PURIFY
L’insieme ordinato delle pause che
componevano un silenzio era una cosa
meno facile di quanto non potesse apparire a prima vista.
Lui al silenzio aveva sempre riconosciuto una quantità di
privilegi.
Era la casella dove posava
Requiescant in pace e guardavano affondare le prove.
La confessione era esclusa.
Non si depone contro se stessi: è la regola.
Per questo affermare tacendo era la negazione di ogni regola del
dialogo, di ogni legge verbale, di ogni clausola di quel contratto che
era il
reciproco scambio di opinioni non richieste; il mutuo insulto, la
compravendita
di frecciate, la spontanea elargizione di inutilità sotto
forma di consigli.
Era rimasto in silenzio, la sera prima, quando lei gli aveva chiesto
perché la guardava in quel modo, perché
l’aveva toccata in quel modo.
Sapeva solo di aver pensato, come spesso era successo negli ultimi
giorni, che quella domanda non richiedeva una risposta.
E adesso che si era scottato le labbra e le dita preparando il piatto
freddo della vendetta, contemplava pensoso il banchetto che aveva
imbandito,
domandandosi in quale luogo di quella lunga giornata, si fosse
dimenticato lo
zucchero.
Infine scrollò le spalle e mise mano alla boccetta di
medicina.
Un cucchiaio intero di miele e uno di pozione.
Niente, anche perso nella dolcezza pastosa, dorata e profumata di sole
e fiori, restava sempre quel retrogusto amaro.
Che non ne voleva sapere di andarsene via.
I cannot fight against myself
No more
Self destruction that I predicted
Not a long time ago
Draco
Malfoy sapeva perfettamente che latte e aringhe annaffiate di
caffé, a
colazione, potevano essere una pessima soluzione dietetica, capace di
compromettere, per il resto della giornata, le condizioni del suo
stomaco già
duramente provato.
Tra le
altre cose a lui le aringhe non piacevano nemmeno, così,
sedendosi a tavola,
rivolse uno sguardo di imparziale disgusto al vassoio occupato dai
cadaveri di
quelle belve immonde, affogati nel burro, e, sollevando di un
millimetro appena
gli occhi, al tavolo dei Gryffindor, occupato da un paio di persone che
si
sarebbe augurato di vedere nelle medesime condizioni al più
presto.
-
Malfoy, caffé? -
Dato che
caffé non ne voleva, non si degnò nemmeno di
rispondere, meno che mai di
ringraziare, cosa che sarebbe risultata fortemente lesiva della sua
reputazione
di persona a cui è dovuto tutto e volendo anche qualcosa di
più. Inoltre Tiger
doveva avere un buon motivo (oltre al fatto di essere un leccapiedi
certificato) per essere gentile con lui. Infatti, mentre gli versava il
caffé,
metà nella tazza, metà sulla tovaglia, disse a
voce bassa – Malfoy, non sono
ancora riuscito a prendere a Paciock quella maledetta fotografia, dammi
ancora
un po’ di tempo –
Come
volevasi dimostrare.
Malfoy
non proferì verbo, mentre si portava la tazza alle labbra e
sorbiva un sorso.
Al
tavolo di Gryffindor, Weasley si stava stravaccando accanto alla
sorella,
sistemando sotto il tavolo le gambe da trampoliere e sul tavolo i polsi
ossuti
che spuntavano dai polsini consumati di una camicia troppo corta per
lui.
Vincent Tiger, vedendo la smorfia
di Malfoy e interpretandola come disappunto per le sue scarse
virtù da elfo
domestico, si affrettò a mettere mano alla lattiera,
dividendone
democraticamente il contenuto tra la sua tazza di caffé e un
vassoio di muffin
ai mirtilli che stava lì accanto.
- Che ne dici allora? Posso avere
un … -
Tiger incespicò e sollevò un paio
di volte le sopraciglia formato scopa, in maniera che, evidentemente,
riteneva
abbastanza eloquente da rendere del tutto superfluo il completamento
della
frase.
Del resto, pensò Malfoy, annoiato,
non sarebbe certo rimasto col fiato sospeso attendendo di conoscere il
Verbo
Prescelto tra le innumerevoli opzioni offerte dallo sconfinato
repertorio di
Tiger. Su cosa sarebbe caduta la scelta, di grazia? Aggiornamento?
Rinvio? Differimento? Protrazione?
Posticipazione? Dilazione?
Malfoy ti prego di volermi accordare una proroga, causa
improcrastinabili impegni da cui sono oberato.
Come no.
Tiger non avrebbe avuto la
capacità di pronunciare la parola
“improcrastinabile” senza inciampare almeno
tre volte nemmeno se da questo fosse dipesa la sua vita.
- Allora siamo d’accordo – Tiger,
sollevato si affrettò a defilarsi prima che lui cambiasse
idea.
Malfoy sorbì un altro sorso dalla
propria tazza e si limitò a rivolgere uno sguardo gelido
all’espressione
ribelle che qualcosa aveva acceso sul volto della Granger.
Con ogni probabilità Potter, che
si era appena aggiunto a completare il quadro idilliaco, aveva
proferito una
delle sue Perle di Idiozia, che elargiva con commovente
generosità sulle folle
adoranti e ansiose di bere dalla purissima fonte della sua (mancanza di) eloquenza.
