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Autore: neme_    25/05/2012    6 recensioni
« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.
Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino. »

Lavi è uno scrittore di successo, Rukia un'attrice. I due, come molti altri personaggi, usano rifugiarsi in un atipico giardino chiamato Hortum Septentriones. I destini di Lavi e Rukia e degli altri personaggi si incroceranno in questo viale. Perché sono tutti cercatori.
[Crossover][LaviRuki][Altri crack pairing][Het][Yaoi][Lime][AU][Introspettivo][Possibile OOC][Slice of life]
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Angolino: il nome d'arte che Rukia usa, Mai Shirafune, è tratto dal terzo attacco di Sode no Shirayuki: san no mai, shirafune. Mi è sembrato un nome d'arte adatto a lei. Deak invece era il nome che Lavi usava durante la sua quarantottesima registrazione, prima di unirsi all'Ordine Oscuro. Buona lettura!





Hortum septentriones





Uno





Tu, complice
Lei, astro
Noi, cercatori





« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.


Hortum septentriones »





« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.

Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino. »





Rukia soffia debolmente sulle mani, la bocca si intravvede appena dalla sciarpa in chiffon nera e stropicciata. È ormai una prassi per lei camminare sulle strade ciottolate del viale che pare infinito, in qualunque momento senta il bisogno di farlo. Fra le tante qualità di quel posto c'è la sicurezza di trovarlo sempre disponibile, aperto a tutti, a qualunque ora rintoccata da quel singolare orologio a forma di stella. È facile capire perché si chiami “Hortum Septentriones”, il giardino della stella polare. Non è dovuto solamente a quell'astro roteante o al verde che quasi inghiotte la ghiaia, ma in particolar modo per il compito implicito che ha il luogo. Lo si può tranquillamente considerare un punto di riferimento, come lo era stata la vera stella polare, altrimenti nota come Polaris, per i naviganti. È il classico posto dove trovi bancarelle, artisti di strada, gente che acquista, curiosi, ma già all'ingresso, di fronte ai cancelli sempre aperti per poter accogliere chiunque, ci si rende facilmente conto di ciò che realmente rappresenta. Una presentazione veloce, perfino un po' criptica, e di seguito delle rassicurazioni e delle regole. Se ci si vuole addentrare nel giardino, bisogna prestare moltissima attenzione a ciò che recita il manifesto. Rukia non ha più bisogno di leggerlo, ricorda perfettamente tutto quanto ed è grata a chi ha creato quel posto, unico nel suo genere, dove può camminare senza preoccuparsi delle conseguenze delle proprie azioni. È lì che fa compere, non in negozi all'ultima moda, lì incontra persone che non le fanno pesare il proprio status sociale. Il solo posto dove si sente qualcosa di diverso. Il che è paradossale, vista la sua professione.

Colui che ha creato questo giardino era di certo singolare, anche bizzarro se vogliamo, ma lei non ci bada, ne ha viste di cose strane e non le dispiace. In qualche modo si sente a casa, probabilmente anche il fondatore di quel luogo era alla ricerca di una casa e, possibilmente, di non viverci da solo. E chissà quale soddisfazione, nel vedere tutta quella gente passeggiare da mattina a sera, fino a notte fonda e magari fino al mattino seguente. Feste, balli, ritrovi, incontri fugaci, giochi di sguardi, l'Hortum Septentriones amplifica con estrema facilità e naturalezza tutto questo e le cuce su misura per l'anima vagante che si è addentrata in lui. Ti permette di fare incontri straordinari. Non importa cosa cerchi, lì lo troverai sicuramente, perché sarai tu a crearlo, così recita uno degli avvertimenti del manifesto. Grazie alle bancarelle che si trovano in ogni angolo si può trovare qualunque vestito o accessorio, ci sono bar e ristoranti ovunque dove puoi mangiare ciò che desideri, anche la cosa più stravagante, poi panchine, fontane, addirittura piccolissime locande per fermarsi una notte. E si possono trovare anche le persone. Certo, come in tutti i casi, dipende dalle circostanze. Chi vuole essere trovato, comunque, ne ha la possibilità, attraverso un registro che si trova a metà strada. Chiunque può scrivere il proprio nome -o anche uno pseudonimo, a propria discrezione- con affianco l'indirizzo, il numero di telefono, l'e-mail, oppure la locanda, il bar, la panchina su cui si è diretti e non importa se non li raggiunge nessuno, quelli che scrivono lì sopra aspettano e dalle facce che hanno all'uscita si direbbero soddisfatti. Per alcuni potrebbe sembrare un modo antiquato e squallido di trovare l'anima gemella, fuori moda visto che ormai si vive nella società della tecnologia. Ma Rukia lo sa, lo percepisce, lì si cerca qualcosa di diverso, esattamente cosa non riuscirebbe a spiegarlo ma quel registro raccoglie molto di più di nomi e cognomi. Raggruppa anime, cercatori che si affidano ad un astro roteante e tra loro sono tutti complici. Solamente l'Hortum Septentriones può compiere un prodigio simile, Rukia ne è sicura ed è per questo che si dirige sempre là, quando ha tempo.

