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Autore: Little Nanny    28/05/2012    5 recensioni
“- A chi morderai le labbra? A chi sembrerai bella? – la sua voce roca e quasi affannosa le solleticava la bocca e il respiro si mischiava al suo al punto da sembrare che respirassero entrambi la stessa aria.”
Un amore sbagliato, impossibile, consumato, come le loro labbra, come il loro sangue.
La storia ha partecipato al contest “…A parte che i sogni passano, se uno li fa passare…” indetto da Alcyone_ sul forum di EFP classificandosi prima a pari merito e vincendo inoltre il Premio Spaccacuore, per la miglior storia d’amore.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
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MAYBE, ONE DAY.

 

 

 

 

 

Povero Catullo, smettila di illuderti!

Ciò che è perso - e lo sai - è perso: ammettilo.

Giorni di luce i tuoi, un lampo lontano,

quando correvi dove la tua fanciulla ti chiamava,

lei amata come nessuna sarà mai.

Quanta allegria, allora: quanti giochi

volevi, e lei accettava.

Davvero un lampo lontano, quei giorni.

Ora non vuole più: e tu devi accettare.

Non seguirla, se fugge, e non chiuderti alla vita:

resisti, con tutte le tue forze.

Addio, fanciulla. Catullo è forte:

non verrà a cercarti, non ti pregherà, se tu non vuoi.

Ma tu, senza le sue preghiere, soffrirai.

Ah, infelice, che vita ti rimane?

Chi ti vorrà? A chi sembrerai bella?

Chi amerai? A chi morderai le labbra?

Ma tu, Catullo, non cedere, resisti.

(Catullo – Carme 8)

 

 

 

Uno degli aspetti più sorprendenti della primavera consisteva, senza dubbio alcuno, nel fatto che questa riuscisse sempre a penetrare, invisibile e silenziosa, in ogni angolo e in ogni fessura senza mai chiedere il permesso, senza avvisare, riscaldando la terra e i suoi abitanti.

Draco Malfoy odiava la primavera, ma soprattutto odiava il modo in cui il sole non sarebbe mai riuscito a scaldarlo allo stesso modo in cui invece faceva lei, anche solo con uno sguardo.

I corridoi principali di Hogwarts brulicavano di studenti ritardatari che si accingevano a raggiungere l’aula prima che altri punti potessero essere sottratti alle loro Case a causa del ritardo.

I corridoi secondari, invece, concedevano un po’ di riparo dalla confusione e dal chiacchiericcio continuo a quei pochi fortunati che, come lui, avevano un’ora libera tra una lezione e la successiva.

La figura longilinea di Draco arrancava a fatica in quella che gli sembrava una prigione di pietre scure ed armature; si passò una mano sulla fronte allontanando dagli occhi il ciuffo biondo che gli impediva la vista.

La porta del bagno sembrò pararsi dinanzi ai suoi occhi come un miraggio e in tutta fretta vi si rifugiò all’interno sperando di trovarlo vuoto cosicché venisse concesso un  po’ di refrigerio alla sua mente e a quel corpo che sembrava non rispondere più ai suoi stessi impulsi.

Fiaccamente si appoggiò al lavabo con entrambe le mani mentre, a testa bassa, cercava di riprendere fiato ignorando l’aria che ad ogni respiro gli graffiava sempre più i polmoni, bruciandogli la gola.

Da quanto ormai non respirava più?

Forse un giorno, forse un po’ di più.

Aveva perso il conto.

Oramai faceva persino fatica a riconoscere il suo volto quando distrattamente i suoi occhi si soffermavano per pochi istanti su una superficie riflettente.

Quel volto quasi grigio, tanto era non vedeva il sole, e quegli occhi spenti dalla paura e dalla sofferenza lo rendevano così simile, forse per la prima volta, ad un essere umano, i cui drammi e i cui incubi sembravano ostacolargli il sonno e trasformare le sue giornate in lunghe agonie nelle quali cercare una via di fuga da quella realtà che sembrava aver rubato il posto alla vita; a quella vita vera che non aveva mai avuto modo di saggiare e che ora sembrava dover divorare e ingoiare, a bocconi interi, amari, crudi.

Lui che del lusso e dell’agiatezza ne aveva fatto uno stile di vita, che dai problemi era sempre rifuggito e che di incertezze e accondiscendenze forzate ne aveva fatto una questione di principio, questa volta non avrebbe potuto chiedere aiuto a nessuno, ne andava di mezzo la sua salvezza e quella di sua madre, che aveva sempre rischiato tutto per lui anche se mai era andata deliberatamente contro quel padre che tentava di fare di lui una sua esatta copia, non preoccupandosi piuttosto di impartirgli lezioni che riguardassero la moralità o la coscienza.

Si guardò per un attimo in quello specchio e, lasciandosi prendere dalla debolezza e dallo sconforto, si prese la testa tra le mani.

Doveva solo uccidere Silente, poi la sua vita sarebbe stata come quella che suo padre aveva sempre desiderato e che gli avvenimenti recenti gli avevano strappato dalla mani.

Doveva solo uccidere Silente e lui e la sua famiglia avrebbero potuto continuare a vivere.

Era tutto molto facile a dirsi, un po’ meno lo era mettere a tacere la sua coscienza, semmai una v’era stata.

Era persino difficile trovare un nome a quel sentimento che rischiava di logorarlo dall’interno e distruggerlo.

Senso di colpa.

Non aveva mai imparato a dare alle cose, ai sentimenti, alle persone, i nomi giusti e di recente se ne era ben reso conto.

Così la paura era diventata rispetto, il rispetto, potere e il potere era diventato Gloria.

Allo stesso modo l’amore aveva preso il nome di sfida, la sfida il nome di sangue e il sangue il nome di Hermione Granger.

Eppure per lui ogni cosa continuava ad essere secondaria, ogni cosa veniva dopo la Gloria.

L’amore, quello che sembrava ormai averlo stretto in una morsa dolorosa e straziante, non poteva nemmeno essere parte dei suoi programmi.

 

 

 

Il mese d’ottobre, con i suoi colori caldi e il suo odore di pioggia ed erba fresca, volgeva a termine e al suo posto un vento gelido aveva preso a spazzare via gli ultimi riverberi dell’estate appena passata.

- Quindi che programmi hai stasera?- la voce roca e cavernosa di Vincent Tiger risvegliò Malfoy dai suoi stessi pensieri, mentre la legna nel camino della sala comune dei Serpeverde continuava ad ardere incurante del fatto che Draco avesse preso a desiderare di poter ardere con lei .

- Al solito. Resterete fuori dalla Stanza delle Necessità finché non avrò finito – rispose lui come a dire che il discorso era chiuso così e che se proprio cercava rogne, la sua bacchetta era più che pronta ad accontentarlo.