Bastava, poniamo caso, che Potter
si immobilizzasse davanti a una finestra e mormorasse “Dovrei
farlo” perché
sguardi angosciati corressero tra la gente per poi puntarsi, in un
compassionevole unisono, sul Ragazzo
(Dio-Solo-Sapeva-Perché) Sopravvissuto,
congiunti dal comune strazio nel riflettere su quali pericoli stesse
per
affrontare per salvare il Mondo Magico.
E magari quello stava solo
pensando che era anche il momento di dare una pulita al suo lercissimo
manico
di scopa. O di supplicare qualcuno di mettere fine ai suoi
giorni di
castità in modo che, se il Signore Oscuro aveva davvero le
intenzioni che andava
con discrezione sbandierando ai quattro venti, non dovesse essere
ricordato
alle folle come San Potter Vergine oltre che Martire – sempre
non facendo
menzione della sua virtù di arrangiarsi da sé.
In ogni modo fosse andata, morto
o meno, santo o peccatore, Potter doveva aver detto qualcosa di una
stupidità
così esemplare che
Che
il suo sguardo si sarebbe spezzato pur di non piegarsi.
O forse sarebbe
fuggito rincorrendo i gufi che riempivano il cielo stregato del
soffitto.
C’era da buttare
l’anima nella spazzatura per pensieri del genere.
Un crampo gli stringeva
il diaframma, così doloroso che gli sembrava di avere
ingoiato veleno.
Doveva abbassare lo
sguardo, ma quello restava fisso come il pensiero che aveva dietro le
labbra,
(pietrificato),
crocifisso dalla spina
che portava confitta nella gola, quella che, in certi momenti, faceva
male da morire.
Thoughts
so far from me
The power of my justice blows
me away
It's just the case to repeat
What I've never said to you
before
- Malfoy, cosa stai guardando?
Prendi le aringhe? -
Il giorno che Pansy Parkinson
avesse badato agli stramaledetti fatti suoi il Cielo si sarebbe aperto
e i Cori
Celesti avrebbero intonato l’Alleluja con un trasporto
adeguato all’evento.
Era davvero necessario
rispondere? Cercava di ingoiare un sasso che gli bloccava la gola, in
uno di
quei famosi momenti in cui gli sembrava impossibile trovare una parola
che
fosse una, anche a cercare, scavare, spalare in quelle miniere buie
dove aveva
ricacciato le sue, così in profondità che non ne
avrebbe riesumata una intera
nemmeno per intercessione di Serpeverde in persona e di tutti i suoi
Eredi fino
alla settima generazione inclusa.
Riabbassò lo sguardo sul vassoio
delle aringhe, in posizione strategica sullo sfondo del tavolo di
Gryffindor,
poi si rassegnò ad avvicinarlo al proprio piatto.
C’erano smorfie che avevano
ragione di essere soltanto se potevano nascondersi contro il petto di
qualcuno,
così il suo viso rimase del tutto impassibile, mentre il
cucchiaio d’argento
viaggiava dal vassoio al piatto.
Ron Weasley si alzò da tavola e
Draco Malfoy tenne lo sguardo
ostinato fisso su un riflesso di sole che gocciolava in una polla
lattiginosa
sul fianco di un bricco d’argento, poi tagliò col
lato della forchetta un pezzo
di aringa e, reprimendo un sospiro, cominciò a mangiare.
*
Celebrate
I'm alive again
You don't expect from me
This chain reaction
You can't imagine from me
This great affection
I bagliori di un inverno
straordinariamente caldo precipitavano dalle alte finestre in lunghi
fasci
d’oro impolverato da minuscole particelle sospese.
Era un autunno infinito,
cominciato in settembre, che, distendendo le sue dita fredde sui mesi
successivi, con discrezione, era arrivato raramente a toccare i ghiacci
che già
solitamente si registravano all’inizio di dicembre.
Lui si fermò per contemplare la
giornata fulgida che investiva il parco del castello, di là
dai vetri delle
finestre.
Nuvole grigie incrociavano
veloci, senza arrivare a minacciare davvero il lucore perfetto del
mattino.
Nuvole ormai a brandelli, così logore da coprire a malapena
i segreti del
cielo; lame di sole le squarciavano lasciandole cadere in pezzi verso
il basso
dove restavano impigliate ai rami spogli degli alberi in bioccoli di
umidità.
Riflessioni che erano nebbia e stracci.
Forse avrebbero avuto un Natale
assolato, pensò, non che gli importasse.
Due giorni prima, in una
mattinata ugualmente piena di sole e di pace, aveva incrociato in
quello stesso
corridoio Neville Paciock ed era successa una cosa che aveva consumato
l’intera
scorta di pazienza di un mese.
Forse doveva a quello il
peggioramento del disturbo allo stomaco che non lo abbandonava da un
po’ di
tempo e che ora lo spingeva dritto dritto tra le omertose braccia di
Madama
Chips.
Di tanto in tanto era una fitta
che lo lasciava senza fiato, più spesso un dolore costante
diffuso intorno alle
costole e, a volte, una vampata di calore che saliva da dentro la
pancia e si
fermava come una nube dorata di api da miele intorno al diaframma o
invadeva i
polmoni lasciandosi respirare un poco prima di disperdersi nel solito
grigiore
dei suoi giorni.
