Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: candycotton    26/05/2012    2 recensioni
Anno 2181. Hestla.
Lo scienziato Sycor ha iniziato, più di 50 anni fa, il suo piano malato di trasformare l’imperfetta popolazione di esseri umani uccidendoli e donando loro una seconda vita, grazie all’impianto di fili metallici e organi sostitutivi, creando così una nuova razza, i Sostituti.
Rigel e Bion. Due ragazzi alla ricerca di vendetta, in un mondo che sembra aver tolto loro ogni cosa.
Ma niente è quello che sembra su Hestla, ed è fondamentale saper riconoscere gli Umani dai Sostituti, la verità dalle bugie, il tradimento dalla fiducia, il bene dal male.
In un vortice di equivoci, doppiogiochisti, imbrogli e verità, i due ragazzi riusciranno a raggiungere la meritata rivincita su quel mondo spietato? E gli esseri umani, saranno disposti a lasciarsi trasformare? Saranno disposti a morire per vivere una vita all’apparenza migliore?
Un mondo sull'orlo della guerra. Un'intera popolazione perseguitata e sottomessa. Un ragazzo e una ragazza pronti a combattere con un destino ignoto che li attende..
Genere: Azione, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

6

Addii e partenze

 

 

Bum. Bum. Bum.

Fu tutto quello che percepì al risveglio. Rigel si destò, aprì gli occhi di malavoglia, maledicendo dentro di sé qualunque cosa avesse avuto voglia di fare baccano. Si sentì strappato violentemente dal mondo dei sogni. Si alzò a sedere e scorse Bion, sdraiatagli accanto.

Per un attimo la fissò, ancora addormentata, ma poi prese a scrollarla. Mentre i ricordi della notte precedente riaffioravano nella sua mente, si rese conto che i raggi del sole che filtravano nella stanza erano forti e scottanti. Doveva essere già mattino inoltrato.

Scrollò Bion più forte, poi si alzò dal letto. Era ancora vestito, non si era mai spogliato. Era stata una lunga tirata, dopo la cena, la bevuta e il ballo. Il sonno doveva averli accolti a braccia più che aperte, la sera prima.

Mentre i mugolii di Bion lo raggiungevano, si accorse che quel rumore secco che lo aveva svegliato proveniva dalla porta, o meglio, da qualcuno che ci stava dietro e che minacciava di buttarla giù a pugni da un momento all’altro.

Rigel ci si diresse e la aprì. Finalmente Gruis smise di battere le nocche contro il legno duro. Lo fulminò con lo sguardo.

Si fece spazio ed entrò nella stanza. “Si può sapere dove eravate finiti? Vi aspettavo a casa mia più di tre ore fa!” sbraitò.

A quel punto, Bion si mise a sedere sul letto stropicciandosi gli occhi. “Perché che ore sono?”

“Il sole è alto in cielo già da un po’, ti basti sapere questo tesoro!”

Bion imprecò e si scaraventò fuori dal letto. “Ogni volta che non vogliamo perdere tempo, qualcosa va storto”.

“A quest’ora sarà difficile passare inosservati con l’Hydran. Io vi avevo avvertiti, di partire alle prime luci del mattino…”

Rigel recuperò la bisaccia e se la gettò a tracolla, insieme al bazooka.

“Evidentemente ci siamo lasciati un po’ andare ieri sera, Gruis” ribatté Bion, agitata.

Gruis inarcò le sopracciglia. Il suo sguardo passò da Bion a Rigel e ancora a Bion. Doveva aver frainteso, ma sembrava parecchio interessato a saperne di più.

Bion lo ignorò e, dopo aver raccattato la sua sacca da viaggio, si catapultò fuori dalla stanza, con Rigel e Gruis a seguito.

Bion quasi andò a sbattere contro una cameriera, che li accolse con un gran sorriso. “La colazione è pronta” annunciò in tono affabile, indicando un tavolo rotondo accanto alla vetrina.

Bion e Rigel si scambiarono un’occhiata, mentre Gruis sbuffava.

Erano affamati come non mai, e ringraziarono mentalmente la cameriera per averli fermati prima che uscissero. Le uova scaldarono loro la gola, mentre la salsiccia li riempiva e saziava. Accompagnarono quel banchetto con pane e succo di lampone. Nel giro di pochi minuti avevano spazzolato via tutto quanto. Gruis aveva spiluccato un po’ di mollica. Prima di alzarsi da tavola, Bion prese le fette di pane che aveva lasciato lì e se le ficcò nella bisaccia.

