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Autore: Nike96_Arts    02/06/2012    1 recensioni
Salve a tutti! È la prima volta che scrivo in questo fandom e spero che vi piaccia. Premetto che l'ispirazione mi è venuta proprio dopo aver letto una One-Shot sull'argomento, quindi non so se questo ha influenzato o meno la storia. In ogni caso non voglio plagiare nessuno e non scrivo a scopo di lucro. Ogni critica è ben accetta.
In questa storia ho cercato di immaginarmi un po' com'era la vita di Reno molto prima che si unisse a Turks e di come si sia procurato quelle cicatrici che sono il suo segno distintivo. Ho inserito OOC tra le note, non si sa mai.
Detto questo, ringrazio in anticipo chi dovesse leggere e vi lascio alla storia.
Buona lettura
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Reno
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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How did you get these scars?

 

Mi guarda mentre siamo distesi sul divano blu scuro dell'appartamento. Mi fissa il viso, ma non sta guardando i miei occhi. No, il suo sguardo è un poco più in basso, su quelle due mezzelune rosse che mi marcano gli zigomi. Mi fastidio.

Che c'è?sbotto sgarbato. Non ce l'ho con lei, ce l'ho con me, e con il mio passato. Lei arrossisce e abbassa gli occhiNientemormora. Mi porto la sigaretta alla bocca ed inizio a giocare con il fumo. Poi lei si fa coraggioMi chiedevo come ti eri procurato quelle cicatrici

Mi fermo di botto, la sigaretta a mezz'aria e osservo il fumo che si dissolve nell'aria. Serro i denti.È una cosa personaleLei fa un verso deluso e si accuccia su di me, con la testa nell'incavo del mio collo.

Nessuno sapeva cosa fossero tanto meno cosa significassero quelle due cicatrici identiche. Nessuno a parte me. Non l'ho mai raccontato, e non credo lo farò mai. O almeno ricordo di non averlo mai fatto.

Mi aggiusto il braccio dietro alla nuca fissando il soffitto, e mi perdo tra pensieri e ricordi.

 

 

Avevo 5 anni. Mio padre spalancò la porta di casa ed entrò barcollando, tra le mani stringeva una bottiglia mezza vuota di whisky, se non anche qualcosa di più pesante, come se fosse la sua unica salvezza. Me ne stavo a guardarlo sotto la tromba delle scale, rannicchiato contro la parete fredda. Mi stringevo le gambe al petto mentre con una mano tenevo stretto il braccio di quell'orribile orsacchiotto di pezza distrutto che però era il mio unico amico.

Reno!tuonò lui appoggiandosi malamente sul divano giallo scolorito. La luce era fioca, ma riuscivo a scorgere le sue guance rosse accese dall'alchoolMaledetto, dove sei?!Iniziai a tremare, sapendo cosa mi aspettava. Ogni sera, anzi ogni notte, era la stessa storia. Da quando era morta la mamma lui era impazzito, e con gli anni era peggiorato. Mamma. Avevo 2 anni quando è morta.

Reno! Giuro che te la faccio pagarela sua voce si faceva sempre più vicina e minacciosa. Mi trovò. Cercai di scappare, ma lui mi afferrò per quel piccolo codino rosso che avevo sulla nuca e mi tirò a se. Pesavo poco e niente e senza fatica mi portò all'altezza del suo viso. I capelli tiravano e facevano un male tremendo mentre mi dimenavo e scalciavo per sfuggire alla sua presa.

Non vuoi aiutare il tuo papà, figliolo?Tu non sei il mio papà. Avrei voluto urlare, far sapere a tutti cosa stava per farmi. Ma non lo feci. Mi arresi. Come sempre. Mi buttò per terra ed io strisciai all'indietro come un gambero fino a ritrovarmi con la schiena contro il legno del muro.

Mi fissò. Nel suo sguardo c'era rabbia, frustrazione e solitudine, e sotto l'effetto dell'alchool forse non riusciva neanche a riconoscere suo figlio.

