MAYBE,
ONE DAY.
Povero Catullo, smettila di
illuderti!
Ciò che è perso - e lo sai -
è perso: ammettilo.
Giorni di luce i tuoi, un
lampo lontano,
quando correvi dove la tua
fanciulla ti chiamava,
lei amata come nessuna sarà
mai.
Quanta allegria, allora:
quanti giochi
volevi, e lei accettava.
Davvero un lampo lontano,
quei giorni.
Ora non vuole più: e tu devi
accettare.
Non seguirla, se fugge, e
non chiuderti alla vita:
resisti, con tutte le tue
forze.
Addio, fanciulla. Catullo è
forte:
non verrà a cercarti, non ti
pregherà, se tu non vuoi.
Ma tu, senza le sue
preghiere, soffrirai.
Ah, infelice, che vita ti
rimane?
Chi ti vorrà? A chi
sembrerai bella?
Chi amerai? A chi morderai
le labbra?
Ma tu, Catullo, non cedere,
resisti.
(Catullo
– Carme 8)
Uno
degli aspetti più sorprendenti della primavera consisteva, senza dubbio alcuno,
nel fatto che questa riuscisse sempre a penetrare, invisibile e silenziosa, in
ogni angolo e in ogni fessura senza mai chiedere il permesso, senza avvisare,
riscaldando la terra e i suoi abitanti.
Draco
Malfoy odiava la primavera, ma soprattutto odiava il modo in cui il sole non
sarebbe mai riuscito a scaldarlo allo stesso modo in cui invece faceva lei, anche solo con uno sguardo.
I
corridoi principali di Hogwarts brulicavano di studenti
ritardatari che si accingevano a raggiungere l’aula prima che altri punti
potessero essere sottratti alle loro Case a causa del ritardo.
I
corridoi secondari, invece, concedevano un po’ di riparo dalla confusione e dal
chiacchiericcio continuo a quei pochi fortunati che, come lui, avevano un’ora
libera tra una lezione e la successiva.
La
figura longilinea di Draco arrancava a fatica in quella che gli sembrava una
prigione di pietre scure ed armature; si passò una mano sulla fronte
allontanando dagli occhi il ciuffo biondo che gli impediva la vista.
La
porta del bagno sembrò pararsi dinanzi ai suoi occhi come un miraggio e in
tutta fretta vi si rifugiò all’interno sperando di trovarlo vuoto cosicché
venisse concesso un po’ di refrigerio
alla sua mente e a quel corpo che sembrava non rispondere più ai suoi stessi
impulsi.
Fiaccamente
si appoggiò al lavabo con entrambe le mani mentre, a testa bassa, cercava di
riprendere fiato ignorando l’aria che ad ogni respiro gli graffiava sempre più
i polmoni, bruciandogli la gola.
Da
quanto ormai non respirava più?
Forse
un giorno, forse un po’ di più.
Aveva
perso il conto.
Oramai
faceva persino fatica a riconoscere il suo volto quando distrattamente i suoi
occhi si soffermavano per pochi istanti su una superficie riflettente.
Quel
volto quasi grigio, tanto era non vedeva il sole, e quegli occhi spenti dalla
paura e dalla sofferenza lo rendevano così simile, forse per la prima volta, ad
un essere umano, i cui drammi e i cui incubi sembravano ostacolargli il sonno e
trasformare le sue giornate in lunghe agonie nelle quali cercare una via di
fuga da quella realtà che sembrava aver rubato il posto alla vita; a quella
vita vera che non aveva mai avuto modo di saggiare e che ora sembrava dover
divorare e ingoiare, a bocconi interi, amari, crudi.
Lui
che del lusso e dell’agiatezza ne aveva fatto uno stile di vita, che dai
problemi era sempre rifuggito e che di incertezze e accondiscendenze forzate ne
aveva fatto una questione di principio, questa volta non avrebbe potuto chiedere
aiuto a nessuno, ne andava di mezzo la sua salvezza e quella di sua madre, che
aveva sempre rischiato tutto per lui anche se mai era andata deliberatamente
contro quel padre che tentava di fare di lui una sua esatta copia, non
preoccupandosi piuttosto di impartirgli lezioni che riguardassero la moralità o
la coscienza.
Si
guardò per un attimo in quello specchio e, lasciandosi prendere dalla debolezza
e dallo sconforto, si prese la testa tra le mani.
Doveva
solo uccidere Silente, poi la sua vita sarebbe stata come quella che suo padre
aveva sempre desiderato e che gli avvenimenti recenti gli avevano strappato
dalla mani.
Doveva
solo uccidere Silente e lui e la sua famiglia avrebbero potuto continuare a
vivere.
Era
tutto molto facile a dirsi, un po’ meno lo era mettere a tacere la sua
coscienza, semmai una v’era stata.
Era
persino difficile trovare un nome a quel sentimento che rischiava di logorarlo
dall’interno e distruggerlo.
Senso di colpa.
Non
aveva mai imparato a dare alle cose, ai sentimenti, alle persone, i nomi giusti
e di recente se ne era ben reso conto.
Così
la paura era diventata rispetto, il rispetto, potere e il potere era diventato
Gloria.
Allo
stesso modo l’amore aveva preso il nome di sfida, la sfida il nome di sangue e
il sangue il nome di Hermione Granger.
Eppure
per lui ogni cosa continuava ad essere secondaria, ogni cosa veniva dopo la
Gloria.
L’amore,
quello che sembrava ormai averlo stretto in una morsa dolorosa e straziante,
non poteva nemmeno essere parte dei suoi programmi.
Il mese d’ottobre,
con i suoi colori caldi e il suo odore di pioggia ed erba fresca, volgeva a
termine e al suo posto un vento gelido aveva preso a spazzare via gli ultimi
riverberi dell’estate appena passata.
- Quindi che
programmi hai stasera?- la voce roca e cavernosa di Vincent Tiger risvegliò
Malfoy dai suoi stessi pensieri, mentre la legna nel camino della sala comune
dei Serpeverde continuava ad ardere incurante del fatto che Draco avesse preso
a desiderare di poter ardere con lei .
- Al solito. Resterete
fuori dalla Stanza delle Necessità finché non avrò finito – rispose lui come a
dire che il discorso era chiuso così e che se proprio cercava rogne, la sua
bacchetta era più che pronta ad accontentarlo.
Di fatti, pochi
istanti dopo, Tiger gli voltò le spalle portando, insieme a Goyle,
la sua incapacità altrove.
Draco riusciva a
sopportare a stento la presenza di quei due inetti senza spina dorsale che
erano quanto di più si fosse, per lui, avvicinato alla definizione “amico”.
Eppure, come lo
stesso professor Piton aveva detto, non si sarebbe mai potuto fidare ciecamente
di loro due. Gli erano devoti esattamente allo stesso modo in cui suo padre, Lucius Malfoy, lo era al Signor Oscuro.
