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Autore: aspasia776    02/06/2012    2 recensioni
Tentativo di entrare nella mente di un caro pianista silenzioso.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: Ho scritto questa ancora a ottobre 2011 per il contest “The sound of silence”. Ovviamente (dato che A: a scrivere sono una pippa, B: in quel contest erano arrivate storie bellissime) non avevo vinto e un po’ sfiduciata mi ero vergognata di condividerle. Ma oggi mi è venuto un attacco di Gleenostalgia e mi è preso lo schizzo di pubblicare.
Il personaggio di cui parlo, addirittura più trasparente di Tina, forse è OOC, dipende solo da come ciascuno se lo immagina.
Per quei temerari che hanno aperto questa storia e sono riusciti ad arrivare alla fine se  lasciaste un commentino non mi dispiacerebbe ecco … stavo pure pensando di trasformarla in una long.  Tutto dipende da cosa ne pensate.




 

“Si, ma lui?”
“Fa parte dell’arredamento…. scusa, senza offesa”.
[cit. dialogo fra Brittany e Santana, ep. 2x17]
 
Brad non era muto, no di certo, anzi, fino circa ai 5 anni era stato pure un modesto chiacchierone. Sua madre ricordava ancora quanto l’aveva stressata quando la seguiva per la casa chiedendole il perché di questo e di quello, era sempre stato un bambino molto curioso.
Non c’era stato nemmeno un mutamento improvviso, un cambiamento repentino da un giorno all’altro, né nessuno gli aveva mai impedito di farlo. Semplicemente si era lentamente convinto che quello che lui aveva da dire non era poi così interessante, o almeno, lo era molto meno rispetto a quello che dicevano gli altri, e a poco a poco aveva smesso di parlare a meno che non fosse direttamente intervistato.
Una svolta decisiva in questo suo percorso verso era stata quando, a 8 anni, aveva iniziato a suonare il pianoforte. La musica lo aveva affascinato e sconvolto; a cosa serviva parlare quando con un semplice strumento riusciva a produrre un suono tanto bello? Di fronte alla melodia che veniva da quei tasti bianchi e neri la sua voce, acuta e leggermente nasale, scompariva, non reggeva proprio il confronto. Così si era cucito la bocca una volta per tutte.
I suoi genitori non ne avevano fatto un dramma. Brad era il penultimo di quattro fratelli e a casa c’era sempre una grande confusione: i due maggiori per un nonnulla iniziavano a litigare urlandosi insulti da una camera all’altra e il più piccolo, che era abbastanza viziato, quando si accorgeva di non essere al centro dell’attenzione iniziava a piangere o strillare (aveva smesso solo quando la madre, stanca di quel piccolo tiranno, durante una delle sue crisi isteriche lo aveva preso di peso e adagiato poco elegantemente sul marciapiede appena fuori dalla porta di casa, esponendolo alla derisione dell’intero quartiere). In quell’eterno trambusto che era casa loro quel figlio così quieto e silenzioso non aveva mai destato la loro preoccupazione, anche perché, da quello che le maestre riferivano, riusciva comunque a rapportarsi con gli altri bambini, si era fatto anche due amici con cui stava sempre insieme, e non aveva mai avuto particolari difficoltà nell’apprendimento. Se gli rivolgevano una domanda, poi, rispondeva sempre correttamente dimostrando di essere preparato e di seguire la lezione. Quando suo padre, incuriosito, gli aveva chiesto come mai stava sempre zitto il figlio, con il suo sguardo indecifrabile,  aveva pacatamente risposto: “semplicemente non ho niente da dire” facendolo scoppiare a ridere. Da quel momento la questione non era più stata sollevata. Sua mamma scherzando diceva che il suo migliore amico si chiamava Silenzio.
 
