una ripulita posso essere
presentabile.»
La guaritrice scambiò un'occhiata
sbalordita con la ragazzina di nome Rainiel, che non osava intromettersi. «Non
ti lascerò uscire da questa stanza finché non vedo che sia veramente presentabile. E quando dico presentabile intendo con i capelli acconciati - in qualche modo,
visto che sono più corti di quelli di sire Faramir, per Eru!
- e con un abito femminile, ragazza mia. Non sarebbe opportuno che sire Boromir
venisse ad accompagnarti per il pranzo e prendesse sotto braccio una che pare
un uomo! Che cosa si racconterebbe per la città?»
Brethil tentò di protestare, ma la
vecchia se n'era già andata, così da rimanere sola con Rainiel, che teneva
ostinatamente il capo chino, timida e forse intimidita dalla donna che aveva di
fronte.
«Mia signora, se volessi seguirmi ti
mostrerei la vasca. L'ho riempita di acqua calda, spero che la temperatura vada
bene.»
«Aspetta.» La donna le poggiò una mano
sulla spalla, per reggersi e per bloccarla. «Non chiamarmi in quel modo. Non
sono la signora di nessuno, né sono una persona importante. Chiamami solo
Brethil.»
Rainiel ci pensò un po'. «Hai salvato
sire Boromir, mia signora Brethil?»
«Sì, mi sono presa cura di lui per
qualche tempo.»
«Allora meriti tutto il rispetto che
conosca, mia signora.» disse l'ancella, seriamente convinta di ciò che diceva.
«Ora, se vuoi seguirmi, non è molto lontano.»
Brethil rinunciò a qualsiasi replica e
si fece accompagnare alla vasca. La stanza era ampia e una trifora bucava elegantemente
il muro per farvi entrare luce e aria. La tinozza era al centro, mentre intorno
c'erano pochi mobili. Su uno di questi Rainiel le indicò il telo per asciugarsi
e una sottoveste pulita e bianca, molto simile a quella che già indossava.
«Se necessiti di qualcosa, qualsiasi
cosa, io sono proprio fuori dalla porta, mia signora.»
Brethil annuì, attendendo che se ne
andasse; poi lasciò cadere la vestaglia e si immerse nell'acqua calda, sentendo
immediatamente tutti i muscoli del corpo distendersi sotto quella piacevole
sensazione. Da quanto non faceva un bagno così rilassante? Quasi non ricordava
l'ultimo. Forse era qualche mese prima, di ritorno da una spedizione con Éomer
e la sua éored. Erano stanchi e
deperiti, perché si erano dovuti attardare troppo tempo lontano da Edoras e le
scorte scarseggiavano. Quando avevano raggiunto la città la prima cosa che
avevano fatto fu di imbandire un sontuoso banchetto e di festeggiare le loro
gesta ai confini della regione; poi, mentre i soldati tornavano alle loro abitazioni
e dalle loro famiglie, Éomer e Brethil si erano recati ai bagni, dove le
ancelle avevano già preparato le loro vasche, rimanendo ammollo finché l'acqua non
era diventata troppo tiepida da farli intirizzire.
La Dùnadan pensò all'Uomo e si chiese dove
fosse e come stesse. Avrebbe voluto continuare a servirlo e a prestargli il suo
aiuto ancora per qualche tempo, così come avrebbe seguito Aragorn verso i
Sentieri dei Morti, ovunque questi la portassero. Ma sapeva che il luogo più
agognato dal suo cuore era quello dove stava in quel momento, accanto a
Boromir.
Si lavò con calma, poi uscì dalla vasca
rabbrividendo e si strinse contro il telo per cercare un po' di calore. Quando
fu coperta dalla sottoveste, Brethil aprì la porta e trovò subito Rainiel pronta
a riaccompagnarla alla sua stanza nelle Case di Guarigione.
«Appena ti rimetterai, abbiamo già
pronta una stanza più adatta a te, mia signora. Sire Boromir l'ha scelta di
persona.» le spiegò l'ancella. «Si trova nella Cittadella, vicino agli
appartamenti di Mithrandir e del Mezzuomo Peregrino.»