Talvolta, un Malfoy
lo sapeva bene, la paura e il rispetto eccessivo per ciò che si teme sono alla
base di quello stesso rispetto che Draco stesso fino a poco tempo prima avrebbe
voluto avere per sé.
Si diresse a passo
spedito fuori dalla sala comune e dai sotterranei, aveva bisogno ancora una
volta di riflettere per conto suo, lontano dal trambusto, lontano da quella
parte di sé talmente corrotta e frammentata da aver messo a rischio la vita di
una ragazza che non aveva niente a che vedere con i suoi piani.
I suoi piani, quelli
che tutte le sere lo tormentavano prima di riuscir finalmente a trovare
sollievo nel sonno, si stavano dimostrando più difficoltosi del previsto e
quella smania di successo, che alimentava ogni sua azione, si stava poco a poco
affievolendo dietro la convinzione che, forse, uccidere Silente non era l’unica
soluzione. Eppure quel vecchio professor era indissolubilmente legato a lui e
ai suoi genitori.
Il patto era quello,
la sua vita e quella della sua famiglia in cambio di quella di un vecchio e
strampalato professore. Era tutto affidato ad una bilancia e quella pendeva
inesorabilmente dalla parte di quell’uomo dalla lunga barba e dagli strambi
occhiali a mezzaluna.
Draco raggiunse la
biblioteca per la prima volta impaziente di studiare pur di non pensare; prese
posto in un tavolo vuoto accanto alla finestra e prima di iniziare il tema di
Incantesimi si perse ad osservare per qualche istante i giardini del Castello.
Strano come il suo cuore proprio in quei giorni in cui il
suo destino era segnato avesse preso a battere così furiosamente come a voler,
in qualunque caso, recuperare il tempo che avrebbe potuto perdere da un momento
all’altro.
Non si era mai
emozionato per il vento forte che si riusciva a sentire dalle finestre chiuse o
per la pioggia che scendeva copiosa dal cielo, eppure quel giorno ogni cosa
sembrava aver nuova vita e attirare la sua attenzione.
Forse un giorno,
prima di quanto il tempo avesse previsto, sarebbe morto, forse un giorno
avrebbe davvero adempiuto alla sua missione e allora avrebbe detto addio alla
sua coscienza, alla sua anima, ma per ora voleva solo essere un ragazzo di
sedici anni e avere tutto il diritto di godere della vita e di quelle cose
banali e scontate che aveva sempre finto di detestare.
Alcune schiamazzi lo
riportarono alla realtà.
Nel tavolo di fronte
lo sfregiato e i suoi fedeli compagni di avventura, Lenticchia e la Mezzosangue
Zannuta, erano impegnati in una conversazione che di privato aveva veramente
poco.
Hermione Granger
tentava, al suo solito, di fare entrare nelle teste bacate dei suoi amici
qualche nozione che potesse aiutarli a superare le verifiche che li aspettavano
nei giorni seguenti.
Draco li osservò
prima con espressione spenta, la stessa che si portava in giro da quando il
sesto anno era iniziato poi, mano a mano che i modi della Granger perdevano
quella solita flemma che li contraddistingueva e diventavano sempre più
stizziti e infervorati, sembrò quasi che le sue labbra si sollevassero verso
l’alto come una pallida imitazione di un sorriso.
Quando la Granger
alzò gli occhi al cielo in senso di disperazione incontrò per qualche istante
il suo sguardo e riuscì anche lei, con sorpresa, a scorgere per un secondo il
sorriso stampato su quel volto stanco e pallido, poi si voltò di nuovo verso i
suoi amici per confabulare stavolta in tono più pacato da consentire loro la
riservatezza che fino ad allora non avevano avuto.
Draco si stupì di
come il suo carattere si fosse indebolito al punto da sorridere ad un’odiosa
mezzosangue, ma forse, proprio ora che la sua vita stava per cambiare
radicalmente, quanto poteva essere inopportuno o oltraggioso lasciar
intravedere agli altri un po’ dell’altro Malfoy?
Un po’ di Draco?
Quel
sesto anno ad Hogwarts aveva portato con se troppe
novità e troppi tormenti.
Quel
giorno Draco non si presentò neanche a cena cercando invece riparo dagli
sguardi altrui nella torre più alta dell’intero castello, dove sperò che
nessuno avesse potuto raggiungerlo, nessuna eccezione fatta per i suoi stessi
pensieri.
Osservare
Hogwarts dall’alto dell’osservatorio era come
guardare un panorama sconosciuto, forse per certi versi, molti in effetti,
migliore.
Faceva
fatica ad ammettere che in realtà quel luogo, che era la sua scuola, lo
affascinava e intrigava al tempo stesso.
Quel
luogo che lo aveva visto crescere ed imparare ad amare, anche se in modo
sbagliato e straziante.
Quel
luogo che anche lui avrebbe voluto chiamare casa, ma che in realtà avrebbe
visto per l’ultimo anno, perché per lui erano state scritte altre strade e
altri piani erano stati tessuti da mani che non riconosceva come sue.
Si
sentiva come una marionetta di cui suo padre aveva i fili, peccato che quello
non fosse l’unico burattinaio, peccato che quei fili fossero passati di mano in
mano fino ad arrivare in quelle diafane e scheletriche di colui che non si
sarebbe fatto tanti scrupoli, se necessario, a recidere quei fili che lo
tenevano legato alla sua famiglia e alla sua vita.
La
sua missione era concreta, reale quasi come quella macchia nera che da mesi
portava impressa sull’avambraccio sinistro e che sembrava quasi pesargli come
un fardello.
La
sua mano scivolò involontariamente sulla camicia e piano la sollevò fino ad
intravedere la figura nera di un serpente che erompeva da un funereo teschio.
Il
simbolo di una condanna.
L’incessante
ricordo di una vita che non si era scelto ma che non aveva avuto il coraggio di
rifiutare.
E
mentre i suoi pensieri sempre cosi rumorosi facevano ancora una volta vacillare
il suo spirito, altre voci, più concrete, prendevano spazio pian piano stavolta
fuori dalla sua testa.
La sua mente era
totalmente annebbiata, ancora una volta.
Ormai non sapeva più
dove trovare riparo. La stanza delle necessità era un luogo precluso. Lì era
custodita la sua grande missione. Lì vi era la sua salvezza. Inutile dirlo, lì
c’era il suo inferno.
Restare in giro per
il castello sembrava essere diventato impossibile, aveva quasi paura di
scorgere in qualche angolo uno studente che potesse scoprire il suo segreto.
Che potesse capire
cosa era diventato, un mangiamorte, un assassino.
Camminò a lungo,
senza meta, circondato solo da quadri e armature, e quando fu arrivato al terzo
piano si concesse un po’ di pace scivolando sul suolo freddo e facendo
ciondolare la testa fino ad incontrare la dura costrizione del muro dietro di
lui.