Di fatti, pochi istanti dopo, Tiger gli voltò le spalle portando, insieme a Goyle, la sua incapacità altrove.

Draco riusciva a sopportare a stento la presenza di quei due inetti senza spina dorsale che erano quanto di più si fosse, per lui, avvicinato alla definizione “amico”.

Eppure, come lo stesso professor Piton aveva detto, non si sarebbe mai potuto fidare ciecamente di loro due. Gli erano devoti esattamente allo stesso modo in cui suo padre, Lucius Malfoy, lo era al Signor Oscuro.

Talvolta, un Malfoy lo sapeva bene, la paura e il rispetto eccessivo per ciò che si teme sono alla base di quello stesso rispetto che Draco stesso fino a poco tempo prima avrebbe voluto avere per sé.

Si diresse a passo spedito fuori dalla sala comune e dai sotterranei, aveva bisogno ancora una volta di riflettere per conto suo, lontano dal trambusto, lontano da quella parte di sé talmente corrotta e frammentata da aver messo a rischio la vita di una ragazza che non aveva niente a che vedere con i suoi piani.

I suoi piani, quelli che tutte le sere lo tormentavano prima di riuscir finalmente a trovare sollievo nel sonno, si stavano dimostrando più difficoltosi del previsto e quella smania di successo, che alimentava ogni sua azione, si stava poco a poco affievolendo dietro la convinzione che, forse, uccidere Silente non era l’unica soluzione. Eppure quel vecchio professor era indissolubilmente legato a lui e ai suoi genitori.

Il patto era quello, la sua vita e quella della sua famiglia in cambio di quella di un vecchio e strampalato professore. Era tutto affidato ad una bilancia e quella pendeva inesorabilmente dalla parte di quell’uomo dalla lunga barba e dagli strambi occhiali a mezzaluna.

Draco raggiunse la biblioteca per la prima volta impaziente di studiare pur di non pensare; prese posto in un tavolo vuoto accanto alla finestra e prima di iniziare il tema di Incantesimi si perse ad osservare per qualche istante i giardini del Castello.

Strano come il  suo cuore proprio in quei giorni in cui il suo destino era segnato avesse preso a battere così furiosamente come a voler, in qualunque caso, recuperare il tempo che avrebbe potuto perdere da un momento all’altro.

Non si era mai emozionato per il vento forte che si riusciva a sentire dalle finestre chiuse o per la pioggia che scendeva copiosa dal cielo, eppure quel giorno ogni cosa sembrava aver nuova vita e attirare la sua attenzione.

Forse un giorno, prima di quanto il tempo avesse previsto, sarebbe morto, forse un giorno avrebbe davvero adempiuto alla sua missione e allora avrebbe detto addio alla sua coscienza, alla sua anima, ma per ora voleva solo essere un ragazzo di sedici anni e avere tutto il diritto di godere della vita e di quelle cose banali e scontate che aveva sempre finto di detestare.

Alcune schiamazzi lo riportarono alla realtà.

Nel tavolo di fronte lo sfregiato e i suoi fedeli compagni di avventura, Lenticchia e la Mezzosangue Zannuta, erano impegnati in una conversazione che di privato aveva veramente poco.

Hermione Granger tentava, al suo solito, di fare entrare nelle teste bacate dei suoi amici qualche nozione che potesse aiutarli a superare le verifiche che li aspettavano nei giorni seguenti.

Draco li osservò prima con espressione spenta, la stessa che si portava in giro da quando il sesto anno era iniziato poi, mano a mano che i modi della Granger perdevano quella solita flemma che li contraddistingueva e diventavano sempre più stizziti e infervorati, sembrò quasi che le sue labbra si sollevassero verso l’alto come una pallida imitazione di un sorriso.

Quando la Granger alzò gli occhi al cielo in senso di disperazione incontrò per qualche istante il suo sguardo e riuscì anche lei, con sorpresa, a scorgere per un secondo il sorriso stampato su quel volto stanco e pallido, poi si voltò di nuovo verso i suoi amici per confabulare stavolta in tono più pacato da consentire loro la riservatezza che fino ad allora non avevano avuto.

Draco si stupì di come il suo carattere si fosse indebolito al punto da sorridere ad un’odiosa mezzosangue, ma forse, proprio ora che la sua vita stava per cambiare radicalmente, quanto poteva essere inopportuno o oltraggioso lasciar intravedere agli altri un po’ dell’altro Malfoy?

Un po’ di Draco?

 

 

 

Quel sesto anno ad Hogwarts aveva portato con se troppe novità e troppi tormenti.

Quel giorno Draco non si presentò neanche a cena cercando invece riparo dagli sguardi altrui nella torre più alta dell’intero castello, dove sperò che nessuno avesse potuto raggiungerlo, nessuna eccezione fatta per i suoi stessi pensieri.

Osservare Hogwarts dall’alto dell’osservatorio era come guardare un panorama sconosciuto, forse per certi versi, molti in effetti, migliore.

Faceva fatica ad ammettere che in realtà quel luogo, che era la sua scuola, lo affascinava e intrigava al tempo stesso.

Quel luogo che lo aveva visto crescere ed imparare ad amare, anche se in modo sbagliato e straziante.

Quel luogo che anche lui avrebbe voluto chiamare casa, ma che in realtà avrebbe visto per l’ultimo anno, perché per lui erano state scritte altre strade e altri piani erano stati tessuti da mani che non riconosceva come sue.

Si sentiva come una marionetta di cui suo padre aveva i fili, peccato che quello non fosse l’unico burattinaio, peccato che quei fili fossero passati di mano in mano fino ad arrivare in quelle diafane e scheletriche di colui che non si sarebbe fatto tanti scrupoli, se necessario, a recidere quei fili che lo tenevano legato alla sua famiglia e alla sua vita.

La sua missione era concreta, reale quasi come quella macchia nera che da mesi portava impressa sull’avambraccio sinistro e che sembrava quasi pesargli come un fardello.

La sua mano scivolò involontariamente sulla camicia e piano la sollevò fino ad intravedere la figura nera di un serpente che erompeva da un funereo teschio.

Il simbolo di una condanna.

L’incessante ricordo di una vita che non si era scelto ma che non aveva avuto il coraggio di rifiutare.

E mentre i suoi pensieri sempre cosi rumorosi facevano ancora una volta vacillare il suo spirito, altre voci, più concrete, prendevano spazio pian piano stavolta fuori dalla sua testa.

 

 

 

La sua mente era totalmente annebbiata, ancora una volta.

Ormai non sapeva più dove trovare riparo. La stanza delle necessità era un luogo precluso. Lì era custodita la sua grande missione. Lì vi era la sua salvezza. Inutile dirlo, lì c’era il suo inferno.

