ARGH,
l’ultimo episodio dell’ultima stagione,
benché intriso di destiel, mi ha uccisa
nel profondo. Ho urlato “no” davanti allo schermo
per un po’ perché insomma…
NO! Non può finire così, dove la trovo io la
sanità mentale di aspettare fino
all’ottava – fottuta -
stagione? Non la
trovo, ecco. çoç
salvataggio
Volevo
scrivere another destiel da un sacco di tempo perché
sì, perché è il bene e fa
bene al mondo, quindi ho pensato di scrivere questa… cosa.
Nella mia
mente era una cosa bellissima e originalissima (altissima, purissima e
levissima) e invece è uscito questo. Storia che non
è esattamente IL male, ma
non è neanche quello che avevo immaginato.
È anche abbastanza lunga, ma chissene frega, insomma. LOL
Ho cercato di inserire all’interno della storia originale di Supernatural, tanti elementi destiel e costruire così la loro storia. *inserire cuoricino here*
Rappresenta tutta l’evoluzione di Castiel e il modo in cui Dean si è avvicinato a lui, tutte le volte in cui si sono “conosciuti”, insomma. Spero di essermi spiegata e, soprattutto, di aver fatto un buon lavoro con la storia.
Ce l’ho avuta in mente per una settimana abbondante e, vi assicuro, che pensare alla stesura della scena lime alle 9 e mezzo del mattino e durante la lezione cazzutissima di latino, non è la scelta più sensata da fare né la più sana. D:
Ah, contiene una lime, già detto, elementi angst forse un pizzico (giusto per una scenetta) di comicità alla Cas e un po’ di romanticismo, non tanto però.
La storia la dedico alla mia mucca prediletta, pralinedetective, che mi ha trovato un titolo decente e l’ha reclamata come sua.
Enjoy it!
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You know,
I’ve dreamed about you for
years before I first saw you.
Dean Winchester ha incontrato l’angelo Castiel in molti modi, ma non li ricorda tutti.
Ad esempio, all’inferno, Dean non ricorda il loro incontro, Castiel non gliel’ha mai raccontato e lui non ha mai chiesto. Ed è un po’ come se fosse l’inizio di tutte le cose che avrebbero dovuto – voluto – chiedere e che non hanno mai detto.
Quindi non conosce la splendente luce della sua grazia e la forza gentile della sua voce, non ricorda la sua vera forma né il balsamo curatore che è stata la sua presenza, in quel luogo orribile in cui tutto è stato pensato per distruggerlo.
Ricorda, però, il brivido che l’ha scosso in quel capanno, mentre fissava gli occhi blu di Jimmy Novak e non riusciva nemmeno a pensare che quello davanti a lui fosse un angelo - un angelo del Signore, gli aveva detto con voce bassa e solenne - e Dean non sapeva se ridere o mandarlo a quel paese, perché la sua vita era già abbastanza incasinata senza un maledetto angelo-sono-quello-che-ti-ha-stretto-forte-e-salvato-dalla-perdizione, grazie tante.
“E’ questo il tuo problema, Dean, tu non hai fede,” gli aveva detto e Dean avrebbe voluto urlargli contro, incazzato, che la fede nella sua vita non gli era mai servita. Che la sua vita era un fottuto buco nero in cui venivano risucchiate tutte le cose belle, ma era stato zitto. Zitto. Perché non era quello il momento per fare la prima donna angosciata dalla sua vita piena di merda.
Gli angeli erano dei maledetti bastardi, iniziò a pensare, non erano affatto creature compassionevoli e dalle ali soffici. Non erano nulla di quanto aveva pensato – creduto – Sam che, a differenza sua, aveva la fede perché non riusciva a pensare a tutto quel male senza nemmeno un briciolo di bontà a contrastarlo.
Gli angeli erano dei maledetti robot, senza emozioni e senza cervello, possedevano il poveraccio di turno per i loro affari sulla terra e per il resto se ne fregavano. Obbedivano ciecamente ai loro doveri come tanti stupidi soldatini e non si ponevano dubbi, non avevano rimorsi. Erano crudeli.
Dean lo capì guardando Uriel, in tutta la sua arroganza, e ne dubitò subito dopo guardando Castiel.
“Ho dei dubbi, Dean.” Gli rivelò su quella panchina, con lo sguardo basso e l’espressione sconfitta. “Non sono più sicuro di cosa sia giusto e di cosa non lo sia.”