Si passò le mani sul
volto e preso da un improvvisa ondata di frustrazione piegò di scatto la testa
all’indietro andando a sbattere contro le pietre ruvide del muro.
- Se hai bisogno di
una mano Malfoy, non hai che da chiedere – una voce quasi sussurrata ed ilare
si udì d’improvviso nel corridoio deserto. Draco si guardò intorno impugnando
la bacchetta e tenendola ben salda fin quando riuscì a distinguere i contorni
familiare della figura che era ferma sull’uscio della porta di un’aula vicina.
- Mezzosangue, da
quando hai iniziato a spiarmi? – sussurrò quello troppo stanco persino per
dimostrarle disprezzo.
- Gira voce che
dietro agli ultimi avvenimenti ci sia il tuo zampino – disse Hermione dopo
essersi interrogata per qualche secondo sui pro e i contro dello stare da sola
con chi Harry credeva fosse diventato un mangiamorte.
- Fammi indovinare.
San Potter ha già iniziato ad indagare, da bravo cagnolino di Silente, o forse
sbaglio? – rispose quello alzandosi in piedi e avvicinandosi a lei. – E mentre
lui è occupato per conto di Silente tu hai tutto il tempo per crogiolarti nel
tuo dolore causato dall’amore non corrisposto nei confronti di Lenticchia,
vero? -
Il tono con cui
parlò, freddo e ironico, la colpì come un pugno ben assestato alla bocca dello
stomaco.
Che fosse evidente
che c’era qualcosa che non quadrava nel triangolo Ron Lavanda, Hermione era
chiaro a tutta Hogwarts, ma che anche Draco Malfoy
avesse il tempo di pensare a queste idiozie era un altro paio di maniche.
- Non sono cose che
ti riguardano – sibilò come punta sul vivo.
- Allo stesso modo
potrei dire io, Mezzosangue, non trovi?
– si era fermato giusto a pochi passi da lei che, intrappolata tra la
sua figura e la porta, avrebbe dovuto necessariamente urtarlo per poter passare
e correre via.
- Ora, Malfoy se non
ti dispiace vorrei ritornare nel mio dormitorio – la voce di Hermione tremava,
non tanto per la paura di trovarsi sola con lui; seppure lo considerasse
un’abile pozionista era sicura di aver più confidenza
di lui con la bacchetta, ma la sua vicinanza, così strana, così elettrica, era qualcosa con cui non aveva mai fatto i
conti.
Era abituata alla
freddezza e alle offese, ma non a quello sguardo sperso e quella vicinanza
fuori luogo. Lo stesso Draco, dal canto suo, ne rimase sorpreso.
Non riusciva a
spiegarsi cosa lo avesse portato così vicino a lei da riuscire quasi a sentire
il suo odore.
Dolce, aulente,
piacevole.
Sorrise.
La pressione per
tutto ciò che lo aspettava gli stava dando sicuramente alla testa, tanto da
trovare nella mezzosangue qualcosa di confortante.
- Perché lo fai? –
chiese lui senza neanche pensarci su.
Hermione iniziava
seriamente a credere che lui, la testa, prima, l’avesse sbattuta veramente
forte.
- Di cosa stai
parlando, Malfoy? – sussurrò quando lo vide avvicinarsi ancora. Troppo.
- Uscire con McLaggen, portare lui alla festa del Lumaclub.
Credi davvero che lui capisca? Finirà come al Ballo del Ceppo e tu, tu, finirai
in lacrime – Che Draco stesse parlando di Ron non vi era alcun dubbio,
piuttosto Hermione si chiese come facesse lui a sapere quanto il comportamento
del suo migliore amico l’avesse ferita o come facesse a sapere cosa era
successo la notte del Ballo del Ceppo.
- Malfoy adesso
piantala. Questi non sono affari tuoi. – La voce sorpresa e al contempo
infuriata sembrava quasi essersi incrinata.
- Ora, se non ti
spiace, vorrei andare. – Rossa in viso Hermione esplose quasi e, non vedendolo
spostarsi, si fece largo lei, a forza, colpendolo con più violenza di quando
richiedeva la situazione.
- Che tu fossi
manesca lo sapevo sin dal terzo anno, mezzosangue, ma che arrivassi fino a
questo punto… - La sua voce così divertita era così diversa da quella che aveva
fino a qualche minuto prima e lui non poté non stupirsi di quanto fosse facile
parlare e scherzare con lei, ma quando la vide allontanarsi furiosa non riuscì
a trattenersi. - Credi davvero che ci sia io dietro a tutto ciò? – avrebbe
dovuto specificare che si riferiva a quanto accaduto a Katie Bell, ma non lo
fece, eppure lei capì subito.
- Fino a stasera
avrei detto di no, Malfoy – rispose voltandosi di poco prima di lasciare, quasi
di corsa, quel corridoio e quel Malfoy che ancora non aveva mai conosciuto.
A Draco rimasero due
cose impresse nella mente dopo quella
sera. Il suo odore e quel sorriso che le aveva visto nascere sul volto quando
lui aveva menzionato il terzo anno e lo schiaffo che lei gli aveva inferto per
aver offeso una persona a cui teneva, quel sorriso sincero nascosto
immediatamente dietro una smorfia di fastidio.
-
Paura di me? Non essere sciocco, Harry. Non credo che a Ron…-
La
voce di Hermione Granger era ormai udibile senza difficoltà alcuna.
-Malfoy!-
E con quella della Granger si udì anche quella del suo migliore amico Harry.
-
Potter! – Draco, che si era voltato giusto in tempo per scorgere i due che
salivano gli ultimi scalini della torre, salutò il suo nemico con aria di sfida
e con rabbia forse eccessiva - dopo il primo giorno sul treno vedo che ancora
non hai imparato a capire il significato della parola privacy – continuò gelido
portando la mano alla bacchetta in un gesto automatico.
-
Abbiamo ancora un conto in sospeso, Malferret –
sibilò Harry che ancora non aveva dimenticato cosa Malfoy avesse fatto il primo
giorno di scuola.
Se
avesse potuto, Draco, avrebbe senza dubbio riso di lui.
Se
avesse saputo cosa volesse dire ridere mentre la ragazza che desiderava più di
ogni altra cosa al mondo gli si stringeva al fianco, lo avrebbe senz’altro
fatto.
-
Vedo che porti con te anche la Mezzosangue, cos’è una nuova tattica per far
ingelosire il Pezzente? – Il volto di Draco era contratto in una smorfia di
dolore e cattiveria mentre i suoi occhi osservavano Hermione senza vergogna.
La
mano di Harry corse subito alla bacchetta brandendola senza paura con la solita
mano ferma che il ragazzo riusciva ad ostentare anche nelle situazioni più
pericolose.