Trovarono l’oste al bancone, allungarono qualche moneta per pagare il soggiorno e salutarono cordialmente.

Fuori, la città era già sveglia. Il mercato si allungava sulla via principale, la gente si era riversata a fiotti sulla strada.

Senza dire una parola, tutti e tre si affrettarono tra le bancarelle. Raggiunsero l’imbocco, dove il giorno prima avevano svoltato per raggiungere la casa di Gruis. Fecero lo stesso. Questa volta la via era completamente deserta, ed era una fortuna.

Gruis si avvicinò alla porta di casa, si lanciò un’occhiata in giro, nonostante non ci fosse nessuno a ricambiargli lo sguardo, ed entrò seguito da Bion e da Rigel.

Una volta dentro, un odore di uova misto a pancetta riempì loro le narici. Era chiaro che Gruis aveva fatto colazione prima di uscire, ecco perché alla locanda non era affamato.

“Come vi ho detto, la vostra fuga non passerà in sordina a quest’ora. Tuttavia c’è un sentiero più tranquillo che porta alla foresta proprio oltre il muro dove finisce la strada. Basterà che sorvoliate il muro con l’Hydran e che seguiate il sentiero dall’alto. Certo, vi porterà verso la foresta, ma una volta fuori da Keel potrete invertire la rotta e dirigervi a sud. In questo modo eviterete di sorvolare la città”.

Mentre Gruis dava loro consigli, avevano raggiunto il garage sotterraneo con i due Hydran all’interno.

“Ti ricordi tutti i pulsanti, vero?” domandò lui, una volta dentro il macchinario.

Bion cercò di sorridere, ma le venne solo una smorfia. “Lo spero”.

“Comunque ti lascio il libretto d’istruzioni qui sotto, così nel caso…”

Bion gli buttò le braccia al collo e lo strinse forte. “Grazie Gruis, davvero. Sei un tesoro”.

Gruis sorrise e le picchiettò la schiena con le dita. “È questo ciò che fanno i veri amici”.

Rigel strinse le labbra in un sorriso amaro.

La ragazza si scostò da Gruis e gli prese il volto tra le mani. Si guardarono negli occhi per quella che sembrò un’eternità, come se il tempo si fosse rallentato per un attimo. Bion sentì gli occhi lucidi. “Stammi bene, okay?” disse infine.

Gruis la tenne stretta. Sospirò e annuì di rimando. “Almeno fino alla prossima volta che mi verrai a trovare” sorrise.

Lei scoppiò a ridere. Ma dentro sentiva qualcosa smuoversi. Anche se Gruis voleva sdrammatizzare, lei sapeva molto bene che c’era la probabilità che non tornasse. Era una specie di missione suicida, dalla quale però non le era concesso tirarsi indietro. Era sicura che anche Gruis lo sapesse, che nonostante tutto anche lui provasse quella strana sensazione di qualcosa che sta per cambiare, di una certezza che sta per svanire, di un amico che potrebbe non tornare.

Gruis le accarezzò i capelli. “Ti stanno bene così corti”.

Bion gli sorrise per l’ennesima volta. Era dura dirgli addio, allontanarsi da lui, perché era come dire addio alla sua vita a Keel, dove era nata e cresciuta. Era come se abbandonasse i suoi bei vecchi ricordi lì con Gruis. Ma si rese conto che non doveva essere così per forza. Ogni cosa, ogni bel momento se lo sarebbe portato dietro come un importante cimelio da difendere. Sarebbe stato ciò che l’avrebbe aiutata nei momenti difficili, ricordare la sua famiglia, la loro breve felicità, e il suo grande amico.

Gruis si staccò dall’abbraccio e si avvicinò al portello dell’Hydran.

“Quando uscirete, sarete nel giardino interno di casa mia. Davanti, avrete il muro di cui vi parlavo. Basterà che lo superiate e procediate in direzione nord fino a che non incontrerete i primi cenni di foresta all’orizzonte. Una volta lontani da Keel potrete invertire la rotta e scendere a sud” alzò due dita e fece un cenno di saluto allontanandole dalla fronte. “A presto”.

Scese dall’Hydran e uscì da dove erano entrati senza più guardarsi indietro. Una volta che la porta del garage scattò, Bion e Rigel rimasero soli e un silenzio immane cadde tra di loro.

