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Autore: kenjina    25/05/2012    5 recensioni
Non fu il dolore fisico che gli procurò quello strazio assordante, né la carezzevole consapevolezza che sarebbe morto in pochi minuti. Morire significava liberarsi dal peso opprimente di un fardello che non era riuscito a sopportare e che ora lo stava schiacciando, per lasciarlo finalmente libero dalle angosce e dai tormenti. Aveva sempre immaginato la sua morte e sapeva che sarebbe stato in battaglia. Sarebbe caduto da soldato, davanti le mura della sua amata città, per difendere con onore il suo popolo dalle armate nemiche che giungevano come un'ombra da Est. La sua morte sarebbe servita per salvare le terre che lo avevano visto crescere, per dare una possibilità alle future generazioni di vivere una vita lontana dalle tenebre e dalle paure.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
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Salve a tutti, miei cari lettori e care lettrici!

Qui scrive una febbricitante e varicellosa Marta - ebbene sì, mi son beccata all'università la malattia che avrei dovuto prendermi all'asilo... sto impazzendo e sono anche in periodo di esami, qualcuno fermi il tempo!

Anyway, maledizioni a parte, ecco il nuovo capitolo di questa cosa, spero vi piaccia come i precedenti. :)

Grazie di cuore a tutti coloro che continuano a seguirmi, vi stritolerei di coccole uno ad uno - ma dato che non posso accontentatevi della mia profonda gratitudine e di bacini virtuali! :P

Buona lettura,

Marta.

 

Betulla


08.

11 Marzo 3019 T. E.

 

Boromir non aveva chiuso occhio quella notte. Non aveva potuto godere del rientro di suo fratello, della gioia di riabbracciarlo e di assaporare nuovamente il suono della sua voce. E non solo perché Faramir fosse troppo stanco per reggersi in piedi, dopo la battaglia e il terrore di avere i Nazgûl sopra il capo, ma perché il resoconto della sua spedizione aveva fatto emergere qualcosa che Boromir aveva tenuto nascosto con abilità e che sperava non venisse rivelato con così tanto anticipo. L'idea che avesse visto Frodo e Sam, tre giorni prima, l'aveva rincuorato tantissimo, così come gli aveva fatto capire quanto fosse stato debole in confronto al fratello, che non aveva pensato di sottrargli l'Anello per portarlo al padre. Ed era stato proprio Denethor a sollevare critiche e rabbia, contro il figlio minore per la sua stupida volontà di apparire nobile e benevolo, ma soprattutto contro il prediletto, che lo aveva deluso profondamente.

Sei sempre stato leale con me, figlio mio, né uno Stregone ti ha mai fatto da maestro, da bambino. Credevo che avresti ricordato tuo padre bisognoso di aiuto, ma ancor prima la tua terra, e non avresti rifiutato ciò che la fortuna ti dava. Saresti dovuto tornare con un meraviglioso dono, Boromir!

 Così, frustrato e adirato con se stesso e con il genitore, l'Uomo aveva detto che sì, avrebbe teso la mano come aveva tentato di fare, ma se lo sarebbe tenuto per sé, soggiogato da quelle voci e da quel male che avevano già iniziato ad avvelenargli la mente. Oh, se solo Denethor avesse saputo cosa aveva provato a desiderarlo giorno dopo giorno, con un ardore tale da portarlo alla follia, mentre c'era ancora un briciolo di umanità nel suo animo corrotto che lo ammoniva e lo metteva in guardia! Se solo lo avesse visto, in quel momento, non avrebbe riconosciuto suo figlio e lo avrebbe ripudiato, spaventato e deluso ancor di più dal suo egoismo e dalla sua avidità.

E Gandalf, che aveva ascoltato il suo racconto con attenzione, aveva sorriso e aveva assecondato le sue parole, poiché solo ora Boromir comprendeva il suo pensiero. Poi, temendo ciò che avrebbe potuto vedere, l'uomo aveva voltato con lentezza gli occhi verso Pipino, immobile dietro il seggio del Sovrintendente, che lo osservava attonito e scioccato per quella rivelazione di cui non sospettava minimamente. Non lo avrebbe biasimato certo se avesse deciso di rifiutare la sua amicizia, dopo che lui aveva messo a repentaglio la vita di uno dei suoi migliori amici. Ma non vi era rabbia negli occhi di Pipino, bensì pena e comprensione. Perché aveva visto in quei pochi giorni l'oscurità che attanagliava Gondor e non poteva rimproverare l'Uomo di aver creduto che l'Anello avrebbe potuto fare la differenza.

Si era commosso quando lo Hobbit gli aveva confidato i suoi pensieri e si chiese cosa avesse fatto di così bello da non meritarsi le ire dei suoi amici. L'aveva abbracciato con tutte le forze e Gandalf aveva riso, sollevato anche lui dalla saggezza di Pipino, per aver capito cosa fosse accaduto nella mente dell'Uomo.

Quella mattina Denethor aveva convocato prestissimo il Consiglio di Gondor e sia lui che i capitani ritenevano troppo grave la minaccia dal Sud, decidendo di presiedere le difese sul Rammas e sul Fiume, poiché se fossero crollate anche quelle Minas Tirith sarebbe stata assediata dalla marea nera di Mordor. A niente erano valse le proteste e le ragioni di Faramir, tanto meno quelle di Boromir, che solitamente veniva ascoltato. Denethor era troppo deluso dal suo primogenito per prestargli ascolto; così il fratello si era visto costretto a rimediare tutti i soldati che avevano intenzione di seguirlo e che potevano lasciare la città, e Boromir temette che quella sarebbe stata davvero l'ultima volta che avrebbe rivisto Faramir sulle sue gambe.