Forse fu in quel preciso istante che Castiel iniziò a cadere, sicuramente fu quello l’esatto momento in cui Dean cambiò idea su di lui.
*
Non si era mai chiesto quando Castiel, l’angelo del signore, fosse diventato Cas e un amico, ma lo divenne.
Aveva incontrato l’angelo in molti modi, ma non l’aveva mai conosciuto quindi si soffermò a pensare a quella creatura con occhi diversi, ad osservarlo, a cercare di capirlo. Castiel, Cas, che aveva uno stupido impermeabile beige, la cravatta storta e diceva sempre la cosa più buffa, sbagliata o assurdamente sincera nel peggiore dei momenti.
Castiel col suo aspetto trasandato e che non capiva battute o sarcasmo, l’angelo che accorreva sempre a salvarli e lo fissava – decisamente troppo, era inquietante – col viso inclinato e confuso perché gli esseri umani proprio non li capiva.
Cas non era più un angelo, non per lui almeno, era un amico. La sua figura era diventata familiare e rassicurante, così tanto che il pensiero che avrebbe potuto cambiare idea e lasciarli perdere – lasciar perdere tutto – diventava sempre più doloroso.
“Ciao, Dean” disse l’angelo – l’amico – con la sua voce bassa e incolore, il cacciatore si mosse a disagio per la sua eccessiva vicinanza – imbarazzante, catalogò distrattamente nella sua testa.
Riusciva a vedere le diverse sfumature azzurre nei suoi occhi ed era una cosa che non avrebbe dovuto saper fare – ad una vicinanza accettabile.
“Cas, spazi personali, ricordi?”
“Le mie scuse,” replicò seriamente l’altro, ma non si spostò ed inclinò la testa per osservarlo con più interesse.
Dean sbuffò esasperato, ed anche un po’ divertito, e si allontanò di qualche passo. Castiel, intanto, continuava a fissarlo.
*
“Non cambiare mai” gli disse di slancio, sul bordo di quella strada di periferia, dopo che Castiel l’aveva trasportato lì e salvato dall’incontro tête-à-tête con Zaccaria che, davvero, non desiderava affatto avere.
Glielo diceva perché aveva visto la sua copia distorta, in quel 2014 da horror, che la Zaccaria pictures gli aveva gentilmente offerto.
Aveva visto un mondo distrutto e un se stesso che stentava a riconoscere, ma , soprattutto, aveva visto un Castiel disperatamente umano e irriconoscibile con i capelli più lunghi e una risata stanca, sguaiata. Aveva visto i suoi occhi resi vacui da alcol e droghe, ma non per questo privi delle emozioni che aveva imparato a riconoscervi dentro.
Quello strano Castiel l’aveva accolto con una risata che sembrava un latrato e l’aveva riconosciuto subito, di questo era rimasto colpito. Aveva capito subito, anche senza i suoi trucchi angelici, che lui non era il Dean del suo tempo, l’aveva letto nel suo volto e nei suoi occhi, e l’uomo si chiese quante cose l’amico avesse imparato su di lui senza che nemmeno se ne accorgesse.
Tornato nel presente furono il suo impermeabile aperto e la sua cravatta storta a dargli il bentornato, la familiarità dei suoi occhi chiari su di lui e il piccolo sorriso che gli aveva offerto quando gli aveva chiesto di non cambiare per nessuna ragione.
Era così strano vedere l’angelo sempre così compito e serio, aprirsi in un sorriso, anche se piccolo: ai lati dei suoi occhi si formarono minuscole rughe d’espressione che ingentilirono i suoi tratti donandogli un’aria melanconica e… umana. Reale.
A Dean sembrò quasi un miracolo, come vedere la statua della Vergine Maria piangere, e volle toccarlo, toccare Castiel, toccare l’amico per capire che era davvero lui, che stava davvero sorridendo e che sarebbe andato tutto bene perché erano ancora loro e il futuro avrebbero potuto cambiarlo.
Il tessuto beige era morbido sotto le sue dita e il calore del corpo sottostante era percepibile anche attraverso la stoffa. Il piccolo sorriso di Castiel rimase, mentre lo guardava col viso inclinato e Dean volle tenerlo per sé, baciandogli le labbra.
Quando lo guardò di nuovo le sue labbra erano aperte e la sua espressione confusa, il volto ancora inclinato.
