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Autore: IaminlovewithPayne    26/05/2012    0 recensioni
«Perchè continui a tormentarmi?» chiesi voltandomi per fissarlo nei suoi occhi limpidi.
«Si vive soltanto una volta, e io voglio che tu viva la tua vita con me» sussurrò posando i suoi occhi nei miei.
Quel verde smeraldo, che solitamente brillava ogni volta che lui sorrideva, adesso era più scuro, segno che mi stava dicendo la verità. Sbattei le palpebre mentre la pioggia continuava a bagnarci.
«Harry.. io..»
Mi strattonò per il braccio avvicinandomi a sè e posando le sue labbra sulle mie.
STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mors aut plane neglegenda est si omnino exstinguit animum, aut etiam optanda, si aliquo eum deducit ubi aeternus fuit.
Mia madre non cel'ha mai potuta avere questa scelta. Non ha mai potuto scegliere se restare sulla terra con la sua amata e unica figlia o morire lasciando che la sua anima fosse risucchiata in un posto in cui viva in eterno.
E' stata presa con la forza e portata via dalla vita, senza lasciarle il tempo di dirmi addio. E' volata in cielo per colpa di un uomo che quel giorno aveva deciso di alzare un pò il gomito e poi mettersi al volante, come se questo avesse potuto risolvere i suoi problemi esistenziali. Se ne era creati altri, cosi facendo, e questo tutto a causa dell'imprudenza di un'idea e di una azione avventata.
Il destino, inoltre, aveva voluto che io non incontrassi e conoscessi mai mio padre, e che non avessi altra famiglia all'infuori di mia madre. Cosi, alla sua morte, io avevo soltanto dieci anni e non sapendo dove altro avrebbero potuto mandarmi, fui spedita in un orfanotrofio dal quale non sarei più uscita fino all'età di diciotto anni.
Non è esattamente una bella prospettiva di vita, quella di trascorrere le festività rinchiusa in un edificio e festeggiarle con quelli che non sono altro che poveri bambini che come te sono nati sfortunati. Si, perchè io avevo un'idea tutta mia della sfortuna. Secondo il mio infallibile intuito -avevo passato molti anni a ragionarci su, e alla fine ero giunta alla mia conclusione- una persona nasce sfortunata e lo resta per l'intero percorso della sua vita, non lo diventa.
Ne sono un esempio Renzo e Lucia dei Promessi Sposi, che se fossero nati e cresciuti in un'epoca diversa dalla loro, si sarebbero potuti sposare senza problemi -anche se alla fine cel'hanno fatta-, o Romeo e Giulietta che, se non fossero appartenuti a due famiglie in contrasto tra loro, molto probabilmente si sarebbero potuti amare senza nascondersi.
Insomma, ognuno a modo suo nasce sfortunato, a eccezione di chi ha tutto ciò di cui una persona può necessitare. E io a quest'ultima categoria proprio non ci appartenevo. Era vero allora quel detto che recitava nella vita c'è chi ha tutto e chi ha niente.
Richiusi con forza il libro di Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio, che stavo leggendo, poggiando la testa al muro e chiudendo gli occhi. Mi lasciai scappare una lacrima, che velocemente asciugai con la manica della mia maglia.
Tirava un leggero venticello che mi scompigliava i capelli e mi fece rabbrividire. Mi strinsi ancora di più nell'angolino del balcone della mia camera beandomi del calore che emanava la mia felpa. Aveva iniziato a piovere, ma poco importava.
Ero concentrata ad immaginarmi mia madre che mi faceva gli auguri per il mio diciassettesimo compleanno che cadeva proprio in quel giorno. Ogni anno, secondo la tradizione che mi ero creata, il giorno del mio compleanno che corrispondeva anche al giorno in cui l'anima di mia madre si spense del tutto, lo passavo da sola ad immaginarmi come sarebbe potuto essere se lei fosse stata lì con me.
Immaginavo i regali abbondanti che mi avrebbe comprato, la torta con le candeline che mi aveva sempre preparato. Poteva sembrare da bambini comportarsi cosi, ma io grazie a quei ricordi trovavo il coraggio di trascorrere un altro anno della mia vita senza tentare il suicidio.