Brethil non rispose, ma si limitò ad
annuire. Quando tornarono alla sua camera e vide l'abito piegato e pulito
poggiato sul letto rimase interdetta. Lo prese tra le mani, meravigliandosi di
quanto morbido fosse il tessuto blu, e ne osservò i ricami dorati che
incorniciavano lo scollo e le maniche, strette solo fino al gomito. «Non posso
indossarlo.»
L'altra la guardò con tanto d'occhi.
«Dovete, mia signora. Starete d'incanto.»
«No, sarò ridicola.» sospirò la Dùnadan,
riponendolo sul letto e sedendosi accanto. «Non sono abituata a vestire così,
Rainiel, né ho il portamento per indossare un abito del genere.» E in quel
momento pensò ad Éowyn, sorella di Éomer, battagliera e dal cuore impavido,
eppure così bella e fragile. Avrebbe voluto essere come lei, in quel momento.
«Mia signora, non c'è niente in te che
non vada.» tentò Rainiel, per persuaderla. «Non so che vita abbia fatto, ma ho
visto le armi che porti e la durezza nei tuoi occhi che forse hanno visto
troppo per una donna. Ma sei anche altera e regale, sebbene non te ne renda
conto; sei stanca eppure continui a camminare con la schiena ritta. Sembrerai
una regina se solo mi permetterai di aiutarti.»
«Ho altra scelta?» chiese più a se
stessa e divertendo la ragazza. Suo malgrado sorrise anche lei e, dopo aver
mangiato, si lasciò alle cure di Rainiel, che le fece infilare l'abito. Osservò
le maniche larghe, così come la gonna che sfiorava il pavimento, e si chiese
quanti passi avrebbe potuto fare prima di inciampare sul tessuto.
«Hai già un altro aspetto, mia signora.
Guardati.» Rainiel le avvicinò uno specchio e Brethil si guardò riflessa dopo
un'infinità di tempo. Rimase senza parole nel rivedere quel suo orribile viso
dopo mesi, segnato dalle battaglie, dalla stanchezza e da quel ricordo
lacerante come le unghie di Gollum che affondavano nella sua carne. Sicuramente
aveva un altro aspetto, sembrava invecchiata terribilmente in quell'ultimo anno.
Rainiel la fece sedere davanti allo
specchio e le pettinò i corti capelli neri con dolcezza, per non tirarglieli
quando incontrava nodi. «Perché li tieni così, mia signora?» le domandò,
incuriosita.
«Perché spendo la mia vita tra i
soldati e a volte è meglio sembrare un uomo, piuttosto che mostrare la mia vera
identità.» rispose. «E poi i capelli lunghi sono fastidiosi in battaglia.»
«Hai combattuto molto, mia signora?»
Brethil rise, senza allegria. «Più di
qualche uomo, forse.»
«Perché?»
«Quanto a lungo dovrai interrogarmi?»
domandò la Dùnadan, ora ridendo sul serio.
Vide la ragazzina riflessa sullo
specchio arrossire velocemente. «Chiedo perdono se ti ho recato fastidio, mia
signora.»
«Risponderò alle tue domande solo se
smetti di chiamarmi in quel modo. Almeno in privato.»
«Ma, mia signora...»
«Rainiel...»
Le due si osservarono per qualche
secondo sul riflesso, poi l'ancella vide un sorriso benevolo sul volto della
sua signora, e annuì, sconfitta. Così Brethil le raccontò chi fosse e cosa
avesse fatto per tutta la vita, prima di andare a Rohan. Non le disse,
ovviamente, il motivo per cui aveva lasciato i suoi più cari compagni al Nord,
né dovette inventare qualche storia, perché Rainiel non fece domande in
proposito. Era troppo incuriosita e stupita da quel racconto che non riusciva a
smettere di immaginare quella donna combattere con Uomini ed Elfi. Elfi, per Eru! Non ne aveva mai visto neppure uno!
«Sei giovane, Rainiel, se supereremo
questo momento è probabile che ne vedrai più di quanti ne abbia mai sognato.»
le disse Brethil. La sua mente volò subito verso Elladan e Elrohir. Avrebbe
tanto voluto averli accanto per consolarla e consigliarla. La saggezza e la
spensieratezza dei gemelli sarebbero stati preziosi in momenti come quelli.