Rigel si mosse e chiuse il portello della macchina. Nella cabina di pilotaggio l’atmosfera si fece più buia. Rigel si sedette su una delle pensiline che sporgevano dalle pareti. Erano ricoperte di pelle e quindi ideate per far sedere ulteriori passeggeri. Bion si voltò verso il quadro di controllo e si perse nella vastità di pulsanti e lucine colorate.

Sopra di loro ci fu un suono profondo e metallico. Gruis aveva aperto il portellone.

Bion sentì un moto d’agitazione. Ancora non aveva messo in moto il macchinario. Chiuse gli occhi e ricordò la spiegazione che Gruis le aveva dato il giorno prima sui pulsanti.

“Per avviarlo basta premere questo grande verde, qui a destra…”

Riaprì gli occhi e cercò il pulsante grosso verde, proprio alla sua destra. Senza indugiare lo premette e subito sentirono il motore rombare sotto i loro piedi. Sorrise.

Rigel le si fece accanto, appoggiando i palmi delle mani sul bordo della console.

“Sotto al pulsante verde ce n’è uno più piccolo, non ti puoi sbagliare, serve per ritirare i piedistalli che lo tengono ancorato a terra…”

Ancora la voce di Gruis le risuonò nella testa. Bion eseguì, e qualcosa di metallico lavorò sotto di loro. Le gambe dell’Hydran ora erano ripiegate al sicuro dentro il corpo centrale e quindi potevano partire.

Bion impugnò il timone e lo spinse tutto contro di sé, in modo che l’auto volante si alzasse in aria.

 Il pannello sopra di loro era completamente aperto, una luce intensa e rovente inondò il garage sotterraneo. Mentre l’Hydran saliva, sentirono uno sbalzo, un cambio di pressione. E in pochi attimi furono fuori.

Bion lanciò un’occhiata raggiante a Rigel, che la ricambiò con un sorriso soddisfatto. Finalmente si stavano muovendo, il loro viaggio era iniziato.

Come Gruis aveva suggerito, sorvolarono la barriera di cemento che separava la città dalla campagna circostante e furono sopra un sentiero spoglio di vita, incolto, con l’erba alta e alberi imponenti.

Bion inserì il pilota automatico, ma rimase concentrata sulla strada, incantata dalla velocità dell’Hydran e dalla sua efficienza. Gruis non l’aveva per niente delusa.

Anche Rigel si lasciò trasportare dalla novità del viaggiare con un vero mezzo di trasporto. Non l’aveva mai provato prima e doveva riconoscere che in quel modo avrebbero risparmiato un sacco di tempo prezioso.

All’improvviso, qualcosa attirò la sua attenzione. Sebbene fossero saliti parecchio di quota e viaggiassero di qualche metro sopra le chiome degli alberi, notò chiaramente un’ombra avanzare sul sentiero. All’inizio pensò a un uomo, ma era troppo piccola, e molto più veloce.

“Abbassati” sussurrò a Bion.

Lei lo guardò stranita.

Rigel ricambiò l’occhiata e si accigliò. “Per favore. C’è qualcosa laggiù…”

Bion seguì la traiettoria del suo sguardo, fino ad arrivare all’ombra che si aggirava parecchi metri sotto di loro. Strinse gli occhi per vedere meglio. “Potrebbe essere una trappola”.

“Oh, non credo che lo sia. Fidati di me”.

Bion non poté fare a meno di intercettare nuovamente lo sguardo di Rigel. Si fissarono, poi lei inclinò il timone e l’Hydran iniziò a perdere quota. Man mano che si avvicinavano, fu come se la macchia che inseguivano non aspettasse altro. Rallentò la corsa e, quando l’Hydran toccò terra, si arrestò, in attesa.

Rigel a quel punto scoppiò a ridere. Aprì il portello e non fece nemmeno in tempo a scendere la scaletta, che Freya gli balzò in grembo. Rigel la strinse forte, la accarezzò sotto il muso e lei chiuse gli occhi, beata, emettendo delle fusa molto rumorose.

Bion rimase al suo posto, ma un sorriso amaro comparì sulle sue labbra.

“Hai fatto il bottino, vedo” commentò Rigel, quando Freya gli lasciò cadere tra le gambe una lontra morta.