Era così Cas in quel momento che Dean sorrise senza nemmeno pensarci; l’altro lo imitò come il riflesso in uno specchio.
*
Quando Dean cercò di dire di sì a Michele, la rabbia di Castiel lo colpì con forza e il suo corpo cozzò dolorosamente contro il muro di mattoni di quel vicolo sporco.
Per la prima volta ebbe paura di lui, come neanche nel capanno era riuscito a provare, e si rese conto che quello che aveva davanti non era un umano ed era molto di più del semplice nomignolo che gli aveva dato.
Aveva davanti una creatura antica, millenaria forse – il pensiero gli diede i brividi – che aveva scelto di aiutarli, scelto di combattere con loro e che non si sarebbe accontentato dei suoi patetici discorsi da eroe depresso e decaduto.
Dean era stanco, distrutto, e combatteva una guerra più grande di lui, più grande del mondo intero, in cui si era ritrovato invischiato senza nemmeno sapere come, ma Castiel… Castiel stava perdendo tutto, tutto, nel nome di qualcosa in cui avevano iniziato a credere insieme.
Castiel stava cadendo, e lo faceva da tempo, perché pensava – ed era già una fantastica ribellione, da parte sua – che il piano degli angeli fosse sbagliato, che la vita sulla terra non fosse giunta al capolinea e che gli umani meritassero di vivere ancora.
L’angelo aveva disobbedito, si era ribellato e adesso credeva in un pugno di umani, e credeva in Dean, invece di credere in suo Padre e nei suoi fratelli, perché aveva iniziato a dubitare dei suoi ordini e a sperare che il libero arbitrio fosse la soluzione.
Un angelo disperato, senza più Dio e senza più una guarnigione a fargli da scudo, che sperava in lui e nella forza necessaria che avrebbe dovuto avere per non cedere ai capricci di Michele.
Le sue parole dure e urlate con voce imperiosa gli risuonavano in testa: quel ‘per te’ era sospeso nell’aria tra di loro, nel poco spazio tra i loro corpi stanchi. Dean non riusciva nemmeno a vedere bene perché il sangue gli era colato un po’ ovunque, ma più che la forza di Castiel a tenerlo inchiodato a quel muro, lo fecero i suoi occhi risentiti e delusi, pieni di tutte quelle emozioni che non aveva voluto tirare fuori nel corso della sua esistenza semplicemente perché non poteva.
Millenni di emozioni soffocate perché era proibito, era ribellione, ma adesso Castiel lo guardava e negli occhi c’era così tanto, così tanto, che a Dean girava la testa, e quella frase era ancora tra di loro, non se ne voleva andare.
“Ho fatto tutto questo per te.”
Dean riusciva a vedere tutti i dettagli nel volto di Castiel mentre quest’ultimo lo fissava rabbioso - tutta la sua calma stoica svanita nel nulla - e si chiese come diavolo avesse potuto pensare che l’angelo fosse un robot senza emozioni come tutti gli altri.
Lo riempì di pugni con rabbia e il cacciatore sputò sangue più volte, travolto dalla delusione e dalla furia del suo angelo sulla spalla.
Non aveva – quasi – più pensato a quel piccolo bacio che gli aveva dato e Castiel non aveva chiesto (anche perché Castiel non ne sapeva poi molto degli uomini), ma in quel momento, con tutto il dolore di Cas intorno, Dean ci ripensò.
Pensò a tutte le cose che non gli aveva chiesto, a tutti gli sguardi che avevano condiviso e a tutte le stupide precisazioni che Castiel gli faceva quando non capiva il suo sarcasmo. Aveva la mente confusa, offuscata dal dolore e forse sragionava però, ed è un po’ assurdo da dire, Dean pensò per la prima volta di amare Castiel proprio in quel momento.
Nel momento esatto in cui quel pensiero sfiorò la mente annebbiata di Dean il pugno di Castiel si fermò a mezz’aria e lo guardò senza dire nulla. Confusione sul suo volto e sopracciglia aggrottate, Dean abbozzò un sorriso che sembrava una smorfia perché in quell’espressione riconosceva il suo amico, e non più solo l’angelo.
Cas.
*
Quando si baciarono di nuovo, fu nella rimessa di auto di Bobby, accanto all’Impala. Dean curava amorevolmente la sua automobile e l’angelo decise di farsi vedere proprio in quel momento.
“Dean, che cos’hai sulla faccia?” gli chiese appena lo vide, osservando attentamente le macchie scure sul suo volto.