Si ritrovò davanti alla porta delle Case di Guarigione, dietro la quale Brethil probabilmente dormiva profondamente, ancora stanca per la lunga cavalcata. Poggiò la fronte contro il legno, sentendosi improvvisamente debole; poi aprì con lentezza la porta, tentando di non farla cigolare, ed entrò. Brethil riposava su un fianco, avvolta nelle coperte come un salame, e Boromir trovò la forza di sorridere. Avvicinò una sedia al letto e si sedette, osservandola per un poco. I corti capelli neri erano disordinati e un po' sporchi - probabilmente non aveva avuto la forza di farsi un bagno, il giorno prima, così si appuntò di avvertire Ioreth o chi per lei di prepararle la vasca appena si fosse svegliata. Controllò che il suo viso fosse rilassato, e non teso per qualche altro incubo riguardante la sua morte; ma era tranquilla e respirava con calma. Così si prese il permesso di chiudere gli occhi, solo per qualche minuto; incrociò le braccia al petto e sentì subito la testa farsi pesante. Neanche si rese conto che si addormentò pochi minuti dopo che ebbe poggiato il capo tra le braccia, sul bordo del letto. Era semplicemente distrutto.

Brethil si svegliò un'ora dopo, percependo forse la sua presenza e il respiro pesante, troppo debole per osare muovere un muscolo, tranne che le palpebre. La luce bassa del mattino, oscurata dalle nuvole ormai onnipresenti, non le diede la possibilità di capire che ore fossero. Ma c'era calma tutto intorno, e Ioreth non era piombata nella sua stanza, svegliandola con la sua parlantina, quindi dedusse che non dovessero essere neanche le nove. Si accorse di una figura profondamente addormentata sul bordo del letto e impiegò qualche secondo per metterla a fuoco. Riconobbe i capelli castani chiari, lisci e tagliati poco sopra le spalle, la divisa blu ed elegante che portava anche la notte scorsa, in cui l'Albero Bianco brillava per il contrasto sulla schiena.

Corrugò la fronte, più che perplessa. Cosa faceva Boromir nella sua stanza, addormentato sul suo letto? Non ricordava che si fosse avvicinato dopo averla salutata, prima di cena, né che l'avesse avvisata di una visita quella notte.

Sospirò e sorrise, reprimendo la voglia di stiracchiare i muscoli indolenziti per non svegliarlo. Volgeva metà del viso verso il suo e si ritrovò ad osservarne i lineamenti virili forse per la prima volta. Non si era mai soffermata a guardarlo con gli occhi di una donna, forse perché era stata troppo occupata a preoccuparsi per se stessa e per la salute del ferito, piuttosto che perdersi in sciocchezze del genere. Non aveva la bellezza e la regalità di Aragorn, ma c'era qualcosa in lui che lo rendeva affascinante. Forse era la cura con cui si rifiniva la barba; o forse era il suo modo di camminare, fiero e prestante; o il suo sorriso, così raro, eppure così dolce come quello di un bambino; o forse l'intensità di quegli occhi grigi che poteva immaginare nonostante fossero chiusi. Poteva leggervi di tutto in quelle iridi, come un libro aperto. Aveva capito lui stesso che non potesse tenerle nascosto niente di ciò che lo turbava, perché lei lo avrebbe capito comunque, anche solo osservando il movimento involontario delle sue narici, che si dilatavano quando era contrariato da qualcosa o da qualcuno.

Brethil si rese conto, non senza un certo timore, che si sarebbe potuta innamorare facilmente di uno come lui, che voleva proteggerla ed essere protetto a sua volta, che ricercava la sua presenza e il suo consiglio costantemente da quando si erano incontrati. Sì, sarebbe potuto accadere, se non fossero stati amici, se lui non fosse stato il figlio di un Sovrintendente, se lei non fosse stata una traditrice dal volto sfregiato e che non aveva niente di femminile se non il corpo. Quasi scoppiò a ridere a quell'idea bizzarra eppure tentatrice. Forse amava già Boromir, ma era l'amore che nutriva per Aragorn e per Halbarad, probabilmente. L'amore di un'amica. E lì si sarebbe dovuta fermare.

«Per tutti i Valar, mio signore! Cosa stai facendo?» esclamò Ioreth, entrata senza che lei neanche si accorgesse della porta che veniva aperta. Brethil osservò la vecchia, braccia sui fianchi e cipiglio severo in viso, mentre Boromir saltava sulla sedia e rischiava di capottarsi per lo spavento.

La Dùnadan quasi scoppiò a ridere nel vedergli il viso ancora scioccato dal sonno e dal repentino risveglio. «Buon giorno, mio signore.» gli disse, ricordando un po' delle buone maniere che avrebbe dovuto usare in quei giorni.

Boromir le lanciò un'occhiataccia, ma non obiettò. «Ioreth, amica mia, temo che il tuo risveglio sia stato udito per tutte le cerchie della città.» borbottò l'Uomo, alzandosi e riponendo la sedia al suo posto.

Quella, d'altro canto, non si lasciò intimidire. «Mio signore, non è decoroso che io ti trovi nella stanza della nostra ospite, scompostamente addormentato sul suo letto! Hai una stanza anche tu, sire, e sarebbe bene che la usassi.»