«Elisabeth James, subito dal direttore!» esclamò una vecchia e scorbutica signora che io avevo conosciuto sette anni prima, quando per la prima volta avevo messo piede -disgustata- lì dentro.
Trasalii al sentire quella voce, spalancando immediatamente gli occhi e voltandomi verso la signora.
Mi sollevai da terra raccogliendo il libro, che poi gettai sul mio letto, uscendo di corsa da quella che era la mia stanza. A grandi passi mi diressi verso l'ufficio del direttore dell'orfanotrofio. Spinsi la grande porta bianca entrando in quello che era il suo studio.
«Mi ha fatta chiamare?» domandai entrando.
Lui girò la sua sedia e mi sorrise.
«Certo, si accomodi pure Elisabeth» disse indicandomi la sedia libera della sua scrivania.
Mi ci accomodai prendendo a fissare le mie mani sulle mie gambe.
«Allora Elisabeth, ho una buona notizia per lei. Spero che saperla la renderà felice. Ecco.. ci sarebbe una famiglia che l'ha adottata» sputò fuori tutto d'un fiato.
Al sentire quelle parole sollevai di scatto la testa e fissai sbalordita il signor Hudson.
«Prego?» domandai attonita.
Avevo capito bene?! Adottata? Io? Impossibile, assolutamente impossibile.
Niente è impossibile, solo estremamente improbabile.
Scacciai via dalla testa quel pensiero. La gente non si interessava ai tipi come me, diciassettenni, ma ai bambini piccoli. Non avevano mai cercato di adottarmi e prendersi cura di me prima d'ora. E ora che ero stata 'scelta' per vivere di nuovo in una famiglia, cosa che avevo sempre desiderato fino a qualche anno prima, perchè anzichè esserne contenta ne ero spaventata? Sentivo uno strano terrore impossessarsi di me.
«Si, ha capito bene. Lei è stata adottata. Partirà domattina per raggiungere la sua nuova famiglia..» disse il signor Hudson.
«Dove?» domandai freneticamente interrompendo il mio interlocutore.
«Holmes Chapel, signorina»
Mi crollò il mondo addosso. Io, Elisabeth James, come potevo lasciare Londra, la città in cui ero cresciuta, la città in cui mia madre mi aveva fatta nascere, per una fottuta famiglia che aveva deciso di adottarmi? Come potevo lasciare la mia città senza provarne dolore?
«Ora vada a preparare le sue cose, che domattina il suo taxi passerà a prenderla per le otto in punto. Non vorrà mica fare ritardo, vero?» domandò scrutandomi pensieroso.
«Certo che no!» sbottai sarcasticamente uscendo dall'ufficio del signor Hudson per ritornarmene nella mia stanza sbattendo la porta.
Sentii gli occhi pungermi e le guance inumidirsi, mentre preparavo la mia valigia, pronta a lasciare chiusa in un barattolino la mia vita, per trasferirmi in un posto che avrei odiato sin dal momento in cui ci avrei messo piede, lo giurai.



Questo è il prologo della mia nuova long.
Da come avrete potuto intendere la protagonista è una diciassettenne, Elisabeth James.
Mi scuso se il capitolo è piccolino, ma non preoccupatevi, perchè già dai prossimi mi impegnerò a scrivere di più.
Allora la frase iniziale, quella in latino, ha questa traduzione: La morte o deve essere trascurata completamente se spegne l'animo completamente, o deve essere addirittura scelta se porta (l'animo) in qualche luogo dove sarà eterno. L'ho scelta perchè a me piace molto, e devo dire la verità, mi ha anche molto colpita.
Comunque non vorrei stare qui a dirvi di più, anche perchè sono in ritardo, perchè presto aggiornerò con il primo capitolo :)
Sono ben accette le recensioni, vorrei che mi faceste capire cosa ne pensate, e se ne vale la pena di andare avanti.
Allora.. a presto.
Elena <3
  
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