«Ecco, ora sei presentabile.» disse
Rainiel, risvegliandola dai suoi pensieri.
Brethil si osservò allo specchio e,
nonostante fosse restia ad ammetterlo, l'ancella diceva il vero. I capelli
pettinati e puliti sembravano avere un altro aspetto - Rainiel aveva tentato di
metterle un leggero diadema in mithril
ma per lei era veramente troppo - e l'abito era bellissimo, troppo bello per
essere indossato da una come lei. Oh, quanto ringraziava il fatto che Aragorn,
Halbarad o i gemelli non potessero vederla così acconciata!
La mattinata proseguì lentamente,
troppo lentamente per i tempi di Brethil. Non era mai stata troppo tempo con le
mani in mano e odiava non potersi rendere utile in qualche modo; avrebbe voluto
esplorare la città, allenarsi con la sua spada o con l'arco per tenersi in
forma, o informarsi della situazione ad
«E tu, sei sposata?» domandò Rainiel,
che con tanta fatica riusciva ad evitare di aggiungere quel mia signora alla fine di ogni frase.
«Sposata? Oh, no.» Brethil quasi
scoppiò a ridere. «Non ho mai avuto il tempo per trovare un marito... né
qualcuno che volesse diventarlo.»
«Ma ti sposerai un giorno?»
L'altra scosse il capo. «È una domanda
che non mi sono mai posta, tanto meno me lo domando ora. Non con questo viso.»
«Il tuo viso non ha niente di brutto.»
Rainiel la guardò quasi con durezza, sebbene non osasse approfittare così tanto
di quello strano momento di confidenze. «Non ci si ferma all'aspetto esteriore.
Insomma, ammetto di essere rimasta... spaventata da quelle cicatrici, ma non
perché mi impressionano i tagli. Piuttosto mi sono chiesta quale orribile
storia ci sia dietro e ho provato paura e pena per te, qualunque cosa abbia
vissuto. Non so se mi spiego, mia... Brethil.»
si corresse all'ultimo momento, ridacchiando e arrossendo.
«Ti sei spiegata perfettamente, amica
mia.» le rispose la donna, sorridendo.
Qualcuno diede tre colpi di nocche alla
porta, interrompendo il loro discorso. Rainiel si alzò velocemente,
controllando di chi si trattasse, e s'inchinò appena riconobbe Boromir. «Mio
signore, dama Brethil non ti aspettava prima di un'ora, ma è pronta.» Si mise
in un lato dell'uscio per permettere all'Uomo di entrare.
Quando Brethil si voltò a guardarlo e
si alzò per salutarlo, Boromir rimase senza parole. E per la prima volta, da
quando la conosceva, vide in lei una donna. Non una combattente, non una
Raminga abituata a vivere all'aperto. Ma una donna. Che aveva orribili capelli
corti, cicatrici sul viso stanco e combattuto e le mani callose di una che non
faceva altro nella vita che brandire una spada. Ma pur sempre una donna. E gli
piacque.
«Ti prego, non dire niente. È già
imbarazzante così.» fece lei, lisciandosi il tessuto dell'abito e tenendo
ostinatamente lo sguardo verso il basso, temendo di trovare gli occhi divertiti
dell'Uomo.
Ma Boromir non rideva di lei, né aveva
intenzione di farlo. Rimase semplicemente fermo ad osservarla, poi sorrise.
«Sei bella, invece. Non devi vergognartene.» Le si avvicinò, sollevandole il
capo e accorgendosi del rossore sulle guance martoriate. Poi, ricordandosi
della presenza dell'ancella, si schiarì la voce, ritirò la mano e le porse un
braccio. «Sarei onorato se passeggiassi con me per un po', prima del pranzo. A
meno che non ti senta ancora stanca, dama
Brethil.»
«No, ti seguo volentieri, mio signore. Ho bisogno di camminare un
po'.» Posò riluttante una mano sul braccio di lui, che le sorrise. Poi si voltò
verso Rainiel e la ringraziò della compagnia. Quella s'inchinò e attese che i
due uscissero per lasciare la stanza.