Restare in giro per il castello sembrava essere diventato impossibile, aveva quasi paura di scorgere in qualche angolo uno studente che potesse scoprire il suo segreto.

Che potesse capire cosa era diventato, un mangiamorte, un assassino.

Camminò a lungo, senza meta, circondato solo da quadri e armature, e quando fu arrivato al terzo piano si concesse un po’ di pace scivolando sul suolo freddo e facendo ciondolare la testa fino ad incontrare la dura costrizione del muro dietro di lui.

Si passò le mani sul volto e preso da un improvvisa ondata di frustrazione piegò di scatto la testa all’indietro andando a sbattere contro le pietre ruvide del muro.

- Se hai bisogno di una mano Malfoy, non hai che da chiedere – una voce quasi sussurrata ed ilare si udì d’improvviso nel corridoio deserto. Draco si guardò intorno impugnando la bacchetta e tenendola ben salda fin quando riuscì a distinguere i contorni familiare della figura che era ferma sull’uscio della porta di un’aula vicina.

- Mezzosangue, da quando hai iniziato a spiarmi? – sussurrò quello troppo stanco persino per dimostrarle disprezzo.

- Gira voce che dietro agli ultimi avvenimenti ci sia il tuo zampino – disse Hermione dopo essersi interrogata per qualche secondo sui pro e i contro dello stare da sola con chi Harry credeva fosse diventato un mangiamorte.

- Fammi indovinare. San Potter ha già iniziato ad indagare, da bravo cagnolino di Silente, o forse sbaglio? – rispose quello alzandosi in piedi e avvicinandosi a lei. – E mentre lui è occupato per conto di Silente tu hai tutto il tempo per crogiolarti nel tuo dolore causato dall’amore non corrisposto nei confronti di Lenticchia, vero? -

Il tono con cui parlò, freddo e ironico, la colpì come un pugno ben assestato alla bocca dello stomaco.

Che fosse evidente che c’era qualcosa che non quadrava nel triangolo Ron Lavanda, Hermione era chiaro a tutta Hogwarts, ma che anche Draco Malfoy avesse il tempo di pensare a queste idiozie era un altro paio di maniche.

- Non sono cose che ti riguardano – sibilò come punta sul vivo.

- Allo stesso modo potrei dire io, Mezzosangue, non trovi?  – si era fermato giusto a pochi passi da lei che, intrappolata tra la sua figura e la porta, avrebbe dovuto necessariamente urtarlo per poter passare e correre via.

- Ora, Malfoy se non ti dispiace vorrei ritornare nel mio dormitorio – la voce di Hermione tremava, non tanto per la paura di trovarsi sola con lui; seppure lo considerasse un’abile pozionista era sicura di aver più confidenza di lui con la bacchetta, ma la sua vicinanza, così strana, così elettrica, era qualcosa con cui non aveva mai fatto i conti.

Era abituata alla freddezza e alle offese, ma non a quello sguardo sperso e quella vicinanza fuori luogo. Lo stesso Draco, dal canto suo, ne rimase sorpreso.

Non riusciva a spiegarsi cosa lo avesse portato così vicino a lei da riuscire quasi a sentire il suo odore.

Dolce, aulente, piacevole.

Sorrise.

La pressione per tutto ciò che lo aspettava gli stava dando sicuramente alla testa, tanto da trovare nella mezzosangue qualcosa di confortante.

- Perché lo fai? – chiese lui senza neanche pensarci su.

Hermione iniziava seriamente a credere che lui, la testa, prima, l’avesse sbattuta veramente forte.

- Di cosa stai parlando, Malfoy? – sussurrò quando lo vide avvicinarsi ancora. Troppo.

- Uscire con McLaggen, portare lui alla festa del Lumaclub. Credi davvero che lui capisca? Finirà come al Ballo del Ceppo e tu, tu, finirai in lacrime – Che Draco stesse parlando di Ron non vi era alcun dubbio, piuttosto Hermione si chiese come facesse lui a sapere quanto il comportamento del suo migliore amico l’avesse ferita o come facesse a sapere cosa era successo la notte del Ballo del Ceppo.

- Malfoy adesso piantala. Questi non sono affari tuoi. – La voce sorpresa e al contempo infuriata sembrava quasi essersi incrinata.

- Ora, se non ti spiace, vorrei andare. – Rossa in viso Hermione esplose quasi e, non vedendolo spostarsi, si fece largo lei, a forza, colpendolo con più violenza di quando richiedeva la situazione.

- Che tu fossi manesca lo sapevo sin dal terzo anno, mezzosangue, ma che arrivassi fino a questo punto… - La sua voce così divertita era così diversa da quella che aveva fino a qualche minuto prima e lui non poté non stupirsi di quanto fosse facile parlare e scherzare con lei, ma quando la vide allontanarsi furiosa non riuscì a trattenersi. - Credi davvero che ci sia io dietro a tutto ciò? – avrebbe dovuto specificare che si riferiva a quanto accaduto a Katie Bell, ma non lo fece, eppure lei capì subito.

- Fino a stasera avrei detto di no, Malfoy – rispose voltandosi di poco prima di lasciare, quasi di corsa, quel corridoio e quel Malfoy che ancora non aveva mai conosciuto.

A Draco rimasero due cose  impresse nella mente dopo quella sera. Il suo odore e quel sorriso che le aveva visto nascere sul volto quando lui aveva menzionato il terzo anno e lo schiaffo che lei gli aveva inferto per aver offeso una persona a cui teneva, quel sorriso sincero nascosto immediatamente dietro una smorfia di fastidio.

 

 

 

- Paura di me? Non essere sciocco, Harry. Non credo che a Ron…-

La voce di Hermione Granger era ormai udibile senza difficoltà alcuna.

-Malfoy!- E con quella della Granger si udì anche quella del suo migliore amico Harry.

- Potter! – Draco, che si era voltato giusto in tempo per scorgere i due che salivano gli ultimi scalini della torre, salutò il suo nemico con aria di sfida e con rabbia forse eccessiva - dopo il primo giorno sul treno vedo che ancora non hai imparato a capire il significato della parola privacy – continuò gelido portando la mano alla bacchetta in un gesto automatico.

- Abbiamo ancora un conto in sospeso, Malferret – sibilò Harry che ancora non aveva dimenticato cosa Malfoy avesse fatto il primo giorno di scuola.

Se avesse potuto, Draco, avrebbe senza dubbio riso di lui.

Se avesse saputo cosa volesse dire ridere mentre la ragazza che desiderava più di ogni altra cosa al mondo gli si stringeva al fianco, lo avrebbe senz’altro fatto.