E in effetti era vero. Se c’era una cosa che caratterizzava Brad era che era un individuo che sapeva stare zitto. Con il tempo si era abituato a rimanere in silenzio e gli altri si erano abituati alla sua presenza discreta e poco rumorosa. Era diventato una di quelle persone che stanno sullo sfondo, che non partecipano attivamente a quello che avviene ma che si limitano ad osservare in una posizione defilata. Non un protagonista e nemmeno un personaggio secondario, in poco parole poco più che una comparsa. Era molto portato con il pianoforte, si esercitava per ore senza mai smettere, ma, data la sua indole così riservata, non era mai riuscito a sfondare. Troppo timido o forse troppo poco appariscente ma nessuno lo aveva mai notato. Nemmeno i suoi insegnanti, che pure ne avevano riconosciuto il talento e gli davano sempre ottimi voti, non si ricordavano mai di lui quando qualche direttore d’orchestra chiedeva loro se conoscevano un buon pianista da consigliargli. Ma a Brad non importava. Lui suonava innanzitutto perché la musica gli dava piacere, non aveva certo pensato che sarebbe riuscito a vivere con i frutti della sua bravura al pianoforte.
Ma l’occasione arrivò anche per lui. Dei suoi amici avevano saputo che al liceo McKinley cercavano un pianista per le attività musicali e lo avevano spinto a sostenere il provino per la selezione. Alla fine era stato l’unico a presentarsi ed  fu assunto. Da quel momento divenne anch’egli un membro del Glee Club.
 
Il signor Schuester gli era sempre stato simpatico, era uno dei pochi che lo salutava per i corridoi ricordandosi addirittura il suo nome; inoltre, a differenza di molti suoi colleghi, si vedeva quanto teneva ai suoi ragazzi. Certo, suonare per degli adolescenti complessati non era sicuramente uno dei lavori più prestigiosi a cui un musicista poteva aspirare, non gli avrebbe infatti portato alcuna fama, né sarebbe stato qualcosa di cui vantarsi in un curriculum se mai avesse fatto richiesta per essere assunto come insegnante in qualche accademia di musica ma, contrariamente alle aspettative di tutti (anche alle sue), si era pian piano sempre più legato a quel posto e non lo avrebbe cambiato per niente al mondo.
Aveva infatti scoperto un lato di se che mai aveva sospettato. Col passare dei giorni, delle settimane, dei mesi aveva imparato a conoscere quei ragazzi e si era affezionato a ognuno di loro, questo però non gli impediva di essersi appassionato pure alle loro  vicende. Essere una presenza silenziosa in mezzo a quel gruppo di giovani tanto talentuosi quanto egocentrici aveva anche i suoi lati positivi. Poco importava se veniva considerato una sorta di optional che la dita produttrice di pianforti aveva inserito nel pacco e spedito alla scuola insieme allo strumento come gentile omaggio, non si era mai divertito tanto in vita sua. Certi giorni si stupiva di questa sua curiosità nei loro confronti e spesso si chiedeva se il suo comportamento non era un po’ troppo invadente, o forse addirittura morboso, ma ogni volta giungeva alla stessa conclusione e doveva ammettere che no, non lo era. L’unico contatto che aveva con quei ragazzi era suonare per loro la mattina a scuola nell’aula di canto, non aveva mai provato il desiderio di vedere cosa succedeva loro nei corridoi o in mensa, anche perché, come tutti gli artisti dalle loro esibizioni, che lui accompagnava seduto al pianoforte, si capiva già tutto. Si divertiva semplicemente ad osservare come i loro rapporti si evolvessero e cambiassero. Ogni mattina era accaduto qualcosa di nuovo, ogni giorno dovevano affrontare un nuovo ostacolo, ogni lezione maturavano imparando a vivere e a conoscersi. In poche parole era diventato  una sorta di telenovela vissuta in prima persona. E non poche volte quei ragazzi lo avevano fatto commuovere. Sentiva quasi una sorta di affinità con loro: come lui, anch’essi avevano capito che mettere i loro sentimenti nella musica ed esibirsi, cantando o suonando non aveva importanza, era molto più efficace di mille discorsi.
 
La sua fortuna era stata proprio la sua capacità di scomparire e di rimanere in silenzio. Col tempo i ragazzi si erano abituati a vederlo nell’aula, come fosse un mobile alla parete (ahimè! Santana Lopez aveva proprio ragione), e non facevano proprio più caso alla sua presenza. Era uno spettatore seduto sul divano a cui gli attori passavano a fianco senza accorgersi di lui. Stando in silenzio aveva imparato a conoscere quei ragazzi meglio di quanto si conoscevano loro.
E dopo due anni che li vedeva almeno un’ora al giorno ogni settimana era sempre più affezionato a quel branco di matti.
Solo di una cosa era sicuro, con loro non si sarebbe mai annoiato. Non vedeva l’ora che il terzo anno iniziasse!

 

  
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