Non che in quel periodo fosse
particolarmente incline a rendere un inferno la vita del suo prossimo.
Non più
del solito, insomma, però vedere Neville Paciock tutto rosso
in viso che si
scapicollava lungo il corridoio del primo piano, sorridendo e tenendo
in mano
un vaso con una piantina scarlatta, affannato, con la camicia in
disordine e il
nodo della cravatta sotto l’orecchio, aveva risvegliato in
lui un istinto che
credeva sopito da tempo. Con ogni probabilità, se Neville
Paciock fosse stato
un insetto, non si sarebbe nemmeno preso la briga di schiacciarlo, ma
guardando
l’espressione di dolorosa felicità del suo viso,
quella vulnerabilità così esposta,
quegli occhi ansiosi e rotondi così dolci, così trasparenti, aveva sentito dentro di
sé un ruggito di rabbia e
insieme di ribellione.
Senza quasi rendersene conto
aveva estratto la bacchetta, ma prima che potesse pronunciare la
formula
dell’Incantesimo d’Inciampo, Paciock,
risparmiandogli il disturbo, si era
ritrovato a rotolare sulle pietre fredde e dure del pavimento fino ai
suoi
piedi.
Lì era rimasto, pallido e senza
fiato, e Malfoy aveva visto la sua espressione spezzarsi, mille cocci
che
cadevano per terra mescolandosi a quelli del vaso, che aveva tentato di
proteggere sollevandolo goffamente. La creaturina vegetale si
contorceva con
spasmi di foglie e rametti, lontano dal suo terriccio azzurro come un
pesce fuori
dell’acqua, e lui la guardava, impotente, torcendosi le mani
sporche di terra
azzurra e sbucciate sui palmi.
- Reparo -
La voce che pronunciò
l’incantesimo, provocando un immediato, obbediente,
ricomporsi del vaso, aveva
la tranquilla sicurezza – inaudita
maledizione, nessuno poteva permettersi tanto – che
aveva imparato ad
associare alla sua persona. La sentiva risuonare per i corridoi, acuta
e secca,
impartendo un ordine, oppure allungarsi in una risata bassa, simile
un’ombra
nella sera, lungo le pareti spoglie, fino a sfiorare con un segreto
l’orecchio
di qualcuno.
Non che gli fosse mai successo di
voltarsi, quando gli capitava di sentirla.
Non era nemmeno una cosa da prendere
in considerazione.
Semplicemente sapeva che era lì.
Adesso Hermione Granger gli stava
davanti e lo omaggiava con quel particolare sguardo che, se fosse stato
uno con
meno pelo sullo stomaco, lo avrebbe indotto a sentire zampette che gli
spuntavano da tutte le parti del corpo, insieme con occhi
supplementari,
antenne e quanto altro era dotazione di una qualsiasi bestiolina pronta
a
gettarsi a capofitto nella prima fenditura del pavimento.
Ma lui era quello che era e, tra
l’altro, decisamente troppo stanco per scomporsi
più del dovuto, così si limitò
a rivolgerle uno sguardo seccato, il minimo visto che lei gli stava
rovinando
tutto il divertimento.
- Malfoy -
Seriamente quella fanciulla era
un genio e qualcuno avrebbe dovuto farglielo presente. Che diavolo
voleva?
Anche l’inchino? Dieci punti e un pubblico encomio per
essersi ricordata il suo
nome?
- E’ appena andato via - le
rispose - quando lo vedo te lo saluto, anche se dubito che gli
farà piacere
ricevere gli omaggi di una Mezzosangue -
- Non chiamarla così! – gridò
Paciock, come se potesse suonare meno che ridicolo, con quella faccia
arrossata
dalla rabbia e il ginocchio stretto tra due mani.
Malfoy soffocò una risata e non
lo degnò nemmeno di un’occhiata – Ma lo
è – disse, dolcemente – per quanto
possa avere una passione per la compagnia dei Purosangue, non
riuscirà mai a
farsi passare per una di loro –
- E’ un sollievo visto e
considerato che fai parte della categoria -
Non sembrava nemmeno arrabbiata,
peccato. Quello scambio di battute trite aveva smesso da un pezzo di
essere
gratificante.
I primi anni di scuola prenderla
in giro era qualcosa di assolutamente adorabile,
lei arrossiva o impallidiva, continuava a mostrare di non aver sentito,
ma il
suo sguardo si faceva fisso e distante, le mani fremevano, il broncio
si
induriva.
Con il procedere degli anni
invece l’esercizio del distacco aveva dato i suoi risultati:
adesso incedeva
per i corridoi, maestosa come un pavone impagliato, col mento alzato e
le spalle
dritte, nemmeno fosse stata una regina.
Pronta alla completa indifferenza
davanti ad un insulto, come se anche solo notare la presenza di certa
gente
fosse troppo al di sotto della sua dignità, era rapida ad
infiammarsi, quando
qualcosa toccava le corde fin troppo tese dei suoi ideali.
Certe volte, Malfoy si domandava,
ma solo certe volte, quando davvero non aveva niente da fare, se si
rendesse
conto quanto fosse forzato offrirsi come bersaglio per i colpi
più crudeli,
quasi non si possedesse sangue da sanguinare, e, invece, insorgere se
appena un
alito di vento sfiorava i capelli del vicino.