- Vedo che porti con te anche la Mezzosangue, cos’è una nuova tattica per far ingelosire il Pezzente? – Il volto di Draco era contratto in una smorfia di dolore e cattiveria mentre i suoi occhi osservavano Hermione senza vergogna.

La mano di Harry corse subito alla bacchetta brandendola senza paura con la solita mano ferma che il ragazzo riusciva ad ostentare anche nelle situazioni più pericolose.

- Andiamo Harry – Hermione, premurosa, lo tirò per una manica del mantello cercando di dissuaderlo dall’idea di schiantare Draco in quello stesso momento. - Ritorniamo alla torre, Harry. Non vorrei che l’odore di una Mezzosangue infettasse troppo l’aria - aggiunse sputando poi quelle stesse parole che Draco le aveva rivolto a Diagon Alley poco prima di iniziare il sesto anno.

Quelle parole l’avevano ferita anche se aveva cercato di non mostrarlo, come tutte le volte che lui l’apostrofava con quell’epiteto, anche se si era resa conto di come quell’aggettivo uscisse in maniera diversa dalle sue labbra da quando si erano incontrati settimane prima nel corridoio del terzo piano e da quando da quel giorno i loro incontri da casuali erano diventati sempre più studiati e frequenti.

- Hai una buona memoria, Granger – la voce calda e bassa, quella che usava sempre per rivolgersi a lei, sembrava voler scavarle dentro e seminarsi nel profondo del suo animo.

- Già, me lo dicono spesso, Malfoy – rispose quella senza smettere di guardarlo.

Harry continuava ad assistere a quello scambio di battute e gli sembrava quasi di essersi perso il pezzo principale del puzzle senza il quale l’immagine che si formava era solo una macchia indistinta di colori.

Hermione invece avrebbe solo voluto dirgli che non stavano parlando di Ron in quel senso, il senso che potrebbe far ingelosire un ragazzo innamorato, avrebbe solo voluto dirgli che anche lei provava qualcosa quando era con lui, avrebbe solo voluto dirgli che quel qualcosa però era sbagliato, anzi, che ogni cosa in loro era sbagliata, irrazionale, contraria ad ogni logica e invece non fece altro che stringere le mani a pugno così forte da farsi male solo per resistere all’impulso di corrergli incontro e di rimangiarsi ogni parola, riprendersi ogni bacio e ricacciare dietro le lacrime mentre lui se ne stava lì, in piedi, come una candela in un granaio che brucia.

- Avrai anche una memoria invidiabile, mezzosangue – disse alla fine Malfoy contraendo la mascella e lasciando che la sua voce si trasformasse in un fiume di furia – peccato, però, tu sia così cieca - e così dicendo fece qualche passo in avanti andando loro incontro.

Si soffermò appena qualche secondo dinanzi a lei e poi, sfiorandole deliberatamente un braccio con il proprio, li superò scendendo le scale quasi di corsa.

Il suo odore ancora ben impresso nella mente, il suo sapore ancora caldo sulle labbra.

 

 

 

Il tempo ad Hogwarts scorreva in modo diverso.

Le giornate difficilmente potevano essere definite noiose e le lezioni, seppur occupavano gran parte della giornata, lasciavano sempre agli studenti un po’ di tempo per respirare.

L’aula di pozioni era deserta e la fievole luce che proveniva dalle candele accese malamente illuminava l’aula fredda.

Draco Malfoy era rimasto a lungo seduto al tavolo cercando di pensare, o dimenticare o forse cercando di pensare a come dimenticare.

Dopo la lezione di pozioni, a cui avevano partecipato soltanto Ernie McMillan, Harry e Malfoy, quest’ultimo era stato incapace di alzarsi.

Aveva notato che, prima ancora che la lezione iniziasse, “Il ragazzo che è sopravvissuto” si era voltato verso di lui e lo aveva scrutato per un po’.

Draco dal canto suo aveva cercato di ignorarlo, di certo non gli servivano motivi per mettersi in altri guai.

Le cose per lui peggioravano a vista d’occhio anche senza l’aiuto di Potter.

L’armadio svanitore sembrava non funzionare perfettamente e i tentativi di uccidere Silente non avevano dato i frutti sperati, quasi come se una parte di lui sperasse di fallire.

In fin dei conti l’idea di essere un mangiamorte aveva perso gran parte dell’attrattiva iniziale da quando gli era stata assegnata quella missione.

Uccidere un uomo, macchiarsi l’anima di un tale crimine e, forse, perderla per sempre, mentre in realtà tutto quello che voleva fare era grattare via a mani nude quel dannato marchio, quel dannato destino.

Il suo volto pallido e consumato sembrava quasi assumere un’aria spettrale alla luce delle candele.

Il capo chino, rovesciato sulle braccia che riposavano sul banco, sembrava diventare sempre più pesante mentre la decisione più importante della sua vita lo divorava da dentro rubandogli il sonno e la vita.

Sentì alcuni passi avvicinarsi alla porta chiusa ma non si scompose più di tanto, aveva quasi voglia di essere trovato.

Aveva voglia di parlare e gridare e dire finalmente quello che da troppo tempo gli pesava sul cuore.

Io non sono un assassino.

- Io non sono un assassino -

- Cosa hai detto Malfoy? – Hermione Granger, di ritorno dall’esame di smaterializzazione, si bloccò sull’uscio della porta. Il respiro leggermente affannoso per via della corsa che l’aveva spinta nell’aula vuota a riprendere il libro che accidentalmente aveva dimenticato la mattina stessa.

Draco sobbalzò.

Non si era reso conto che quelle parole che il suo cuore urlava, erano in realtà scivolate come miele tra le sue labbra.

E a quel punto tanto valeva ridirlo, tanto valeva gridarlo, tanto valeva togliersi un peso.

- Non sono un assassino, Granger. – disse alzandosi da quello sgabello troppo scomodo, troppo piccolo per lui, e avvicinandosi a lei.

- Malfoy, di cosa stai parlando? - Hermione indietreggiò di poco fin quando la sua schiena non trovò il coprifilo esterno della porta sbattendoci contro.

- Non ho avvelenato io il tuo amichetto o Katie Bell, mi hai capito? Non sono stato io checché ne dica Potter. – gli occhi freddi, quasi come le mani che automaticamente si erano  posate su di lei, sul suo fianco.

Non era stato lui, non era stato Draco.

Forse un Malfoy, ma non Draco.

Aveva solo bisogno che qualcuno gli credesse, che qualcuno credesse che la parte migliore di lui non era immischiata in quella storia di ricatti e promesse strappate con la magia.

- Allontanati Malfoy, ora. – il suo tono di voce non era più quello saldo e fermo che aveva di solito.

