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Autore: yuki    14/12/2006    3 recensioni
Quando le apparenze ingannano...
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è piacevole cambiare sempre scuola, perché in questo modo non hai mai tempo di farti gli amici

Io e te

 

Non è piacevole cambiare sempre scuola, perché in questo modo non hai mai tempo di farti gli amici. Ma, mentre per altri la cosa più sembrare spiacevole, io ci sono abituata. A causa del lavoro di mia madre, che fa la giornalista, io sono sempre costretta a girare e viaggiare. Forse molti sarebbero eccitati da questo fatto, ma non io. Ormai è diventata quasi un’abitudine e non mi eccita né entusiasma più di tanto. Mi ricordo che quando ero bambina mi dispiaceva partire, lasciare i miei amichetti, però da un lato ero felice…e poi ero invidiata da tutti. Ma nessuno sa cosa vuol dire essere sempre sradicata lo stesso momento in cui trovi gli amici. Forse è per questo motivo che sono così: fredda, stronza…La tipica ragazza che le madri non vorrebbero come figlia. Violenta, se ce n’è di bisogno. Ma cosa posso fare se sono così? Se amo il metal, il viola, il nero, le borchie…se sono una punk? E poi alla gente non dovrebbe importare come sono dentro piuttosto che come sono fuori? Me lo sono sempre chiesto…alla fine ho imparato a fregarmene dei giudizi degli altri e vivere per i fatti miei. Forse è per questo che non ho amici. Nessuno vuole avere a che fare con me. Tempo fa credevo che cambiando città tutto sarebbe cambiato, ma non è mai stato così. Per questo ho smesso di illudermi e continuo a vivere per i fatti miei. Mi basta la scrittura, la lettura, ma soprattutto la musica, la mia vita…Alla fine non mi importa se neppure qua, in questa scuola, nella classe dove sono destinata, non piacerò. Vivrò lo stesso! Basta farmi una cultura che mi permetta di andarmene da questo posto e vivere indipendentemente da mia madre. Deciderò io dove stare tra un anno. Sicuramente lontano da qua. Eccomi arrivata davanti la porta, un orribile pezzo di legno su cui è stata incisa da qualche studente un verso della divina commedia. “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate…” Cominciamo bene!

Appena entro la professoressa fa zittire tutti gli alunni i cui occhi sono puntati su di me. Ma che  avrò di speciale? Ho la lebbra? I mormorii di sottofondo cominciano a farsi più intensi e io sono libera di sentire qualche frase. Ma dopotutto sono sempre la stesse. “Ma chi è?Da dove viene?Ma hai visto com’è vestita?Sicuramente si droga” Si perché ormai punk è sinonimo di drogata…ma vabbè sorvoliamo anche su questo. La professoressa fa le solite presentazioni. Lei è Luna…blablabla…si è appena trasferita…blablabla…fatela inserire…e una serie di frasi senza senso che sento ormai da anni. La professoressa non sembra male. Un tipo sulla quarantina, alta, bionda ossigenato, che forse è l’unica cosa che stona, e occhi chiari. Quarant’anni  portati bene devo dire. Vengo indirizzata verso un ultimo banco vicino la finestra. Bene, almeno non dovrò sopportare gli assurdi sguardi dei compagni. Da lontano credevo di essere sola in quel banco, invece, attaccato alla finestra c’è un ragazzo, alto, con degli occhiali un po’ troppo spessi, con un aria da secchione. Mi dà l’idea di un imbranato…che ci posso fare, sono cattiva! Butto lo zaino per terra e mi distendo, nel vero senso della parola, sulla sedia. Il mio compagno non mi saluta e io non ho la minima intenzione di parlargli. Alla fine non morirò se non mi rivolge la parola. Le ore seguono tranquillamente,ma io e il ragazzo non abbiamo scambiato neppure una parola. Mentre tutti si affrettano ad uscire al suono della campanella io attendo qualche minuto, sia perché non sopporto la calca di gente davanti il portone, sia perché amo assaporare il silenzio della classe. Ebbene si, sono più romantica di quanto si pensi, ma non lo do, né lo farò, vedere a nessuno. Passo dieci minuti buoni in classe, a scrivere in un mio vecchio quaderno che mi accompagna da anni, ed esco soltanto quando sono veramente costretta dal bidello. Sto per attraversare il cancello quando sento delle voci…

“Senti bello, tu ci devi dare i soldi, altrimenti il tuo viso, già brutto di suo, te lo roviniamo di più.