Incassando il colpo, Boromir annuì e si voltò verso la Dùnadan, che aveva ancora un delizioso sorriso sulle labbra. «Dama Brethil, ti chiedo scusa se ti ho offesa in qualche modo. Ma stavo...» Non ebbe il tempo di finire la frase, che la vecchia guaritrice lo aveva spinto non troppo gentilmente verso la porta e si era ritrovato fuori dalla stanza senza che se ne accorgesse. «Sono questi i modi in cui tratti il figlio del Sovrintendente?» chiese Boromir. Sentì Ioreth rispondere qualcosa sull'uguaglianza tra gli indisciplinati e se ne andò ridendo. Forse avrebbe avuto qualche altra ora per riposarsi prima che il padre lo mandasse a chiamare per un altro Consiglio.

Brethil si ritrovò nelle grinfie di Ioreth, che la controllò per bene e la fece camminare per tutta la stanza, assicurandosi che non ondeggiasse troppo per le vertigini della stanchezza. Poi sparì per ordinare di prepararle una colazione sostanziosa, e tornò con una ragazzetta di massimo diciassette anni, dai capelli bruni e ritirati in una crocchia, nascosta da un copricapo bianco.

«Lei è Rainiel, si occuperà del tuo bagno e di tutto ciò di cui avrai bisogno. Ho preso la libertà di rubarti per un poco i tuoi indumenti per capire che misure hai, così da poter trovare un abito per quest'oggi.»

La Dùnadan osservò la vecchia, perplessa. «Abito?»

«Ragazza mia, non penserai di presentarti a sire Denethor con quegli stracci vecchi, per caso?» esclamò Ioreth.

«Preferirei di sì, mi troverei più a mio agio con quelli.» ribatté Brethil. «Con una ripulita posso essere presentabile.»

La guaritrice scambiò un'occhiata sbalordita con la ragazzina di nome Rainiel, che non osava intromettersi. «Non ti lascerò uscire da questa stanza finché non vedo che sia veramente presentabile. E quando dico presentabile intendo con i capelli acconciati - in qualche modo, visto che sono più corti di quelli di sire Faramir, per Eru! - e con un abito femminile, ragazza mia. Non sarebbe opportuno che sire Boromir venisse ad accompagnarti per il pranzo e prendesse sotto braccio una che pare un uomo! Che cosa si racconterebbe per la città?»

Brethil tentò di protestare, ma la vecchia se n'era già andata, così da rimanere sola con Rainiel, che teneva ostinatamente il capo chino, timida e forse intimidita dalla donna che aveva di fronte.

«Mia signora, se volessi seguirmi ti mostrerei la vasca. L'ho riempita di acqua calda, spero che la temperatura vada bene.»

«Aspetta.» La donna le poggiò una mano sulla spalla, per reggersi e per bloccarla. «Non chiamarmi in quel modo. Non sono la signora di nessuno, né sono una persona importante. Chiamami solo Brethil.»

Rainiel ci pensò un po'. «Hai salvato sire Boromir, mia signora Brethil?»

«Sì, mi sono presa cura di lui per qualche tempo.»

«Allora meriti tutto il rispetto che conosca, mia signora.» disse l'ancella, seriamente convinta di ciò che diceva. «Ora, se vuoi seguirmi, non è molto lontano.»

Brethil rinunciò a qualsiasi replica e si fece accompagnare alla vasca. La stanza era ampia e una trifora bucava elegantemente il muro per farvi entrare luce e aria. La tinozza era al centro, mentre intorno c'erano pochi mobili. Su uno di questi Rainiel le indicò il telo per asciugarsi e una sottoveste pulita e bianca, molto simile a quella che già indossava.

«Se necessiti di qualcosa, qualsiasi cosa, io sono proprio fuori dalla porta, mia signora.»

Brethil annuì, attendendo che se ne andasse; poi lasciò cadere la vestaglia e si immerse nell'acqua calda, sentendo immediatamente tutti i muscoli del corpo distendersi sotto quella piacevole sensazione. Da quanto non faceva un bagno così rilassante? Quasi non ricordava l'ultimo. Forse era qualche mese prima, di ritorno da una spedizione con Éomer e la sua éored. Erano stanchi e deperiti, perché si erano dovuti attardare troppo tempo lontano da Edoras e le scorte scarseggiavano. Quando avevano raggiunto la città la prima cosa che avevano fatto fu di imbandire un sontuoso banchetto e di festeggiare le loro gesta ai confini della regione; poi, mentre i soldati tornavano alle loro abitazioni e dalle loro famiglie, Éomer e Brethil si erano recati ai bagni, dove le ancelle avevano già preparato le loro vasche, rimanendo ammollo finché l'acqua non era diventata troppo tiepida da farli intirizzire.

La Dùnadan pensò all'Uomo e si chiese dove fosse e come stesse. Avrebbe voluto continuare a servirlo e a prestargli il suo aiuto ancora per qualche tempo, così come avrebbe seguito Aragorn verso i Sentieri dei Morti, ovunque questi la portassero. Ma sapeva che il luogo più agognato dal suo cuore era quello dove stava in quel momento, accanto a Boromir.

Si lavò con calma, poi uscì dalla vasca rabbrividendo e si strinse contro il telo per cercare un po' di calore. Quando fu coperta dalla sottoveste, Brethil aprì la porta e trovò subito Rainiel pronta a riaccompagnarla alla sua stanza nelle Case di Guarigione.

«Appena ti rimetterai, abbiamo già pronta una stanza più adatta a te, mia signora. Sire Boromir l'ha scelta di persona.» le spiegò l'ancella. «Si trova nella Cittadella, vicino agli appartamenti di Mithrandir e del Mezzuomo Peregrino.»