“Oh, niente, Cas, è solo grasso. Stavo lavorando all’automobile.” Gli spiegò, cercando una chiave inglese.
“Capisco,” replicò solenne “Quindi per lavorare bisogna sporcarsi la faccia?”
Dean rise e lasciò perdere gli attrezzi, Castiel inclinò la testa senza capire: vedere Dean sorridere lo faceva sentire felice (era questo il nome? Castiel aveva ancora qualche problema con la catalogazione), quindi doveva andar bene per forza.
Castiel gli regalò di nuovo un sorriso, uno piccolo e gentile, e Dean lo catturò di nuovo tra le sue labbra, per tenerlo con sé, senza nemmeno pensarci.
L’angelo sfiorò di nuovo le sue labbra, impacciato e un po’ goffo, e poi lo fece ancora, di nuovo, un’altra volta. Dean lo assecondò sentendo sotto le dita il calore del suo corpo e il suo respiro sulla pelle.
Quando si staccarono, sorridevano entrambi. Castiel sfiorò la sua guancia con due dita e il cacciatore sentì la pelle sfrigolare appena al contatto.
“Mi piace di più il tuo viso pulito,” commentò atono e Dean rise ancora.
Quando fecero sesso per la prima volta, Dean conobbe Castiel in un modo ancora diverso.
Sentì la sua pelle, la toccò, la assaggiò, gli accarezzò le braccia, il petto e i fianchi. Venerò quel suo piccolo miracolo mentre lo prendeva in bocca, attento ai gemiti dell’amante e a nient’altro. Lo guardò negli occhi e di nuovo ci vide così tanto da fare paura: millenni di emozioni che stavano esplodendo.
Gli accarezzò i capelli gentilmente, allora, perché provare così tanto e in così poco spazio doveva far male. Castiel tremava e aveva deciso di sudare, di provare emozioni umane per sentirlo ancora di più, di più. Sentire Dean.
Questo voleva dire che gli avrebbe fatto male, almeno all’inizio, perché Castiel non si sarebbe protetto.
“Non ti farò male,” sperò ad alta voce, a un soffio dalle sue labbra.
L’altro gli annuì, dedicandogli di nuovo quel piccolo sorriso che l’aveva incantato.
“Lo so.”
La fiducia nei suoi occhi e nelle sue parole era qualcosa che Dean non aveva mai visto in vita sua. Si morse le labbra e entrò in lui con attenzione; forse aveva ragione Cas quando, in quel capanno, gli aveva detto che il suo problema era quello di non avere fede. Solo che Dean non si sarebbe mai immaginato che tutta la sua fede l’avrebbe votata ad un angelo e non a un Dio.
Forse non era vero che la sua vita era un buco nero che risucchiava tutte le cose belle.
Castiel gli artigliò la schiena con le unghie mentre lui gli entrava dentro sempre di più, una volta arrivato lo sentì sospirare forte e iniziare a muoversi contro di lui: gli occhi chiusi e i capelli scomposti. Gli accarezzò il volto sudato e sentì di nuovo quel piccolo sorriso sotto le dita.
Mani stringevano ed accarezzavano pelle a pieni palmi, tutti i suoni erano implosi e c’erano solo i gemiti e il rumore bagnato e osceno dei loro corpi che si incontravano, disperatamente.
“Dean… Dean… Dean.”
La voce roca e assolutamente persa ,che ripeteva il suo nome come fosse una preghiera, lo fece impazzire e baciò e leccò la gola che l’aveva generata.
“Cas…”
Gli occhi di Castiel iniziarono a farsi più luminosi, sempre più luminosi e l’angelo coprì con una mano i suoi di occhi, perché tutto quello che stava provando stava scoppiando fuori e poteva fargli male. Era troppo potente. Il pensiero eccitò maggiormente Dean che con un altro paio di spinte venne in lui, un sonoro gemito tra le sue labbra, mentre vedeva una luce abbagliante esplodere oltre sue palpebre chiuse.
L’angelo condusse la sua testa nell’incavo del proprio collo e la stanza iniziò a tremare accompagnata da un basso mormorio metallico, poi l’angelo venne, inarcandosi sotto di lui, e Dean abbracciò la sua vita un attimo prima che ricadesse sul letto.
La camera tornò buia e le pareti smisero di tremare, quando riaprì gli occhi – un minuto o un’eternità dopo - Castiel lo guardava ancora un po’ sconvolto. Il cacciatore non disse nulla, ma accarezzò con le dita le sue labbra: l’angelo le piegò per lui.