- Granger, cominci ad annoiarmi -
- Un progresso – replicò lei, con
un sorriso quantomeno bizzarro – Hai usato il mio nome.
Allora ne sei capace,
Malfoy? –
Non le rispose perché riteneva di
non doverle tanto. La congiura del silenzio, ecco cosa opporre a quel
mondo
impazzito che parlava e parlava e parlava e parlava.
Se era capace di usare il suo nome.
Stupida.
- Non ti permettere mai più di
chiamarla Mezzosangue -
- Per la verità, Paciock, quel
termine è appena uscito dalle tue labbra e non dalle mie -
Hermione Granger distolse il
capo, con un movimento brusco tanto che lui si chiese se finalmente si
fosse
arrabbiata, ma dal modo in cui si mordeva il labbro inferiore sembrava
stesse
facendo una grossa fatica per non mettersi a ridere.
Lui fissò i piccoli denti
affondare nella curva rotonda e rosea del labbro e si
domandò, colpito, se
avrebbe visto quella bocca aprirsi in una risata, per qualcosa che lui aveva detto.
Inaudito.
Lo stomaco gli faceva male, un
crampo doloroso lo stringeva come la pressione di un pugno che gli
rendeva
difficile prendere un respiro intero.
A peggiorare la situazione era
sopragiunta Madonna McGranitt.
- Malfoy sei stato tu? -
Si aspettava che Paciock o
- Malfoy? – ripeté la
professoressa – Sei stato tu? -
Che razza di domande. Se la
risposta era implicita nel tono, doveva davvero
risponderle? E se sì, che cosa? No, è stato
Potter? Magari è stata
Paciock è talmente imbranato che
dovrebbe seriamente considerare
l’ipotesi che sia inciampato sui suoi piedi?
Aveva aperto la bocca, ma prima
che riuscisse a prendere fiato per urlare,
Che razza di mondo, pensò,
indignato.
Non ci si poteva fidare più
nemmeno dei Gryffindor per avere un po’ di giustizia.
Wasn't easy to build it away from this
I never walked away from you
I never walked alone
- Stai guardando i Gryffindor? –
Chi tace non dice assolutamente
niente.
Se poi doveva anche sprecare un
monosillabo per rispondere a Pansy voleva dire che si era arrivati
davvero al
punto del non ritorno.
Così, naturalmente, non disse
nulla.
Pansy Parkinson era una ragazza
deliziosa, per carità. Capelli scuri, lineamenti non molto
poetici, ma non
sgradevoli, e una risata pronta a esplodere nei momenti meno opportuni
per il
suo prossimo, cosa che poteva risultare molto divertente, quando non si
era il
prossimo in questione, ovviamente.
A lui era sempre stata simpatica,
del resto il fatto che avesse cominciato a corteggiarlo già
dal primo anno
dimostrava che in definitiva, in quella scuola, non avevano tutti
problemi di
vista e di udito, nonché seri ritardi mentali.
Il guaio serio di Pansy era che,
come tutte le appartenenti al genere femminile, passava i tre quarti
della sua
giornata a testare duramente il suo apparato vocale e quello uditivo di
chi le
stava intorno.
- Non fare quella faccia Malfoy –
gli disse, tutta allegra – Qualsiasi cosa sia successa non
può essere così
grave! -
Un altro suo difetto era che
aveva la tendenza a cercare di sdrammatizzare esattamente quando lui
aveva
voglia di fare un dramma.
- Allora stai davvero guardando i
Gryffindor! -
E che aveva un tono di voce
decisamente alto.
Davanti a loro viaggiava
effettivamente un gruppetto di individui bardati in oro-e-scarlatto,
dimostrazione del fatto che lo zoo del Gryffindor anche quella mattina
aveva
aperto le gabbie con la solita, inopportuna, puntualità.
Potter si girò per gettare loro
un’occhiata diffidente, per poi disinteressarsi subito e
riprendere ad
ascoltare quello che stava dicendo
Un altro crampo.
C’era poco da fare,
Letteralmente.
Pansy lo stava guardando con la
coda dell’occhio e, stranamente, taceva.
- Sto tenendo d’occhio Paciock –
si sentì costretto a rispondere lui, con voce cupa
– Ho una faccenda in sospeso
con lui -
Questo naturalmente era il
massimo della credibilità, l’espressione stessa
della virtù Slytherin, così
Pansy, rassicurata, si dedicò a esternare su altri argomenti
– attività nella
quale era estremamente autonoma - lasciandolo, in ultima analisi,
libero di
pensare ai fattacci suoi.
Che imbecille, pensò, se gli
fosse capitato di essere al suo posto sicuramente non si sarebbe
lasciato
sopraffare dalla parlantina di una ragazzina logorroica.
L’avrebbe fulminata
con uno sguardo raggelante, tenendo il viso impassibile per dimostrarle
quanto
poco lo toccava il suo punto di vista; e lei a quel punto lo avrebbe
guardato
con rispetto e avrebbe smesso di rimproverarlo rimettendosi in tutto al
suo
giudizio.
E se avesse deciso di ignorare
l’avvertimento insito nel suo sguardo gelido lui si sarebbe
limitato a metterle
le dita sulle labbra, semplicemente, per sentire sulle punte
l’impatto del suo
respiro e delle parole che avrebbe arginato con quel gesto.
