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Autore: Kuno84    20/12/2006    17 recensioni
Ranma si trova misteriosamente catapultato in una nuova realtà. Qualcuno segue costantemente le sue mosse, spinto da intenzioni ignote. Nel frattempo, per tutte le persone che conosce, lui non è mai venuto al mondo... Il ragazzo col codino si trova coinvolto nella più ingarbugliata delle vicende, alla ricerca disperata di una risposta alle sue mille domande. Più di ogni altra cosa, che ne è stato di Akane?
[ Storia vincitrice del Primo Contest di MangaNet.it. ]
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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DIZIONARIO.

¹ Bie la – “Addio” in cinese.

² Zai jian – “Arrivederci” in cinese.





PART TWENTY-TWO

“THE PLAIN TRUTH”



Ranma scosse il capo, sbatté le palpebre e in ultimo strabuzzò gli occhi, aspettandosi di svegliarsi da un momento all’altro. L’atmosfera silente che permeava l’intera profondità della grotta, dal momento in cui tutti gli elementi della natura e perfino l’acqua che sgorgava dalla roccia si erano come incastonati in un filo immoto smagliatosi dalla trama dinamica del tempo, assomigliava, effettivamente, a quella irreale che generalmente caratterizza i sogni: e se Akane e Shampoo si trovavano, adesso, assopite poco dietro Saotome, non vedeva perché a lui non dovesse essere accaduta, di fatto, la stessa cosa.
A rimanere in silenzio era anche il suo interlocutore. Il suo nuovo interlocutore. O almeno così sembrava. Nonostante l’aspetto di colui che si trovava di fronte a loro fosse pressoché identico a quello di Shingo, lo stesso Ranma, percependo confusamente la sua aura, diversa da tutto ciò che aveva conosciuto fino ad allora, dovette ammettere tra sé che non si trattava più della medesima persona. Da qui a concepire di avere a che fare nientemeno che con la manifestazione di una divinità suprema, tuttavia, il passo era ancora troppo lungo.
Dopo il racconto della vecchia dell’altra dimensione e, soprattutto, dopo il racconto di Shingo, la ragazza con la treccia si era figurata quel Muchitsujo come un’entità onnipotente o quasi, che non avrebbe esitato un solo istante a dimostrare la sua forza e portare a compimento la propria vendetta: ebbene, tale descrizione non si confaceva per nulla alla pacatezza che, al contrario, sembrava caratterizzare il nuovo Shingo.
Ciò nonostante, restava un dato di fatto. La vecchia gli aveva appena ribadito che quello era Muchitsujo. Ranma sapeva che, almeno a questo riguardo, delle parole di Cologne del villaggio delle amazzoni non v’era certamente motivo di dubitare. Eppure l’istinto lo spinse a cercare una conferma.
Quindi si voltò ancora verso di lei, anche per avere una qualunque idea sul da farsi, su come doversi comportare. Ma non servì a molto: quella stessa atmosfera senza tempo pareva aver suscitato nell’anziana amazzone un moto di rispetto e timore – lei, la vecchia! – vero timore, nei confronti di quella sorta di manifestazione soprannaturale. La quale aveva, nel frattempo, cominciato ad incedere lentamente verso di loro.
