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Autore: Audrey L    02/06/2012    3 recensioni
Ecco una one-shot ambientata tra Hunger Games e Catching Fire. E' la prima in assoluto che faccio quindi ho avuto qualche problemino con la pubblicazione, ma ora eccola qui! Parla di una serata di Katniss e Peeta due settimane dopo il ritorno dai Giochi. Spero vi piaccia!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 “Allora Katniss, come sono state le tue due settimane al distretto 12?” chiede con un grande sorriso l’ intervistatrice dai capelli  color cetriolo. Se avessi risposto la verità avrei detto un incubo. Non bastavano solo quelli che infestavano i miei sogni: Rue che mi implora di aiutarla ed io che non riesco né a muovermi né a parlare; Peeta che viene ucciso da Cato con un coltello piantato nella gamba già putrefatta; tributi che mi buttano giù dall’albero di notte e mi sgozzano senza che opponga resistenza. No, la vita è impossibile anche di giorno. Ogni minuto che passo da sola sono sommersa da immagini dell’Arena che vorticano nella mia testa che non vogliono andarsene. Mi pungono ininterrottamente come aghi che, inesorabili, cercano di conficcarsi nella mia fragile pelle.  L’unico momento in cui mi lasciano in pace è quando vado a cacciare nei boschi, ormai assai di rado visto quanto sono impegnata e  controllata. Ma a Capitol City non piace mai la verità.
“Se devo essere sincera è stato un po’ difficile adattarsi alla nuova casa e a tutti i cambiamenti che nel giro di poco tempo sono avvenuti, però ora non mi manca nulla” sorrido stringendo forte la mano di Peeta seduto affianco a me. La donna ci guarda con aria soddisfatta e riprende a parlare.
“Beh immagino che il fatto di essere stati in due vi abbia aiutato molto, non è vero?” ah, quella era proprio la domanda sbagliata. Resto in silenzio osservando Peeta. Probabilmente riesce a leggere nei miei occhi l’effetto che quella domanda mi fa e rapido come sempre prende la parola.
“Senz’altro. Ricominciare una vita migliore qui nel distretto 12 è stato il nostro sogno nell’arena ed ora finalmente lo vediamo realizzarsi.  Non… non so come avrei fatto senza di lei… sarebbe stato insostenibile, mi sarebbe mancata troppo.” nell’ultima frase il tono della sua voce è più basso e capisco che parla di quello che gli sta accadendo. Ci metto un po’ per realizzare che in realtà sta parlando solo a me, non all’intervistatrice e a tutti gli ascoltatori che ci vedranno, a me. E  mi sta dicendo come si sente. Vedevo Peeta molto spesso, interviste, visite e cene da Capitol City erano abbastanza frequenti. Ma con lui non parlavo di tutto il peso che sentivo dentro, di tutta la paura che provavo ogni volta che si pronunciava la parola “Hunger Games” e di quanto sembrasse dura ricominciare tutto da capo. Con lui non parlavo quasi mai. Se ci parlavo era perché lo prevedeva la circostanza e la maggior parte delle volte lo sentivo così distante che preferivo rimanere zitta. Mi manca. Oh, eccome se mi manca. Tutto questo “trascinarmi” ad ogni passo sarebbe molto più facile con lui affianco. Non doveva andare così. Dovevamo ricominciare insieme, aiutarci a sopportare i nostri ricordi a vicenda. Invece siamo sempre tanto distanti. Poi, per le interviste, entrambi vestiamo il nostro sorriso migliore e ci riempiamo di baci.
“Oh non è dolcissimo questo ragazzo? E per te invece Katniss?” di nuovo lo sguardo dell’intervistatrice e la telecamera sono puntati su di me, ancora stupita dal commento di Peeta.
“Lo stesso” mi affretto a dire dopo un istante di silenzio. Lei però non sembra essere troppo entusiasta della mia risposta.
“Si, in due ci aiutiamo a vicenda nei momenti più difficili. Mi basta averlo vicino e torna tutto perfetto” aggiungo veloce un sorriso. Peeta mi mette un braccio intorno alle spalle e mi stringe a se.
“Immaginavo. E come sta la tua sorellina Primrose?” chiede ancora. Mi faccio forza e penso che forse sarà l’ultima domanda. L’intervista è cominciata da un pò.
“Oh lei sta bene… Questo completo lo ha scelto lei, ha certamente più gusto di me quando si tratta di vestiti” Penso a come sarà orgogliosa Prim quando vedrà quest’intervista con i suoi compagni.
“Udite, udide Cinna avrà il suo bel da fare per non deluderla! Ho sentito che sai dipingere, hai già iniziato qualcosa?” ribatte questa volta guardando Peeta.
“Si, dipingo. Beh  quando non sono con Katniss passo il mio tempo a ritrarla” dice con un sorriso “ ho fatto anche qualche disegno dei paesaggi dell’arena, ma sono molto meno belli” continua con un sorriso spiritoso rivolto all’intervistatrice. Chissà se è vero che mi dipinge. Il tono con cui lo ha detto sembrava sincero, il che mi fa sentire ancora peggio.
“Non avevo dubbi. Beh dal distretto 12 è tutto, un saluto da Katniss e Peeta, i vincitori di questi Hunger Games!” le telecamere si spengono e la signora ci stringe la mano.