*
Dean spazzava via foglie in un giardino che non era esattamente il suo e Castiel lo fissava, invisibile e immobile.
L’uomo poteva avere finalmente una vita normale, un futuro felice e una casa sicura e amorevole a cui tornare, Castiel annuì tra sé e sé nel costatare la validità delle sue informazioni: Dean aveva bisogno di tutto l’amore che non aveva mai avuto.
Castiel lo sapeva, ma non poteva fare a meno di provare la sensazione – fastidiosissima – che tutto quello fosse sbagliato, che non fosse quello il posto di Dean.
Le emozioni lo avevano corroso come un cancro e anche se sapeva di star pensando al bene di Dean, non poteva smettere di pensare a lui e di stare con lui, seppur celato alla sua vista.
Castiel, l’angelo del signore, non riusciva a smettere di avere bisogno di qualcosa – qualcuno – che non era il Padre e tutto il Suo amore. Ma adesso Dio non c’era più e nemmeno Dean.
Castiel era da solo come era stato per tutta l’eternità, ma dopo aver provato come ci si sente ad essere in due ed avere un posto a cui tornare, la solitudine pesava perché adesso sapeva cosa significava sentire la mancanza di qualcosa, senza avere la benché minima idea di come arginarla.
Stava facendo e pensando al bene del cacciatore mentre gli voltava le spalle e andava via con Crowley, pensava al bene di tutti quando iniziò a lavorare col demone (non erano importanti i mezzi, ma lo scopo finale). Pensava a dare al mondo un nuovo Dio, un Dio migliore, aveva pensato di poter essere egli stesso un Dio e così aveva agito.
Il libero arbitrio era per tutti, e lui stava prendendo decisioni per il bene dell’umanità.
Non si accorse, mentre si voltava per andare via, dello sguardo di Dean che si soffermò più del dovuto sul punto in cui era scomparso del tutto.
*
Schioccò le dita e Raffaele divenne un mucchio di carne e sangue sulle pareti, sentì lo sguardo scioccato dei pochi presenti su di lui e sorrise soddisfatto.
“Sono il vostro nuovo Dio. Inchinatevi a me e professatemi amore o vi distruggerò.” Le parole sono secche e prive di qualsiasi emozione, così com’è il suo volto.
A Dean ricorda tanto il Castiel che ha conosciuto in quel capanno e cerca di non provare paura per quello che è diventato. “Castiel, ti prego, non puoi…”
“Io non sono Castiel,” lo interrompe, “Io sono Dio.” Li guarda come se nemmeno esistessero e Dean non può crederci, non può pensare che Castiel sia diventato questo o, peggio, che Castiel non esista più, distrutto da tutte le anime delle quali si è ubriacato.
Vede Bobby mettersi in ginocchio, vede sudore freddo colargli dalle tempie e suo fratello che guarda il loro ex angelo come se si fosse trasformato in un mostro. È davvero così?
Dean non si piega e guarda l’angelo, si rifiuta a chiamarlo Dio, anche l’altro lo guarda. Poi Dean parla.
“Mi avevi promesso che non saresti cambiato mai.”
Lo dice chiaramente, senza paura, potrebbe sembrare coraggioso, ma Dean sente la sua voce come una lamentela piccola e infantile.
C’è un guizzo negli occhi freddi di quel Castiel, Dean sa che cosa sta ricordando: ricorda quella strada, il bacio, l’inizio di tutto. Forse ricorda anche tutto il resto.
Ma momento finisce e gli occhi dell’ex angelo sono una lastra di pietra, in un battito di ciglia: non li ha mai visti così vuoti e inespressivi. È l’esatto momento in cui Dean inizia a perdere la speranza.
“Una volta eravate i miei animaletti preferiti, prima che vi ribellaste e mi mordeste.”
In un attimo è scomparso e Dean è in piedi, non si è piegato, è in piedi e non ha più la forza. Tutto è andato a puttane, di nuovo, e la sua vita ha risucchiato l’unica cosa bella che gli era capitata.
Avrebbe dovuto sapere cosa combinava l’angelo, avrebbe potuto cambiare le cose.
Avrebbe potuto accertarsi che l’angelo non infrangesse la loro promessa e sono colpe che lo portano giù, sempre più giù. Potrebbe affogare.