Brethil non rispose, ma si limitò ad annuire. Quando tornarono alla sua camera e vide l'abito piegato e pulito poggiato sul letto rimase interdetta. Lo prese tra le mani, meravigliandosi di quanto morbido fosse il tessuto blu, e ne osservò i ricami dorati che incorniciavano lo scollo e le maniche, strette solo fino al gomito. «Non posso indossarlo.»

L'altra la guardò con tanto d'occhi. «Dovete, mia signora. Starete d'incanto.»

«No, sarò ridicola.» sospirò la Dùnadan, riponendolo sul letto e sedendosi accanto. «Non sono abituata a vestire così, Rainiel, né ho il portamento per indossare un abito del genere.» E in quel momento pensò ad Éowyn, sorella di Éomer, battagliera e dal cuore impavido, eppure così bella e fragile. Avrebbe voluto essere come lei, in quel momento.

«Mia signora, non c'è niente in te che non vada.» tentò Rainiel, per persuaderla. «Non so che vita abbia fatto, ma ho visto le armi che porti e la durezza nei tuoi occhi che forse hanno visto troppo per una donna. Ma sei anche altera e regale, sebbene non te ne renda conto; sei stanca eppure continui a camminare con la schiena ritta. Sembrerai una regina se solo mi permetterai di aiutarti.»

«Ho altra scelta?» chiese più a se stessa e divertendo la ragazza. Suo malgrado sorrise anche lei e, dopo aver mangiato, si lasciò alle cure di Rainiel, che le fece infilare l'abito. Osservò le maniche larghe, così come la gonna che sfiorava il pavimento, e si chiese quanti passi avrebbe potuto fare prima di inciampare sul tessuto.

«Hai già un altro aspetto, mia signora. Guardati.» Rainiel le avvicinò uno specchio e Brethil si guardò riflessa dopo un'infinità di tempo. Rimase senza parole nel rivedere quel suo orribile viso dopo mesi, segnato dalle battaglie, dalla stanchezza e da quel ricordo lacerante come le unghie di Gollum che affondavano nella sua carne. Sicuramente aveva un altro aspetto, sembrava invecchiata terribilmente in quell'ultimo anno.

Rainiel la fece sedere davanti allo specchio e le pettinò i corti capelli neri con dolcezza, per non tirarglieli quando incontrava nodi. «Perché li tieni così, mia signora?» le domandò, incuriosita.

«Perché spendo la mia vita tra i soldati e a volte è meglio sembrare un uomo, piuttosto che mostrare la mia vera identità.» rispose. «E poi i capelli lunghi sono fastidiosi in battaglia.»

«Hai combattuto molto, mia signora?»

Brethil rise, senza allegria. «Più di qualche uomo, forse.»

«Perché?»

«Quanto a lungo dovrai interrogarmi?» domandò la Dùnadan, ora ridendo sul serio.

Vide la ragazzina riflessa sullo specchio arrossire velocemente. «Chiedo perdono se ti ho recato fastidio, mia signora.»

«Risponderò alle tue domande solo se smetti di chiamarmi in quel modo. Almeno in privato.»

«Ma, mia signora...»

«Rainiel...»

Le due si osservarono per qualche secondo sul riflesso, poi l'ancella vide un sorriso benevolo sul volto della sua signora, e annuì, sconfitta. Così Brethil le raccontò chi fosse e cosa avesse fatto per tutta la vita, prima di andare a Rohan. Non le disse, ovviamente, il motivo per cui aveva lasciato i suoi più cari compagni al Nord, né dovette inventare qualche storia, perché Rainiel non fece domande in proposito. Era troppo incuriosita e stupita da quel racconto che non riusciva a smettere di immaginare quella donna combattere con Uomini ed Elfi. Elfi, per Eru! Non ne aveva mai visto neppure uno!

«Sei giovane, Rainiel, se supereremo questo momento è probabile che ne vedrai più di quanti ne abbia mai sognato.» le disse Brethil. La sua mente volò subito verso Elladan e Elrohir. Avrebbe tanto voluto averli accanto per consolarla e consigliarla. La saggezza e la spensieratezza dei gemelli sarebbero stati preziosi in momenti come quelli.

«Ecco, ora sei presentabile.» disse Rainiel, risvegliandola dai suoi pensieri.

Brethil si osservò allo specchio e, nonostante fosse restia ad ammetterlo, l'ancella diceva il vero. I capelli pettinati e puliti sembravano avere un altro aspetto - Rainiel aveva tentato di metterle un leggero diadema in mithril ma per lei era veramente troppo - e l'abito era bellissimo, troppo bello per essere indossato da una come lei. Oh, quanto ringraziava il fatto che Aragorn, Halbarad o i gemelli non potessero vederla così acconciata!

La mattinata proseguì lentamente, troppo lentamente per i tempi di Brethil. Non era mai stata troppo tempo con le mani in mano e odiava non potersi rendere utile in qualche modo; avrebbe voluto esplorare la città, allenarsi con la sua spada o con l'arco per tenersi in forma, o informarsi della situazione ad

«E tu, sei sposata?» domandò Rainiel, che con tanta fatica riusciva ad evitare di aggiungere quel mia signora alla fine di ogni frase.

«Sposata? Oh, no.» Brethil quasi scoppiò a ridere. «Non ho mai avuto il tempo per trovare un marito... né qualcuno che volesse diventarlo.»

«Ma ti sposerai un giorno?»

L'altra scosse il capo. «È una domanda che non mi sono mai posta, tanto meno me lo domando ora. Non con questo viso.»