Soltanto posandole le dita sulle labbra.
A parte essere un Traditore del
Sangue e un essere precipuamente inutile, Ron Weasley non era nemmeno
capace di
gestire una ragazza.
La sua ragazza.
*
Lui era rimasto sdraiato tutto il
pomeriggio a guardare il baldacchino del suo letto, oppure osservando
distrattamente il flaconcino di vetro scuro che aveva sul comodino.
Madama Chips lo aveva esaminato a
lungo prima di voltargli le spalle e avvicinarsi a una vetrinetta dove
erano
disposte in bell’ordine, fiale, fialette, ampolle e
bottiglie. Draco sapeva
benissimo che aveva cercato di capire se lui stesse male davvero oppure
se
stesse fingendo per marinare le lezioni, i compiti, o per dare la colpa
a
qualcuno.
Infine doveva aver deciso che
soffriva sul serio, ma lui aveva il sospetto che dandogli proprio
quella
medicina avesse inteso ugualmente metterlo alla prova. Infatti aveva un
bel
colore rosso ciliegia e un profumino squisito, ma al gusto era
così amara che
inghiottirla gli faceva accapponare la pelle e lacrimare gli occhi.
In ogni caso una volta vinto il
disgusto, il suo stomaco sembrava effettivamente avere qualche
giovamento,
forse in base al principio che il simile si cura col simile,
l’amarezza estrema
dello sciroppo sembrava mitigare l’amarezza che sentiva
dentro.
In tutto il pomeriggio di ozio si
era goduto semplicemente il silenzio e i suoi pensieri che, quando era
da solo,
lontano dal rumore delle emozioni altrui, riuscivano ad assestarsi su
una
strada tranquilla e nemmeno dolorosa, scorrendo placidi a toccare di
tanto in
tanto le ripe di qualche idea confortante o di qualche fantasia
soddisfacente.
Aveva escogitato almeno venti battute
brillanti e divertenti, prestando occhio distratto al ricordo di un
sorriso
frenato trai denti e le labbra, pericolosamente prossimo a esplodere in
una
risata.
I'm just thinking how fine it
is to feel myself so
fine again
L’oggetto apparteneva a Neville
Paciock e serviva per uno scherzo di una malignità talmente
edificante che solo
idearlo gli aveva regalato del momenti deliziosi. Era qualcosa di
così
spregevole che sarebbe rimasto per secoli negli annali del cattivo
gusto,
consegnando il suo nome in eterno agli allori della perfidia.
Insieme alla foto prescelta per
lo scherzo, quella che ritraeva Frank e Alice Paciock, sorridenti
giovani Auror
il giorno delle loro nozze, coi volti dolorosamente pieni di speranze,
c’era
quella di una vecchia strega con un improponibile volatile impagliato
sul
cappello e una foto di gruppo, ragazzi sorridenti, abbracciati sotto un
bel
sole estivo.
Le figure dalla fotografia, che
fino a un momento prima si trovavano nella consueta posa delle foto
ricordo,
braccia intorno alle spalle sullo sfondo dello stadio del Quidditch di
Ballycastle, cominciarono ad agitarsi lanciandogli occhiate astiose:
Potter gli
voltò le spalle e se ne andò, sparendo oltre la
cornice e Weasley lo seguì,
Paciock gli lanciò uno sguardo tra l’implorante e
il rassegnato poi abbandonò a
sua volta la scena.
- Anche tu hai intenzione di
andartene? -
La figurina di Hermione Granger
si immobilizzò, titubante; guardò immalinconita
lo stadio del Quidditch alle
sue spalle e poi Malfoy. Scosse il capo e allargò le
braccia, assumendo
un’espressione di rimprovero, poi si lasciò
cadere, afflitta, su una panchina,
e racchiudendosi il viso tra le mani, i gomiti puntati sulle ginocchia,
rimase
a ricambiare il suo sguardo, ostinata e indisponente come al solito.
Lui prese la foto e l’appoggiò
sul comodino tra il libro di Pozioni e la boccetta dello sciroppo.
Il piano prevedeva di inscenare
un autentico sequestro di fotografia a scopo riscatto. Il riscatto per
inciso
era il divertimento che Malfoy avrebbe ricavato durante le trattative,
ma
naturalmente questo Paciock non lo sapeva.
Così la mattina, insieme alla colazione,
a Neville Paciock cominciarono a pervenire missive minacciose insieme a
richieste di scatole di dolci di dimensioni colossali e istruzioni per
lo
scambio con l’ostaggio.
All’inizio le lettere furono
sistematicamente ignorate, anche perché Malfoy le aveva
incantate in maniera
molto ingegnosa, in modo che esplodessero in una nuvola di fumo circa
un minuto
dopo essere state aperte, così non restava altra prova da
mostrare a un
insegnante che uno sbuffo di cenere.
Dopo il terzo giorno, vedere
Neville Paciock che cominciava a riempirsi di chiazze e a perdere
l’appetito,
gli aveva fatto capire di meritarsi una razione extra di cioccolata;
quando il
quarto giorno si era alzato da tavola senza toccare cibo, il gaudio era
salito
ai massimi livelli e Malfoy si era abbandonato sul letto, sorridendo,
con un
enorme bigné alla crema cosparso di granella di cioccolata e
nocciole, che
aveva sollevato in un brindisi silenzioso alla propria salute.