-
Andiamo Harry – Hermione, premurosa, lo tirò per una manica del mantello
cercando di dissuaderlo dall’idea di schiantare Draco in quello stesso momento.
- Ritorniamo alla torre, Harry. Non vorrei che l’odore di una Mezzosangue
infettasse troppo l’aria - aggiunse sputando poi quelle stesse parole che Draco
le aveva rivolto a Diagon Alley poco prima di iniziare il sesto anno.
Quelle
parole l’avevano ferita anche se aveva cercato di non mostrarlo, come tutte le
volte che lui l’apostrofava con quell’epiteto, anche se si era resa conto di
come quell’aggettivo uscisse in maniera diversa dalle sue labbra da quando si
erano incontrati settimane prima nel corridoio del terzo piano e da quando da
quel giorno i loro incontri da casuali erano diventati sempre più studiati e
frequenti.
-
Hai una buona memoria, Granger – la voce calda e bassa, quella che usava sempre
per rivolgersi a lei, sembrava voler scavarle dentro e seminarsi nel profondo
del suo animo.
-
Già, me lo dicono spesso, Malfoy – rispose quella senza smettere di guardarlo.
Harry
continuava ad assistere a quello scambio di battute e gli sembrava quasi di
essersi perso il pezzo principale del puzzle senza il quale l’immagine che si
formava era solo una macchia indistinta di colori.
Hermione
invece avrebbe solo voluto dirgli che non stavano parlando di Ron in quel
senso, il senso che potrebbe far ingelosire un ragazzo innamorato, avrebbe solo
voluto dirgli che anche lei provava qualcosa quando era con lui, avrebbe solo
voluto dirgli che quel qualcosa però era sbagliato, anzi, che ogni cosa in loro
era sbagliata, irrazionale, contraria ad ogni logica e invece non fece altro
che stringere le mani a pugno così forte da farsi male solo per resistere
all’impulso di corrergli incontro e di rimangiarsi ogni parola, riprendersi
ogni bacio e ricacciare dietro le lacrime mentre lui se ne stava lì, in piedi, come una candela in un granaio che brucia.
-
Avrai anche una memoria invidiabile, mezzosangue – disse alla fine Malfoy
contraendo la mascella e lasciando che la sua voce si trasformasse in un fiume
di furia – peccato, però, tu sia così cieca - e così dicendo fece qualche passo
in avanti andando loro incontro.
Si
soffermò appena qualche secondo dinanzi a lei e poi, sfiorandole deliberatamente
un braccio con il proprio, li superò scendendo le scale quasi di corsa.
Il
suo odore ancora ben impresso nella mente, il suo sapore ancora caldo sulle
labbra.
Il tempo ad Hogwarts scorreva in modo diverso.
Le giornate
difficilmente potevano essere definite noiose e le lezioni, seppur occupavano
gran parte della giornata, lasciavano sempre agli studenti un po’ di tempo per
respirare.
L’aula di pozioni era
deserta e la fievole luce che proveniva dalle candele accese malamente
illuminava l’aula fredda.
Draco Malfoy era
rimasto a lungo seduto al tavolo cercando di pensare, o dimenticare o forse cercando
di pensare a come dimenticare.
Dopo la lezione di
pozioni, a cui avevano partecipato soltanto Ernie McMillan,
Harry e Malfoy, quest’ultimo era stato incapace di alzarsi.
Aveva notato che,
prima ancora che la lezione iniziasse, “Il ragazzo che è sopravvissuto” si era
voltato verso di lui e lo aveva scrutato per un po’.
Draco dal canto suo
aveva cercato di ignorarlo, di certo non gli servivano motivi per mettersi in
altri guai.
Le cose per lui
peggioravano a vista d’occhio anche senza l’aiuto di Potter.
L’armadio svanitore
sembrava non funzionare perfettamente e i tentativi di uccidere Silente non
avevano dato i frutti sperati, quasi come se una parte di lui sperasse di
fallire.
In fin dei conti
l’idea di essere un mangiamorte aveva perso gran parte dell’attrattiva iniziale
da quando gli era stata assegnata quella missione.
Uccidere un uomo,
macchiarsi l’anima di un tale crimine e, forse, perderla per sempre, mentre in
realtà tutto quello che voleva fare era grattare via a mani nude quel dannato
marchio, quel dannato destino.
Il suo volto pallido
e consumato sembrava quasi assumere un’aria spettrale alla luce delle candele.
Il capo chino,
rovesciato sulle braccia che riposavano sul banco, sembrava diventare sempre
più pesante mentre la decisione più importante della sua vita lo divorava da
dentro rubandogli il sonno e la vita.
Sentì alcuni passi
avvicinarsi alla porta chiusa ma non si scompose più di tanto, aveva quasi
voglia di essere trovato.
Aveva voglia di
parlare e gridare e dire finalmente quello che da troppo tempo gli pesava sul
cuore.
Io
non sono un assassino.
- Io non sono un
assassino -
- Cosa hai detto
Malfoy? – Hermione Granger, di ritorno dall’esame di smaterializzazione, si
bloccò sull’uscio della porta. Il respiro leggermente affannoso per via della
corsa che l’aveva spinta nell’aula vuota a riprendere il libro che
accidentalmente aveva dimenticato la mattina stessa.
Draco sobbalzò.
Non si era reso conto
che quelle parole che il suo cuore urlava, erano in realtà scivolate come miele
tra le sue labbra.
E a quel punto tanto
valeva ridirlo, tanto valeva gridarlo, tanto valeva togliersi un peso.
- Non sono un
assassino, Granger. – disse alzandosi da quello sgabello troppo scomodo, troppo
piccolo per lui, e avvicinandosi a lei.
- Malfoy, di cosa
stai parlando? - Hermione indietreggiò di poco fin quando la sua schiena non
trovò il coprifilo esterno della porta sbattendoci contro.
- Non ho avvelenato
io il tuo amichetto o Katie Bell, mi hai capito? Non sono stato io checché ne
dica Potter. – gli occhi freddi, quasi come le mani che automaticamente si
erano posate su di lei, sul suo fianco.
Non era stato lui,
non era stato Draco.
Forse un Malfoy, ma
non Draco.
Aveva solo bisogno
che qualcuno gli credesse, che qualcuno credesse che la parte
migliore di lui non era immischiata in
quella storia di ricatti e promesse strappate con la magia.
- Allontanati Malfoy,
ora. – il suo tono di voce non era più quello saldo e fermo che aveva di
solito.
La voce le era uscita
roca e graffiata dalle labbra come scossa anch’essa da quella presa salda sui
suoi fianchi. Percepiva indistintamente la sua mano fredda sopra la stoffa del
maglione eppure non provava paura o rabbia, solo un profondo imbarazzo e un
senso di disagio.
La sua mente le
urlava che era sbagliato.