L'aria calda e opprimente che giungeva
da Est ricordò loro della minaccia perenne proveniente da quelle nere montagne,
ma in quel momento Brethil si sentiva terribilmente a disagio per altri motivi.
Era rigida e, nonostante la presa sul braccio di Boromir, temeva di cadere da
un momento all'altro, sia per le vertigini che per l'abito. E, come se non
bastasse, sembrava che tutti gli occhi che incontrasse fossero puntati su di
lei.
Boromir si accorse del suo imbarazzo e
si voltò a guardarla, mentre passeggiavano per il giardino tranquillo delle
Case di Guarigione. «C'è qualcosa che posso fare per farti sentire meglio?»
«No, niente, stai tranquillo. Solo che
non sono abituata.»
«È solo per poche ore, resisti.» disse
l'Uomo, portando una mano su quella di lei, che gli stringeva la manica del
completo nero con forza. «E non c'è niente imbarazzante, Brethil. Ti osservano
solo perché nessuno ti conosce.»
«Non perché temo di inciampare un passo
dopo l'altro?» domandò la donna, con malcelata ironia.
Boromir rise. «Stai pure tranquilla, se
dovessi inciampare sarò pronto a sorreggerti.»
Rimasero in silenzio per un poco, poi
lei volle togliersi una curiosità. «Stamattina sei venuto nella mia stanza e ti
sei addormentato sul letto, in quella scomoda posizione. Non hai per caso una
stanza dove riposare, mio signore?»
Il tono sarcastico con cui lo chiamò in
quel modo lo fece sorridere. «In realtà sì, ho una camera piuttosto accogliente
e un letto altrettanto comodo, nel Sesto Cerchio.»
«Dunque?»
«Speravo inutilmente di trovarti
sveglia.» le confessò Boromir. «Ho avuto una lunga serata ieri, e non sono
riuscito a dormire. Mio padre ha scoperto dell'Anello e del mio comportamento
inglorioso; Faramir gli ha raccontato di aver incontrato Frodo e Sam e di
averli lasciati andare, e puoi immaginare come abbia preso una simile notizia. Era
infuriato, persino con me, tanto da non ascoltarmi questa mattina e da spedire
Faramir verso il Rammas. Le mie preoccupazioni sono aumentate con la sua
partenza. Non ho avuto quasi il tempo di chiedergli come si sentiva. Era
distrutto, molto più di me, e non ha potuto trovare il riposo che cercava.
Avrei voluto prendere il suo posto, ma egli è il Capitano dei Raminghi
dell'Ithilien, spettava a lui partire. E mio padre non mi avrebbe permesso di
proteggerlo ulteriormente.»
«Neanche tu puoi stancarti più di
quanto il tuo corpo possa sopportare, Boromir. Sei ancora indebolito, sebbene
forse non te ne renda conto e voglia renderti utile per la tua città da non
farti pesare la fatica. E credo che tuo fratello, se ti somiglia un poco, non
si farà sopraffare dalla stanchezza, non prima di terminare la sua missione.»
«Egli è molto più simile a nostro padre
di quanto entrambi credano. È nobile e regale, astuto e amato. Io sono sempre
stato il soldatino.»
«Ugualmente amato, immagino.»
«Sì, hai ragione.» Un sorriso apparve
sulle sue labbra. «Ma avrei preferito avere parte della loro forza interiore in
altre situazioni.»
Brethil sospirò pesantemente,
facendogli capire che quel discorso sarebbe dovuto essere chiuso e sepolto da
parecchio, ormai. «Ti stupisce che tuo padre si sia adirato?»
L'Uomo si fermò davanti ad una panca,
incassata sul bastione, e che dava verso sud, verso il lontano mare. Brethil si
sedette e lo guardò, attendendo che parlasse. Vide un'espressione accigliata e,
nel contempo, spaventata sul suo bel volto, e temette di aver posto la domanda
sbagliata.
