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Autore: Blackvirgo    26/05/2012    3 recensioni
" Anche allora la lasciai sotto la neve, vicino alla Festa della Luna. Si vede che Marpenoth è un mese propizio per gli addii."
Un Bosco, un Viandante, una guerra: tempo di addii. E di nuovi incontri.
[scritta per il calendario dell'Avvento 2010, iniziativa di Fanworld]
Genere: Drammatico, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Laflihn Caelesti'
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“Ci rivediamo, Laflihn Caelesti.”
Laflihn osservò per un momento l’elfo dallo sguardo severo che aveva appena parlato e lo riconobbe immediatamente. Attorno a loro il panorama era grigio e tetro e molta gente vagava come se non sapesse dove andare. Era così diversa dai suoi boschi, ora coperti da una spessa coltre di neve.
Nessuna traccia della battaglia che aveva appena combattuto: niente nani, niente orchi, niente licantropi e, soprattutto, niente draghi. Non ebbe bisogno di chiedere cos’era successo – il suo era stato un piano suicida. Ancora non riusciva a capacitarsi che i suoi compagni l’avessero avallato senza protestare. Poteva solo sperare di essersi portata dietro quanti più nemici possibile. Magari anche la vecchia Chlor.
“Quel vecchio drago è stato polverizzato dall’esplosione, come tutti gli altri nemici nelle vicinanze.”
Il cuore di Laflihn ebbe un moto di orgoglio, subito seguito da uno sguardo preoccupato.
“Anche i tuoi compagni,” le rispose l’altro.
“Dove sono ora?”
”Immagino stiano intraprendendo il loro ultimo viaggio a modo loro.”
Laflihn sospirò: la neve avrebbe coperto la devastazione provocata dalla battaglia, ma i suoi piedi non l’avrebbero mai più calcata. Le sembrava già di sentire la mancanza del freddo pungente delle Marche d’Argento. Era Marpenoth inoltrato: fra poco più di tre decadi avrebbero celebrato la Festa della Luna e, dopo ancora, quella di Mezz’inverno. Sempre se ci fosse stato qualcosa di festeggiare durante quell’inverno: Naonna e Quaervarr erano state distrutte, la foresta era ormai irriconoscibile, le battaglie erano più o meno ovunque… però la festa di Mezzo Inverno rimaneva una speranza: nel momento più buio, pur sapendo che il freddo più intenso doveva ancora arrivare, si cominciava a scendere la china e a ripensare al calore del sole con meno nostalgia e più desiderio.
“Così è stata l’ultima battaglia,” mormorò l’elfa.
“Non sono molti gli avventurieri che muoiono nel loro letto circondati dai loro cari,” rispose l’altro. 
“È per questo che non ti ho più incontrato nel Bosco della Luna?”
L’altro non rispose.

Quando – quasi vent’anni prima – si erano lasciati, era inverno.
Si erano incontrati nel Bosco della Luna, dopo una missione di Laflihn, una delle prime volte in cui aveva agito in solitaria. Non c’era ancora la guerra con il Sangue Nero allora, solo episodi isolati di inaudita ferocia: accampamenti di boscaioli e di contadini che ogni tanto venivano trovati massacrati vicino alle loro case, orribilmente mutilati.
Laflihn era una messaggera, il collegamento tra i vari gruppi di esplorazione stanziati nelle varie parti del Bosco della Luna. Stava tornando verso Naonna quando aveva incontrato quello strano elfo, alto e dal volto severo, con l’arco alla tracolla e una sola freccia dalle piume verdi nella faretra. Stava contemplando il cielo, incredulo di essere fra quegli alberi, godendo i raggi del sole sul suo volto. L’aveva studiato, nascosta tra le fronde di un’antica quercia, cercando di valutare la sua pericolosità, i simboli che portava, cercando di capire se fosse un amico o nemico. Finché lui, guardano nella sua direzione, le aveva detto “Vieni fuori,” senza traccia di animosità nella voce profonda e leggera e come il vento.
Avevano viaggiato assieme per alcuni mesi: dal giorno di mezza estate fino alla metà del mese di Marpenoth. Anche allora c’era la neve. “Ci rivedremo,” aveva detto l’elfo, e lei lo aveva lasciato a contemplare il cielo mentre piccoli fiocchi di neve gli cadevano sul viso.
Laflihn si era allontanata; tristezza, nostalgia e gratitudine albergavano nel suo cuore: non aveva mai imparato tanto da nessun altro. Nei mesi in cui aveva camminato assieme, il Viandante – così si faceva chiamare – le aveva insegnato di più sulla via dell’arco di tutti i precedenti maestri che aveva incontrato messi assieme.
“Ogni tua parola, ogni tua azione,” era solito dirle il Viandante, “hanno conseguenze molto più lontane di quanto sembri e nemmeno ai saggi è consentito conoscerle. Esse sono come una freccia: una volta scoccata dall’arco, la sua traiettoria non dipende più da te. Tuttavia le sue conseguenze potrebbero essere molto diverse da quelle che tu avevi programmato: potrebbe colpire il bersaglio designato oppure potrebbe significare la morte di un amico. O la tua. Rifletti prima di tirare. Rifletti prima di agire.”
Fu così che, per Laflihn Caelesti, l’arco e le frecce si trasformarono: da semplici armi diventarono un modo di vivere.

