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Autore: Montana    29/05/2012    3 recensioni
Kalòs kaì agathòs. Letteralmente, “bello e buono”.
Una delle prime cose che insegnano al Liceo Classico è questa, la teoria del bello e buono che gli antichi Greci avevano tanto a cuore.
Il tutto è riconducibile nelle due parole greche καλὸς κἀγαθός, la kalokagathia. I miti greci ne sono pieni.
Nell’Iliade tutti danno ragione ad Achille perché è bello e buono, e picchiano Tersite perché è brutto, zoppo e storpio.
Nonostante tutto, anche al giorno d’oggi è rimasta nel nostro subconscio la convinzione che se una persona è bella esternamente dev’esserlo anche all’interno.
A questo Zoe non credeva affatto.
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Ritornando alla sua posizione vegetativa iniziale, Marco registrò il pensiero che doveva chiederle cos’avesse contro la kalokagathia.
Avevano quattordici anni, e quella fu solo la prima volta che le vite di Zoe e Marco si scontravano bruscamente.
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"Quando due forze così grandi si scontrano non possono non lasciare segni su ciò che le circonda, Léon."
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Marco, ragazzo normale, vita normale, amici normali, fino al Liceo.
Léon, padre francese, famiglia rovinata, riflessivo e protettivo.
Zoe, genitori francesi, un passato misterioso, un segreto che non ha mai detto a nessuno.
Destinati ad incontrarsi, destinati a cambiarsi le vite.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le loro vite con Zoe'
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La nostra vita con Zoe

1. Kalokagathìa

 

καλὸς καi ἀγαθός


Kalòs kaì agathòs. Letteralmente, “bello e buono”.
Una delle prime cose che insegnano al Liceo Classico è questa, la teoria del bello e buono che gli antichi Greci avevano tanto a cuore.
Il tutto è riconducibile nelle due parole greche καλὸς κἀγαθός, la kalokagathìa. I miti greci ne sono pieni.
Nell’Iliade tutti danno ragione ad Achille perché è bello e buono, e picchiano Tersite perché è brutto, zoppo e storpio.
Nonostante tutto, anche al giorno d’oggi è rimasta nel nostro subconscio la convinzione che se una persona è bella esternamente dev’esserlo anche all’interno.
A questo Zoe non credeva affatto.
Aveva quattordici anni compiuti da poco più di due mesi, e se ne stava seduta al suo banco in seconda fila a fissare con aria dubbiosa la lavagna, sulla qualche appariva chiara e strafottente quella strana scritta, καλὸς
κἀi ἀγαθός.
Il professore di lettere, con la testa a forma di lampadina e una pelata centrale che assomigliava molto a un nido per uccellini, un paio di occhiali che gli davano almeno dieci anni di più e un problema di adenoidi che lo faceva sputacchiare ovunque, stava parlando proprio di quando Achille picchia Tersite per aver detto l’unica cosa sensata sulla guerra di Troia.
Zoe aveva una gran voglia di alzarsi e dirgli che molto probabilmente se ci fosse stato avrebbe fatto la stessa fine dello storpio ma si trattenne.
Un’improvvisa scossa del banco la distrasse.
Il suo vicino di banco, un armadio biondo con gli occhi chiari che cambiavano colore a seconda del tempo, mormorò qualche parola di scusa e ricominciò a prendere pedestremente appunti.
Zoe sospirò e si guardò attorno: a parte il suo vicino di banco e i due che già dopo due mesi si erano rivelati i più bravi della classe, nessuno stava attento.
C’era chi mandava SMS o semplicemente giocava col cellulare, chi fissava il vuoto e persino chi aveva appoggiato la testa sul banco e dormiva, come il biondo all’ultimo banco.
La luce del sole che illuminava la stanza, quel sole troppo caldo per essere il ventitre di ottobre (il riscaldamento globale c’era davvero allora), unita alla monotona spiegazione e a quella stanchezza intrinseca delle prime ore di scuola spingeva veramente al sonno, dopotutto. Ma a Zoe quell’argomento interessava.
Non l’Iliade, figuriamoci. La superficialità dei Greci e quella maledetta kalokagathìa. Cosa gli faceva pensare che chi era brutto non fosse buono? E soprattutto, perché chi era bello invece doveva esserlo?
Zoe non lo era, e lo sapeva.
Era una bella ragazza, glielo dicevano tutti anche se lei non ci credeva, ma era marcia dentro. E questo nessuno, a meno che non si fosse sforzato di vedere dentro di lei, l’avrebbe mai capito.