Il quinto giorno era arrivato il
momento di fare ciò che pregustava da quando tutto era
cominciato: così Neville
Paciock aveva avuto quasi una collasso nervoso quando, aprendo
l’ennesima
missiva anonima, aveva trovato dentro un angolo della fotografia dei
suoi
genitori, eloquente promemoria del fatto che, in mancanza di pagamento,
l’avrebbe ricevuta un pezzo per volta.
I'm alive again
-
Vuoi le aringhe? -
No, non le voleva le dannate
aringhe. Ma era mai possibile che per anni interi quella gente lo
avesse
seguito a tavola, pronta a carpire ogni idiozia elargita dalle sue
labbra per
farla echeggiare di risate nella migliore tradizione della barzelletta
da
capoufficio e nessuno si fosse accorto che le aringhe le detestava?
In mancanza di risposta, tutta
premurosa e dolce, Pansy gli rovesciò nel piatto un cadavere
di aringa. Ora del
decesso – a giudicare dall’odore –
risalente forse all’era geologica precedente
e causa del suddetto, affogamento nel burro fuso.
Il suo stomaco cominciava a dare
segni di protesta, così per cercare di allontanare il
pensiero dell’aringa,
cosa piuttosto complicata visto che quella si decomponeva nel burro
sotto il
suo naso, concentrò la sua attenzione su un vasetto di
marmellata di more.
Dalla prospettiva con cui il
tavolo del Gryffindor appariva sullo sfondo delle cibarie che
imbandivano quello
di Slytherin, sembrava che Ron Weasley stesse appoggiando il gomito
proprio sul
vassoio delle uova, che smisero all’istante di avere un
aspetto appetitoso. Paciock
non c’era, Potter che aveva la testa ciondoloni per il sonno,
crollò in
corrispondenza della zuppiera dei pomodori arrostiti e si
riaddormentò: Malfoy
fantasticò oziosamente che tutto quel tripudio di rosso
fosse il suo sangue.
- Pomodori? -
Pansy mandò un po’ del sangue di
Potter a fare compagnia al cadavere di aringa, poi
ricominciò a dedicarsi alla
sua colazione lasciandolo misericordiosamente in pace.
Lui ricominciò a fissare con
insistenza la marmellata di more. Sul soffitto, stracci di nuvole
grigie sul
cielo sereno, si aprivano lasciando precipitare al suolo tesori di
pioggia,
gocce turgide e dorate di sole, monete liquide, colore e identico
potere
inebriante del whisky più puro.
Ai margini del suo campo visivo, accanto
alla marmellata di more, Hermione Granger stava distendendo sul tavolo
un
rotolo di pergamena.
Intercettò i suoi occhi
lanciandogli uno sguardo singolare e lui rimase leggermente stupito
perché
sapeva che non stava guardando lei bensì la marmellata.
Dimenticò subito quella
piccola obiezione dei suoi pensieri, concentrandosi sullo zucchero
bruciato e
affondando nel fango, paralizzato e incapace di reagire. Poi lei
distolse gli
occhi riabbassandoli sulla sua pergamena.
Malfoy sospirò, irritato, e con
un gesto che era diventato consueto, si tastò la tasca dove
portava la medicina
per lo stomaco.
Con una manovra che sarebbe anche
potuta sembrare casuale, Ronald Weasley tolse il gomito dal vassoio
delle uova
e si sporse sulla spalla della Granger, attaccando il braccio al suo.
Per copiare i compiti, pensò
Malfoy, rigirandosi pensosamente tra le mani la bottiglietta della
medicina.
Ne misurò un cucchiaio d’argento
che aveva riempito in parte di miele e lo inghiottì.
Il sapore restava sempre amaro.
And then
Don't you think that it's time
To convince yourself it's over?
*
Grandioso.
E a fare cosa? Con un’accusa
generica pensava per caso di indurlo a confessare le malefatte
perpetrate negli
ultimi sei anni? Sì, sono stato io a truccare lo specchio di
Eloise Midgen
perché le urlasse “racchia” con la voce
di Nott che è la sua passione da cinque
anni; confesso: ho fatto cadere Ginny Weasley per due rampe di scale e
ho anche
perso dieci galeoni perché avevo scommesso che si sarebbe
rotta il polso invece
di slogarselo semplicemente.
You don't expect from me
this chain reaction
you can't imagine from me
this great affection
- Lasciami passare, Granger -
- Devi restituire a Neville le
sue fotografie –
- Il “devi” non esiste –
replicò,
calmo – Esiste, semmai, il “per favore Signor
Malfoy” e, in ogni caso, la
risposta sarebbe no –
- Allora sei stato tu –
- Questa volta, sì –
Lei ebbe la buona grazia di
arrossire mentre incassava, ma gli occhi sfrontati rimasero fissi nei
suoi.
Inutile, essere Gryffindor includeva necessariamente il non avere
vergogna.