Sente Sam e Bobby rialzarsi da terra, ma non vede più nulla.
*
Le ginocchia affondano nel fango ai bordi di un lago artificiale, sente l’acqua attraversare la stoffa dei jeans e bagnare la sua pelle: è fredda.
Osserva l’acqua senza vederla davvero, poi c’è un movimento che attira la sua attenzione: del tessuto beige galleggia mollemente sulla superficie, Dean lo riconosce subito.
Stringe tra le mani l’impermeabile beige che era di Cas, osserva la stoffa da vicino e vede macchie di sangue e macchie nere, che sembrano petrolio, e che appartengono a quelle creature.
Osserva la giacca così da vicino da riuscire a distinguere le trame nella stoffa, ogni filo, ogni bottone scuro. Poi la vista si fa offuscata, nebulosa, e non vede più nulla, sente solo il freddo dell’acqua bagnargli le gambe.
Si alza in piedi, senza farsi vedere dagli altri, piega il trench attorno a una mano e lo ripone al sicuro nel bagagliaio della sua automobile.
“Mi dispiace, Dean.” Gli sembra di sentirlo ancora. “Mi dispiace”
Ha perso la speranza.
Cas.
*
“Il tuo amico si chiamava Cas? È uno strano nome” dice un Castiel senza memoria seduto al posto del passeggero, accanto a Dean.
Il cacciatore deglutisce rumorosamente, le mani stringono il volante. Vorrebbe dirgli tutte le cose non gli ha mai detto e chiedergliene altrettante, forse vorrebbe picchiarlo, urlargli contro insulti e chiedergli perché li ha messi in tutta quella situazione di merda.
Ma non può. Castiel non ricorda nulla, non ricorda nemmeno di essere un angelo, potrebbe spaventarlo e farlo scappare chissà dove.
“Già,” commenta con la gola secca e si morde le labbra per non dire nient’altro.
“Il suo tradimento ti ha fatto molto male, vero? Gli volevi bene.”
I
suoi occhi blu sono empatici e gli ricordano Cas -
perché è lui cazzo, è
lui! - gli ricordano di
quando andava tutto bene e stavano insieme.
Non sai
quanto,
gli vorrebbe rispondere, poi non lo
fa. Emanuel - o
come diavolo si fa
chiamare adesso – continua a fissarlo e sembra
così tanto Castiel che Dean
stringe il volante con forza fino a farsi sbiancare le nocche,
perché il
desiderio di toccarlo è così forte che non sa per
quanto potrà resistere
ancora.
Vuole
baciarlo – dio, lo vuole così tanto –
perché per quanto Castiel abbia
sbagliato, è ritornato e Dean non può fare a meno
di esserne grato e di
desiderarlo.
È umano,
dopotutto.
Emanuel lo
guarda ancora con un’intensità tale che Dean
inizia a credere che abbia capito
tutto, che inizi a ricordare e stringe le dita ancora più
forte.
Poi Emanuel
guarda dritto verso la strada e domanda: “Quanto manca,
ancora?”
E Dean sa che
dovrebbe smetterla di sperare perché ormai Castiel lo
conosce solo come un
estraneo.
*
Quando vede
Emanuel camminare verso di lui, sa che ora è di nuovo
Castiel. Lo sa perché lo
ha visto uccidere tutti quei demoni e ricordarsi, d’un
tratto, dell’angelo che
è sempre stato.
Dean però non
sa che Castiel, sopra ogni cosa, ha ricordato lui. L’angelo
non glielo dice
perché non sa come potrebbe, non dopo tutto quello che
è successo, tutti gli
omicidi e gli orribili sbagli che ha compiuto. Non ora che Sam sta
impazzendo
ed è solo colpa sua.
Castiel si
avvicina a Dean che rimane fermo, le immagini di tutte le volte che si
sono
conosciuti fanno una gran confusione nella testa di entrambi.
Il cacciatore
stringe qualcosa in mano e l’angelo si accorge che
è il suo vecchio
impermeabile, quello che apparteneva originariamente a Jimmy Novak ed a
una
vita che sembra passata da secoli.
“Questo è
tuo,” gli dice brevemente e gli porge il trench che Castiel
afferra con mani
appena un poco tremanti.
“Mi
dispiace,” dice subito e spera che Dean se ne convinca. Non
sa quante volte
dovrà ripeterlo, ma sa che sarà disposto a farlo
fino a perdere la voce.