Il suo corpo, che era
piacevolmente
folle.
-Malfoy, or..-
- Tu non mi credi! –
la mano sinistra di Draco si spostò veloce dal fianco di lei e si infranse con
violenza contro il muro, all’altezza del suo viso.
Hermione chiuse gli
occhi d’istinto e quando li riaprì lo sguardo di Draco era indecifrabile.
La fissava con
rabbia, una rabbia che aveva smesso di provare da molto tempo sostituita dalla
rassegnazione e dal sospetto.
Hermione vide in
quelle iridi, dall’azzurro talmente chiaro da sembrar quasi ghiaccio, i suoi
stessi occhi riflessi nei suoi, il suo sguardo a metà tra lo spaventato e il
preoccupato.
Negli
occhi di lui, vide riflessa lei.
Abbassò lo sguardo
fuggendo dal suo e girò parzialmente la testa a destra, dove il braccio di
Draco era ancora teso vero il muro.
Le dita lunghe erano
semi aperte e sembravano voler spingere ancora di più la parete in un gesto
adirato, il polso teso e la pelle diafana lasciavano intravedere alcune piccole
vene violacee che si districavano complesse sotto la superfice di quella mano.
La camicia bianca di
poco alzata sopra il polso lasciava intravedere una minuscola parte del suo
braccio, più muscoloso di quello che in realtà poteva sembrare, con i tendini
messi in evidenza dallo sforzo, seppur minimo.
Proprio sotto il
punto in cui il bottone della camicia chiudeva i due lembi di tessuto, una
piccola parte di disegno del color della pece dava bella mostra di sé.
Hermione portò la mano
timorosa all’altezza del braccio del ragazzo che la osservava in silenzio,
combattendo la voglia di ritirare immediatamente il braccio a sé, e con una
lentezza quasi estenuante tolse il bottone dall’asola accompagnando la camicia
su con le mani fino a scorgere a poco a poco una figura che fin troppo bene
conosceva.
Mentre le sue mani si
attardavano ancora sul suo braccio perdendosi in quelle linee nere, gli occhi
quasi lucidi dallo stupore e la bocca semi aperta in una muta esclamazione,
Draco ad occhi chiusi, non si mosse minimamente.
Col braccio fermo e
l’espressione chiaramente colpevole non riusciva a pensare a quel momento come
a qualcosa di sbagliato. Forse totalmente assurdo, ma non sbagliato.
Era come se fosse
riuscito a condividere per la prima volta un segreto troppo pesante che gli
schiacciava lo stomaco e comprimeva i polmoni facendolo boccheggiare in cerca
d’aria da quelli che ormai erano mesi.
Per non contare il
fatto che la persona che lo avesse salvato dall’oppressione fosse proprio la
Granger, ciò rendeva la sua liberazione ancora più profonda, ancora più totale.
Quasi come se una
parte di lui non avesse fatto altro che cercare qualcuno che fosse stato
disposto a fermarlo.
- Sono un mangiamorte
–
Era la verità.
Era esattamente come
se avesse affermato “ io respiro ancora.”
- Perché? – le mille
parole di Hermione erano esplose in un’unica, silenziosa domanda.
- Lo so che non è
questo che vuoi chiedere.–
- No, Malfoy. Perché?
- lei ripeté la domanda più lentamente scandendo a fondo ogni singola parola.
- Perché non avevo
scelta - sussurrò incapace di mentirle. Ora era lui che voleva farle qualche
domanda o forse farne un paio anche a se stesso.
- Tutti abbiamo una
seconda scelta – disse lei provocandogli una risata bassa e nervosa.
- Tu…non puoi essere
così cieca! Se
per tutti intendi lo Sfregiato, allora non posso affermare il contrario. Ma
quelli come me non hanno mai un’altra possibilità. – portò la mano al fianco,
abbassandosi la camicia con la mano libera.
Non riusciva a
sopportare la vista di quel marchio nero che per lui altro non era se non il
segno di un destino che non si era mai scelto, che non aveva mai compreso.
Perché il problema
era quello, non aveva mai compreso fino a che punto si sarebbe dovuto spingere
per restare vivo.
E se tanto valeva
morire forse sarebbe stato più dignitoso farlo combattendo dall’altra parte,
magari la stessa di quella ragazza che ora lo fissava con gli occhi sgranati e
la bocca, quella bocca piena e rosea, leggermente aperta.
- Perché non corri a
dirlo a Potter? Sono un mangiamorte, sono un assassino!- si era allontanato di
nuovo fino a sbattere contro il banco facendolo leggermente traballare a causa
del colpo.
Hermione neanche per
un attimo aveva pensato di dirlo ad Harry, lui non avrebbe capito, perché non
avrebbe mai visto Malfoy con i suoi stessi occhi . Non avrebbe visto quel
ragazzo che lei guardava per la prima volta.
Un ragazzo combattuto
come d’altronde troppo spesso Harry era stato, un ragazzo impaurito, un ragazzo
che si era semplicemente perso.
Perché in
quell’immagine, del Malfoy che aveva conosciuto, non c’era nulla.
- Malfoy. Tu, tu non
hai ucciso nessuno - il tono incerto che aveva usato lo fece quasi sorridere,
un sorriso di scherno, ma pur sempre un sorriso.
Di risposta luì
denegò col capo chino - Non sei un assassino – finì allora lei, rassicurandosi
appena.
Draco alzò la testa e
le si avvicinò ancora.
Tutti quei gesti non
erano altro che l’esatta copia del comportamento che aveva assunto in quei
giorni, in quell’anno.
Per ogni passo avanti
ne seguivano due dietro.
E così faceva con
lei.
Prima le si
allontanava convinto di aver esagerato, di essersi esposto troppo e poi le si
avvicinava ancora perché aveva bisogno di lei, aveva bisogno che lei capisse e
che lo aiutasse a capire i suoi stessi atteggiamenti confusi.
- Mezzosangue…- le
portò una mano sulla guancia e sentì la pelle calda sotto le sue dita
sussultare appena. – Perché? Perché resti qui? – le chiese avvicinando il suo
viso, mentre lei di riflesso si allontanò per quanto quella mano e il muro alle
spalle le concessero.
- L’hai detto tu,
tempo fa, sono piuttosto manesca e so
difendermi bene con la bacchetta – il suo voleva più che altro essere un
avvertimento, ma Draco, che non era dello stesso avviso, rise.
Una risata bassa,
niente a che fare con le risate che lei era solita fare in compagnia di Ron o
Harry, ma era la prima volta che lo vedeva ridere.
Niente sorriso
canzonatorio o denigratorio, solo un sorriso. Semplice, spontaneo, contagioso
quasi.
- Non ti farei del
male, Granger. A quanto pare non ne sono capace. – la mano, sempre ferma sulla
guancia scese verso il basso per raggiungere il collo e fermarvisi.