Poi Boromir si accomodò accanto a lei,
guardando la città sotto di sé. «In realtà mi ha stupito il fatto che si sia
adirato per non aver preso l'Anello, non per la mia debolezza.» Brethil
spalancò gli occhi, ma lui si affrettò a prendere le difese del padre. «Non lo
biasimo, Brethil, anche lui crede che possa aiutare le sorti di Gondor a
volgere verso la vittoria. Anche lui ha dovuto sopportare la morte di centinaia
di Uomini del suo popolo. Non gli addosso la colpa di desiderare la pace che
nessuno di noi ha conosciuto. Il suo desiderio era di tenerlo al sicuro, non
spedirlo verso la disfatta. Avrebbe voluto nasconderlo, utilizzarlo solo nei
momenti di massima necessità. Ma sono felice che così non sia. Né lui, né tanto
meno io avremmo potuto resistere al suo richiamo. Persino celandolo nei meandri
della terra ci avrebbe chiamati e portati alla follia. Denethor se ne farà una
ragione, prima o poi.»
Brethil sorrise. «Sono fiera di te,
Boromir. Dici di non avere la forza interiore come tuo fratello, eppure le tue
parole dicono il contrario. Un Uomo che fosse corrotto nel profondo dell'anima
non parlerebbe così.»
«Ma continuo ad anelarlo...»
«Nei remoti angoli della tua mente. Ora
il tuo desiderio più grande è combattere per difendere la tua città, e sai che
l'Anello non è l'arma da usare. Solo tu, con tuo fratello e i tuoi uomini
potete salvare Minas Tirith. Astuzia, spade, frecce e catapulte, nient'altro.»
«E non dimentichiamoci che noi abbiamo
il Cavaliere Bianco!» fece una voce squillante, interrompendoli. Pipino
comparve davanti ai loro occhi, chinandosi per salutarli rispettosamente come
si confà ad un importante membro della Cittadella. «Miei signori, sire Denethor
e i suoi ospiti vi attendono per il pranzo. Sono passato davanti alle cucine e
ho dato una sbirciatina: carne di pollo arrosto e bistecche di vitello in umido,
una vera delizia!»
Boromir rise e si alzò,
scompigliandogli i capelli riccioluti. «Farò in modo che ne venga lasciato un
poco per te, amico mio. Il banchetto della mensa, purtroppo, non è sontuoso
come quello di mio padre, se ben ricordo.» Poi porse una mano alla donna, che
l'accettò e si alzò, e insieme andarono verso la Casa del Re.
Pipino si accorse solo in quel momento
di Brethil e di quanto quell'abito la rendesse graziosa, e non mancò di
farglielo notare, con incredibile candore. «Se Merry fosse con me mi tirerebbe
una gomitata per farmi tacere, ma sembri veramente una signora di corte.» le
disse, camminando accanto a lei. «Sì, insomma, con questo non voglio dire che
non sembrassi una donna anche prima, ma ecco... sei meno inquietante.»
Con una risata divertita, Brethil prese
per mano lo Hobbit, che rise con lei sollevato di non averla offesa in alcun
modo, e strizzò l'occhio a Boromir, che scuoteva mestamente il capo e,
probabilmente, si chiedeva come avesse potuto esprimere a voce alta un pensiero
simile.
Ma se Pipino e l'uomo fossero
tranquilli, Oscurità a parte, così non era per Brethil: ogni singolo passo che
portava la donna verso la sala dove avrebbero pranzato la faceva sentire sempre
più pesante e il pressante istinto di tornare indietro nella sicurezza della
sua stanza alle Case di Guarigione diventò insostenibile. Si sentiva inadeguata
per un palazzo simile, per persone importanti come Denethor e i suoi ospiti,
fuori luogo per quei suoi modi rozzi di chi aveva sempre vissuto all'ombra degli
alberi. E se avesse detto o fatto qualcosa di sconveniente? La presenza di
Boromir e, sperò, di Gandalf sarebbe bastata a farla sentire al riparo da
qualsiasi problema?
Venne risvegliata dalle sue
preoccupazioni quando non avvertì più la piccola mano di Pipino nella sua,
poiché aveva accelerato il passo per precederli e annunciare il loro arrivo in
sala, come il miglior paggio del re. Avvertì immediatamente nove paia d'occhi
su di sé, ma due iridi in particolare la fecero rabbrividire di rispetto e timore.