Dean scuote
il capo brevemente, è stanco, e sembra voler rimandare il
discorso oppure non
volerne parlare affatto. Castiel non lo sa e ne ha paura.
“Cerca di
rimettere a posto Sammy,” dice invece e l’altro
ricorda subito che cosa ha
fatto. Ne prova vergogna. Vorrebbe scusarsi di nuovo, ma non lo fa. Non
avrebbe
senso, forse.
Dean lo
guarda senza dire una parola e Castiel non può fare a meno
di accennare un
debole sorriso, perché pensava che non avrebbe
più rivisto Dean e invece si
sbagliava, invece ce l’ha davanti.
Le dita
ruvide di Dean accarezzano un po’ goffamente la linea arcuata
e screpolata
delle sue labbra e Castiel trema, trema come non ha mai fatto.
È un gesto
tanto semplice, così bello da far male, e
che ricorda così tante cose a entrambi, che
Castiel non riesce a fare nulla e rimane perfettamente immobile.
Si ripete che
Dean deve perdonarlo, anche se non se lo merita, perché
senza quell’uomo lui
non saprebbe cosa fare. È blasfemia il fatto che un angelo
possa vivere senza
Dio, ma non senza un uomo, ma Castiel non se ne cura perché
ha peccato così
tanto e così duramente che adesso, forse, non ha
più nulla da perdere. A parte
il perdono di Dean.
Quando rivede
Sam e comprende appieno il dolore che gli ha procurato, capisce che la
soluzione giusta ce l’ha davanti e che non basta dire mille
volte ‘scusa’ per
farsi perdonare: quando non si ha più nulla da perdere
bisogna dimostrarlo.
Sfiora la
testa di Sam con la propria mano e dèvia la follia del
ragazzo su di sé, sa che
questa è probabilmente l’ultima volta che
farà il bene di qualcuno, perché
adesso Castiel ha imparato che è l’inferno ad
essere lastricato di buone
intenzioni e non il paradiso.
L’ultima cosa
che vede è Dean, poi il buio.
*
Dean ha
creduto mille e più volte di perdere la speranza e
più di mille volte, invece,
si è illuso che fosse così. Lo sa
perché altrimenti non avrebbe conservato quel
trench malandato e sporco per tutto quel tempo, lo sa perché
avrebbe dovuto
cancellare Castiel dalla sua vita il giorno in cui ha deciso di
tradirlo e
decidere per tutti - decidere di diventare un Dio crudele e senza
emozioni che
ha ucciso milioni di persone e centinaia di angeli - e
invece non lo ha fatto.
È stato suo
mal grado felice di avere Castiel al fianco, di ritrovarlo e di
conoscerlo ogni
volta diversamente e ogni giorno una volta in più.
Quando
Castiel si è reso conto dei suoi sbagli è tornato
da lui, è tornato per lui,
perché, semplicemente, non aveva un altro posto a cui
tornare, nessuna persona
da rivedere.
Dean non può
fare a meno di conservare una piccola bolla di luce nel suo petto
stanco, una
bolla che conserva i suoi ricordi migliori. Un motivo in più
per
continuare a
lottare, anche quando la
notte non riesce a chiudere occhio per tutto lo schifo che ha visto.
E adesso, a
distanza di anni da quella mezza confessione in quel vicolo, Dean si
ritrova di
nuovo in una battaglia enorme e grandissima. Stavolta la battaglia ha
un
colpevole e il colpevole è l’angelo che gli
prepara sandwich e tratta quella
puttana di Meg come un’amica di lunga data.
È doloroso, è
orribile e Dean non sa che fare; Castiel, intanto, continua a giocare al gioco della
scusa e il
cacciatore è stanco, così stanco.
“Mi
conoscete. Sono sempre pronto a dare il sangue per i
Winchester,” scherza
porgendo loro la fiala che contiene il suo sangue. E Dean ricorda, Dean
sa –
perché la sua mente non è mai stata alterata,
né impazzita – che l’angelo gli
ha dato molto di più. Molto di più. Come sa, ed
è una dolorosa certezza, di non
aver mai detto nulla all’angelo e che forse avrebbe dovuto.
Forse sarebbe
cambiato tutto, forse non sarebbe cambiato nulla, ma non saperlo lo fa
impazzire e- ehi – forse anche lui ci sta rimettendo la
sanità mentale in
quella storia.