- Fidati di Silente.
– Hermione deglutì a fatica - Chiedi a lui di aiutarti –
Sorrise ancora prima
di chinarsi ancora un po’ su di lei fino a sfiorare le labbra con le sue,
morbie, calde come aveva immaginato che fossero – Puoi
aiutarmi tu, Granger –.
Così coprì la poca
distanza che restava tra le loro labbra, le saggiò piano, delicatamente,
sfiorandole appena.
Hermione gli morse il
labbro inferiore e si ritrasse, ma il poco spazio non le consentì la fuga così
Draco ci riprovò di nuovo.
Una mano a cingerle
il fianco, l’altra a carezzarle il viso mentre le labbra iniziavano a sapere di
lei.
Dormire
era impossibile, il ricordo di lei riusciva a ferirlo e a confortarlo allo
stesso tempo.
Lei
lo aveva salvato, lei lo aveva distrutto.
Passò
la notte a rigirarsi tra le lenzuola mentre quelle gli si avvolgevano intorno
come fossero spire di desiderio, come fossero pensieri che non lo lasciavano
andare.
La
notte passò e Draco non smise di pensare a lei neanche per un istante e per lui
era esattamente come vivere in quella fase del sonno tra il sogno e il
risveglio in cui aggrapparsi a quell’unico, misero, brandello di sogno che ancora
ricordava, sembrava l’unica cosa giusta da fare e così lo stringeva mentre
quello, poco a poco che la mente prendeva coscienza, si sgretolava tra le mani,
volando via come polvere.
Il
giorno seguente la seguì con lo sguardo ovunque, cercando di avvicinarla e di
evitarla al tempo stesso, proprio come anche lei sembrava fare.
Seguire
le lezioni insieme era un tormento, più si imputava di non guardarla più i suoi
occhi la cercavano, più si convinceva a non parlarle, più la sorprendeva a
fissarlo.
Così
passarono l’ennesimo giorno dell’ennesimo mese a rincorrersi e a rifuggirsi a
vicenda, continuando quel gioco di sguardi e pensieri che li avrebbe
sicuramente condotti alla deriva.
Quando
la vide la sera a cena, seduta come sempre tra Lenticchia e lo Sfregiato,
dovette sforzarsi di nascondere il più possibile la sua espressione, ansiosa e
trepidante. La osservò mentre leggeva con cura e dovizia un libro che aveva
preso in prestito dalla biblioteca qualche giorno prima e, come ogni volta in
cui si perdeva nella lettura di qualcosa di interessante, si mordicchiava
leggermente il labbro inferiore.
Si
alzò lentamente della panca gettando un occhiata a Tiger e Goyle
che, senza pudore, si riempivano il piatto di ogni genere di cibarie e, senza
neanche salutarli, si avviò verso l’aula di pozioni.
Si
sedette sul banco in fondo all’aula dando le spalle alla porta.
Si
sedette e sperò che il tempo passasse in fretta.
L’ora di Incantesimi
sembrava non avere mai fine.
Quella lezione,
trascorsa con la mente volta al ricordo di quelle labbra calde e dei suoi baci,
sembrava un inferno.
Il suo inferno
personale perché quell’insicurezza che gli rodeva il petto sembrava bruciare
più delle fiamme, più del peccato stesso.
Quando la campanella
suonò portandolo alla realtà, Tiger e Goyle seduti al
suo fianco aspettavano privi di iniziativa un suo ordine, troppo incapaci anche
solo di alzarsi autonomamente e uscire dall’aula.
Fece loro un cenno
con la testa senza nessuna voglia di sprecare parole per loro, perché aveva
troppa paura che l’unico suono che potesse uscire dalle sue labbra fosse la
parola mezzosangue.
E sarebbe stato
sbagliato, dannatamente sbagliato come lei, come il suo sangue.
Rimase seduto
guardando i suoi compagni e gli altri studenti che si dirigevano nella sala
grande per consumare il pasto mentre lui rimise le pergamene e il libro nella
borsa con una meticolosità estenuante.
Osservò con la coda
dell’occhio Harry Potter uscire e rivolgergli uno sguardo curioso e truce allo
stesso tempo e vide lei, superarlo appena, mentre le gote le si accendevano di
sangue e imbarazzo.
Lo sfiorò leggermente
non riuscendo a trattenersi, giusto per assicurarsi che non stesse sognando,
giusto per assicurarsi un suo sguardo su di sé.
Perché per una
ragazza avere delle insicurezze era una cosa normale, ma il suo cuore quando
vedeva Ron non sembrava fuggirle dal petto nello stesso modo in cui invece
sembrava fare quando si sorprendeva a guardare Draco o a immaginare le sue
labbra sulle sue o a desiderare le sue mani su di sé mentre lente la
accarezzavano durante i loro incontri.
La sala grande era
gremita di studenti e il chiacchiericcio incessante sembrò a Draco una panacea
perfetta contro i suoi pensieri assillanti.
Si sedette al tavolo
dei Serpeverde, tra Goyle e Pansy,
con lo sguardo fisso su quello dei Grifondoro.
In fondo era quello
che faceva sempre, solitamente per cercare un modo di rendere ad Harry la vita
impossibile, almeno quanto lo era la sua seppur nascosta sotto quello strato
leggero di frivolezze e lusso.
Forse Harry aveva
perso i genitori, ma dell’infanzia strappata a Draco nessuno sembrava volerne
parlare. Degli obblighi che quel cognome così pesante richiedeva nessuno
sembrava essere interessato, eccetto Hermione.
Lei che lo aveva
ascoltato quella sera, che lo aveva baciato quella successiva lenendo in
qualche strano e misterioso modo parte di quelle ferite che aveva creduto
sarebbero bruciate per sempre.
Hermione Jane
Granger, una mezzosangue.
Hermione Granger, una
ragazza di rango inferiore.
Hermione, una
ragazza.
La vide uscire poco
dopo dalla Sala Grande, il capo chino e un libro stretto tra le mani; la seguì
senza preoccuparsi di cosa gli altri avrebbero pensato.
Non sarebbe mai
potuto sembrare più strano, più colpevole, di quei giorni passati tra la stanza
delle necessità e il baratro totale.
La trovò mentre
scendeva le scale dei sotterranei e si lasciava dietro di se la porta aperta
dell’aula di Pozioni.
La varcò anche lui,
sorridendo, per poi chiuderla con la magia. Si guardarono negli occhi per pochi
attimi prima che lei rompesse il silenzio.
- Io volevo parl… - lei sue labbra non riuscirono a liberare tutte le
parole che avrebbero voluto urlare, prese d’assalto com’erano state da quelle
del ragazzo che, veloce, si era allungato verso di lei per baciarla facendola
inavvertitamente urtare contro un banco.