Ebbene, si disse Ranma, non sarebbe rimasto imbambolato un solo momento di più, almeno lui. Analizzò il proprio stato e poté così constatare che da parecchi secondi il suo corpo aveva assunto impulsivamente una posizione di difesa: i pugni erano serrati, i muscoli irrigiditi, mentre dai nervi oltremodo tesi traspariva una consistente quantità di aura combattiva. Molto bene. Si voltò leggermente un’ultima volta per controllare Akane con la coda dell’occhio, quindi si concentrò per mantenere la propria postura. Per il momento, avrebbe cercato cautamente di farsi spiegare la frase sibillina che gli era stata rivolta dal dio; ma i riflessi erano tenuti costantemente pronti al peggio.
Dunque si risolse ad attendere Muchitsujo. Il quale, giunto ormai davanti a Ranma e Cologne, a pochi palmi dai loro nasi, si arrestò, sereno, fissando la persona meno anziana delle due. Ranma resse il suo sguardo, ripromettendosi una nuova volta di far ricorso al massimo della diplomazia che era in grado di sfoggiare.
E parlò per primo.
“Che cavolo significa?!” gridò, spezzando bruscamente il silenzio precedente. “Che vuol dire che mi stavi aspettando, e da mille anni?”
Abbozzò un nuovo sorriso, lui, come pieno di comprensione. Decise finalmente di non far attendere oltre il proprio interlocutore – o meglio, si corresse, la propria interlocutrice.
“Tanto per cominciare, una brava signorina non dovrebbe esprimersi in questo modo. Non credi?” domandò, alzando un sopracciglio con aria ingenua.
Signorina a chi?!” sbraitò Ranma, improvvisamente fuori di sé. “Guarda che io sono un uomo! Ed anzi, ci terrei a precisare che se non fosse stato per le tue fonti…”
Le parole successive furono troncate dal ribrezzo che gli attraversò tutto il corpo, il quale gli consentì di anticipare l’ennesimo colpo del bastone della vecchia, ma non di sfuggire all’occhiataccia che gli aveva appena rivolto. Ranma si calmò all’istante, convenendo tacitamente sull’assunto che mettersi a litigare con una divinità onnipotente non era esattamente la cosa più saggia da fare, in quella situazione. Così non ebbe nulla da obiettare quando fu l’amazzone a riprendere la parola.
“Sei proprio Muchitsujo!” disse lei. “Eppure non capisco. Avresti potuto eliminarci tutti, poco fa, anche semplicemente manifestandoci la tua essenza: ma non l’hai fatto.”
“Come puoi vedere.” confermò il dio, placido.
“G-già, è vero!” Ranma s’interpose di nuovo. “Cosa c’è sotto? Che ne è della tua intenzione di vendicarti sull’umanità?” concluse innocentemente, ignorando il sospiro pesante che Cologne si era lasciata sfuggire intanto che udiva quelle parole così incaute.
Vendetta.” mormorò l’interlocutore, con aria annoiata, ponendo una mano a sostegno del proprio mento. “Un vocabolo che voi mortali usate spesso, da quel che ho potuto constatare. Fin troppo.”
Saotome sbottò. Possibile che quel tipo non di degnasse di rispondere ad una sola domanda? E adesso, come se non bastasse, s’improvvisava filosofo! Decisamente diverso da come se l’era figurato. E già sentiva di non poterne più di lui, divinità o non divinità. Tuttavia, rimaneva l’interrogativo di prima e lui voleva risolverlo, in qualunque modo: cos’era che Muchitsujo aveva in mente?