Castiel è in
un mondo tutto suo, probabilmente è sconvolto, probabilmente
non è esattamente
quello che Dean ha imparato a conoscere, ma è sempre lui,
è sempre Cas. E Dean
sta così male, ed è così stanco che
vorrebbe urlare, urlare tutte le cose che
non ha mai detto e cercare di rimettere insieme tutti i pezzi di quel
puzzle
insensato.
“Sono
maledetto, Dean,” sostiene Castiel e la sua voce è
atona, la sua postura è
rigida. È così simile all’angelo,
all’amico, all’amante che conosce che è
doloroso. È un’altra speranza, un’altra
illusione.
“Distruggerei
tutto come ho già fatto.”
Il cacciatore
fa una smorfia - perché
non è un
sorriso, lui non sorride più da tanto –
“Siamo tutti maledetti, Cas. Anch’io lo
sono, tutta la mia famiglia lo è” i loro sguardi
si incontrano e sono pieni di
senso di colpa.
“Ma
preferisco averti qui, maledetto o no.”
È una
confessione, o più probabilmente una condanna,
perché Dean preferirebbe avere
Castiel a prescindere da tutto, anche dopo tutto quello che ha fatto
solo
perché è Cas
e significa troppo.
L’angelo
sorride appena e Dean ha quasi la certezza che stia per dire qualcosa
senza
senso, come spiegargli la complessa gerarchia delle api.
“Ho visto
nella tua voce l’inizio del tuo perdono per me,”
dice invece e l’uomo sbatte le
palpebre un paio di volte, preso in contropiede.
“Sì,
beh,”
inizia incerto, “ora come ora non ha più
importanza. Dobbiamo rimandare al
creatore quei mostri.”
Castiel
sorride ancora e si avvicina, il cuore di Dean batte un po’
più forte ma lui lo
ignora, l’angelo gli tocca la spalla, invade il suo spazio
personale e lo
guarda.
“Allora ti
seguirò, Dean” e sembra di nuovo il guerriero di
Dio che ha imparato a
conoscere – amare?- “Porrò rimedio ai
miei sbagli, anche se dovessi rimetterci
la mia vita.”
Il cacciatore
apre la bocca, ma non sa cosa dire, stringe forte la mano a pugno e poi
si
decide a posarla sulla sua spalla: sente il calore del suo corpo, della
vita
che vi scorre dentro e sa che non potrebbe sopportare di perderlo di
nuovo.
Sarebbe troppo per un uomo, è
già
troppo così, in realtà.
Lo guarda
negli occhi vede tutte le sfumature cromatiche delle sue iridi, vede
molte
cose, ma non sa quali siano vere e quali siano sue stupide illusioni.
Dean è un
uomo stanco e forse completamente disilluso, ma è comunque
solo un uomo e, a
prescindere da tutto, vorrebbe
ancora
qualcuno da cui ritornare.
*
“Svegliati,
Dean.”
L’uomo apre
gli occhi di scatto ed è così buio intorno a lui
che per un momento non vede
nulla, poi riconosce le sagome degli alberi e una presenza alle sue
spalle.
“Castiel” lo
chiama prima di voltarsi a guardarlo. L’espressione
dell’angelo è seria, le
sopracciglia corrugate, si guarda intorno circospetto.
All’erta.
“Cas, dove
siamo?” si alza in piedi, è confuso,
l’ultima cosa che ricorda è Castiel che
afferra Dick per le spalle e gli permette trapassare il suo collo con
l’arma
sacra.
“Nel
purgatorio.”
“Cos- come ci
siamo finiti?” si guarda intorno e scopre di non avere un
arma nello stesso
momento in cui vede ombre muoversi e occhi iniettati di sangue spiarli
da
dietro alberi e cespugli.
“Dobbiamo
andarcene da qui, è pericoloso.” Poi scompare in
un frullio d’ali e Dean è da
solo nell’oscurità.
“Cas?” chiama
e gira su se stesso per cercare di vederlo. “CAS?”
stavolta urla e sente
schiocchi sinistri tra le fronde.
“Sono
maledetto, Dean. Distruggerei
tutto come ho già fatto.”
“CASTIEL!”
urla di nuovo, furioso, ombre
sinuose si
muovono tra gli alberi. Non c’è nessuno accanto a
lui e Dean suda freddo, non
sa che fare: ha paura, è solo un uomo.
Non può
sopportare altro, non
può.
“Mi
dispiace.”
Cas…