- Così ti stai vendicando? -
domandò lei, abbassando la bacchetta senza però
metterla via – E cosa pensi di
ottenere? -
- Credimi, sei l’ultima persona
che metterei a parte dei miei pensieri –
Pensieri che erano un labirinto
scuro e senza uscita; e dentro quel labirinto con ogni
probabilità lui ci
sarebbe morto di fame e di sete, perdendosi dietro l’angolo
di un’elucubrazione
o seguendo nei budelli oscuri e senza aria il fantasma di una
soluzione. Le
disquisizioni inutili che duravano notti intere e si sostituivano al
sonno, i
discorsi senza voce rinchiusi nei confini angusti del suo silenzio, si
fermavano a un passo dall’uscire, mentre fissava la sua
immagine allo specchio,
quando si diceva: per l’amore di Dio, Malfoy, taci, e poi
spegneva la luce
prima di chiudere la porta, domandandosi che diavolo riflettesse uno
specchio
nel buio.
Le girò intorno, deciso a
lasciarsela alle spalle una volta per tutte e scendere nel suo
sotterraneo a
seppellirsi tra le pietre, quando sentì il guinzaglio
sottile e tenace di uno
sguardo ancorargli la nuca e allora si voltò.
- Che cosa vuoi, ancora? -
- Devi restituirgli la sua fotografia
–
Era stravolta in viso, constatò,
lievemente stupito. Eppure a differenza di tanti momenti simili, lui
non aveva
sentito l’aria crepitare di ostilità quasi fosse
una polveriera che attendeva
solo la scintilla di uno sguardo o di una parola.
Lei però tremava per l’ira o
forse tremava e basta.
- No - rispose, semplicemente,
stupito che ancora credesse nell’utilità di fargli
una richiesta o di dargli un
ordine.
- Che cosa vuol dire? –
Anche la voce le tremava, poteva
sentire le parole naufragarle in gola e lottare per riemergere trai
vortici,
nella risacca di un pianto di rabbia.
- E’ l’unica foto che ha dei suoi
genitori, uccisi da gente come i tuoi
– urlò lei – Questa è la cosa
più miserabile, meschina, disgustosa che potevi
fare. E’ talmente in basso che quasi nemmeno tu
potevi raggiungerla -
Gli stava sputando quelle parole
in faccia come veleno e lui ebbe quasi l’impulso di alzare
una mano e pulirsi
il viso, prima che cominciassero a corrodergli la pelle.
- A quanto sembra, ho potuto -
Vide le mani della ragazza
contrarsi ad artiglio, le dita intorno alla bacchetta sbiancare al
punto che si
domandò se avrebbe visto il legno spezzarsi e schizzare da
tutte le parti; vide
le palpebre abbassarsi e le ciglia fremere, una vena pulsare sulla
tempia e
all’interno di un polso.
Il sangue che correva in quelle vene era
sangue sbagliato.
La guardò, lei stava riaprendo
gli occhi, zucchero bruciato e fango.
Era lui che aveva qualcosa di sbagliato,
pensò, disperato.
La bacchetta che cadeva per terra
produsse un rumore strano, fievole. Si perse nel rumore dei pugni che
lei gli
sbatté sul petto. Lui franò
all’indietro, sbalordito, il piede che affondava in
un passo falso. Riprese l’equilibrio a fatica, mentre i pugni
gli martellavano
sul petto così forte da coprire il rumore del suo cuore.
Facevano male, colpi secchi e
duri di mani raggomitolate strette, ossa e pelle bianca, che avevano
una forza
inaspettata.
Con quegli occhi e quei pugni che
gli sbattevano sul cuore non avrebbe trovato nulla da dire anche se
avesse
voluto.
E non voleva.
Le afferrò i polsi e lei li
divincolò con una violenza tale che rischiò di
spezzarseli e di spezzargli le
dita. Non si preoccupava nemmeno di farsi male nel tentativo di fare
del male a
lui e Malfoy si domandò come non riuscisse a rendersi conto
che a lui succedeva
la stessa cosa.
Ogni volta che si feriva, ogni
volta che feriva.
Il dolore alla testa era lei che
gli urlava contro. Frasi sconnesse che avevano l’unica
coerenza nell’odio senza
argini, un fiume carico di detriti, sassi trascinati nel fango di una
piena,
che graffiano braccia che tentano di nuotare.
Non le avrebbe nemmeno detto di
tacere.
Non le avrebbe detto nulla,
pensò.
Per l’amore di Dio, Malfoy, taci
e chiudi quella porta, e pensa che per fortuna la stanza è
buia e il riflesso
sullo specchio non si vede.
La tenne ferma immobilizzandole
le braccia con le braccia, le mani e il respiro contro il proprio
petto. Lei
riuscì a liberare una mano e la sollevò con una
violenza che era solo il
preludio del colpo che gli avrebbe inferto.
Poi lo guardò e lui non avrebbe
mai saputo che cosa vide, perchè di colpo perse ogni colore
e ogni traccia di collera
e abbassò lentamente la mano come se si fosse anche
dimenticata di averne una.
Allora lui la zittì posandole le
dita sulle labbra e non aveva importanza che lei avesse già
smesso di parlare. La
zittì comunque, e invece della sua voce ascoltò
il suo respiro sulle dita e il
silenzio carico di parole dei suoi occhi.
Zucchero bruciato e fango.
- Domani sera – disse – Vieni e
ti darò quelle foto -
Aveva attraversato la notte come una strada, smarrita da qualche parte, per arrivare al mattino. In un sotterraneo non c’erano finestre da cui cercare stelle da seguire nella mappa del cielo, così era rimasto a guardare nel buio, ricordandosi che intorno a lui non c’era il vuoto e non stava davvero galleggiando nel nulla.
