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Autore: chi_lamed    25/05/2012    0 recensioni
Una data particolare, un appuntamento speciale, un sentimento d’amore che oltrepassa tempo e spazio e si fa tangibile presenza.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: questa storia è nata tanto tempo fa, ben prima della scoperta della bellissima poesia di Emily Dickinson che in seguito ne ha ispirato il titolo. Dedicata alla protagonista, una persona che ha segnato la mia infanzia, è stata scritta di getto in una fredda sera d’inverno. In seguito ho deciso di recuperarla dal fondo del cassettino in cui giaceva, apportandone alcune modifiche per farla diventare parte di una serie di quattro one-shot, una per ogni stagione.
 


Le cose che restano – Inverno  
 


“Vi son cose che volano
Uccelli, ore, calabroni:
Non è per queste l'elegia.
Vi son cose che restano -
Il dolore ed i monti e l'eterno.
Nemmeno queste a me si addicono.
Altre sostano e sorgono.
Posso spiegare i cieli?
Com'è immoto l'enigma!”
(Emily Dickinson)



«Anche quest’anno ci sono proprio tutti.» disse curiosando attraverso la finestra illuminata.
«Beh, quasi.» soggiunse con un sorriso sulle labbra, dopo aver meglio contato i presenti.
Ai lati delle strade, qua e là, rimaneva ancora qualche traccia della recente nevicata. Piccoli mucchietti non più candidi cercavano di resistere alla tenue pioggerellina che insisteva da qualche ora. Ben presto sarebbero stati cancellati del tutto.
Proseguì a camminare sotto il portico che circondava la casa, temporeggiando ancora qualche attimo prima di entrarvi.
Osservarli da fuori le piaceva anche di più.
Un clacson interruppe il melodico ritmo dell’attesa scandita dalla pioggia e quasi stonò, unico suono artificiale nella sinfonia prodotta da madre natura. Si voltò e non fu minimamente sorpresa di vedere che la fonte di esso era un’automobile blu in sosta davanti al cancello, mentre i suoi occupanti fremevano nell’attesa che un qualsiasi segnale provenisse dall’abitazione. E quello non tardò, perché il padrone di casa uscì prontamente, indossando un buffo cappotto da donna e un variopinto foulard sulla testa – le prime cose che per la fretta gli erano capitate in mano! – per evitare di bagnarsi e prendere freddo; provocò così l’ilarità di tutti quelli che stavano guardando e corse ad aprire il cancello del grande cortile, in quelle occasioni parcheggio perfetto per gli ospiti.
«Ma come, in ritardo anche quest’anno?» esclamò tra l’incredulo ed il divertito, gli ultimi arrivati che nel frattempo le passavano accanto ansiosi di potersi riscaldare nel tepore casalingo pronto a riceverli.
Emise un sospiro rassegnato e si decise ad entrare, non senza aver dato ancora un ultimo sguardo alla magnolia nell’ampio giardino, fattasi piccola piccola dopo la recente e spietata potatura cui l’avevano sottoposta. Povero albero! Se avesse potuto, avrebbe raccontato di lunghe ed assolate giornate estive, di frotte di bambini pronti a gare entusiasmanti con l’intento di aggiudicarsi il ramo più alto, di adulti ansiosi ai suoi piedi che proferivano promesse e minacce di aspri rimproveri quando il novello Tarzan di turno non ne voleva sapere di scendere. Non riuscì a non intenerirsi al ricordo di quei momenti passati con lo sguardo in su e con il cuore in gola, ad osservare gli spericolati scalatori che negli anni le erano cresciuti sotto gli occhi, mentre lei intanto diventava più fragile e curva.
Su, basta indugiare, ormai erano arrivati tutti e questa volta per davvero.
Fu accolta dalle grida festanti dei più piccini, completamente intenti a dare un tocco personale al presepe allestito nell’ingresso. Qualcuno di loro doveva aver avuto l’idea che il piccolo pascolo per le pecorelle non fosse sufficiente e così ora si premurava di far traslocare l’intero gregge sul grande tappeto nel salotto accanto, poco importava che esso non fosse affatto di colore verde. Si accoccolò tra quei piccoli fiori con un’agilità che non mancò di sorprenderla: non si era ancora del tutto abituata alla ritrovata possibilità di andare dove volesse senza dolori o difficoltà di sorta. Quando un frugoletto le trotterellò accanto – nelle manine un cammello dei Magi – con l’incedere buffo ed incerto di chi muove i primi passi, tornò con la mente a quei primissimi istanti di gioiosa insicurezza mista a stupore e sollievo per aver finalmente ritrovato un benessere a lungo atteso.
Restò lì, seduta, a godersi i giochi infantili degli ultimi arrivati in famiglia, preferendo solo ascoltare quella piacevole confusione che proveniva dalla grande cucina adiacente. Baci e abbracci, saluti di bentornato ed auguri per le feste in corso, aneddoti e novità, scampoli di vita quotidiana che incuriosiva chi ascoltava e rallegrava chi raccontava.
Chiuse gli occhi e rimase a bearsi delle voci festanti dei suoi cari.

***

 


Esistono giorni belli e giorni meno belli, per dirla con un semplice eufemismo. Giorni che sembrano tempo sprecato e giorni che vorremmo rivivere all’infinito e condividere con il mondo intero, tanto sono colmi di gioia.
Santo Stefano non era nessuno di questi. Era un giorno speciale e basta.
Lo era per essi, che si mettevano in viaggio dalle loro abitazioni più o meno lontane per recarsi fin là, nella grande casa in cui tutti erano cresciuti, quasi fosse un ignoto, irresistibile e puntuale richiamo.
Lo era per lei, che ancora riuniva attorno a sé l’intera numerosa famiglia.
Se ne era andata ormai da qualche anno, durante un assolato mezzogiorno d’agosto, chiudendo gli occhi all’improvviso e senza accorgersi di nulla.
Se ne era andata per rimanere per sempre e questo lo avevano capito tutti. Era nel colore degli occhi dell’ultimo nato, nel caloroso abbraccio di sua figlia alla nipote tornata da lontano, nelle fette fragranti di quella torta appena sfornata che tanti anni prima aveva insegnato alle proprie figlie già donne, nella leggendaria cartella numero 7 della tombola, che ricordava che si poteva vincere anche con una sola di esse ed una manciata di chicchi di grano nella piccola mano tremula.
Viveva nei gesti d’amore della sua famiglia come dono prezioso più forte del tempo.
Presenza invisibile e silenziosa, si alzò e fece a modo suo gli auguri di Buon Natale.
Rivolse ad ognuno dei suoi cari un inesprimibile sguardo pieno d’amore, promessa di un legame che mai si sarebbe spezzato, forte come il sentimento che lo alimentava.
Fuori la pioggia continuava a cadere, l’imbrunire aveva preso ormai il sopravvento ed il gelo invernale stringeva ogni cosa in una ferrea morsa. Il mondo proseguiva inarrestabile la propria andatura nel cosmo ed il giorno lentamente volgeva al termine.
Nella scia del fluire del tempo un sentimento d’amore materno si fece invisibile abbraccio che tutto travalica.



 











 

 







  
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