«Il tuo viso non ha niente di brutto.» Rainiel la guardò quasi con durezza, sebbene non osasse approfittare così tanto di quello strano momento di confidenze. «Non ci si ferma all'aspetto esteriore. Insomma, ammetto di essere rimasta... spaventata da quelle cicatrici, ma non perché mi impressionano i tagli. Piuttosto mi sono chiesta quale orribile storia ci sia dietro e ho provato paura e pena per te, qualunque cosa abbia vissuto. Non so se mi spiego, mia... Brethil.» si corresse all'ultimo momento, ridacchiando e arrossendo.

«Ti sei spiegata perfettamente, amica mia.» le rispose la donna, sorridendo.

Qualcuno diede tre colpi di nocche alla porta, interrompendo il loro discorso. Rainiel si alzò velocemente, controllando di chi si trattasse, e s'inchinò appena riconobbe Boromir. «Mio signore, dama Brethil non ti aspettava prima di un'ora, ma è pronta.» Si mise in un lato dell'uscio per permettere all'Uomo di entrare.

Quando Brethil si voltò a guardarlo e si alzò per salutarlo, Boromir rimase senza parole. E per la prima volta, da quando la conosceva, vide in lei una donna. Non una combattente, non una Raminga abituata a vivere all'aperto. Ma una donna. Che aveva orribili capelli corti, cicatrici sul viso stanco e combattuto e le mani callose di una che non faceva altro nella vita che brandire una spada. Ma pur sempre una donna. E gli piacque.

«Ti prego, non dire niente. È già imbarazzante così.» fece lei, lisciandosi il tessuto dell'abito e tenendo ostinatamente lo sguardo verso il basso, temendo di trovare gli occhi divertiti dell'Uomo.

Ma Boromir non rideva di lei, né aveva intenzione di farlo. Rimase semplicemente fermo ad osservarla, poi sorrise. «Sei bella, invece. Non devi vergognartene.» Le si avvicinò, sollevandole il capo e accorgendosi del rossore sulle guance martoriate. Poi, ricordandosi della presenza dell'ancella, si schiarì la voce, ritirò la mano e le porse un braccio. «Sarei onorato se passeggiassi con me per un po', prima del pranzo. A meno che non ti senta ancora stanca, dama Brethil

«No, ti seguo volentieri, mio signore. Ho bisogno di camminare un po'.» Posò riluttante una mano sul braccio di lui, che le sorrise. Poi si voltò verso Rainiel e la ringraziò della compagnia. Quella s'inchinò e attese che i due uscissero per lasciare la stanza.

L'aria calda e opprimente che giungeva da Est ricordò loro della minaccia perenne proveniente da quelle nere montagne, ma in quel momento Brethil si sentiva terribilmente a disagio per altri motivi. Era rigida e, nonostante la presa sul braccio di Boromir, temeva di cadere da un momento all'altro, sia per le vertigini che per l'abito. E, come se non bastasse, sembrava che tutti gli occhi che incontrasse fossero puntati su di lei.

Boromir si accorse del suo imbarazzo e si voltò a guardarla, mentre passeggiavano per il giardino tranquillo delle Case di Guarigione. «C'è qualcosa che posso fare per farti sentire meglio?»

«No, niente, stai tranquillo. Solo che non sono abituata.»

«È solo per poche ore, resisti.» disse l'Uomo, portando una mano su quella di lei, che gli stringeva la manica del completo nero con forza. «E non c'è niente imbarazzante, Brethil. Ti osservano solo perché nessuno ti conosce.»

«Non perché temo di inciampare un passo dopo l'altro?» domandò la donna, con malcelata ironia.

Boromir rise. «Stai pure tranquilla, se dovessi inciampare sarò pronto a sorreggerti.»

Rimasero in silenzio per un poco, poi lei volle togliersi una curiosità. «Stamattina sei venuto nella mia stanza e ti sei addormentato sul letto, in quella scomoda posizione. Non hai per caso una stanza dove riposare, mio signore?»

Il tono sarcastico con cui lo chiamò in quel modo lo fece sorridere. «In realtà sì, ho una camera piuttosto accogliente e un letto altrettanto comodo, nel Sesto Cerchio.»

«Dunque?»

«Speravo inutilmente di trovarti sveglia.» le confessò Boromir. «Ho avuto una lunga serata ieri, e non sono riuscito a dormire. Mio padre ha scoperto dell'Anello e del mio comportamento inglorioso; Faramir gli ha raccontato di aver incontrato Frodo e Sam e di averli lasciati andare, e puoi immaginare come abbia preso una simile notizia. Era infuriato, persino con me, tanto da non ascoltarmi questa mattina e da spedire Faramir verso il Rammas. Le mie preoccupazioni sono aumentate con la sua partenza. Non ho avuto quasi il tempo di chiedergli come si sentiva. Era distrutto, molto più di me, e non ha potuto trovare il riposo che cercava. Avrei voluto prendere il suo posto, ma egli è il Capitano dei Raminghi dell'Ithilien, spettava a lui partire. E mio padre non mi avrebbe permesso di proteggerlo ulteriormente.»

«Neanche tu puoi stancarti più di quanto il tuo corpo possa sopportare, Boromir. Sei ancora indebolito, sebbene forse non te ne renda conto e voglia renderti utile per la tua città da non farti pesare la fatica. E credo che tuo fratello, se ti somiglia un poco, non si farà sopraffare dalla stanchezza, non prima di terminare la sua missione.»

«Egli è molto più simile a nostro padre di quanto entrambi credano. È nobile e regale, astuto e amato. Io sono sempre stato il soldatino.»

«Ugualmente amato, immagino.»

«Sì, hai ragione.» Un sorriso apparve sulle sue labbra. «Ma avrei preferito avere parte della loro forza interiore in altre situazioni.»