La voce le era uscita roca e graffiata dalle labbra come scossa anch’essa da quella presa salda sui suoi fianchi. Percepiva indistintamente la sua mano fredda sopra la stoffa del maglione eppure non provava paura o rabbia, solo un profondo imbarazzo e un senso di disagio.

La sua mente le urlava che era sbagliato.

Il suo corpo, che era piacevolmente folle.

-Malfoy, or..-

- Tu non mi credi! – la mano sinistra di Draco si spostò veloce dal fianco di lei e si infranse con violenza contro il muro, all’altezza del suo viso.

Hermione chiuse gli occhi d’istinto e quando li riaprì lo sguardo di Draco era indecifrabile.

La fissava con rabbia, una rabbia che aveva smesso di provare da molto tempo sostituita dalla rassegnazione e dal sospetto.

Hermione vide in quelle iridi, dall’azzurro talmente chiaro da sembrar quasi ghiaccio, i suoi stessi occhi riflessi nei suoi, il suo sguardo a metà tra lo spaventato e il preoccupato.

Negli occhi di lui, vide riflessa lei.

Abbassò lo sguardo fuggendo dal suo e girò parzialmente la testa a destra, dove il braccio di Draco era ancora teso vero il muro.

Le dita lunghe erano semi aperte e sembravano voler spingere ancora di più la parete in un gesto adirato, il polso teso e la pelle diafana lasciavano intravedere alcune piccole vene violacee che si districavano complesse sotto la superfice di quella mano.

La camicia bianca di poco alzata sopra il polso lasciava intravedere una minuscola parte del suo braccio, più muscoloso di quello che in realtà poteva sembrare, con i tendini messi in evidenza dallo sforzo, seppur minimo.

Proprio sotto il punto in cui il bottone della camicia chiudeva i due lembi di tessuto, una piccola parte di disegno del color della pece dava bella mostra di sé.

Hermione portò la mano timorosa all’altezza del braccio del ragazzo che la osservava in silenzio, combattendo la voglia di ritirare immediatamente il braccio a sé, e con una lentezza quasi estenuante tolse il bottone dall’asola accompagnando la camicia su con le mani fino a scorgere a poco a poco una figura che fin troppo bene conosceva.

Mentre le sue mani si attardavano ancora sul suo braccio perdendosi in quelle linee nere, gli occhi quasi lucidi dallo stupore e la bocca semi aperta in una muta esclamazione, Draco ad occhi chiusi, non si mosse minimamente.

Col braccio fermo e l’espressione chiaramente colpevole non riusciva a pensare a quel momento come a qualcosa di sbagliato. Forse totalmente assurdo, ma non sbagliato.

Era come se fosse riuscito a condividere per la prima volta un segreto troppo pesante che gli schiacciava lo stomaco e comprimeva i polmoni facendolo boccheggiare in cerca d’aria da quelli che ormai erano mesi.

Per non contare il fatto che la persona che lo avesse salvato dall’oppressione fosse proprio la Granger, ciò rendeva la sua liberazione ancora più profonda, ancora più totale.

Quasi come se una parte di lui non avesse fatto altro che cercare qualcuno che fosse stato disposto a fermarlo.

- Sono un mangiamorte –

Era la verità.

Era esattamente come se avesse affermato “ io respiro ancora.

- Perché? – le mille parole di Hermione erano esplose in un’unica, silenziosa domanda.

- Lo so che non è questo che vuoi chiedere.–

- No, Malfoy. Perché? - lei ripeté la domanda più lentamente scandendo a fondo ogni singola parola.

- Perché non avevo scelta - sussurrò incapace di mentirle. Ora era lui che voleva farle qualche domanda o forse farne un paio anche a se stesso.

- Tutti abbiamo una seconda scelta – disse lei provocandogli una risata bassa e nervosa.

- Tu…non puoi essere così cieca! Se per tutti intendi lo Sfregiato, allora non posso affermare il contrario. Ma quelli come me non hanno mai un’altra possibilità. – portò la mano al fianco, abbassandosi la camicia con la mano libera.

Non riusciva a sopportare la vista di quel marchio nero che per lui altro non era se non il segno di un destino che non si era mai scelto, che non aveva mai compreso.

Perché il problema era quello, non aveva mai compreso fino a che punto si sarebbe dovuto spingere per restare vivo.

E se tanto valeva morire forse sarebbe stato più dignitoso farlo combattendo dall’altra parte, magari la stessa di quella ragazza che ora lo fissava con gli occhi sgranati e la bocca, quella bocca piena e rosea, leggermente aperta.

- Perché non corri a dirlo a Potter? Sono un mangiamorte, sono un assassino!- si era allontanato di nuovo fino a sbattere contro il banco facendolo leggermente traballare a causa del colpo.

Hermione neanche per un attimo aveva pensato di dirlo ad Harry, lui non avrebbe capito, perché non avrebbe mai visto Malfoy con i suoi stessi occhi . Non avrebbe visto quel ragazzo che lei guardava per la prima volta.

Un ragazzo combattuto come d’altronde troppo spesso Harry era stato, un ragazzo impaurito, un ragazzo che si era semplicemente perso.

Perché in quell’immagine, del Malfoy che aveva conosciuto, non c’era nulla.

- Malfoy. Tu, tu non hai ucciso nessuno - il tono incerto che aveva usato lo fece quasi sorridere, un sorriso di scherno, ma pur sempre un sorriso.

Di risposta luì denegò col capo chino - Non sei un assassino – finì allora lei, rassicurandosi appena.

Draco alzò la testa e le si avvicinò ancora.

Tutti quei gesti non erano altro che l’esatta copia del comportamento che aveva assunto in quei giorni, in quell’anno.

Per ogni passo avanti ne seguivano due dietro.

E così faceva con lei.

Prima le si allontanava convinto di aver esagerato, di essersi esposto troppo e poi le si avvicinava ancora perché aveva bisogno di lei, aveva bisogno che lei capisse e che lo aiutasse a capire i suoi stessi atteggiamenti confusi.

- Mezzosangue…- le portò una mano sulla guancia e sentì la pelle calda sotto le sue dita sussultare appena. – Perché? Perché resti qui? – le chiese avvicinando il suo viso, mentre lei di riflesso si allontanò per quanto quella mano e il muro alle spalle le concessero.

- L’hai detto tu, tempo fa,  sono piuttosto manesca e so difendermi bene con la bacchetta – il suo voleva più che altro essere un avvertimento, ma Draco, che non era dello stesso avviso, rise.

Una risata bassa, niente a che fare con le risate che lei era solita fare in compagnia di Ron o Harry, ma era la prima volta che lo vedeva ridere.