- Scusa… - le
sussurrò appena mentre con le labbra aveva preso a disegnare il contorno delle
sue.
Hermione emise un
gemito roco, basso, forse di dolore, forse di stupore, forse di meraviglia,
eppure non le andava bene.
Faceva fatica a
sopportare tutto ciò che non conosceva, che non sapeva e lui era in assoluto
qualcosa che non conosceva.
Gli morse piano il
labbro inferiore cercando di mettere a tacere quella parte di lei che avrebbe
solo voluto stringere i suoi capelli tra le mani e darsi senza remore a quel
bacio.
- Volevo parlarti -
sussurrò appena senza riuscire a distogliere lo sguardo da quelle labbra
sottili eppure così tentatrici. – Volevo solo parlarti - lo ripeté ancora,
questa volta per convincere se stessa.
Lui calò ancora con
le labbra sulle sue dando cenno di non averla considerata o di averla
deliberatamente ignorata e lei, con maggior veemenza, le morse di nuovo.
- E va bene,
mezzosangue, parliamo. - sbuffò lui stavolta allontanandosi appena da lei. - Come se non lo
facessimo mai.-
- E infatti è così,
Malfoy- ormai non riusciva più a moderare il suo tono di voce, passava da
qualche sussurro ansante a vere e proprie urla. – non parliamo mai. Mi trascini
qui, nell’aula di Pozioni, ogni sera da mesi e non mi dici nulla. Mi implori di
non andar via, mi chiedi aiuto ma non vuoi, non sei mai disposto ad accettarlo.
- le sue labbra tremavano proprio come le sue mani.
- Ormai è quasi
giugno, Draco - al sentire il suo nome pronunciato quasi con dolcezza sussultò
appena – dici che non c’è tempo, ma non vuoi spiegarmi, non vuoi rivolgerti a
Silente. Ti fidi solo del professor Piton e sai come la pensiamo a riguardo.-
- Alla fine dobbiamo
sempre tornare a parlare di Potter. Se è di lui che ti fidi allora perché non
ritorni da lui, perché quando ti bacio ti lasci così tanto andare se poi pensi
di non essere al sicuro qui, con me. - Le solite parole, le solite insicurezze, i soliti discorsi.
Non potevano fare a
meno di ripetersi.
Litigavano, sempre,
per qualsiasi cosa ed era una guerra continua, estenuante. Una battaglia persa
in partenza perché sapevano bene entrambi che nessuno dei due si sarebbe mai
sbottonato rivelando all’altro quella parte di se troppo nascosta, eppure troppo
esposta.
- Se vuoi andare,
vai. Non ti trattengo – le disse.
E invece lo avrebbe
fatto, e lo sapeva bene.
Aveva già perso
tutto, aveva perso suo padre, aveva perso la fiducia dei suoi amici, avevo
perso la strada e con essa anche quel poco senno che gli era rimasto.
Tutto ciò che gli restava
erano lei e i suoi baci e se lei fosse fuggita a lui non sarebbe rimasto altro.
Eppure era quello che
faceva sempre, quello che le riusciva meglio.
Fuggire.
Lontano
da lui. Verso di lui.
E come ogni volta lei
lo guardava con quell’espressione arrabbiata, furiosa, ferita eppure non poteva
far altro se non avvicinarsi a lui, a quelle labbra e baciarlo. Mordendogli le
labbra, come soleva fare tutte le volte in quel gioco di complicità, come per
punirlo, forse, come per amarlo.
E lui la stringeva
tra le sue braccia, baciandola a sua volta e carezzandole la schiena, i
capelli, le guance rosse e il fianco coperto.
- Me lo dirai? -
sussurrò Hermione al suo orecchio mentre lui si dedicava a lambire la pelle del
suo collo con le labbra consumate, proprio come il suo amore, consumato.
E lui, come al
solito, le sigillava la bocca con la sua.
Ignorando
la domanda.
Dimenticando
la risposta.
Eppure la discussione
era ancora li, che attendeva solo il momento peggiore per riaffiorare e ferire
entrambi.
Quando
la porta si aprì quei pensieri che lo avevano assillato tutto il giorno
sembrarono poco a poco sparire.
Buttò
la testa indietro e vide la sua ombra avanzare lenta nella sua direzione. La
vide sedersi accanto a lui senza dire una parola.
-
Ho sentito che Lenticchia e la Brown si sono lasciati. A quanto pare è la cosa
più eclatante che sia successa negli ultimi giorni. Questo la dice lunga su
questa scuola. - La voce di Malfoy sembrava assomigliare ad una lama fredda e
appuntita e loro parevano restare in equilibrio sul filo di quella stessa lama.
Entrambi ad un passo dal precipizio.
Ferire per non essere
feriti.
-
Cosa stiamo facendo? - Hermione sussurrò a malapena quelle parole mentre si
guardava insistentemente le mani in imbarazzo. Draco sorrise.
-
Temporeggiamo finché, finalmente, non ti toglierai i vestiti? – domandò ironico
prima che lei lo interrompesse.
-
Dico sul serio, Malfoy. Cosa stiamo facendo? – gli occhi spenti, le labbra
tormentate dai denti.
-
Mi aspettavo questa domanda da un po’ di tempo, mezzosangue, più o meno da
quando hai scoperto cosa sono.-
-
Da quando mi hai baciata – aggiunse lei, arrossendo.
-
No, Granger, da quando ci siamo
baciati - sottolineò con una punta di rabbia - Io non ti ho mai costretto a
fare nulla-.
Hermione
si alzò in piedi, sistemandosi malamente la gonna con le mani.
Sarebbe
voluta scappare da quell’aula, sarebbe voluta scappare da lui eppure restava
li, immobile, incapace di fare o dire qualsiasi cosa.
Non
riusciva più a sopportare nulla di ciò che le era capitato di recente.
I
suoi incontri con Draco, le loro bocche che si cercavano, quelle mani che
riuscivano a farla rabbrividire e quel ma
la cui consistenza eterea faceva a pugni con la coscienza, rischiavano di
portarla alla pazzia.
Lei
che era sempre stata cauta e razionale stava buttando alle ortiche ogni cosa
per lui, per un mangiamorte, per l’uomo che avrebbe dovuto uccidere Albus
Silente.
-
Draco… - il suo nome sussurrato fu la goccia che fece traboccare il vaso. Lui
non avrebbe sopportato un’altra parola o un altro sguardo.
Non
ce l’avrebbe fatta, si sarebbe spezzato prima.
Veloce
l’avvicino a sé, attirandola con le braccia al suo torace, premendo la bocca
sulla sua a volerle impedire di parlare a volerle disperatamente impedire la fuga.
La
baciò con impeto poi con dolcezza poi, dopo ancora, con rabbia e violenza e poi
lenì la sua furia baciandola ancora con tenerezza mentre con le mani si
aggrappava ai suoi fianchi in una muta richiesta di restare.