È vero, in quel giardino si sente tranquilla e al riparo ma la sua natura, quel qualcosa che si muove dentro di lei e gira, gira, gira, la spinge ad essere previdente in ogni caso. Cerca di coprirsi come può, non solo per il freddo di fine novembre -e pensare che le foglie rosse sulla strada sembrano così calde, che contrasto meraviglioso- ma anche perché vuole evitare di essere riconosciuta. Non dubita del fatto che in quel posto girino brave persone, ormai conosce la “clientela” e sono tutti insospettabilmente onesti, anche chi cerca ad ogni costo di apparire il contrario. Ma è l'abitudine, la sua natura che non riesce a governare e non ci tiene affatto a litigarci. Sa che perderebbe.

Dunque l'asseconda e si dirige ad un piccolo banchetto di accessori, rimane affascinata da qualche cintura, ci sono fibbie di ogni forma, oh, quella ha la forma di una coccinella, che carina, forse comprandola porterà davvero fortuna. I venditori dinanzi a lei la guardano e le sorridono, le danno il buongiorno e le rendono noto che può fare con calma, non c'è fretta, guarda pure e se ti piace qualcosa comprala che i prezzi sono più che accessibili, altrimenti pazienza, ci saranno altre occasioni. Non si disturbano tra loro, non chiedono niente di nessuno a meno che non scorgano uno spiraglio. C'è quieto vivere, ciò che Rukia ama di più. Sorride considerandosi fortunata nell'aver scovato un portafogli bianco, finemente decorato, costa poco, sì, lo prende. Allunga la mano per raggiungere il futuro acquisto e sovrasta il braccio di un'altra persona che sta per afferrare un oggetto dalla parte opposta alla sua, una semplice cintura nera con un altrettanto semplice fibbia a forma di teschio. Istintivamente i due si guardano. Rukia è costretta ad alzare il capo per guardare in faccia lo sconosciuto dedito agli acquisti come lei ma c'è una zazzera di capelli rosso sangue a coprire parte del volto, insieme ad una sciarpa blu che scopre appena degli orecchini. Le labbra di quella persona si piegano subito in un sorriso cordiale e con una voce giovanile le rivolgono la parola.

« Sa, stavo giusto pensando di comprare anche il portafogli. »

Di primo acchito si sarebbe scusata con lui e ceduto l'oggetto, sentendosi quasi una ladra, ma la sua voce non serba rancore, è calda, pacata, socievole, sì. In quel giardino lo sono un po' tutti, basta desiderarlo.

« Al contrario, io non avrei mai acquistato quella cintura. » risponde Rukia con un sorriso stretto.

« Immaginavo. E poi non le donerebbe, ma credo che di questo ne sia consapevole anche da sola. »

Lei annuisce e porge il portafogli al commerciante, aspettando che glielo impacchetti. Lui aspetta con calma il proprio turno, cintura alla mano, e intanto pesca dalla tasca del giubbotto nero lungo fino alle cosce un pacchetto da cui estrae una sigaretta. Se l'accende in tutta calma e Rukia non smette per un attimo di osservare quell'azione banale che fanno tutti i fumatori, ma è affascinata dalle mani di quel tale. Aveva letto su una rivista di cui non ricorda il titolo che le mani possono essere classificate in quattro categorie, a seconda dell'elemento, terra, fuoco, aria, acqua. Coglie l'occasione per testare quella teoria e osserva le dita piuttosto lunghe, anche se curve sullo zippo riesce a distinguerle bene, e i palmi sono altrettanto grandi, forse qualche millimetro di più delle dita. Le unghie sono normali, curate, non v'è traccia alcuna di scheggiature di sorta, si nota subito che non se le mangiucchia e non sono troppo lunghe. Nel complesso, sono piacevoli alla vista, attraenti, qualità rara nelle mani di un uomo, o almeno, di quelli che Rukia incontra negli ultimi tempi. Delle belle mani, insomma. Che appartengano alla tipologia del fuoco? Palmo grande e dita poco poco più piccole, potrebbe essere. Rukia non è sicura, non si sbilancia.