Rigel rientrò, chiuse il portello e l’Hydran ripartì. Avere Freya di nuovo affianco lo faceva sentire meglio, gli dava più slancio. In fondo era stata la sua unica compagna per lungo tempo, era come portarsi dietro una parte di sé senza la quale non sarebbe stato più sé stesso.

“Immagino che dovremmo fare delle fermate, per lei…” buttò lì Bion.

Rigel la fulminò. “Sono sicuro che Freya non sarà motivo d’intralcio. Ci seguirà anche da terra, stai tranquilla”.

Bion fece spallucce. Non intendeva certo fermarsi ogni ora per permettere all’animale di fare i suoi bisogni. Insomma, sarebbero arrivati a destinazione dopo cento anni.

Tra di loro cadde un’atmosfera gelida. Rigel scomparve oltre la porta della stanza da letto e Freya lo seguì. Il ragazzo trasse un profondo respiro e si lasciò cadere sul letto, la lince sdraiata al suo fianco.

“Ho paura che non ci vedremo per un po’, piccola” le sussurrò, mentre la lince faceva le fusa sotto il suo tocco. “Sappi che per me non sei un intralcio. Ma lo sai perché lo sto facendo, no?”

Freya teneva gli occhi chiusi e il suo ronfare suonava un po’ come una risposta affermativa. Ma in fondo, quello era solo ciò che Rigel voleva sentirsi dire. Che quello che stava facendo aveva un senso. Rigel sospirò, rendendosi conto che nemmeno lui sapeva a cosa andava incontro.

Credeva davvero che una volta arrivato alla base di Sycor avrebbe trovato i suoi genitori ad attenderlo? Dopo tutti quegli anni era una speranza troppo labile. E allora perché era partito? Qual era la ragione? Si disse che probabilmente non c’era una vera ragione per cui l’aveva fatto. Si disse che era soltanto un povero ragazzo sull’orlo del baratro quando Bion l’aveva trovato. E da allora era scattato qualcosa dentro di lui. Il vecchio spirito di avventura, da tempo spento, era tornato ad ardere. E poi c’erano la vendetta e la voglia di riscatto. Tutto ciò che gli restava.

 

 

 

L’Hydran filava liscio e silenzioso sopra le chiome degli alberi scossi da una leggera brezza serale. Bion si stropicciò gli occhi. Aveva pulito e messo a cuocere la lontra. Si meravigliò dell’arguzia di Gruis quando schiacciò un pulsante nella parete a destra che diceva “Se stai morendo di fame” e apparve una specie di mini barbecue, sotto al quale c’era una piccola credenza con piatti, posate e bicchieri.

Estrasse due piattini e preparò le porzioni di lontra sufficienti per quella sera. Il resto l’avrebbero conservato.

Fissò il suo piatto e buttò un’occhiata al tramonto fantastico che si stagliava oltre i finestrini dell’Hydran. Appoggiò il piatto sulla brace spenta e si diresse alla porta della stanza da letto. Bussò, ma non le arrivò risposta. Così entrò.

Rigel era crollato sul letto, addormentato, le gambe a terra, fuori dal materasso. Il ventre flessuoso di Freya si alzava e si abbassava al suo fianco.

Bion gli si avvicinò piano. Gli toccò un ginocchio e lo scrollò. Lo chiamò più volte finché lui si svegliò di soprassalto.

“Sono io. Non volevo svegliarti, ma la cena è pronta…”

Rigel si mise a sedere, ancora intontito. Bion prese posto al suo fianco. Si morse un labbro.

“In realtà volevo scusarmi per prima… so quanto ci tieni alla tua lince”.

“Non me la sono presa per quello che hai detto”.

Bion alzò gli occhi su di lui. Sentì il suo respiro rilassato e provò una forte tranquillità. Chiuse gli occhi e li riaprì. Le parve che Rigel fosse più vicino che mai.

“Anzi, la devo ringraziare per la lontra che ci ha portato” Bion sorrise.

Gli occhi azzurri di Rigel brillavano nei suoi. Era impossibile guardare da un’altra parte. Lo sentiva così rilassato e sicuro, mentre lei era agitata e confusa. Perché le faceva quell’effetto? In fondo lei aveva un piano ben preciso. Lo aveva convinto a venire con lei soltanto per avere un’esca, per barattarlo come un semplice oggetto di poco valore. Per lei, non doveva essere niente più di quello. Se si fosse affezionata, come avrebbe potuto consegnarlo a Sycor?