Brethil sospirò pesantemente, facendogli capire che quel discorso sarebbe dovuto essere chiuso e sepolto da parecchio, ormai. «Ti stupisce che tuo padre si sia adirato?»

L'Uomo si fermò davanti ad una panca, incassata sul bastione, e che dava verso sud, verso il lontano mare. Brethil si sedette e lo guardò, attendendo che parlasse. Vide un'espressione accigliata e, nel contempo, spaventata sul suo bel volto, e temette di aver posto la domanda sbagliata.

Poi Boromir si accomodò accanto a lei, guardando la città sotto di sé. «In realtà mi ha stupito il fatto che si sia adirato per non aver preso l'Anello, non per la mia debolezza.» Brethil spalancò gli occhi, ma lui si affrettò a prendere le difese del padre. «Non lo biasimo, Brethil, anche lui crede che possa aiutare le sorti di Gondor a volgere verso la vittoria. Anche lui ha dovuto sopportare la morte di centinaia di Uomini del suo popolo. Non gli addosso la colpa di desiderare la pace che nessuno di noi ha conosciuto. Il suo desiderio era di tenerlo al sicuro, non spedirlo verso la disfatta. Avrebbe voluto nasconderlo, utilizzarlo solo nei momenti di massima necessità. Ma sono felice che così non sia. Né lui, né tanto meno io avremmo potuto resistere al suo richiamo. Persino celandolo nei meandri della terra ci avrebbe chiamati e portati alla follia. Denethor se ne farà una ragione, prima o poi.»

Brethil sorrise. «Sono fiera di te, Boromir. Dici di non avere la forza interiore come tuo fratello, eppure le tue parole dicono il contrario. Un Uomo che fosse corrotto nel profondo dell'anima non parlerebbe così.»

«Ma continuo ad anelarlo...»

«Nei remoti angoli della tua mente. Ora il tuo desiderio più grande è combattere per difendere la tua città, e sai che l'Anello non è l'arma da usare. Solo tu, con tuo fratello e i tuoi uomini potete salvare Minas Tirith. Astuzia, spade, frecce e catapulte, nient'altro.»

«E non dimentichiamoci che noi abbiamo il Cavaliere Bianco!» fece una voce squillante, interrompendoli. Pipino comparve davanti ai loro occhi, chinandosi per salutarli rispettosamente come si confà ad un importante membro della Cittadella. «Miei signori, sire Denethor e i suoi ospiti vi attendono per il pranzo. Sono passato davanti alle cucine e ho dato una sbirciatina: carne di pollo arrosto e bistecche di vitello in umido, una vera delizia!»

Boromir rise e si alzò, scompigliandogli i capelli riccioluti. «Farò in modo che ne venga lasciato un poco per te, amico mio. Il banchetto della mensa, purtroppo, non è sontuoso come quello di mio padre, se ben ricordo.» Poi porse una mano alla donna, che l'accettò e si alzò, e insieme andarono verso la Casa del Re.

Pipino si accorse solo in quel momento di Brethil e di quanto quell'abito la rendesse graziosa, e non mancò di farglielo notare, con incredibile candore. «Se Merry fosse con me mi tirerebbe una gomitata per farmi tacere, ma sembri veramente una signora di corte.» le disse, camminando accanto a lei. «Sì, insomma, con questo non voglio dire che non sembrassi una donna anche prima, ma ecco... sei meno inquietante.»

Con una risata divertita, Brethil prese per mano lo Hobbit, che rise con lei sollevato di non averla offesa in alcun modo, e strizzò l'occhio a Boromir, che scuoteva mestamente il capo e, probabilmente, si chiedeva come avesse potuto esprimere a voce alta un pensiero simile.

Ma se Pipino e l'uomo fossero tranquilli, Oscurità a parte, così non era per Brethil: ogni singolo passo che portava la donna verso la sala dove avrebbero pranzato la faceva sentire sempre più pesante e il pressante istinto di tornare indietro nella sicurezza della sua stanza alle Case di Guarigione diventò insostenibile. Si sentiva inadeguata per un palazzo simile, per persone importanti come Denethor e i suoi ospiti, fuori luogo per quei suoi modi rozzi di chi aveva sempre vissuto all'ombra degli alberi. E se avesse detto o fatto qualcosa di sconveniente? La presenza di Boromir e, sperò, di Gandalf sarebbe bastata a farla sentire al riparo da qualsiasi problema?

Venne risvegliata dalle sue preoccupazioni quando non avvertì più la piccola mano di Pipino nella sua, poiché aveva accelerato il passo per precederli e annunciare il loro arrivo in sala, come il miglior paggio del re. Avvertì immediatamente nove paia d'occhi su di sé, ma due iridi in particolare la fecero rabbrividire di rispetto e timore. Denethor era del tutto simile a Boromir, fiero nello sguardo e nel portamento, seppur ricurvo dagli anni che avanzavano e dalle preoccupazioni. Sul suo viso altero si leggeva saggezza e per un attimo Brethil temette che riuscisse a comprendere la sua anima solo osservandola; percepì quegli occhi chiari e sottili sulle sue cicatrici e si domandò cosa stesse pensando il Sovrintendente di quelle piaghe. Poi si alzò dal suo piccolo trono a capo tavola, accanto ad uno più grande e vuoto riservato al Re, ed allargò le braccia, in un sorriso che pareva più un ghigno tra le rughe del viso.

«Sia benvenuta nella mia dimora la donna che salvò mio figlio dalla morte! Io, Denethor figlio di Ecthelion II e Sovrintendente di Gondor, ti porgo i miei omaggi e i miei più sentiti ringraziamenti, Brethil figlia di Aeglos.» disse l'Uomo. «Ti prego di sederti nelle vicinanze della mia sedia, cosicché possiamo discorrere durante il pasto, tra una tattica di guerra e l'altra, se ciò ti aggrada.»