Era palese che anche il Viandante adorasse il Grande Arciere: anche le sue frecce erano d’argento con le piume verdi. Se le costruiva da solo: l’argento era il suo materiale preferito – dannati mannari! – ma in sua assenza anche il legno degli alberi della foresta si lasciava modellare dalle sue mani esperte. Per le penne abbattevano gli uccelli già senescenti, ormai troppo vecchi per essere di qualsiasi utilità per il loro stormo. Le aveva anche mostrato le piante – e il processo alchemico a cui le sottoponeva – da cui ottenere la tintura verde brillante per renderle uniche.
Prima di andarsene le aveva regalato tre delle sue frecce d’argento. Laflihn le aveva sempre custodite gelosamente: troppo importanti per essere sprecate in battaglia, le aveva usate come pegno, per suggellare la sua parola, nei momenti in cui quella parola era stata così importante da poter cambiare la sorte di molti.

“È ancora lo stesso, il Bosco della Luna?” le chiese il Viandante.
Laflihn scosse la testa: “Il Bosco della Luna non è più lo stesso, solo la neve che lo copre è pura e immacolata. Il Sangue Nero ha preso potere: ha contagiato bestie, piante e persone. Lo stiamo combattendo – lo stavo combattendo – quando… quando è successo.” Laflihn sospirò triste. “Forse ho fallito, ma almeno so di aver tentato e forse le mie azioni andranno oltre la mia morte.” C’era speranza nei suoi occhi scuri mentre cercava lo sguardo dell’elfo.
“Quando mi incontrasti nel Bosco della Luna, tutto Toril stava passando uno dei suoi periodi peggiori: gli dei camminavano come mortali e come mortali potevano morire. Ero nel Bosco della Luna perché lì il Sangue Nero era già forte e pensavo che Malar sarebbe potuto comparire là, per unirsi ai suoi seguaci. Invece quella volta è andata meglio a Nobanion: fu di lui che il Maledetto divenne preda.” Un sorriso di nostalgia gli tirò le labbra. “Ma non era solo quello: nel Bosco della Luna ho trascorso lunghi anni durante la mia vita mortale. Anche allora la lasciai sotto la neve, vicino alla Festa della Luna. Si vede che Marpenoth è un mese propizio per gli addii.”
“Cosa devo fare ora?” chiese Laflihn, costringendosi a guardare avanti.
“Puoi rimanere qui nel Piano del Fato, contrattando con i baatezu la tua possibile reincarnazione in un diavolo e difendendoti dai tanar’ri che tenteranno di rapirti. Dato che non sei una miscredente non credo che finirai nel Muro del Pianto e, se di qualcosa potresti essere incolpata, di certo non sarebbe di essere una traditrice del tuo dio.” Il Viandante sorrise: “Per questa volta non dovrai temere il giudizio di Kelemvor.”
Laflihn lo guardò interrogativa: “Allora perché sei qui?”
“Sono venuto a prenderti,” rispose più dolcemente. “Arvandor è un bel posto in cui stare: non è il Bosco della Luna, ma non mancano gli alberi, i prati, le radure e i laghi. Non c’è la neve, vero, ma neanche troppi addii.”
Laflihn si alzò in piedi, contemplando il grigiore di quel luogo e sognando il verde che sempre aveva amato. “Cosa aspettiamo allora?” disse infilandosi l’arco a tracolla.
Il suo compagno si alzò con un sorriso e le indicò il cammino.
“Viandante, solo un’ultima domanda: non mi hai mai detto il tuo vero nome,” disse l’elfa come se prima non fosse stato importante.
“Eppure l’hai invocato molte volte in battaglia, Laflihn Caelesti,” mormorò lui di rimando.
***

Note dell’autrice:
Questa storia è un addio e un tributo a un personaggio che ho molto amato e che mi ha fatto divertire tantissimo nelle lunghe sessioni di gioco di ruolo, la ranger Laflihn Caelesti. La morte in battaglia è stata tanto assurda quanto epica: siamo riusciti a spazzare via l’intero party in un colpo solo, portandoci però dietro un drago verde antico (di livello molto superiore al nostro!).
Per chi non fosse così ferrato nel calendario del Faerun basti sapere che Marpenoth equivale a ottobre e la festa della Luna è una celebrazione in onore dei defunti. La festa di mezz’inverno non credo abbia bisogno di spiegazioni…
Il Grande Arciere, il cui simbolo è una freccia d’argento con l’impennaggio verde, è Solonor Thelandira, del pantheon elfico.
Spero vi siate divertiti a leggere quanto io a scrivere.
Un abbraccio,
BlackVirgo
   
 
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