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Autore: arualchemist    27/05/2012    6 recensioni
Un nuovo e spaventoso virus si é diffuso ormai in tutte le terre. Una ragazza provetta sarà costretta a fuggire per preservare la sua vita, per portare le testimonianze di ciò che ha sperimentato a qualcuno che possa aiutare non solo lei stessa, ma tutti coloro che saranno vittime di questo piano malvagio. I fratelli Elric, incuriositi e preoccupati dal caso, si troveranno ad affrontare nuovi nemici...
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il vocio era insopportabile.

Il ronzio delle luci a neon fischiava nelle mie orecchie.

La veste, di un verde stomachevole, si appiccicava al mio corpo sudato.
Era da quella mattina che mi trovavo lì, ed ora il sole tramontava incorniciato nella finestra alle mie spalle, le prime stelle che facevano capolino in alto nel cielo. Scostai una ciocca di capelli scuri dalla fronte e mi aggiustai come meglio potevo sulla sedia di plastica rossa. Abbassai lo sguardo sulle mattonelle incolori, la testa mi pulsava per il rumore che ero stata costretta a sopportare per tutta la giornata. Si levarono degli urletti, le risate echeggiarono nell'atrio spoglio. Mi tappai le orecchie con le mani.
Non ne potevo più. Non ne potevo più di stare lì, lontana da casa.
Immaginai di essere seduta a tavola con i miei genitori, estraniandomi dal mondo.
Mia madre mi porge un bicchiere d'acqua, papà sorride, accende il telegiornale. Fa freddo, così prendo un maglioncino e me lo infilo per poi tornare a sedermi. Mamma serve la prima portata. Ad un tratto la tv si spegne, così come la luce. Fa più freddo. Mamma, preoccupata, fa per prendere una candela. Mi stringo il maglione addosso. Lei si alza. Inizio a tremare. Cade a terra. Papà scatta in piedi urlando il suo nome. La mia bocca é asciutta. Lo vedo piegarsi sulla mamma, scuoterla. “Ayl, prendi uno straccio, la mamma sanguina!”. La mia bocca é asciutta. Riesco ad alzarmi, e vedo sul pavimento una macchia di sangue espandersi; la mamma é bianca. Provo ad urlare, ma la mia bocca non funziona. Provo ad allungare la mano per prendere lo straccio, ma il mio corpo non risponde. Papà urla il mio nome, “Ayl, ayl, ay..”. La sua voce diventa un rantolio, i suoi occhi si rovesciano..

Ma la mia bocca é asciutta.

 

Aprii gli occhi, fortunatamente svegliata dai bambini attorno a me che mi scuotevano, preoccupati. Ero rannicchiata sul pavimento freddo, tremante. Il mio respiro era corto.

La porta in fondo all'atrio si aprì ed uscì una donna con un camice bianco.

-Toshiba, é il tuo turno, pic..-, si interruppe vedendomi a terra-. -Aythiel? Va tutto bene?-. Cercai di tirarmi su, ma le mie braccia cedettero.

-Sei caduta?

-No, volevo abbracciare il pavimento-, biascicai, non cessando i tentativi di rialzarmi. La dottoressa sbuffò innervosita e si avvicinò, allungando una mano per aiutarmi. Con uno scatto improvviso, schiaffeggiai via la sua mano. I bambini attorno a me sussultarono.

-State tranquilli- bofonchiai, accennando un sorriso.

-Ma bene, abbiamo una ribelle qui, eh? Se proprio non vuoi il mio aiuto, tirati su da sola.

-Era quello che avevo intenzione di fare.

La donna girò i tacchi in direzione della porta.

-Aspetti-, quasi urlai. Lei si voltò, un sorriso ironico sulla faccia. Credeva che le avrei chiesto aiuto, seriamente? Emisi un risolino.

-Mi dica dove sono gli altri.

Il sorriso le si cancellò dalla faccia.

-Gli altri chi?

La mia risata divenne più forte, -Mi prende in giro? E' da stamattina che siamo qui, e continuate a chiamarci uno alla volta. Per l'esattezza, é dalle sei che continuate a tenerci qui senza averci detto nulla.