Denethor era del tutto simile a Boromir, fiero nello sguardo e nel portamento,
seppur ricurvo dagli anni che avanzavano e dalle preoccupazioni. Sul suo viso
altero si leggeva saggezza e per un attimo Brethil temette che riuscisse a comprendere
la sua anima solo osservandola; percepì quegli occhi chiari e sottili sulle sue
cicatrici e si domandò cosa stesse pensando il Sovrintendente di quelle piaghe.
Poi si alzò dal suo piccolo trono a capo tavola, accanto ad uno più grande e
vuoto riservato al Re, ed allargò le braccia, in un sorriso che pareva più un
ghigno tra le rughe del viso.
«Sia benvenuta nella mia dimora la
donna che salvò mio figlio dalla morte! Io, Denethor figlio di Ecthelion II e
Sovrintendente di Gondor, ti porgo i miei omaggi e i miei più sentiti
ringraziamenti, Brethil figlia di Aeglos.» disse l'Uomo. «Ti prego di sederti
nelle vicinanze della mia sedia, cosicché possiamo discorrere durante il pasto,
tra una tattica di guerra e l'altra, se ciò ti aggrada.»
Brethil accennò un goffo inchino, che
non sfuggì all'occhio attento dell'Uomo. «Ne sarei onorata. Parlerò con te
volentieri, mio signore.»
La presenza rassicurante di Boromir al
suo fianco sparì quando prese posto, ma lui non si allontanò troppo, sedendosi
tra il padre e Gandalf, pensieroso e silenzioso. Fu solo dopo essersi accomodata
e dopo aver abbandonato momentaneamente lo sguardo di Denethor, che si accorse
delle altre persone presenti intorno alla tavola. Erano importanti signori e
sovrani di terre alleate, infagottati nei loro migliori completi, dagli stemmi
delle proprie case ben visibili sui petti; non ne riconobbe uno, poiché non era
molto informata sulle alleanze e sulle regioni di Gondor, ma Denethor non tardò
a presentarle ogni singolo ospite. Fu così che fece la conoscenza di Duinhir e
dei suoi figli Duilin e Derufin, dalla terra di Morthond, coetanei di Boromir
ma dal viso più giovane e rilassato - in un certo senso le ricordavano i
gemelli di Gran Burrone; e c'era il signore di Golasgil, Anfalas, forse l'Uomo
più rustico tra i presenti, vestito di un completo in pelle marrone, a
ricordare le origini campestri della sua terra; c'era Dervorin, della Valle del
Ringló, e il famoso Forlong il Grasso, signore di Lossarnach, un uomo robusto e
dalla lunga barba curata che rendeva il suo viso ancora più rotondo di quanto
non fosse; Hirluin il Bello, delle Verdi Colline di Pin-nath Gelin, forse il
più giovane tra i presenti; e infine Imrahil, Principe di Dol Amroth e zio di
Boromir, nonché fratello della sua defunta madre: egli era anziano, eppure
bello e vigoroso come Aragorn, poiché nel suo sangue scorreva parte dell'antico
sangue elfico che, generazioni prima, si era mischiato a quello mortale degli
Uomini.
Fu proprio Imrahil ad alzarsi in suo
onore, prendendo un bicchiere e sollevandolo per un brindisi. «Si dice che gli
Uomini siano nati per la guerra e per proteggere i più deboli dalle angherie
dei nemici, eppure sono sorpreso e felice di vedere con i miei occhi che questo
non sempre si rivela essere veritiero. Meriti tutto il mio rispetto e la mia
gratitudine, dama Brethil. Mio nipote non sarebbe qui con noi oggi, se non
fosse stato per te.»
La donna arrossì visibilmente e chinò
il capo. «Tuo nipote è un uomo forte e caparbio. È soprattutto grazie a questo
che cammina ancora sulle sue gambe.»
«Fosse stato forte come speravo, avrebbe portato a termine
la missione che gli affidai, mesi addietro.» sussurrò quasi a se stesso e con
risentimento Denethor, regalando un'occhiata delusa e irata nel contempo al
figlio, che chinò il capo.