Tentò di darmi uno schiaffo, ma istintivamente mi rannicchiai ancora di più su me stesso, e la mano non centrò il bersaglio. Le sue dita sfiorarono il legno vecchio e mal ridotto del muro ed iniziarono a sanguinare. Urlò di dolore e la bottiglia gli scivolò di mano finendo dritta sul pavimento. Si spezzò, lasciando il liquido scorrere sul pavimento sporco. La parte di sotto si era frantumata in mille pezzi che erano schizzati dappertutto, mentre quella superiore era ancora, stranamente, intatta.

Quello che era successo lo fece diventare più furioso. Non credevo di averlo mai visto così.

Mi prese per il collo, ed io iniziai a boccheggiare in cerca d'ariaDov'è quella cagna di tua madre quando ne ho bisogno, eh?urlòTi meriti una bella lezioneIniziò a stringere e la mia vista iniziò ad offuscarsi. Non riuscivo a respirare e sentivo i battiti del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie. Vidi la mano insanguinata di mio padre avanzare verso il mio viso. Era tutto sfocato. Sentii le sue unghie forti e lunghe sui miei zigomi, poi tirò verso il basso, tagliandomi la pelle. Con quel poco fiato che avevo in corpo urlai. Per la prima volta nella mia vita, urlai per salvarmi. Ma nessuno avrebbe potuto salvarmi.

Una parte di me mi spinse a mordere la mano che mi stava soffocando. Caddi a terra boccheggiando più forte che potevo per recuperare anche un minimo d'aria, ma questa sembrava evitarmi.

Brutto bastardo!Mi si stava avventando contro. Sentivo i suoi passi pesanti e instabili avvicinarsi al mio corpo velocemente. Allungai la mano tremante verso quello che una volta era il collo della bottiglia di alchool e mi voltai. Il vetro rotto penetrò nella sua gola e lui rimase così, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta, a un palmo dal mio naso. Il sangue colava copioso dalla ferita, denso ed appiccicaticcio. Ansimavo, tremavo e non riuscivo a distogliere lo sguardo da quello ormai morto di mio padre. Non era vero. Non poteva essere vero. Non potevo aver fatto una cosa del genere. O forse si.

Il sapore ferroso del sangue ai lati della bocca mi riportò alla realtà. Era tutto vero. Per un attimo credetti che era il suo, poi mi toccai le guance e le dita si sporcarono di sangue fin sotto alle unghie. Lasciai andare la bottiglia, o quello che ne rimaneva, e mi alzai di scatto, strisciando sotto il corpo ormai privo di vita di mio padre che cadde su di un fianco. Mi guardai attorno ancora ansimante. Guardai quel posto così squallido che era stata la mia casa e che non lo sarebbe stato più. Il mio sguardo volò verso la finestra. Nella casa di fronte un uomo mi stava guardando, chissà se aveva visto tutta la scena, se sapeva.

In ogni caso sarei dovuto andare via da lì, scappare finchè ero ancora in tempo. Mi voltai con la paura e l'adrenalina che mi scorrevano nelle vene, presi le prime cose che mi capitarono tra le mani nei pochi metri che mi separavano dalla porta di ingresso, e dalla mia nuova vita, e scappai, lasciandomi il passato alle spalle. Non guardai indietro, continuai a correre, stringendo quelle poche cose che avevo. Non esistevo più, ero come morto ormai. Ora ero solo un ombra nella notte che aspettava quello che il fato aveva riservato per lei. Se fosse sopravvissuta.

 

Io non sono sopravvissuto. Io ho solo tirato avanti, anche quando non ce la facevo più. Alle volte, molte volte, ho tentato di farla finta, ma la verità è che sono un codardo. Lo vedo ancora, tutte le notti, nei miei incubi. Lo vedo, lo sento che mi sgrida, mi picchia e, qualche volta, mi ha anche ucciso.

Dopo quella notte ho vissuto per strada, finchè i Turk non mi hanno trovato e accolto tra di loro. Avevo 17 anni. Ero magro, troppo magro. Avevo fame ed ero al verde. Non mi lasciavo avvicinare da nessuno. Ma alla fine mi sono fidato, e di nuovo la mia vita è cambiata. Non so se in meglio o in peggio, ma è cambiata. Per sempre.

Ed ora queste cicatrici sono il mio segno distintivo. L'ultima cosa che la vittima vede prima di tornare ad essere parte del flusso vitale.



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