Quando era entrato in classe il primo giorno di quarta ginnasio, Marco aveva trovato due banchi ancora liberi, tutti e due in seconda fila, uno centrale e l’altro accanto alla finestra.
Senza pensarci due volte aveva scelto quello, trascinandosi dietro l’ex compagno delle medie con cui si era ritrovato in classe.
Dopo un mese e una rotazione di banchi, era ancora lì.
Era felice di ciò, aveva quasi una dipendenza dal sole che gli scaldava la pelle, forse dovuta alla sua nascita a fine agosto sotto il solleone.
Ma il sole di ottobre è profondamente diverso da quello di Agosto, e in quella mattina a due mesi esatti dal suo compleanno gli faceva solo venir voglia di dormire.
La sua vicina di banco, una biondina di nome Chiara, stava messaggiando con l’amica Cecilia della fila centrale, quindi era di ben poca compagnia.
Si passò una mano tra i capelli e lanciò un’occhiata alla lavagna. καλὸς kai κἀγαθός lesse, e il suo cervello da poco abituato al greco tradusse “bello e buono”.
Dunque il professore stava parlando della kalokagathia da due ore? ecco perché nessuno lo stava più ascoltando.
«Nessuno degli Achei da retta a Tersite, non solo perché Achille è più forte e famoso di lui, ma anche perché Tersite è storpio!»
Marco fece una smorfia e si raddrizzò sulla sedia, allungando tutti i muscoli indolenziti. Se mai si fosse trovato catapultato nell’antica Grecia, pensò, non avrebbe avuto vita facile.
Non era bello, anzi, aveva sentito molte ragazze dire l’esatto contrario. Ma ne era consapevole.
L’acne giovanile aveva cominciato a comparire sul suo viso a dodici anni e non l’aveva mai lasciato, e quei pochi peli che aveva in faccia non aumentavano affatto il suo fascino. In più aveva l’apparecchio fisso, le piastrine.
Però aveva parecchio senso dell’umorismo, un fisico atletico e due occhi verdi che personalmente trovava molto belli, ma che nessuna ragazza notava mai. Fortunatamente si trovava ancora in quel periodo della pubertà maschile dove il calcio e gli amici sono più importanti delle ragazze.
Un rumore improvviso alla sua sinistra lo fece girare.
Léon, quell’energumeno biondo che faceva con lui metà della strada per tornare a casa, aveva probabilmente cancellato qualcosa con troppa veemenza, urtando il banco della sua vicina.
La ragazza in questione, quella col nome che deriva dal greco e il cognome francese che era dopo di lui nell’elenco alfabetico, sbuffò infastidita e lasciò correre lo sguardo su tutti i compagni, senza incontrare mai quello incuriosito di Marco, poi tornò a fissare la lavagna.
Aveva un’aria strana, come se lei fosse stata a conoscenza di cose che neanche gli antichi greci avevano capito. E ne sembrava piuttosto convinta. Come se non approvasse.
Dopo averla fissata per qualche minuto, Marco si rese conto che, a parte la pagina del libro che aveva aperto sul banco, lei era l’unica cosa che avesse fissato per più di pochi secondi, e anche l’unica a cui aveva prestato effettivamente attenzione.
Non era una cosa normale, e se non voleva essere preso per un maniaco doveva smettere in fretta, ma qualcosa in lei lo aveva colpito. Forse l’aria così contrariata per quello che stava dicendo il prof, che di sicuro non era dovuta unicamente agli schizzi di saliva che l’uomo disseminava a destra e a manca ad ogni parola.
Ritornando alla sua posizione vegetativa iniziale, Marco registrò il pensiero che doveva chiederle cos’avesse contro la kalokagathìa.
Avevano quattordici anni, e quella fu solo la prima volta che le vite di Zoe e Marco si scontravano bruscamente.

  
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