“ è un onore avervi potuto conoscere, ho sempre sperato vinceste voi!” dice con una vocetta stridula. La guardiamo senza parlare. Che bisogna dire in questi casi? Grazie? E per cosa? Perché ha solo sperato che al posto nostro morisse qualcun altro? Peeta si alza togliendomi la mano dalla spalla
“è stato un piacere anche per noi conoscerla” aggiunge e si dirige verso il suo camerino dentro il camion dello stuff che ci ha preparato. Mi alzo e vado anche io nel mio. Mi cambio e mi sciolgo lo scomodo chignon. Ho fretta di andare a casa. Odio questi camerini, troppo Capitol. Esco dal camion e mi dirigo in strada a passo veloce. È buio e l’aria è fredda e pungente.
“Ehi non intenderai andartene lasciandomi qui!” la voce di Peeta. Giusto, che stupida. Tutta la troupe si aspetta di vederci sempre insieme.
“Stavo controllando se Haymitch è in casa” dico in fretta guardando in direzione della casa di Haymitch a pochi passi da noi.
Mi raggiunge zoppicando e mi prende per mano. Approfitto per stampargli un bel bacio sulla guancia nel caso qualcuno ci stesse ancora fissando.
“Scusa, volevo solo andarmene” gli dico a voce bassa in modo che mi possa sentire solo lui.
“Non importa, se la saranno bevuta” ci incamminiamo lungo la via deserta nel Villaggio dei Vincitori.
“Anche a me manchi” dico dopo un po’ che camminiamo, casa mia si sta avvicinando. Quelle parole premevano per uscire da due settimane.
“Katniss, lasciamo stare” non mi aspettavo quella risposta. Ma che dovevo aspettarmi? Che mi dicesse “oh no tranquilla mi hai solo spezzato il cuore , ma se ti manco allora può tornare tutto come prima!”. Ad un tratto rallenta e nel suo volto si disegna una smorfia di dolore.
“Scusa, non volevo ferirti…” dico piano. Nel suo viso per un attimo si disegna un sorriso divertito.
“Non sei tu, è la gamba… faccio ancora un po’ fatica a camminare. E questa è una delle più lunghe passeggiate che ho fatto fin ora” in effetti erano passate solo due settimane da quando aveva messo la protesi, è comprensibile. Fa un altro passo, ma si blocca di nuovo.
“Puoi aspettare un attimo?” mi chiede.
“Se tieni duro ancora qualche metro arriviamo a casa mia e ti siedi un po’” mi guarda pensieroso e alla fine accetta. Si appoggia alla mia spalla ed entriamo a casa.
“Ciao Peeta, ti è successo qualcosa?” chiede mia madre preoccupata vedendolo entrare.
“Salve signora Everdeen, mi fa un po’ male la gamba, se non le dispiace mi siederei un attimo”
“certo vieni” dice portandolo nel salottino “ora vedo se ho un antidolorifico da darti” si dirige verso la sala dei medicinali.
 “Io vado a lavarmi” gli dico salendo le scale che conducono al bagno.
Cerco di togliermi tutto il trucco che mi ricopre il viso. Non mi piace avere la faccia ricoperta di cipria e cere di ogni genere.  Vado in camera mia dove mi metto il pigiama e mi siedo sul letto. Tocco con la mano la soffice coperta che lo ricopre, sembra comodo e accogliente. Ed invece è il regno dei miei incubi. Un brivido mi percorre la schiena e il terrore inizia a dilagare in ogni cellula del mio corpo ripensando ad un sogno ricorrente. Sono nell’arena nascosta dietro un albero. Vedo  un ombra che si aggira intorno ai cespugli. Se non la uccido io mi ucciderà lei, così estraggo una freccia dalla faretra, miro il bersaglio e mollo la corda tesissima, ma, una frazione di secondo prima che lasci la corda con le dita, il tributo esce dall’ombra e mi guarda. Rue. Ormai è troppo tardi, la freccia è partita. Ho ucciso Rue. In parte non è un incubo, è la verità. Se solo fossi riuscita a salvarla, ad evitare che la lancia le trafiggesse la stomaco… ma non ce l’ho fatta. Mi dico di farmi forza,  e di non piangere. Cerco di ricacciare le lacrime indietro, ma sembrano troppo forti, così mi arrendo e le lascio via libera sulle mie guance. In quello qualcuno bussa alla porta. Mi asciugo in fretta le guance e mi giro verso la finestra. Non voglio che mia mamma o Prim mi vedano così.
“Si?” chiedo. Sento la porta aprirsi dietro le mie spalle.
“Ero venuto a salutarti, ora vado” Peeta. La medicina deve proprio aver fatto effetto se è riuscito a salire le scale. Mi mordo il labbro per trattenere le lacrime. Ho paura che il tono della mia voce mi tradisca così sta zitta.
“Katniss va tutto bene?” mi domanda. Non riesco più a resistere e scoppio a piangere.
Peeta mi si avvicina e mi abbraccia. Lo stringo forte, non voglio che se ne vada. Rimaniamo così fino a quando non smetto di piangere, lui mi lascia e mi guarda.
“Scusa… non volevo, vai pure” dico cercando di riprendere un certo contegno.
“No, resto. Vediamo se come scaccia-incubi funziono” dice con un debole sorriso. Gli ricambio un sorriso pieno di gratitudine.
Si infila sotto le coperte ed io lo seguo stringendomi a lui.
 E solo ora finalmente non sento più quel freddo opprimente tutto attorno a me, quella solitudine e quel buio strazianti, quella sensazione di distacco dalle cose che ti possono rendere felice .Ora sento che dentro di me, pian piano, si sta diffondendo una sensazione di sicurezza e calore. Solo adesso, finalmente, sento che posso tornare ad essere la ragazza in fiamme.
 
  
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