Non mi piacciono queste parole, non promettono nulla di buono. Mi dirigo verso la fonte delle voci e li vedo. Tre ragazzi accerchiano il mio neo-compagno di banco, ed hanno in mano dei coltelli. Mi volto per cercare aiuto, ma non c’è nessuno. Io però ho un vantaggio. Non sono stata ancora vista. Cerco per terra una qualsiasi cosa che mi possa fare da arma e trovo un  pezzo di legno abbastanza robusto. Mi avvicino verso il gruppo, quando il mio compagno mi vede. Gli faccio segno di non parlare e spero che lui non si tradisca con lo sguardo. Fortunatamente è un bravo attore. Mi avvicino al primo e riesco al colpirlo in testa, lui è un po’ intontito e cogliendo l’attimo lo colpisco là, dove non batte il sole. Grazie a Dio ho una buona mira. Nel frattempo anche il mio compagno si dà da fare e in breve riusciamo a vincere la battaglia. Ma come in ogni lotta se non ci sono morti ci sono feriti…

Cazzo come brucia.” La mano mi sanguinava. Quel figlio di…Lasciamo stare, mi ha ferito alla mano. Sembra profondo e la cosa mi fa paura. Tutti abbiamo le nostre fobie e io ho paura del sangue. Sono capace di svenire se vedo che ne esce troppo. E questo è uno di quei casi. Fortunatamente il mio compagno, prontamente, me lo fascia e mi accompagna al pronto soccorso. Io lì, al momento di darmi i punti, frigno come una bambina e massacro la mano del mio compagno che mi guarda divertito.

“E dire che mi hai salvato da quei tre e piangi per qualche punto?”

“Qualche punto? Me ne hanno dati 5 sulla mano…ti pare poco?”

“Beh, almeno avrai la scusa di non fare i compiti.”

Comunque sia, prova a dire in giro quello che è successo oggi e faccio io quello che non hanno fatto quei tre.”

Lui ride. Devo ammettere che almeno il sorriso è bello.

Ok, non rovinerò la tua fama da dura. Comunque sarebbe anche il momento di presentarci no?”

Vabbè, tu il mio nome lo sai, il tuo?”

“Alessandro, ma tutti mi chiamano Sandro.

“Beh allora per distinguermi dalla massa ti chiamerò Ale.

Sorride di nuovo.

Senti Luna, ti va di salire da me? Ti offro qualcosa.”

“Si, ma non provare a fare proposte indecenti che tanto la risposta è e sarà sempre no.

Ok.”

Entriamo a casa sua. E’ abbastanza grande e al momento non c’è nessuno, siamo soli. Non che io abbia paura, ma sono un po’ imbarazzata.

“Vuoi qualcosa da bere?”

“Si, hai una birra?”

“Alle tre del pomeriggio?”

Embè?”

Ride. Questo ragazzo ha la risata facile, però mi piace. Se certe volte non fosse così tonto e smettesse di avere l’aria da secchione, ammetto che non sarebbe male.