Era più forte di lei, non ce l’avrebbe fatta ad andare avanti. Era il momento giusto, sì, lo sentiva. Alzò una mano e gli accarezzò una guancia, le loro labbra si toccarono…

Aprì gli occhi.

Aveva il battito accelerato. Si guardò attorno. La carne sfrigolava sulla brace, il sole bruciava scomparendo oltre le chiome degli alberi. Bion si passò una mano sul viso. Era stato solo un sogno.

Ingoiò la saliva, aveva la bocca impastata. Poi, la porta si aprì e lei sussultò.

“Cavolo, mi ero addormentato…”

La voce di Rigel la raggiunse come da un luogo lontano.

Bion si alzò dalla sedia e, suo malgrado, i loro sguardi s’incrociarono.

“Ti senti bene? Hai una faccia…”

Lei sbatté le palpebre, confusa. Si avvicinò alla brace e controllò la cottura della lontra. Il braccio di Rigel apparve nel suo campo visivo. Sentì la sua presenza accanto.

“Ad ogni modo, Freya non starà con noi. Appena accenna ad avere bisogno di scendere, ho deciso che la farò proseguire da terra. Così anche lei sarà più contenta. A quale animale piace stare in gabbia e rinunciare alla propria libertà?”

Bion annuì e fece un mezzo sorriso. Con una strana sensazione, si ricordò di quello che diceva nel suo sogno. Le parole le uscirono dalle labbra in un sussurro incerto. “Però… la dobbiamo ringraziare per la lontra che ci ha portato”.

Rigel sorrise. “Che ne dici se dopo cena atterriamo e la lasciamo uscire?”

Bion sentì il suo braccio sfiorarle il fianco, o forse se lo stava solo immaginando? Buttò un’occhiata. No, era proprio vero. Rigel le stava vicinissimo. Ma perché lo notava così tanto? Qualche giorno prima non ci avrebbe fatto neppure caso. Si scostò leggermente. “Certo. Sarà buio e non credo troveremo qualcuno sul sentiero”.

“Freya sarà molto contenta. Non credo che se la passi troppo bene, dopo un’intera giornata senza… hai capito” si lasciò andare in una risata profonda. Era sinceramente divertito, e Bion faticò a trattenersi.

“Per fortuna che il tuo amico ha pensato bene di metterci un bagno qui dentro, altrimenti sarebbe stata dura anche per noi”.

Rigel rise più forte, mentre Bion sbuffò un sorriso sommesso.

Mangiarono la carne ben cotta, lasciando più della metà per i giorni a venire. Ne lanciarono un pezzo anche a Freya: dopotutto era stata lei la loro benefattrice.

Il sole era ormai andato da tempo quando atterrarono e lasciarono andare Freya sul sentiero.

“Ci vediamo presto, piccola. Stai attenta” le sussurrò Rigel, mentre l’accarezzava vigorosamente. Freya gli leccò una guancia e continuò finché Rigel non si alzò in piedi e la guardò allontanarsi prima di tornare dentro e chiudere il portello.

Ripartirono. Rigel sapeva che c’era la possibilità di non rivedere Freya tanto presto, ma voleva sperare che accadesse il contrario.

“Guarda” fece Bion, indicando oltre la vetrata.

Il lontananza, scorsero un folto agglomerato di verde con alberi molto più alti di quelli del sentiero.

“La foresta” sussurrò Bion. “Dobbiamo virare. Gruis ha detto che potevamo proseguire a sud per un altro sentiero… eccolo” si era spostata sulla parete destra dell’Hydran e guardava dagli stretti finestrini una striscia di terreno poco riconoscibile, in mezzo ad altrettante file di alberi e arbusti.

Bion si rimise alla guida, impugnò il timone e virò tutto a destra.

Finalmente erano sul sentiero che li avrebbe condotti nella giusta direzione. Quella via era, se fosse possibile, ancora più desolata della precedente. Bion sentì un brivido lungo la schiena mentre osservava il paesaggio scorrere sotto di loro. Sentì una mano sfiorarle la spalla. Trasalì. Il volto di Rigel le sorrideva dall’alto, ma era un sorriso amaro.

“Ci siamo” disse.

Bion scrutò i suoi occhi azzurri nella penombra. Annuì.

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: candycotton