Niente sorriso canzonatorio o denigratorio, solo un sorriso. Semplice, spontaneo, contagioso quasi.

- Non ti farei del male, Granger. A quanto pare non ne sono capace. – la mano, sempre ferma sulla guancia scese verso il basso per raggiungere il collo e fermarvisi.

- Fidati di Silente. – Hermione deglutì a fatica - Chiedi a lui di aiutarti –

Sorrise ancora prima di chinarsi ancora un po’ su di lei fino a sfiorare le labbra con le sue, morbie, calde come aveva immaginato che fossero – Puoi aiutarmi tu, Granger –.

Così coprì la poca distanza che restava tra le loro labbra, le saggiò piano, delicatamente, sfiorandole appena.

Hermione gli morse il labbro inferiore e si ritrasse, ma il poco spazio non le consentì la fuga così Draco ci riprovò di nuovo.

Una mano a cingerle il fianco, l’altra a carezzarle il viso mentre le labbra iniziavano a sapere di lei.

 

 

 

Dormire era impossibile, il ricordo di lei riusciva a ferirlo e a confortarlo allo stesso tempo.

Lei lo aveva salvato, lei lo aveva distrutto.

Passò la notte a rigirarsi tra le lenzuola mentre quelle gli si avvolgevano intorno come fossero spire di desiderio, come fossero pensieri che non lo lasciavano andare.

La notte passò e Draco non smise di pensare a lei neanche per un istante e per lui era esattamente come vivere in quella fase del sonno tra il sogno e il risveglio in cui aggrapparsi a quell’unico, misero, brandello di sogno che ancora ricordava, sembrava l’unica cosa giusta da fare e così lo stringeva mentre quello, poco a poco che la mente prendeva coscienza, si sgretolava tra le mani, volando via come polvere.

Il giorno seguente la seguì con lo sguardo ovunque, cercando di avvicinarla e di evitarla al tempo stesso, proprio come anche lei sembrava fare.

Seguire le lezioni insieme era un tormento, più si imputava di non guardarla più i suoi occhi la cercavano, più si convinceva a non parlarle, più la sorprendeva a fissarlo.

Così passarono l’ennesimo giorno dell’ennesimo mese a rincorrersi e a rifuggirsi a vicenda, continuando quel gioco di sguardi e pensieri che li avrebbe sicuramente condotti alla deriva.

Quando la vide la sera a cena, seduta come sempre tra Lenticchia e lo Sfregiato, dovette sforzarsi di nascondere il più possibile la sua espressione, ansiosa e trepidante. La osservò mentre leggeva con cura e dovizia un libro che aveva preso in prestito dalla biblioteca qualche giorno prima e, come ogni volta in cui si perdeva nella lettura di qualcosa di interessante, si mordicchiava leggermente il labbro inferiore.

Si alzò lentamente della panca gettando un occhiata a Tiger e Goyle che, senza pudore, si riempivano il piatto di ogni genere di cibarie e, senza neanche salutarli, si avviò verso l’aula di pozioni.  

Si sedette sul banco in fondo all’aula dando le spalle alla porta.

Si sedette e sperò che il tempo passasse in fretta.

 

 

 

L’ora di Incantesimi sembrava non avere mai fine.

Quella lezione, trascorsa con la mente volta al ricordo di quelle labbra calde e dei suoi baci, sembrava un inferno.

Il suo inferno personale perché quell’insicurezza che gli rodeva il petto sembrava bruciare più delle fiamme, più del peccato stesso.

Quando la campanella suonò portandolo alla realtà, Tiger e Goyle seduti al suo fianco aspettavano privi di iniziativa un suo ordine, troppo incapaci anche solo di alzarsi autonomamente e uscire dall’aula.

Fece loro un cenno con la testa senza nessuna voglia di sprecare parole per loro, perché aveva troppa paura che l’unico suono che potesse uscire dalle sue labbra fosse la parola mezzosangue.

E sarebbe stato sbagliato, dannatamente sbagliato come lei, come il suo sangue.

Rimase seduto guardando i suoi compagni e gli altri studenti che si dirigevano nella sala grande per consumare il pasto mentre lui rimise le pergamene e il libro nella borsa con una meticolosità estenuante.

Osservò con la coda dell’occhio Harry Potter uscire e rivolgergli uno sguardo curioso e truce allo stesso tempo e vide lei, superarlo appena, mentre le gote le si accendevano di sangue e imbarazzo.

Lo sfiorò leggermente non riuscendo a trattenersi, giusto per assicurarsi che non stesse sognando, giusto per assicurarsi un suo sguardo su di sé.

Perché per una ragazza avere delle insicurezze era una cosa normale, ma il suo cuore quando vedeva Ron non sembrava fuggirle dal petto nello stesso modo in cui invece sembrava fare quando si sorprendeva a guardare Draco o a immaginare le sue labbra sulle sue o a desiderare le sue mani su di sé mentre lente la accarezzavano durante i loro incontri.

La sala grande era gremita di studenti e il chiacchiericcio incessante sembrò a Draco una panacea perfetta contro i suoi pensieri assillanti.

Si sedette al tavolo dei Serpeverde, tra Goyle e Pansy, con lo sguardo fisso su quello dei Grifondoro.

In fondo era quello che faceva sempre, solitamente per cercare un modo di rendere ad Harry la vita impossibile, almeno quanto lo era la sua seppur nascosta sotto quello strato leggero di frivolezze e lusso.

Forse Harry aveva perso i genitori, ma dell’infanzia strappata a Draco nessuno sembrava volerne parlare. Degli obblighi che quel cognome così pesante richiedeva nessuno sembrava essere interessato, eccetto Hermione.

Lei che lo aveva ascoltato quella sera, che lo aveva baciato quella successiva lenendo in qualche strano e misterioso modo parte di quelle ferite che aveva creduto sarebbero bruciate per sempre.

Hermione Jane Granger, una mezzosangue.

Hermione Granger, una ragazza di rango inferiore.

Hermione, una ragazza.

 

La vide uscire poco dopo dalla Sala Grande, il capo chino e un libro stretto tra le mani; la seguì senza preoccuparsi di cosa gli altri avrebbero pensato.

Non sarebbe mai potuto sembrare più strano, più colpevole, di quei giorni passati tra la stanza delle necessità e il baratro totale.

La trovò mentre scendeva le scale dei sotterranei e si lasciava dietro di se la porta aperta dell’aula di Pozioni.

La varcò anche lui, sorridendo, per poi chiuderla con la magia. Si guardarono negli occhi per pochi attimi prima che lei rompesse il silenzio.

- Io volevo parl… - lei sue labbra non riuscirono a liberare tutte le parole che avrebbero voluto urlare, prese d’assalto com’erano state da quelle del ragazzo che, veloce, si era allungato verso di lei per baciarla facendola inavvertitamente urtare contro un banco.