-Senza averci detto nulla, ma sentitela... Hai per caso notato che, se anche avessimo detto qualcosa, questo gregge di bambini non avrebbe capito?

-Oh, certo. Ma io ho quindici anni, no? Ma credo che questo lo sappiate... visto che continuate a chiamarci in ordine d'età.

Il suo sguardo si fece smarrito per un attimo, poi la sua fredda copertura professionale prese di nuovo il controllo.

-Vedo che sei sveglia.

-Beh, più o meno, dato che sono per terra perché mi sono addormentata.

-Non me ne faccio nulla della tua ironia. Se non c'è altro, me ne vado.

-Se non c'è altro? Lei deve avere qualche problema. Le ho fatto una domanda.

Stavolta riuscii ad alzarmi. Il mio corpo non smetteva di tremare, probabilmente ancora sotto gli effetti di quell'incubo.

-Quale domanda?

-Vedo che lei invece NON é sveglia...

La dottoressa strinse i pugni.

-Non prendermi in giro, bimba.

Ignorai ciò che a quanto pareva la donna riteneva essere un grande insulto, degno di pianti e crisi d'identità.

-Mi dica dove sono gli altri; tutti i bambini che avete chiamato, dove sono?

-Questi non sono affari tuoi. Torna a giocare con le bambole.

-Vedo che insiste con questi insulti da bambini delle elementari...-sorrisi, -ma questi sì, sono affari miei, dato che sarò chiamata anch'io. Cosa diamine volete da noi? E i nostri genitori, davvero hanno dato il consenso? Posso vedere i documenti firmati da loro?

-Basta. Mi stai solo facendo perdere tempo.

Si girò e sparì dietro la porta, chiudendola a chiave.

-Maledetta, aspetti...

Una bambina mi afferrò dalla tunica.

-Va tutto bene.

Lei però rimaneva spaventata, i suoi occhi erano lucidi. Probabilmente aveva intuito la mia preoccupazione... Mi guardai attorno, scandagliando con lo sguardo quell'odioso atrio, alla ricerca di una pianticella. Ne vidi una sul davanzale di una finestra, così mi ci avvicinai e con il dito tracciai il cerchio alchemico sul terreno. Unendo le mani, trasmutai una coroncina di fiori e la porsi alla piccola, i cui occhi si illuminarono ora di meraviglia. Sorridendole, le accarezzai la testa. Lei mi abbracciò, contenta. Quel gesto improvviso mi colse alla sprovvista. Non ero una tipa socievole, né tanto meno amavo contatti fisici. Ma quel suo abbraccio spontaneo ed innocente fu piacevole, come una scintilla di luce in una notte buia. Così capii che dovevo fare qualcosa. Dovevo capire cosa accadeva dall'altra parte di quella porta, e dove finivano i bambini che venivano chiamati. Fissai i battenti scuri, la fronte increspata dalla preoccupazione. Un senso di paura si aggrappò alla spina dorsale; retrocedetti istintivamente di un passo. Ma non potevo permettermi ripensamenti. Ignorando quel brutto mostro che si nutriva delle mie esitazioni, avanzai verso la porta. La bambina di prima mi guardò, in testa la corona di fiori.

-Dove vai? Vieni a giocare con me?

Esitai.

-Più tardi.

La piccola sorrise, -Allora torna presto!

Senza un motivo preciso, mi pentii della parola data. Sentivo, in qualche modo perverso, che non sarei più tornata lì.

Deglutii.

Allungai la mano alla maniglia e girai, ma la porta non scattò. Mi ricordai che quella donna l'aveva chiusa a chiave e bestemmiai a bassa voce. Mi voltai, cercando un altro segno di vita vegetale. Tornai alla piantina che avevo usato prima, stavolta però scavai nel terreno per cercarne le radici. Prese quelle, tornai accanto alla porta. Con le dita sporche di terreno tracciai un cerchio alchemico e vi posai le radici, che, battute le mani, si allungarono fino alla serratura, vi entrarono e la fecero scattare. Sorrisi, un velo di sudore che mi copriva la fronte.

Avrei scoperto cosa si celava dall'altra parte.

  
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