Mi porta la birra. Cominciamo a parlare del più e del meno e io torno logorroica e allegra come quando ero bambina. Quando sei sola non trovi più nulla per cui ridere, ma con lui è diverso. Abbiamo alcune passioni in comune, poche al dire il vero, però andiamo d’accoro. Studiamo insieme e io devo ricredermi sul fatto che è brutto o comunque distrae studiare in compagnia. Mi diverto un mondo. Ci scambiamo i numeri di telefono e continuiamo a mandarci sms sino a sera. Devo ammettere che è divertente e ha anche la battuta facile. Sa tenermi testa. E poi quel sorriso…Oh, ma non è che mi sto innamorando? Naaa

Prima di andare a nanna mi manda l’ultimo sms:

Ciao sanguifobica, domani devo andare a fare degli esami di sangue, mi accompagni? Sogni d’oro o meglio…di sangue…bacio!

Che stronzo!

I mesi con lui passano piacevolmente. Il nostro rendimento scolastico, grazie alla coalizione A&L, è migliorato ed io sono felice. Passo sempre meno tempo a casa, mia madre mi vede solo la sera per andare a nanna, mentre i genitori di Ale mi hanno praticamente adottato e mi trattano come una figlia.

Ammetto che in questi mesi sono cambiata. E anche molto. Nessuno era più riuscito a farmi sorridere, a rendermi felice. Non mi ero più fidata di nessuno e invece lui è riuscito a farmi credere nella gente. E adesso, è per lui e grazie a lui che mi ritrovo davanti lo specchio indecisa su cosa mettere. IO, LUNA, la ragazza fredda che non ha paura di niente…beh, quasi niente, è indecisa su cosa indossare. Ma quando mai si è sentita qualcosa del genere? Nessuno mi ha mai fatto entrare in panico eppure l’idea di andare a una festa con lui mi mette angoscia. Finalmente deciso: gonna lunga nera, stivali, maglietta viola e sciarpa rigorosamente nera. Capelli sciolti e trucco nero. Sono un po’ più femminile rispetto al solito. Abbandono anche le mie amate borchie e indosso degli orecchini più adatti…Come mi ha cambiato…Ah l’amicizia…Ma ora che ci penso, siamo sicuri che è amicizia?

NO! Questa è la sentenza del cuore, che ha deciso di appartenere a lui. Solo adesso, davanti a questo specchio, ho capito che succede. Mi sono innamorata di Ale.

Mi desto dai pensieri solo quando suonano al citofono e mia madre, dopo aver risposto, mi annuncia che lui mi aspetta giù. E’ felice di questo ragazzo, si fida di lui. Anche perché ha fatto tornare sua figlia felice. Le do un bacio sulla guancia e scendo giù per le scale di corsa…ci manca poco che per la fretta non rotoli. Appena mi vede sorride. Anche lui è molto elegante e devo ammettere che senza quei fastidiosi occhiali è veramente bello. Mi bacia sulla guancia e insieme, con la sua macchina, ci dirigiamo alla festa. Devo ammettere che non è male, la birra e gli alcolici sono buoni…e anche il cibo. Diciamo che passo gran parte della serata al tavolo dove danno da mangiare. Sono fatta così. Quando sono nervosa mangio. E tanto!

E’ Ale a soccorrermi e allontanarmi da tutte quelle tentazioni.

“Signorina mi concede questo ballo?”

Io,  così occupata a riempire il mio stomaco, non mi ero accorta che adesso come balli c’erano i lenti. Sorrido al mio cavaliere e annuisco. Si, voglio ballare. Voglio per una volta essere una ragazza e abbandonare la maschera che per troppo tempo ho fatto mia.

Balliamo e ridiamo. Sono felice come non lo sono mai stata. Alla fine della festa andiamo a casa sua. Oggi siamo soli, ma non ci sono problemi. Spesso ho dormito da lui dividendo lo stesso letto. Ma stavolta è diverso. Non ce la faccio più ad aspettare. Appena entriamo lo bacio e lui ricambia…e quel bacio, quella danza di lingue dura tantissimo. Il tempo sembra fermarsi. Senza sapere come ci ritroviamo nudi sul divano e facciamo l’amore. Lui è impacciato, timido…è rosso come un peperone…e questo mi fa eccitare di più. Ma una volta che prende il ritmo anche lui è più sicuro, più sfacciato. Ho sempre fatto sesso nella mia vita. Forse sono stata una puttana è vero. Ma questa volta no. Questa volta sono innamorata. E’ la prima volta che faccio l’amore…è la prima volta che abbasso la maschera.