- Scusa… - le sussurrò appena mentre con le labbra aveva preso a disegnare il contorno delle sue.

Hermione emise un gemito roco, basso, forse di dolore, forse di stupore, forse di meraviglia, eppure non le andava bene.

Faceva fatica a sopportare tutto ciò che non conosceva, che non sapeva e lui era in assoluto qualcosa che non conosceva.

Gli morse piano il labbro inferiore cercando di mettere a tacere quella parte di lei che avrebbe solo voluto stringere i suoi capelli tra le mani e darsi senza remore a quel bacio.

- Volevo parlarti - sussurrò appena senza riuscire a distogliere lo sguardo da quelle labbra sottili eppure così tentatrici. – Volevo solo parlarti - lo ripeté ancora, questa volta per convincere se stessa.

Lui calò ancora con le labbra sulle sue dando cenno di non averla considerata o di averla deliberatamente ignorata e lei, con maggior veemenza, le morse di nuovo.

- E va bene, mezzosangue, parliamo. - sbuffò lui stavolta allontanandosi appena da lei. - Come se non lo facessimo mai.-

- E infatti è così, Malfoy- ormai non riusciva più a moderare il suo tono di voce, passava da qualche sussurro ansante a vere e proprie urla. – non parliamo mai. Mi trascini qui, nell’aula di Pozioni, ogni sera da mesi e non mi dici nulla. Mi implori di non andar via, mi chiedi aiuto ma non vuoi, non sei mai disposto ad accettarlo. - le sue labbra tremavano proprio come le sue mani.

- Ormai è quasi giugno, Draco - al sentire il suo nome pronunciato quasi con dolcezza sussultò appena – dici che non c’è tempo, ma non vuoi spiegarmi, non vuoi rivolgerti a Silente. Ti fidi solo del professor Piton e sai come la pensiamo a riguardo.-

- Alla fine dobbiamo sempre tornare a parlare di Potter. Se è di lui che ti fidi allora perché non ritorni da lui, perché quando ti bacio ti lasci così tanto andare se poi pensi di non essere al sicuro qui, con me. - Le solite parole, le solite insicurezze, i soliti discorsi.

Non potevano fare a meno di ripetersi.

Litigavano, sempre, per qualsiasi cosa ed era una guerra continua, estenuante. Una battaglia persa in partenza perché sapevano bene entrambi che nessuno dei due si sarebbe mai sbottonato rivelando all’altro quella parte di se troppo nascosta, eppure troppo esposta.

- Se vuoi andare, vai. Non ti trattengo – le disse.

E invece lo avrebbe fatto, e lo sapeva bene.

Aveva già perso tutto, aveva perso suo padre, aveva perso la fiducia dei suoi amici, avevo perso la strada e con essa anche quel poco senno che gli era rimasto.

Tutto ciò che gli restava erano lei e i suoi baci e se lei fosse fuggita a lui non sarebbe rimasto altro.

Eppure era quello che faceva sempre, quello che le riusciva meglio.

Fuggire.

Lontano da lui. Verso di lui.

E come ogni volta lei lo guardava con quell’espressione arrabbiata, furiosa, ferita eppure non poteva far altro se non avvicinarsi a lui, a quelle labbra e baciarlo. Mordendogli le labbra, come soleva fare tutte le volte in quel gioco di complicità, come per punirlo, forse, come per amarlo.

E lui la stringeva tra le sue braccia, baciandola a sua volta e carezzandole la schiena, i capelli, le guance rosse e il fianco coperto.

- Me lo dirai? - sussurrò Hermione al suo orecchio mentre lui si dedicava a lambire la pelle del suo collo con le labbra consumate, proprio come il suo amore, consumato.

E lui, come al solito, le sigillava la bocca con la sua.

Ignorando la domanda.

Dimenticando la risposta.

Eppure la discussione era ancora li, che attendeva solo il momento peggiore per riaffiorare e ferire entrambi.

 

 

 

Quando la porta si aprì quei pensieri che lo avevano assillato tutto il giorno sembrarono poco a poco sparire.

Buttò la testa indietro e vide la sua ombra avanzare lenta nella sua direzione. La vide sedersi accanto a lui senza dire una parola.

- Ho sentito che Lenticchia e la Brown si sono lasciati. A quanto pare è la cosa più eclatante che sia successa negli ultimi giorni. Questo la dice lunga su questa scuola. - La voce di Malfoy sembrava assomigliare ad una lama fredda e appuntita e loro parevano restare in equilibrio sul filo di quella stessa lama. Entrambi ad un passo dal precipizio.

Ferire per non essere feriti.

- Cosa stiamo facendo? - Hermione sussurrò a malapena quelle parole mentre si guardava insistentemente le mani in imbarazzo. Draco sorrise.

- Temporeggiamo finché, finalmente, non ti toglierai i vestiti? – domandò ironico prima che lei lo interrompesse.

- Dico sul serio, Malfoy. Cosa stiamo facendo? – gli occhi spenti, le labbra tormentate dai denti.

- Mi aspettavo questa domanda da un po’ di tempo, mezzosangue, più o meno da quando hai scoperto cosa sono.-

- Da quando mi hai baciata – aggiunse lei, arrossendo.

- No, Granger, da quando ci siamo baciati - sottolineò con una punta di rabbia - Io non ti ho mai costretto a fare nulla-.

Hermione si alzò in piedi, sistemandosi malamente la gonna con le mani.

Sarebbe voluta scappare da quell’aula, sarebbe voluta scappare da lui eppure restava li, immobile, incapace di fare o dire qualsiasi cosa.

Non riusciva più a sopportare nulla di ciò che le era capitato di recente.

I suoi incontri con Draco, le loro bocche che si cercavano, quelle mani che riuscivano a farla rabbrividire e quel ma la cui consistenza eterea faceva a pugni con la coscienza, rischiavano di portarla alla pazzia.

Lei che era sempre stata cauta e razionale stava buttando alle ortiche ogni cosa per lui, per un mangiamorte, per l’uomo che avrebbe dovuto uccidere Albus Silente.

- Draco… - il suo nome sussurrato fu la goccia che fece traboccare il vaso. Lui non avrebbe sopportato un’altra parola o un altro sguardo.

Non ce l’avrebbe fatta, si sarebbe spezzato prima.

Veloce l’avvicino a sé, attirandola con le braccia al suo torace, premendo la bocca sulla sua a volerle impedire di parlare a volerle disperatamente  impedire la fuga.

La baciò con impeto poi con dolcezza poi, dopo ancora, con rabbia e violenza e poi lenì la sua furia baciandola ancora con tenerezza mentre con le mani si aggrappava ai suoi fianchi in una muta richiesta di restare.