« Ne vuole una? » fraintende gli sguardi di lei e con ingenuità si assicura di non essere stato scortese nei confronti di una signora, ma lei scuote il capo.

« La ringrazio, ma non fumo. »

Gli consegnano il pacchetto contenente la cintura appena comprata ma non si allontana dalla propria postazione. « Non mi pare di averla mai vista qui. »

« Eppure vengo tutti i giorni. Anche se il discorso potrei rigirarlo a lei. »

« Bè, in fondo questo giardino è parecchio grande. Anche io sono un “cliente fisso”. » volge lo sguardo alle spalle della ragazza, schiocca la bocca, dà l'aria di essere investigativo. Ha atteggiamenti, volendo esagerare, eccentrici. « C'è molta gente oggi attorno al registro. » nota.

« Sì, ha ragione. Forse supera il centinaio di nomi. »

Lui sorride divertito. « Tra ieri e oggi sono stati scritti più di duecentotrenta nomi. La maggior parte sono falsi. »

« Come fa a saperlo? »

« Lo sfoglio sempre e si capisce a colpo d'occhio quali sono stati creati ad arte. Forse lo capisco perché ne uso uno falso anch'io, seppur non per firmare là sopra. Non è mia abitudine farlo. »

Il suo chiacchierare, la sua voce calda, sciolta, per qualche strano motivo le sa di già sentito. « Che coincidenza. Lo stesso per me. »

« Non scrivere sul registro o utilizzare un nome falso? »

« Tutte e due le cose. Ma preferisco usare il termine “nome d'arte”. »

« Che coincidenza. » il sorriso si allarga, si storce per qualche breve istante per poter trattenere la sigaretta e lasciar fuoriuscire quell'alone di fumo che scompare subito nell'aria fredda di fine novembre. « Lo stesso per me. »

Hortum Septentriones, così si chiama il giardino. Se vuoi fare incontri fuori dall'ordinario o cercare qualcuno in particolare -non sai bene nemmeno tu chi esattamente ma sicuramente c'è e la troverai- è lì che devi dirigerti e fermarti a parlare. Per com'è fatta, Rukia non scambierebbe due chiacchiere con un perfetto sconosciuto dai capelli che ricordano il sangue, non a casa, non a lavoro, non in una strada normale. No, fuori di lì no. Fuori da quel giardino ci sono tante, troppe cose a cui pensare e non c'è tempo per concedersi una tranquilla, banale ricerca di ciò che si desidera. In verità è giunta ad un punto in cui non riesce nemmeno a capire cosa voglia davvero. Se non andasse in quel giardino per ricordarsene, probabilmente impazzirebbe. Anche se la ricerca è ardua, non ha ancora compreso, ma per fortuna non si stanca di cercare. Coglie volentieri ogni segnale, e chissà che quella zazzera rossa non la aiuti in ciò che cerca la sua natura, quella forza misteriosa che vuole essere soddisfatta.

« “Dopotutto cosa sono i nomi, se non lettere raggruppate per formare un concetto comune e non proprio?” » adesso la voce di quel ragazzo sembra distante ma fa scattare una molla in Rukia che trasale, capisce, capisce perfettamente.

« “E l'uomo, la rappresentazione stessa della banalità, si aggrappa a quelle astratte lettere riunite per non sentirsi del tutto insignificante, affannandosi nella sabbia mobile da lui stesso costruita. Così si disse Harriet, di fronte all'ennesima distesa dei nessuno”. » entrambi si guardano, sorpresi a vicenda. Lui è piacevolmente sorpreso, lei è sì felice ma la sua espressione non riesce a comunicarlo appieno. « Credevo di essere l'unica a conoscerlo a memoria. »

« Questa cosa le fa onore. E se mi permette, le devo fare i miei complimenti. La sua voce è carismatica, fantastica. Mi ha permesso di riconoscerla. »

Se si fosse trovata accanto una certa persona si sarebbe vista costretta a scappare a gambe levate. Ma adesso è sola, il suo agente non c'è, lei è con qualcuno che l'ha riconosciuta e non è minimamente spaventata da questo. Perché nel giardino della stella polare non puoi assolutamente avere paura, è matematicamente impossibile. È il punto di riferimento di cercatori come lei che si rivolgono al quell'astro roteante aspettando di trovare, con occhi profondi e lontani, il proprio complice, sia esso materiale o umano o qualcos'altro che solo la natura che muove l'essere umano conosce.