Sfiniti ci troviamo abbracciati sul divano. Da qualche parte una macchina passa e porta con se le note delle canzoni di Natale. Mi hanno sempre messo allegria quelle canzoni stupide, che fanno in alcune pubblicità.

Mi metto a cantare…

A Natale puoi,fare quello che non puoi fare mai…

Ale mi guarda incuriosito. Non sa che sono più bambina di quanto sembri. Lo guardo e scoppio a ridere…

“Certo che te sei strana. E pensare che fai tutta la dura, ma sotto sotto sei uno zuccherino.

Sorrido.

“Eri bellissima oggi. Vestita da donna stai bene. Ma devo ammettere che mi piaci in qualsiasi modo. Hai stregato il mio cuore sai? Mi sono innamorato di te dal primo momento in cui ti ho vista e finalmente sei mia.”

“E chi dice che sono tua?” Lo stuzzico.

Lui fa finta di alzarsi e andarsene. “Beh, allora visto che non sei mia ti lascio e me ne vado.”

Lo fermo e lo trascino sul divano.

“Torna qua.”

E ridendo rifacciamo l’amore. Quando è ora di salutarlo sento un vuoto dentro di me. Una strana angoscia. E’ come se lo vedessi per l’ultima volta. Lo bacio con passione e dopo esserci confessati di nuovo il nostro amore salgo a casa. Non sapevo che cosa mi aspettasse. Mia mamma era intenta a fare le valigie e questo mi preoccupò più di qualunque cosa. Quando mamma preparava le valigie con il minimo indispensabile voleva dire solo una cosa…

“…Partire. Dobbiamo partire. Il capo mi ha detto che devo andare in America a fare un servizio. E dobbiamo andarci adesso. Ci penseranno gli addetti a prendere le nostre cose e mandarcele. Mia madre mi guarda e sembra davvero dispiaciuta. “ Mi spiace, ma se non andiamo mi licenziano.

Mi dirigo verso la mia stanza e preparo le valigie. Non ha senso urlare, sbattere le porte. Devo andare! Non ci sono soluzioni, anche se questo comporta dire addio ad Ale. A quanto pare partiremo oggi stesso. Non ho avuto neppure il tempo di dirgli addio. Potrei farlo oggi, ma non voglio vederlo, starei troppo male e l’addio sarebbe ancora più doloroso. Finita la valigia prendo carta e penna. Scrivo tutto quello che penso, che provo…Prima di partire la imbuco nella sua buca delle lettere. Guardo un’ultima volta quella casa, la stessa dove poche ore prima abbiamo fatto la more. Piango e silenziosamente mi dirigo in macchina, salutando per l’ultima volta lui con il pensiero.

 

 

Poche ore dopo in quella stessa casa, disteso sullo stesso divano dove i giovani avevano dichiarato il loro amore, il giovane legge la lettera. Copiose lacrime gli solcano il volto. Non sa che fare. Nonostante la chiami, il telefono è spento. Non saprebbe come cercarla.

Rilegge la lettera 1000 e 1000 volte non facendo altro che ricordare la notte d’amore e dicendo addio all’unica donna che amava.

 

Ciao Ale,

quando leggerai questa lettera io sarò già lontana. Non ti dirò dove sono, proveresti a cercarmi e questo non avrebbe senso, perché il nostro amore sarebbe impossibile. Non ti dico di dimenticarmi, ma non vivere nel mio ricordo. Sappi solo che ti amerò per sempre…Tua Luna.

Ps. Ti amo.

Pps. Grazie di avere sciolto il mio cuore. Baci la tua sanguefobica.

  
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