Brethil accennò un goffo inchino, che non sfuggì all'occhio attento dell'Uomo. «Ne sarei onorata. Parlerò con te volentieri, mio signore.»

La presenza rassicurante di Boromir al suo fianco sparì quando prese posto, ma lui non si allontanò troppo, sedendosi tra il padre e Gandalf, pensieroso e silenzioso. Fu solo dopo essersi accomodata e dopo aver abbandonato momentaneamente lo sguardo di Denethor, che si accorse delle altre persone presenti intorno alla tavola. Erano importanti signori e sovrani di terre alleate, infagottati nei loro migliori completi, dagli stemmi delle proprie case ben visibili sui petti; non ne riconobbe uno, poiché non era molto informata sulle alleanze e sulle regioni di Gondor, ma Denethor non tardò a presentarle ogni singolo ospite. Fu così che fece la conoscenza di Duinhir e dei suoi figli Duilin e Derufin, dalla terra di Morthond, coetanei di Boromir ma dal viso più giovane e rilassato - in un certo senso le ricordavano i gemelli di Gran Burrone; e c'era il signore di Golasgil, Anfalas, forse l'Uomo più rustico tra i presenti, vestito di un completo in pelle marrone, a ricordare le origini campestri della sua terra; c'era Dervorin, della Valle del Ringló, e il famoso Forlong il Grasso, signore di Lossarnach, un uomo robusto e dalla lunga barba curata che rendeva il suo viso ancora più rotondo di quanto non fosse; Hirluin il Bello, delle Verdi Colline di Pin-nath Gelin, forse il più giovane tra i presenti; e infine Imrahil, Principe di Dol Amroth e zio di Boromir, nonché fratello della sua defunta madre: egli era anziano, eppure bello e vigoroso come Aragorn, poiché nel suo sangue scorreva parte dell'antico sangue elfico che, generazioni prima, si era mischiato a quello mortale degli Uomini.

Fu proprio Imrahil ad alzarsi in suo onore, prendendo un bicchiere e sollevandolo per un brindisi. «Si dice che gli Uomini siano nati per la guerra e per proteggere i più deboli dalle angherie dei nemici, eppure sono sorpreso e felice di vedere con i miei occhi che questo non sempre si rivela essere veritiero. Meriti tutto il mio rispetto e la mia gratitudine, dama Brethil. Mio nipote non sarebbe qui con noi oggi, se non fosse stato per te.»

La donna arrossì visibilmente e chinò il capo. «Tuo nipote è un uomo forte e caparbio. È soprattutto grazie a questo che cammina ancora sulle sue gambe.»

«Fosse stato forte come speravo, avrebbe portato a termine la missione che gli affidai, mesi addietro.» sussurrò quasi a se stesso e con risentimento Denethor, regalando un'occhiata delusa e irata nel contempo al figlio, che chinò il capo.

«Non dubito della tua parola, poiché conosco Boromir e immagino che ti avrà dato parecchi problemi in via di guarigione.» disse Imrahil, sorridendo al nipote e fingendo di non aver sentito le parole del Sovrintendente. «Ma non sentirti a disagio. La modestia, qui, non serve se hai compiuto gesta che verranno ricordate per sempre. Un brindisi a Brethil, figlia di Aeglos!»

La Dùnadan incontrò lo sguardo di Boromir e lui le sorrise dietro la coppa di vino. Poi l'Uomo tornò assorto nei suoi pensieri, volando con la mente accanto al fratello e alla guerra imminente.

Il pranzo proseguì tra i discorsi di guerra e strategie militari. Denethor domandò ad ognuno dei dignitari quali fossero le loro idee su come agire, quali postazioni avrebbero preso e come avrebbero diretto la difesa, e lui ascoltò ogni loro parola, studiando la loro gestualità e i loro sguardi per meglio comprendere le loro intenzioni. Brethil notò che quando il Sovrintendente era seccato la mascella gli si contraeva, così come le narici si dilatavano, perfetta copia del figlio; ma quando ciò che udiva fosse stato di suo gradimento, allora i suoi occhi brillavano e un sorriso ghignante gli increspava le labbra. A prima vista poteva sembrare inquietante, ma Denethor era un uomo saggio e calcolatore, e l'espressione contrita del suo volto era solo segnata dalle numerose preoccupazioni che l'avevano afflitto durante gli anni. La Dùnadan aveva inoltre notato, non senza un certo timore, che troppo spesso l'Uomo si voltava ad osservarla con insistenza, come a volerle scrutare l'anima con quei suoi profondi occhi chiari. Era evidente che fosse incuriosito da lei e probabilmente si chiedeva morbosamente chi fosse in realtà, da dove venisse e come si fosse procurata quelle ferite in viso. Sperò vivamente che non avesse il tempo sufficiente per sottoporla ad un interrogatorio, ma purtroppo il pranzo durò abbastanza da soddisfare la sua curiosità.

E così, cortese come si raccontava per le strade della Città Bianca, Denethor posò il bicchiere di vino e incrociò lo sguardo della donna con un sorriso. «Pare che anche tu sia una guerriera, dama Brethil. Sarei curioso e interessato di sapere quali siano le tue opinioni riguardo la difesa della città.»