“Quasi dimenticavo… State pure comodi!” riprese il dio, notando la postura della ragazza con il codino. “Anche tu, Ranma. Lodo il tuo coraggio, ma non c’è bisogno che mantenga questa posa da combattimento. La mia unica intenzione è quella di scambiare due parole con te.”
“Scambiare due parole?” ripeté incredulo Saotome. “Ma tutto quello che è successo… credevo che…”
“Non sforzarti troppo, posso leggere chiaramente i tuoi pensieri. E ti assicuro che la vendetta non c’entra assolutamente nulla.” rispose la divinità, anticipando la domanda che l’altro stava per porre. “Shingo ne ha parlato, è vero. Questo è ciò che credeva, meglio, ciò che gli faceva comodo – e che io gli ho fatto credere. Ma anch’egli era un mortale e a dettare le sue azioni è stata esclusivamente la propria brama, tipicamente umana, di potere: aveva solo bisogno di giustificarla, perfino a se stesso, in qualche maniera.”
A quella rivelazione, Cologne spalancò completamente i grandi occhi, prendendo la parola. “Dunque vuoi dire che Shingo in realtà parlava per sé, in altre parole che è stato lui a pianificare ogni cosa?”
“Beh… non proprio ogni cosa.” sorrise il dio, divertito dall’espressione sorpresa della vecchia. Ranma fu costretto, suo malgrado, ad ammettere che quel sorriso gli stava infondendo una certa serenità e solo allora fu portato a rispondere all’invito di poco prima, rilassando i muscoli.
“Shingo voleva il potere, certo, ma in realtà ero io a volere Ranma.” continuò. ”Shingo pensava che la sua aura, che mi aveva liberato dalla sorgente di Jusen, fosse l’ideale per tenermi sotto controllo. Non sapeva che ero io a fargli pensare ciò. Il Tai-ma no Mamori non aveva risolto tutto, per Shingo. Lui credeva di controllarmi, in realtà aveva solamente accesso ai miei poteri: non ho fatto altro che ispirargli l’idea di impadronirsi dell’aura di colui che aveva spezzato il sigillo della fonte che mi teneva imprigionato, ma Shingo ne ignorava il vero scopo.”
“E Ranma…” accennò l’amazzone.
“Ranma era l’unico che potesse completare la mia liberazione, anima e corpo. Zhou Chuan Xiang è una mia creatura, un mio protetto: anche se, letteralmente, figlio del caso, non sceglie per ciò stesso a caso le sue vittime. Come sapete bene, il Caos è una parte ineliminabile dello spirito di Ranma. E dunque lui era la persona perfetta per tale scopo.”
“Aspetta un momento!” intervenne bruscamente la ragazza con la treccia. “Tutto quello che è accaduto, allora, è stato previsto perché tu tornassi libero? Vuoi farci credere che tu, il signore del Caos, hai… preordinato ogni particolare?”
“Non esageriamo!” Sembrò trattenere una risata, tornando a guardare Saotome. “Ma una cosa che poco fa ho udito pensare da te è vera: il Caos richiama altro Caos e dunque solo tu, che avevi liberato il mio spirito spezzando lo shimenawa a Jusen, potevi completare l’opera. In quanto al fatto che le cose sono poi andate veramente in questa maniera… che ciò fosse stato previsto, non è esatto. Ma rientrava, per usare parole facili, nel conto delle probabilità. Presto o tardi, sarei stato liberato.”
“Presto o tardi?” replicò Ranma, esibendo una smorfia poco convinta. “Ma sono passati ben mille anni!”