Quando
la lasciò andare, stringendola però ancora tra le braccia, guardò quegli occhi
lucidi e quelle labbra arrossate mentre il silenzio dell’aula rendeva udibile
il loro leggero affanno.
-
Malfoy - stavolta Hermione si premurò bene di non chiamarlo per nome – tutto
questo è assurdo, non c’è nulla di sensato -
Senza
dire una parola Draco la lasciò andare, allentando la presa su di lei e
allontanandosi appena.
-
Te l’ho già detto una volta Granger, possibile che tu debba essere così cieca?
-
-
Malfoy, il fatto che tu non voglia schierarti non vuol dire che anche io farò
lo stesso. -
Gli
occhi di Hermione erano puntati in quelli di Draco mentre, per l’ultima volta
ancora, senza alcun risultato, cercò di convincerlo a fare la scelta giusta, ad
affidarsi a Silente e a credere in lui, proprio come faceva lei, ma era come chiedere
ad un cieco di descrivergli i colori del tramonto.
Come
avrebbe fatto Draco a fidarsi di qualcuno che non aveva mai veramente visto,
che non aveva mai conosciuto, come faceva a fidarsi di lei se non era mai stata
capace di aprirsi totalmente con lui.
E
il suo silenzio allora parlò ancora per lui.
Quei
giochi, quei baci, quelle illusioni sarebbero rimaste chiuse in quell’aula, ma
lei non poteva più.
-
Mi dispiace - disse Hermione in un sussurro appena udibile.
Mai
si era aspettata di sentire così tanto dolore, mai si era aspettata che
innamorarsi di qualcuno facesse così male, ma la sua razionalità non avrebbe
più ceduto a niente e quindi, oltre che scendere a patti con lui, non c’era
nient’altro che potesse fare.
Draco
l’afferrò nuovamente di impulso.
Non
voleva che andasse via, non voleva che si allontanasse da lui.
Cosa
avrebbe fatto altrimenti? Chi l’avrebbe
salvato stavolta?
-No!
– la sua voce dura le graffiò l’anima e il suo odore, così vicino, rischiava di
farla cedere ancora mentre lui si avvicinava alla sua bocca per baciarla e
carezzarla ancora una volta, l’ultima.
-
A chi morderai le labbra? A chi sembrerai
bella? – la sua voce roca e quasi affannosa le solleticava la bocca e il
respiro si mischiava al suo al punto da sembrare che respirassero entrambi la
stessa aria.
-
Chi bacerai, Hermione? A chi amerai? - parlava talmente vicino a lei che ad
ogni domanda le loro labbra inevitabilmente si sfioravano e lei riusciva
perfettamente a sentire che il cuore perdeva un battito mentre dagli occhi
lucidi piccole lacrime iniziarono a solcarle il viso fino a raggiungere il
punto in cui le loro labbra si univano.
-Mi
dispiace - sussurrò ancora lei prima di allontanarsi leggermente da lui e dalle
sue labbra.
-Mi
dispiace – sussurrò di nuovo in una nenia disperata prima di dirigersi verso la
porta e varcarla senza guardarsi più indietro.
Forse
in quella scuola, in quel mondo, non c’era spazio per quel sentimento
indefinito, per quella speranza in cui entrambi non avevano più il coraggio di
credere.
O
forse, semplicemente, per lei non c’era più spazio per Draco e per le sue
scelte a metà.
O
forse ancora quel velo d’invidia che lui provava per il coraggio e l’orgoglio
di Hermione, per la sua sicurezza quasi sfrontata, avrebbe comunque coperto ed
eclissato, col passare del tempo, l’irrazionalità di quei sentimenti
oscillanti.
Forse
un giorno sarebbe venuto anche il tempo per loro, per i loro baci e allora
avrebbero potuto riprendere il discorso da dove erano rimasti, da quel bacio
spezzato che per chissà quanto tempo ancora avrebbe fatto parlare di sé.
Forse
le loro mani si sarebbero ritrovate ancora e avrebbero ancora una volta
percorso strade invisibili su quei corpi deboli e tremanti.
Forse
un giorno si sarebbero amati, ancora o per la prima volta, con coscienza e
passione.
Forse.
Un giorno.
NdA
La
storia ha partecipato al contest “…A parte che i sogni passano, se uno li fa
passare…” indetto da Alcyone_ sul forum di EFP classificandosi prima a pari
merito e vincendo il Premio Spaccacuore, per la miglior
storia d’amore.
Essendo il primo contest al quale partecipo
ero un po’ incerta sull’uso della frase “A chi morderai le labbra? A chi
sembrerai bella?” intorno alla quale
doveva girare la storia, così ho deciso alla fine di usare l’intero carme di Catullo
come linea guida per l’intera one-shot.
Ho deciso, quindi, di parlare dell’amore di Draco nei confronti
di Hermione, di questo amore vissuto e poi gettato e di cosa possa significare
per lui in questo momento particolare che è il sesto anno.
Ho usato l’espediente (spero sinceramente si capisca) dei
frequenti flash back alternati alla
storia vera e propria.
Per ogni parte della storia narrata in un continuo temporale
corrisponde un ricordo particolare di Draco che riguarda Hermione e che è
avvenuto sempre durante il sesto anno, ma tempo addietro rispetto al filo
temporale principale.
Spero che questa one-shot, il mio primo tentativo “leathers and libraries”, possa
piacervi.
Qui di sotto vi lascio il giudizio finale della storia:
Prima
classificata
pari merito con Elizabeth Mary Greengrass .
LittleNanny con Maybe,one
day.
Correttezza Grammaticale: 10/10
Stile e lessico: 10/10
Caratterizzazione dei personaggi: 9,5/10
Utilizzo citazione: 10/10
Gradimento personale: 10/10
Totale: 49,5/50
Premetto che essendo lunga 17 pagine non stata a spulciare ogni riga e che non
ho trovato errori grammaticali.
Lo stile e il lessico sono perfetti, mi piace l’uso che hai fatto di alcune parole
che non si usano molto.
Per la caratterizzazione non ti posso dare il massimo, essendo troppo
improbabile che Hermione si lasciasse andare a Draco nel mondo in cui tu hai
descritto.
Mi piace come hai usato l’intero Carme.
Meraviglioso.
La storia mi è piaciuta molto, mi è piaciuto leggerla. Mi sono commossa, lo
ammetto, nel leggere la frustrazione di Draco.
Hai fatto un ottimo lavoro,
ti faccio i miei complimenti.
Grazie per aver partecipato.
♥
La storia inoltre ha vinto il Premio Spaccacuore,
alla storia d’amore più bella.
Inoltre
vorrei ringraziare la giudicia
per la sua velocità e la sua precisione e ringraziare ovviamente anche voi che
avete letto questa storia!! Grazie!!
Un
bacio!