«Non dubito della tua parola, poiché
conosco Boromir e immagino che ti avrà dato parecchi problemi in via di
guarigione.» disse Imrahil, sorridendo al nipote e fingendo di non aver sentito
le parole del Sovrintendente. «Ma non sentirti a disagio. La modestia, qui, non
serve se hai compiuto gesta che verranno ricordate per sempre. Un brindisi a
Brethil, figlia di Aeglos!»
La Dùnadan incontrò lo sguardo di
Boromir e lui le sorrise dietro la coppa di vino. Poi l'Uomo tornò assorto nei
suoi pensieri, volando con la mente accanto al fratello e alla guerra imminente.
Il pranzo proseguì tra i discorsi di
guerra e strategie militari. Denethor domandò ad ognuno dei dignitari quali
fossero le loro idee su come agire, quali postazioni avrebbero preso e come
avrebbero diretto la difesa, e lui ascoltò ogni loro parola, studiando la loro
gestualità e i loro sguardi per meglio comprendere le loro intenzioni. Brethil
notò che quando il Sovrintendente era seccato la mascella gli si contraeva,
così come le narici si dilatavano, perfetta copia del figlio; ma quando ciò che
udiva fosse stato di suo gradimento, allora i suoi occhi brillavano e un
sorriso ghignante gli increspava le labbra. A prima vista poteva sembrare
inquietante, ma Denethor era un uomo saggio e calcolatore, e l'espressione
contrita del suo volto era solo segnata dalle numerose preoccupazioni che
l'avevano afflitto durante gli anni. La Dùnadan aveva inoltre notato, non senza
un certo timore, che troppo spesso l'Uomo si voltava ad osservarla con
insistenza, come a volerle scrutare l'anima con quei suoi profondi occhi
chiari. Era evidente che fosse incuriosito da lei e probabilmente si chiedeva
morbosamente chi fosse in realtà, da dove venisse e come si fosse procurata
quelle ferite in viso. Sperò vivamente che non avesse il tempo sufficiente per
sottoporla ad un interrogatorio, ma purtroppo il pranzo durò abbastanza da
soddisfare la sua curiosità.
E così, cortese come si raccontava per
le strade della Città Bianca, Denethor posò il bicchiere di vino e incrociò lo
sguardo della donna con un sorriso. «Pare che anche tu sia una guerriera, dama
Brethil. Sarei curioso e interessato di sapere quali siano le tue opinioni
riguardo la difesa della città.»
Brethil si schiarì la voce, tentando di
sostenere lo sguardo dell'Uomo. Nessuno mai prima di allora era riuscito a
metterla in così tanta soggezione. «Mi dispiace doverti deludere, mio signore, ma
non conosco così bene il territorio di Gondor, né la vostra bella città, per
azzardare ipotesi difensive. Se conoscessi le distanze da qui ad Osgiliath, o i
pendii e i corsi d'acqua che percorrono queste terre, allora forse potrei
tentare di supporre qualcosa.»
«Ti verrà data una carta, dunque, che
potrai studiare dopo il pranzo, così da poterne discutere insieme più tardi.»
disse Denethor, con quello che sembrava più un ordine piuttosto che un favore.
«Ma ora dimmi, mia signora, perché mai una donna dovrebbe imparare a brandire
una spada, mi domando?»
Brethil scambiò una rapida occhiata con
Boromir e Gandalf; quest'ultimo chinò lievemente la testa per incoraggiarla a
parlare e a non farsi intimidire. Così tornò a guardare il Sovrintendente, e
disse con voce ferma: «Non riesco a vedere il motivo per cui non dovrebbe
imparare a difendere la sua terra.»
L'altro sembrò colpito e si poggiò contro
lo schienale del suo piccolo seggio. «Ma da quanto mi ha raccontato Boromir tu
non hai difeso solo la tua terra. O sei di Rohan?»
«Boromir ha detto il vero, mio signore.
No, non sono di Rohan, ma ho servito Re Théoden per qualche tempo.»
«Sei dunque una mercenaria?» domandò
Anfalas, facendola voltare.