Quando la lasciò andare, stringendola però ancora tra le braccia, guardò quegli occhi lucidi e quelle labbra arrossate mentre il silenzio dell’aula rendeva udibile il loro leggero affanno.

- Malfoy - stavolta Hermione si premurò bene di non chiamarlo per nome – tutto questo è assurdo, non c’è nulla di sensato -

Senza dire una parola Draco la lasciò andare, allentando la presa su di lei e allontanandosi appena.

- Te l’ho già detto una volta Granger, possibile che tu debba essere così cieca? -

- Malfoy, il fatto che tu non voglia schierarti non vuol dire che anche io farò lo stesso. -

Gli occhi di Hermione erano puntati in quelli di Draco mentre, per l’ultima volta ancora, senza alcun risultato, cercò di convincerlo a fare la scelta giusta, ad affidarsi a Silente e a credere in lui, proprio come faceva lei, ma era come chiedere ad un cieco di descrivergli i colori del tramonto.

Come avrebbe fatto Draco a fidarsi di qualcuno che non aveva mai veramente visto, che non aveva mai conosciuto, come faceva a fidarsi di lei se non era mai stata capace di aprirsi totalmente con lui.

E il suo silenzio allora parlò ancora per lui.

Quei giochi, quei baci, quelle illusioni sarebbero rimaste chiuse in quell’aula, ma lei non poteva più.

- Mi dispiace - disse Hermione in un sussurro appena udibile.

Mai si era aspettata di sentire così tanto dolore, mai si era aspettata che innamorarsi di qualcuno facesse così male, ma la sua razionalità non avrebbe più ceduto a niente e quindi, oltre che scendere a patti con lui, non c’era nient’altro che potesse fare.

Draco l’afferrò nuovamente di impulso.

Non voleva che andasse via, non voleva che si allontanasse da lui.

Cosa avrebbe fatto altrimenti? Chi l’avrebbe salvato stavolta?

-No! – la sua voce dura le graffiò l’anima e il suo odore, così vicino, rischiava di farla cedere ancora mentre lui si avvicinava alla sua bocca per baciarla e carezzarla ancora una volta, l’ultima.

- A chi morderai le labbra? A chi sembrerai bella? – la sua voce roca e quasi affannosa le solleticava la bocca e il respiro si mischiava al suo al punto da sembrare che respirassero entrambi la stessa aria.

- Chi bacerai, Hermione? A chi amerai? - parlava talmente vicino a lei che ad ogni domanda le loro labbra inevitabilmente si sfioravano e lei riusciva perfettamente a sentire che il cuore perdeva un battito mentre dagli occhi lucidi piccole lacrime iniziarono a solcarle il viso fino a raggiungere il punto in cui le loro labbra si univano.

-Mi dispiace - sussurrò ancora lei prima di allontanarsi leggermente da lui e dalle sue labbra.

-Mi dispiace – sussurrò di nuovo in una nenia disperata prima di dirigersi verso la porta e varcarla senza guardarsi più indietro.

Forse in quella scuola, in quel mondo, non c’era spazio per quel sentimento indefinito, per quella speranza in cui entrambi non avevano più il coraggio di credere.

O forse, semplicemente, per lei non c’era più spazio per Draco e per le sue scelte a metà.

O forse ancora quel velo d’invidia che lui provava per il coraggio e l’orgoglio di Hermione, per la sua sicurezza quasi sfrontata, avrebbe comunque coperto ed eclissato, col passare del tempo, l’irrazionalità di quei sentimenti oscillanti.

 

Forse un giorno sarebbe venuto anche il tempo per loro, per i loro baci e allora avrebbero potuto riprendere il discorso da dove erano rimasti, da quel bacio spezzato che per chissà quanto tempo ancora avrebbe fatto parlare di sé.

Forse le loro mani si sarebbero ritrovate ancora e avrebbero ancora una volta percorso strade invisibili su quei corpi deboli e tremanti.

Forse un giorno si sarebbero amati, ancora o per la prima volta, con coscienza e passione.

Forse.

Un giorno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA

 

La storia ha partecipato al contest “…A parte che i sogni passano, se uno li fa passare…” indetto da Alcyone_ sul forum di EFP classificandosi prima a pari merito e vincendo il Premio Spaccacuore, per la miglior storia d’amore.

 

Essendo il primo contest al quale partecipo ero un po’ incerta sull’uso della frase “A chi morderai le labbra? A chi sembrerai bella?” intorno alla quale doveva girare la storia, così ho deciso alla fine di usare l’intero carme di Catullo come linea guida per l’intera one-shot.

Ho deciso, quindi, di parlare dell’amore di Draco nei confronti di Hermione, di questo amore vissuto e poi gettato e di cosa possa significare per lui in questo momento particolare che è il sesto anno.

Ho usato l’espediente (spero sinceramente si capisca) dei frequenti flash back alternati alla storia vera e propria.

Per ogni parte della storia narrata in un continuo temporale corrisponde un ricordo particolare di Draco che riguarda Hermione e che è avvenuto sempre durante il sesto anno, ma tempo addietro rispetto al filo temporale principale.

Spero che questa one-shot, il mio primo tentativo “leathers and libraries”, possa piacervi.

Qui di sotto vi lascio il giudizio finale della storia:

 

 

 

 

Prima classificata pari merito con  Elizabeth Mary Greengrass .
LittleNanny con Maybe,one day.

Correttezza Grammaticale: 10/10
Stile e lessico: 10/10
Caratterizzazione dei personaggi: 9,5/10
Utilizzo citazione: 10/10
Gradimento personale: 10/10
Totale: 49,5/50

Premetto che essendo lunga 17 pagine non stata a spulciare ogni riga e che non ho trovato errori grammaticali.
Lo stile e il lessico sono perfetti, mi piace l’uso che hai fatto di alcune parole che non si usano molto.
Per la caratterizzazione non ti posso dare il massimo, essendo troppo improbabile che Hermione si lasciasse andare a Draco nel mondo in cui tu hai descritto.
Mi piace come hai usato l’intero Carme.
Meraviglioso.
La storia mi è piaciuta molto, mi è piaciuto leggerla. Mi sono commossa, lo ammetto, nel leggere la frustrazione di Draco.
Hai fatto un ottimo lavoro,
ti faccio i miei complimenti.
Grazie per aver partecipato.

 

La storia inoltre ha vinto il Premio Spaccacuore, alla storia d’amore più bella.

 

 

Inoltre vorrei ringraziare la giudicia per la sua velocità e la sua precisione e ringraziare ovviamente anche voi che avete letto questa storia!! Grazie!!

Un bacio!

 

   
 
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