« Lei sa chi sono? »

« Non vorrei sbagliarmi, ma lei somiglia molto all'attrice Mai Shirafune. »

« È un nome d'arte. » Rukia sorride. Non ha mai incontrato nessuno che scavasse nella sua persona con così tanta naturalezza, senza risultare troppo sconveniente, sicuro di sé, favorito da quella stella che gira, gira, gira.

« Molto bello. Ho visto tutti i suoi film, possiede una capacità interpretativa straordinaria. Personalmente trovo che abbia raggiunto il suo massimo con il ruolo di Kirio in “Eternal Madness”. Senza nulla togliere a tutti gli altri ruoli, ovviamente. »

« Grazie... » è la prima volta che si sente dire un complimento diverso dai consueti “sei fantastica”, “eccezionale”, nemmeno i critici delle più importanti riviste cinematografiche sono mai riusciti a trovarle un ruolo in cui fosse spiccata particolarmente. L'hanno definita “poliedrica, espressiva, in grado di interpretare qualsiasi ruolo le venga affidato, riesce ad esaltare anche il minimo particolare che rende ogni suo personaggio memorabile”. Naturalmente le faceva piacere, per un'attrice era la cosa più auspicabile ma non sentiva il “merito” totalmente suo, né dei corsi di recitazione che la portavano a stare sveglia fino alle quattro del mattino. In sintesi, era la sua natura, che le ordinava di essere tutto e niente. “Non puoi fare questo? Allora sarà il tuo personaggio a farlo”.

Poteva vedere in questa scelta di intraprendere la carriera cinematografica la voglia di fare una vita da diva, certo, era una scusa che accontentava tutti, a chi non piacerebbe. Ma la sua natura, che non poteva controllare od opporcisi in alcun modo, reclamava altro. Voleva altre vite, fugaci, che non avrebbe tenuto per sempre ma tanto meglio, se no sai che noia, e facevano sbandare Rukia di qua e di là, come una trottola impazzita, interpretando prima la ragazza della porta accanto che fa innamorare lo sventurato protagonista di turno, poi un'assassina, una detective, una regina, una studentessa con gli occhiali a fondo di bottiglia, una dark lady, una donna qualunque purché non fosse lei. La sua natura era affamata di tutto e mangiava velocemente, reclamando ogni giorno cose diverse e arrivando a farle venire il dubbio. “Quale personaggio desidera entrare in questo giardino?” ma poi Rukia scuoteva il capo e si ricredeva. Almeno un lusso la sua natura glielo concedeva. Di andare lì dentro con le sue gambe, lasciandole quel che rimaneva del proprio io per non impazzire in mezzo a tante sconosciute di cui aveva assunto il ruolo.

« In effetti non dovrebbe sorprendermi che un'ottima attrice come lei riesca a ricordare così bene le parole di un libro. Per lei sarà come leggere un copione, giusto? »

« Più o meno. Diciamo che quando leggo qualcosa che mi piace, vorrei che fosse un copione, avere un ruolo in quella storia. Ci sono molti libri che meriterebbero una trasposizione cinematografica. »

« Non ha tutti i torti. »

« “Perché in quella fatiscente sala da cinema di cento posti solo Harriet piangeva senza ritegno? È una domanda che nessuno si pose, poiché nessuno badò a lei, celata nel semibuio del cinema. Lei non esisteva per gli altri spettatori e coloro che lei avrebbe definito degli stolti non avevano alcuna importanza, non di fronte alla bellezza suprema dell'arte”. »

Lui sorride, si allontana di qualche passo per raggiungere un posacenere -non avrebbe mai deturpato quello splendido giardino con un mozzicone- e si volta ammirato, la segue senza timore, la sua natura d'improvviso è come impazzita. « “Cosa potevano capire loro dello splendore costituito dall'unione di lettura, musica, suggestione, quale opera poteva sollecitare i cinque sensi se non il cinema? E lei lo avvertiva, sentiva nell'aria il profumo di quella bellezza suprema, si leccò le labbra constatando come avesse un sapore agrodolce, come le lacrime che solcavano il viso, le gonfiavano gli occhi ammaliati da quel miraggio, perché di questo doveva trattarsi, miraggio che cantava, così soave, trascinandola nel baratro come farebbe una sirena. E fu quando Harriet avvertì anche i brividi lungo le braccia che comprese quanto la bellezza fosse terrificante, insopprimibile”. »

Rukia non si trova in un set cinematografico, non sta lavorando, è un giorno di riposo come un altro in un luogo che rende le cose più paradossali delle ordinarie amministrazioni. È stato proprio come recitare, e senza che nessuno glielo abbia imposto, perché lo voleva lei, la sua natura, soddisfare quella voglia di poter fare una propria trasposizione di quel che voleva lei. E aveva i brividi, trattenuti a stento nel cappotto e nei jeans, manifestazioni del suo io, istinto, inconscio, come lo si vuole chiamare, della sua frenesia di fronte ad un caso che, per fortuna o no, è capitato a lei.