«No, non lo sono. La mia terra si trova
al Nord, nello scomparso reame di Arnor.» disse Brethil, non nascondendo la
fierezza delle sue origini. «Ma la mia vita mi ha portato anche lontano dalle
mie terre, e poiché sono cresciuta in un ambiente in cui bisogna sopravvivere e
difendersi, sopra ogni cosa, e aiutare i propri alleati se ne hanno necessità,
ho dato la mia spada in servizio di Re Théoden, così come a Re Thranduril, di
Bosco Atro.»
Un lieve vociferare sorpreso si levò
tra i commensali, stupiti del fatto che avesse conosciuto e addirittura servito
il Re degli Elfi Silvani. «Devi avere incredibili doti, mia signora, se due
così importanti personalità abbiano accettato la tua presenza tra le loro
legioni.» fece Duilin, figlio di Duinhir.
Brethil chinò il capo in segno di
ringraziamento, ma non disse niente in suo favore o discapito. L'ambiente
prettamente maschilista di quella stanza la faceva soffocare e sentire
inadeguata, e non vedeva l'ora che Denethor dichiarasse concluso il pranzo. Non
le era mai pesato il fatto di essere una donna in un ambiente di soli uomini,
almeno non così tanto. Tutti i soldati che aveva incontrato e con cui aveva
scambiato due parole erano sufficientemente intelligenti da capire che una
spada in più, se ben usata, era sempre meglio che una in meno, sia che fosse
brandita da una donna o da un ragazzetto. Eppure pareva che a Gondor questo
fosse considerato strano, forse anche offensivo. Una donna non doveva, infatti,
badare solo alla famiglia e alla casa? Una smorfia sfuggì al suo controllo e
Denethor la colse immediatamente.
«Mi dispiace se le nostre domande ti
recano disturbo, dama Brethil.» disse l'Uomo. «Ma qui, come avrai ben capito,
la guerra è un'arte di soli uomini.»
«Sì, l'avevo notato e comprendo il
vostro stupore, sebbene non ne condivida le ragioni.» Brethil scosse il capo. «Una
donna non può combattere come un uomo? Una donna non ha forse le stesse
braccia, le stesse gambe e la stessa forza di volontà di un uomo? Perché
privarci di un aiuto in più?»
«Perché le donne sono deboli, con il
dovuto rispetto.» fece Forlong il Grasso, addentando un pezzo di carne.
«Possono avere una mente astuta, questo è vero, ma il loro corpo non potrà
sostenere giorni interi di battaglie. Questo è un dato di fatto.»
«No, è un dato errato.» Brethil sorrise
alla vista delle guance paffute e rosse dell'Uomo. «A Rohan le donne vengono
addestrate come gli uomini, poiché il loro compito è quello di difendere la
propria famiglia, prima della loro terra. E vi assicuro che molte di loro hanno
visto numerose albe prima di smettere di combattere. E tra gli Elfi non vi è addirittura
alcuna distinzione di sesso, quando ci si reca in guerra. Non giudicate un
guerriero dal fatto che porti calzari o gonnelle, signori. Non credo che sia un
metro di giudizio corretto, il vostro.»
Boromir trattenne un sorriso di fronte
all'ostinatezza e alla risolutezza con cui si difendeva Brethil da quei piccoli
attacchi di orgoglio maschile. Guardò il padre e si rese conto che anche lui
fosse rimasto piacevolmente impressionato dalla donna, nonostante sembrasse che
stesse facendo di tutto per farla inciampare sulle proprie parole. Ma Boromir
conosceva Denethor e sapeva per certo che quello fosse un piccolo test per
conoscere la loro ospite e metterla alla prova. Probabilmente, nei loro
prossimi incontri avrebbe dato libero sfogo alla sua curiosità senza malizia
alcuna.
«Molto bene, dunque.» disse il
Sovrintendente. «Parlaci di Rohan e del tuo servizio ai nostri cari alleati,
dama Brethil. Gandalf mi ha parlato della battaglia al Fosso di Helm, eri
presente anche tu?»
«Solo per una breve parte, poiché ero
impegnata sul fronte occidentale, ai Guadi dell'Isen.» spiegò la donna.
Denethor la esortò a parlare e lei, dopo un breve respiro di conforto, iniziò a
raccontare di quei lunghi giorni.
*
Grazie
a tutti i lettori!
A
presto,
Marta.