Brethil si schiarì la voce, tentando di sostenere lo sguardo dell'Uomo. Nessuno mai prima di allora era riuscito a metterla in così tanta soggezione. «Mi dispiace doverti deludere, mio signore, ma non conosco così bene il territorio di Gondor, né la vostra bella città, per azzardare ipotesi difensive. Se conoscessi le distanze da qui ad Osgiliath, o i pendii e i corsi d'acqua che percorrono queste terre, allora forse potrei tentare di  supporre qualcosa.»

«Ti verrà data una carta, dunque, che potrai studiare dopo il pranzo, così da poterne discutere insieme più tardi.» disse Denethor, con quello che sembrava più un ordine piuttosto che un favore. «Ma ora dimmi, mia signora, perché mai una donna dovrebbe imparare a brandire una spada, mi domando?»

Brethil scambiò una rapida occhiata con Boromir e Gandalf; quest'ultimo chinò lievemente la testa per incoraggiarla a parlare e a non farsi intimidire. Così tornò a guardare il Sovrintendente, e disse con voce ferma: «Non riesco a vedere il motivo per cui non dovrebbe imparare a difendere la sua terra.»

L'altro sembrò colpito e si poggiò contro lo schienale del suo piccolo seggio. «Ma da quanto mi ha raccontato Boromir tu non hai difeso solo la tua terra. O sei di Rohan?»

«Boromir ha detto il vero, mio signore. No, non sono di Rohan, ma ho servito Re Théoden per qualche tempo.»

«Sei dunque una mercenaria?» domandò Anfalas, facendola voltare.

«No, non lo sono. La mia terra si trova al Nord, nello scomparso reame di Arnor.» disse Brethil, non nascondendo la fierezza delle sue origini. «Ma la mia vita mi ha portato anche lontano dalle mie terre, e poiché sono cresciuta in un ambiente in cui bisogna sopravvivere e difendersi, sopra ogni cosa, e aiutare i propri alleati se ne hanno necessità, ho dato la mia spada in servizio di Re Théoden, così come a Re Thranduril, di Bosco Atro.»

Un lieve vociferare sorpreso si levò tra i commensali, stupiti del fatto che avesse conosciuto e addirittura servito il Re degli Elfi Silvani. «Devi avere incredibili doti, mia signora, se due così importanti personalità abbiano accettato la tua presenza tra le loro legioni.» fece Duilin, figlio di Duinhir.

Brethil chinò il capo in segno di ringraziamento, ma non disse niente in suo favore o discapito. L'ambiente prettamente maschilista di quella stanza la faceva soffocare e sentire inadeguata, e non vedeva l'ora che Denethor dichiarasse concluso il pranzo. Non le era mai pesato il fatto di essere una donna in un ambiente di soli uomini, almeno non così tanto. Tutti i soldati che aveva incontrato e con cui aveva scambiato due parole erano sufficientemente intelligenti da capire che una spada in più, se ben usata, era sempre meglio che una in meno, sia che fosse brandita da una donna o da un ragazzetto. Eppure pareva che a Gondor questo fosse considerato strano, forse anche offensivo. Una donna non doveva, infatti, badare solo alla famiglia e alla casa? Una smorfia sfuggì al suo controllo e Denethor la colse immediatamente.

«Mi dispiace se le nostre domande ti recano disturbo, dama Brethil.» disse l'Uomo. «Ma qui, come avrai ben capito, la guerra è un'arte di soli uomini.»

«Sì, l'avevo notato e comprendo il vostro stupore, sebbene non ne condivida le ragioni.» Brethil scosse il capo. «Una donna non può combattere come un uomo? Una donna non ha forse le stesse braccia, le stesse gambe e la stessa forza di volontà di un uomo? Perché privarci di un aiuto in più?»

«Perché le donne sono deboli, con il dovuto rispetto.» fece Forlong il Grasso, addentando un pezzo di carne. «Possono avere una mente astuta, questo è vero, ma il loro corpo non potrà sostenere giorni interi di battaglie. Questo è un dato di fatto.»

«No, è un dato errato.» Brethil sorrise alla vista delle guance paffute e rosse dell'Uomo. «A Rohan le donne vengono addestrate come gli uomini, poiché il loro compito è quello di difendere la propria famiglia, prima della loro terra. E vi assicuro che molte di loro hanno visto numerose albe prima di smettere di combattere. E tra gli Elfi non vi è addirittura alcuna distinzione di sesso, quando ci si reca in guerra. Non giudicate un guerriero dal fatto che porti calzari o gonnelle, signori. Non credo che sia un metro di giudizio corretto, il vostro.»

Boromir trattenne un sorriso di fronte all'ostinatezza e alla risolutezza con cui si difendeva Brethil da quei piccoli attacchi di orgoglio maschile. Guardò il padre e si rese conto che anche lui fosse rimasto piacevolmente impressionato dalla donna, nonostante sembrasse che stesse facendo di tutto per farla inciampare sulle proprie parole. Ma Boromir conosceva Denethor e sapeva per certo che quello fosse un piccolo test per conoscere la loro ospite e metterla alla prova. Probabilmente, nei loro prossimi incontri avrebbe dato libero sfogo alla sua curiosità senza malizia alcuna.

«Molto bene, dunque.» disse il Sovrintendente. «Parlaci di Rohan e del tuo servizio ai nostri cari alleati, dama Brethil. Gandalf mi ha parlato della battaglia al Fosso di Helm, eri presente anche tu?»

«Solo per una breve parte, poiché ero impegnata sul fronte occidentale, ai Guadi dell'Isen.» spiegò la donna. Denethor la esortò a parlare e lei, dopo un breve respiro di conforto, iniziò a raccontare di quei lunghi giorni.

 

 

 

*

 

Grazie a tutti i lettori!

A presto,

Marta.

   
 
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