Tre Mesi
«Perché? Perché non mi hai mai chiesto di venire
con te?»
«Mi chiedi perché? Be’, è semplice: tu volevi
rimanere lì, non ti interessava cambiare città, andare all’università, tu volevi
già da allora dei figli, una casa nel quartiere Tamburi. Volevi crescere
rimanendo in quei luoghi in cui avevi passato gran parte della tua vita, volevi
crescere rimanendo sempre la stessa, solo con più marmocchi attorno. »
«Ma non me l’hai nemmeno chiesto…»
«Non sarebbe cambiato comunque nulla. »
«E quindi non tornerai, nemmeno sta volta? »
«Sai, ho visto Christian tornare tante volte,
rimanere un paio di settimane e desiderare di restare, poi però c’era il lavoro
e allora doveva tornare a Verona e prendeva comunque quel primo aereo, tornava
lì e passava una settimana a disperarsi, torturandosi a cercare una soluzione,
per tornare a quella che senza nemmeno rendersene conto ormai non considerava
più la sua vera casa. Sono anni che casa sua è Verona, lo so perfettamente, lo
è diventata subito dopo la sua partenza, il suo arrivo, il suo nuovo lavoro.
Passata quella settimana si scordava di tutto, di Taranto, del mare, della
pioggia e del freddo che probabilmente raggiungeva temperature quasi calde
rispetto a quello che lo ghiacciava lì, dov’era casa sua, Verona. Se ne
dimenticava, capisci, riusciva ad andarsene e a dimenticare fino alla prossima
volta in cui sarebbe sceso.
«Credi davvero che immaginando di stare qua, dove
sono adesso, a Roma, a studiare, in una casa che non so ancora se considerare
mia, io già non provassi un’assurda malinconia davanti all’idea di non vedere
più il luogo in cui sono nata? D’inverno, a volte, o quasi sempre, avrei voluto
scappare, addormentarmi e riuscire a sognare, a sognare come fanno tutti, non
quei sogni malconci che faccio di solito, e non svegliarmi più. D’estate
sentivo che il mare mi sarebbe mancato, in fondo credo che, sai, scusa, ma
forse anche più di te, credo che il mare di Taranto mi sarebbe mancato più di
tutto. Solo che, solo che l’estate dura solo tre mesi, l’inverno invece è tutto
il resto dell’anno. »
«E per questo non torni? »
«No, non torno perché sento che se lo vedessi
un’altra volta, non riuscirei ad andarmene, a provare quello che mio fratello
provava per una sola, corta, eterna settimana. Corinne, l’estate dura solo tre
mesi! »
«E l’inverno troppo? »
«Sì, troppo. »
«E quando poi finisce, che succede? »
«A
volte mi guardo intorno, e mi terrorizza essere
lontana da Taranto, dalla sua cristallina acqua inquinata, e ti parlo
sul serio: questa città è enorme, eppure ci sono giorni
in
cui mi sento soffocare. E sai che faccio allora?
-Scosse
la testa, malinconica-
«Prendo le mie cuffie, Mp4 annesso, la borsa col
libro di turno e me ne vado, raggiungo a piedi la colonna Traiana, giro un po’
tra gli edifici storici con la musica a coprire quel fottutissimo vociferare
dei turisti, quel miscuglio assurdo di lingue così diverse che sempre una sola
cosa vogliono dire: guardata qua, questo è quello che resta di un impero che ha
governato il mondo e che è crollato, così, senza però sparire mai. E queste
pietre –perché infondo altro non sono- ci hanno lasciato!
«C’è una panchina, sta tra due grandi alberi, non
so dove sia, né come si sia trovata in quel posto, non so nemmeno dove si
trovi, sai che i nomi delle vie sono come scritte in Arabo per me, non ci metto
tanto ad arrivarci e mi ci siedo spesso. Poi afferro il solito libro di turno,
probabilmente l’ennesimo storico e tra una canzone e l’altra viaggio, arrivo da
tutte parti, Babilonia, nell’Attica, nell’antico Egitto, ad Alessandria magari.
Ogni tanto prendo poi quel libro, non so se te ne ho mai parlato:‘Porcaccia, un
vampiro’, si chiama; E col protagonista torno in Puglia, nell’odierna Bari e
non dire che non sono mai tornata da quando me ne sono andata, perché non è
vero! Perché quando lui è tornato a Taranto per il weekend per trovare la madre
e il fratellino, io l’ho seguito tutte le volte. E ho anche rivisto il mare di
sera, mentre lui si masturbava sul sedile della sua auto, io ero al suo fianco
e l’ho rivisto il mare, anche se non mi ha detto mai nemmeno in che spiaggia siamo
andati. »
«E poi? »
«Poi torno a casa, dai miei coinquilini. »
«E l’estate finisce dopo tre mesi. »
«L’estate finisce, dopo tre mesi. »
Nota 1: ‘Porcaccia, un vampiro!’ è un
libro scritto da Giusy de Nicolo ed è ambientato a Bari, ovviamente. Una bella
storia, piuttosto originale, ci si mette poco a finirlo, anche se non l’ho
trovata, a dire il vero, una lettura poi tanto scorrevole. Carino, in ogni
caso.
Nota 2: Non sono mai andata a Roma e
per rigor di logica, mi sono solo immaginata questa panchina, ovviamente ed è
anche per questo motivo che ho evitato di dire una cavolata ubicandola in un
posto realmente preciso.
Angolino dell’autrice:
Stavo
ascoltando una canzone, non so nemmeno come mi sia capitato di risentirla,
‘Idee stupide’ di Fabri Fibra era una canzone che adoravo ai tempi dei tempi.
Non sono un’accanita sua fan, ma il vecchio Fibra mi piaceva, non è per moda, o
perché credo di capirne più degli altri, ma non lo seguo più tanto, né mi
emoziona. Vabbè, chiusa parentesi. Comunque, ascoltandola, mi è venuto in mente
questo discorso, non so nemmeno come mi si sia creato in testa . Io non vivo a
Roma (Non ancora, sarebbe il mio piccolo, e mica tanto, sogno in realtà), non
vado ancora all’università, vivo ancora nella mia fottutissima Taranto e se il
tempo l’avesse permesso, domani sarei andata a mare. Mi capita di riflettere
spesso su quello che succederà nel mio futuro e ho paura che per qualche motivo
non riuscirò mai a tornare dove sono ora, o forse, chissà, magari non riuscirò
invece nemmeno ad andarmene da qui. Non ho preso questa ‘cosa’ così sul serio,
tant’è che non so neanche perché la sto pubblicando. Che puttanella, una cosa
così personale resa così pubblica…
Un
bacio, BlueSunflow…