Per l’amor di Dio, taci, spegni quella candela, ché senza luce non esiste riflesso e anche lo specchio è costretto a stare zitto.
wasn't easy to build it away from this
I never walked away from you
I never walked alone
Stava
malissimo, il dolore che sentiva al torace era talmente forte da
impedirgli
quasi di respirare, ma nemmeno una doppia dose di medicina era riuscito
a
calmarlo.
Per la
verità accoglieva quelle fitte come meritati schiaffi sulla
faccia, la mancanza
di vergogna doveva avere un limite e certe volte lui aveva
l’oscura certezza di
averlo superato da un pezzo.
Sperava
solo di non fare qualcosa di così poco dignitoso come avere
un crollo davanti a
quella Mezzosangue.
Gli
sembrava quasi di sentirlo, il colpo violento dietro le ginocchia che
lo
avrebbe costretto sul pavimento a guardare gocce di sudore freddo
cadere sulle
pietre senza avere la forza di alzare il viso.
Gettò
indietro le spalle e sollevò il mento, preparandosi a
superare l’ultima svolta
del corridoio, dietro la quale lei lo stava aspettando.
Poi,
senza nemmeno sapere come, si ritrovò con le spalle
appoggiate al muro, ad
ascoltare un sospiro nervoso proveniente da dietro l’angolo;
guardò il soffitto
incrociando le mani dietro la nuca e rimase zitto senza decidersi a
compiere
l’ultimo passo.
-
Malfoy? –
Silenzio.
- Perché
mi guardi in quel modo? -
*
Non le aveva
risposto e abbassando gli occhi
dalla volta di pietra del soffitto si era ritrovato davanti i suoi.
Attratto
dalla dolcezza dello zucchero bruciato, era affondato in quel fango
senza
trovare nulla a cui aggrapparsi.
Non aveva detto nulla, così lei aveva
ascoltato il suo silenzio, disorientata, mordendosi le labbra, come se
fosse
troppo e stesse per supplicarlo di tacere, da un momento
all’altro.
Le aveva dato le fotografie ed era rimasto a
fissare la parete sopra la sua testa ricciuta, mentre le controllava.
Non aveva detto nulla, nemmeno lei.
Nulla sul fatto che ne mancasse una.
Così durante la nuova notte che era
arrivata, lui era rimasto sveglio nel buio, senza accendere la candela
per non
vedere la fotografia incastrata tra il libro di Pozioni e la boccetta
della
medicina, dove, sullo sfondo dello stadio dei Pipistrelli di
Ballycastle, non
c’era nessuno, solo un uccellino che volava, solitario, nel
ritratto della
canicola estiva.
E adesso poteva attraversare quella nuova
giornata, come un fiume in piena da guadare, contro una corrente troppo
faticosa da risalire.
Nella sua mente la mano che non si era
mutata in uno schiaffo, un polso esile e uno sguardo arrabbiato e
fragile.
Era una nuova mattina ricolma di sole, in un
inverno che ingannava se
stesso. Il ronzio dolce e sonnolento del sole che crollava davanti alla
minaccia di banchi di nuvole dense, sotto la volta del soffitto
incantato. I
vetri delle finestre, incastonati in complicati riccioli di ferro
battuto,
erano dighe aperte da cui fiumi di luce entravano a inondare i corridoi
tra i
tavoli delle Case.
La polvere si spargeva in oro puro nell’aria satura del
calore, di voci
e sbadigli nel primo mattino; intorno a lui qualcuno studiava, altri
curvavano
le spalle e lasciavano ciondolare la testa sui compiti, sfogliarsi di
pagine
simili petali di un fiore raccolto per caso e poi dimenticato a seccare
in un
libro.
Lui
aveva la medicina stretta in una mano e il
cucchiaio che si abbassava sulla tovaglia linda della colazione.
Pietrificato rimase a fissare, al di là degli
scherzi della sua vista, occhi scuri che si erano alzati, con la
tranquilla
sicurezza di sorprendere i suoi.
Un cucchiaio di miele amaro.
Qualcuno le posò una mano sul gomito, un
gesto distratto che l’avrebbe guidata fuori dalla traiettoria
dei suoi occhi,
ma lei non si mosse.
Non prima di uno sguardo incerto, lasciato
cadere, di soppiatto, tra la struttura fragile di una vendetta e la
superficie
fredda del silenzio che gli scottava le labbra.
Zucchero bruciato e fango.
I'm alive again
Fine
Così, se vi capita di aprire questa, sappiate che vi sono molto grata per le recensioni e le e mail che mi avete mandato.
Colgo l’occasione per augurare a tutti uno splendido Natale e un felicissimo inizio del nuovo anno.
Chiara che si strappa i capelli non riuscendo a capacitarsi di come io possa preferire Malfoy a Ron Weasley (il fatto che molta gente lo capisca alla perfezione non la sfiora nemmeno), ma che comunque continua a leggere con santa pazienza e spirito di abnegazione.
Euridice che qualsiasi ship le rifili è sempre felice purché qualcuno si levi la camicia e che, questa volta, ha trovato tutti vestiti, purtroppo. Auguri tesoro!
Opalix che non si scompone per faccende di poco conto come le ship, ma che ha altro da badare come per esempio ascoltare musica improponibile.