« Ma lei è... Deak? »

« Così mi firmo sui libri. Non solo gli attori usano nomi d'arte, no? » i suoi sorrisi, man mano che il discorso continua, si fanno più audaci e accattivanti, la zazzera rossa di capelli si muove ad ogni cenno del capo e lasciano intravvedere la benda nera che non deturpa il suo viso, come se fosse un comunissimo accessorio, non lo rende per niente un disabile, un “meno dotato rispetto agli altri”. E l'altro occhio scoperto non mostra alcun segno di affaticamento, anche se svolge il gravoso compito di lavorare per due.

« È un onore che una persona come lei abbia visto i film in cui ho recitato. »

« Semmai sono io a dovermi sentire lusingato. »

« “Harriet” è il mio libro preferito. »

« Davvero? Lo terrò a mente. Chissà, forse ne faranno un film. »

« Le piacerebbe? »

« Solo sei lei avesse la parte di Harriet. »

« Ma è bionda. »

« In “La memoria bussa tre volte” aveva i capelli castani se non ricordo male, non vedo perché non dovrebbe diventare bionda. Però, se mi consente, la preferisco mora com'è adesso. » Deak, non è il suo vero nome. Rukia è tentata di chiedere quale sia il suo nome ma si trova nell'Hortum Septentriones, mica in un viale qualunque, e lì ci sono delle regole da rispettare, implicite o meno. La più importante è scritta sul manifesto all'entrata, recita “nessuno qui è obbligato a dire il vero nome” e dopotutto nemmeno lei gli ha rivelato il suo, è giusto così. Fa parte di quelle regole che la fanno sentire a proprio agio, protetta dal mondo circostante.

Deak, conoscerlo di persona è stato l'avvenimento più bizzarro ma le lascia una piacevole sensazione addosso. Si tratta di incontrare per puro caso un artista che si addentra in quel viale magari con gli stessi pensieri che ha lei. Non ha mai contemplato l'idea di poterlo incontrare, questo passare da un estremo all'altro un po' la spiazza ma non si può lamentare. È un po' diverso da come lo immaginava, molto meno “cupo”. E di certo lo pensava più anziano, con mani rugose e unghie trascurate, mica quelle che gli vedeva addosso, così piacevoli alla vista. A occhio e croce, poi, deve avere vent'anni o poco più.

Lui guarda affascinato l'orologio, la stella polare che gira, gira, gira, scandisce il tempo, gli fa rendere conto che è rimasto più del dovuto con quella donna, gli capita di rado, specie con le donne di solito ha incontri abbastanza fugaci ma non importa, non gli dispiace.

« Temo di averle fatto perdere tempo. »

« Si figuri. Qui è impossibile perdere tempo. »

« Già, ha ragione. »

« Però, mi dispiace ma... » Rukia afferra il cellulare, poi si gira e guarda anche lei la stella che segna l'ora, come se non si fidasse del proprio telefono. « Devo andare. Il lavoro, sa... »

« Certo, capisco. Allora buon lavoro. »

« Anche a lei. Spero di rivederla presto. »

« Oh, tanto mi trova sempre qua, se non sono a casa a scrivere. » si sorridono ancora una volta, lei prende la propria strada e fa per uscire, lasciandolo là. Non si volta per vederlo, non deve assicurarsi di nulla. Sa bene che lo troverà in quel giardino, che solo all'apparenza è come gli altri, in realtà raccoglie anime, nature che girano, girano, girano, cercatori, tutti complici tra loro, tutti in cerca di un contatto, quale esattamente non si sa, ma quando avvertiranno quel brivido lo capiranno e non importa quanto ci vorrà, lo sguardo sarà sempre ottimista, almeno lì dentro, perché lì è sicuro che troverai ciò che cerchi. Perché lo crei tu.

Rukia torna a nascondersi nella sciarpa mentre, davanti ai cancelli, sorpassa un'eccentrica figura dallo sguardo felino color cielo, capelli sparati in ogni direzione dello stesso colore, accompagnato da un'altra persona ben mimetizzata tra cappotto scuro, cappello e sciarpa. Forse sono degli ignari che si sono persi e sono capitati lì per caso. Oppure, con più probabilità, sono cercatori, come lei, che puntano decisi a nord, verso la stella.

   
 
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