Sorrise ancora, il dio, con un’aria comprensiva e tollerante. “Ebbene, cosa sono mille anni, per chi ha davanti a sé l’Eternità?” disse, stringendo il pugno della mano destra. “La verità è che, convincendo un dio a trasformarsi in mortale, ho giocato uno scherzo un po’ troppo pesante e per questo sono stato castigato dai miei simili. Adesso è un discorso chiuso ed infatti, completando la mia liberazione, tornerò tra loro. Lo ripeto: la vendetta, il rancore, l’ambizione sono sentimenti che accomunano solamente voi mortali.”
Ranma trovò che queste affermazioni avevano un senso. Certo che, messa così, non era una situazione molto soddisfacente. Tutto quello che era accaduto non era, quindi, altro che il riflesso di una serie di dispetti tra divinità?... Inoltre, la sensazione di essere stato usato non era delle più gradevoli. Affabile, sicuramente: ma, per non essere un tipo vendicativo, quel Muchitsujo si comportava in una maniera piuttosto antipatica. E ogni volta che pronunciava il termine “mortale”, gli suscitava una fastidiosa sensazione di ripugnanza.
“Per me adesso è tempo di andare.” riprese il dio. “Il vostro mondo non è abbastanza interessante, a mio parere. Diciamo che è troppo noioso, per i miei gusti."
Riaprì il palmo della mano che teneva serrata, rivelando qualcosa che assomigliava ad un rotolo perfettamente cilindrico, che lanciò subito dopo ai piedi di Cologne.
“E’ un regalo: per te che conosci così bene le leggende sul mio conto.” disse, prima di eseguire un inchino con fare teatrale. “Mi auguro che questo spettacolo sia stato di vostro gradimento. Con permesso.”
Si allontanò, camminando a calmi passi in direzione dello squarcio della materia, che era ancora aperto. Ranma ebbe, però, un moto di stizza: come poteva svignarsela così? E, senza pensarci troppo, decise di rincorrerlo.
“Aspetta!” gli disse quando l’ebbe raggiunto, poggiando una mano sulla sua spalla e costringendolo a voltarsi. “Si potrebbe sapere dove stai andando?”
Rimanendo impassibile, Muchitsujo indicò lo squarcio. “Torno nel mio mondo. Nel limbo che sta oltre quel varco: l’indistinto, il Caos che è rimasto tra i mondi paralleli, ciò che non è ancora Creato. Il mio dominio, per l’appunto.”
Ranma inspirò con difficoltà, decidendosi ad esprimere il pensiero che da ormai parecchi secondi gli occupava la mente. “E… cosa ne sarà di Shingo?”
“Per liberarmi dalla fonte di Jusen, mi sono dovuto impadronire del suo corpo mortale.” rispose, con voce inespressiva. “Quando sarò passato al di là del varco, accadrà ciò che hai avuto occasione di sperimentare di persona: mentre la mia anima ultraterrena completerà la propria liberazione, quel che rimane dell’essenza di Shingo, compreso questo suo fragile corpo che sto possedendo, si dissolverà nel disordine d’attorno.”
La ragazza con il codino deglutì pesantemente. Come faceva quel Muchitsujo a dire una cosa del genere mantenendo un atteggiamento così indifferente?
Non ebbe il tempo di finire di formulare questi pensieri: all’improvviso, i lineamenti del volto del suo interlocutore cominciarono a contorcersi in maniera spasmodica. Il respiro si fece via via più affannoso. Quindi digrignò la mandibola, prima di gridare selvaggiamente, con lo sguardo apparentemente perso nel vuoto:

No! Non lo farai!”

Non avrebbe mai ammesso di essersi spaventato. Tuttavia, Ranma non poté non lasciare di scatto la mano che ancora teneva poggiata sulla spalla dell’altro, arretrando di qualche passo. Quel grido disumano… chi aveva appena parlato non era Muchitsujo. No di certo.
“Tu sei…” accennò. “Shingo?”
Non parve averlo udito. Ogni muscolo era teso al massimo grado, in quello che pareva l’estremo sforzo di resistenza.
NO!” ripeté ansimante, portando le mani al volto e artigliandosi letteralmente la faccia, come per tenersi cosciente.

NOOOOO!

Ed il suo grido squarciò l’aria circostante.

Fu l’ultima manifestazione di Shingo cui la ragazza con la treccia ebbe modo di assistere. Un momento dopo, il suo volto era tornato alla compostezza abituale. Il dio aveva ripreso il sopravvento.
“Perdona l’interruzione.” disse a Ranma, senza lasciar trasparire alcun sentimento. “Non si ripeterà più. L’anima di quel mortale, ora, è cancellata per sempre.”
Assottigliò lo sguardo. “Credo che ciò risponda meglio di ogni altra cosa alla tua domanda.”
Sorrise nuovamente, a quel punto, con la solita grazia, per niente offuscata dal rivolo di sangue che scendeva da una ferita che le sue mani stesse gli avevano procurato pochissimi secondi prima, all’altezza dello zigomo. Saotome non riuscì a provare più la stessa tranquillità che quel sorriso gli aveva suscitato in precedenza. Pur senza farlo fisicamente, aveva appena visto il volto, il vero volto di Muchitsujo. E nonostante le apparenze, era ben più terrificante di quello barbaro e selvaggio che aveva mostrato l’essere umano la cui anima era stata appena soppressa.
Senza ombra di dubbio, la persona più mite e amabile di questo mondo. Finché qualcuno non lo ostacolava. Forse Ranma non l’avrebbe mai visto scomporsi, neppure dopo cent’anni.
Eppure in quel momento fu perfettamente consapevole che Muchitsujo avrebbe potuto, se solamente si fosse trovato di cattivo umore, provocare infinita morte e distruzione, in quel medesimo mondo.
Anche soltanto battendo una palpebra.
Ora capiva le ansie della vecchia.
Il dio del Caos. Dopotutto, quella qualifica non gli si addiceva?
In quel preciso istante Muchitsujo strizzò l’occhio verso la ragazza col codino, riscuotendola dai suoi pensieri e facendola così sobbalzare, come se avesse visto un gatto.
“Non distrarti mentre ti parlo! Solo un’ultima cosa, prima di andare: ti affido il mio protetto!” gli disse, congedandosi di nuovo. “Ah! E non lamentarti troppo della tua maledizione: anche quella ti si addice perfettamente.”
Il giovane Saotome non seppe se infuriarsi od imbarazzarsi. *Anche la mia… mi si addice…?*
Quel… quel maledetto bastardo! Gli aveva letto di nuovo nella mente, era chiaro: e come se ciò, sommato pure all’insulto, non fosse sufficiente, gli aveva ammiccato al solo scopo di terrorizzarlo. Senz’ombra di dubbio, era anche un vero burlone.
*E, tra l’altro, con uno spirito di patata! Mi hai sentito?!* concluse così il pensiero, indispettito, augurandosi che Muchitsujo gli leggesse nella mente questa frecciata.
“Il suo protetto? Cosa vuol dire?” si ripeté Cologne, la quale, pur essendo rimasta distante dagli altri due, aveva teso l’orecchio per ascoltare e sperava anche lei in una replica del dio. Ma Muchitsujo aveva già oltrepassato il varco. E non ci fu tempo, né per la vecchia né per la ragazza, di pensare ad altro.
Nello stesso momento in cui il dio fu scomparso, lo squarcio si chiuse in se stesso. Ranma udì un mugolio sommesso e, girandosi, poté constatare che Akane e Shampoo stavano riprendendo conoscenza. Ranma si chiese se Muchitsujo non le avesse tenute addormentate intenzionalmente.
Il tempo riprese il suo corso.
L’acqua ricominciò a scorrere.
La terra a tremare.
E tornò il finimondo. L’antro era sul punto di crollare una volta per tutte. “Correte!” gridò la vecchia. “La presenza di Muchitsujo era l’unica cosa che teneva in piedi la caverna!” Fece cenno di scappare e gli altri la seguirono.

Ranma arrivò per ultimo all’uscita, assicuratosi che le fidanzate, davanti a lui, fossero in grado di compiere la scalata.
Non fece in tempo ad affacciarsi pienamente all’esterno, ancora abbagliato dai raggi del sole che filtrava, che avvertì una sensazione di calore ed un formicolio attraversargli piacevolmente tutto il corpo. Acqua calda. Alzò nuovamente il capo, abituando gli occhi alla luce del giorno. Lo vide: suo padre che, con una teiera ora vuota in mano, allungava l’altra per issarlo. Lo stava aspettando. E chissà da quanto.
Sorrise. Per un attimo, gli parve d’essere appena risalito dall’inferno.
Ebbe soltanto il tempo di scorgere, poco avanti a lui, Ryoga che porgeva la mano ad Akane mentre un Mousse ancora dolorante provava, senza successo, a fare la medesima cosa con Shampoo, cui era però mancata la solita aria di disprezzo nel rifiutare la gentilezza del pretendente. Poi avvenne. Giusto pochi secondi dopo che furono tutti fuori, la caverna si piegò su se stessa e crollò con un enorme boato, seppellendo per sempre la cavità.
Adesso era veramente finita.
Lo spettacolo era concluso.
Il sipario era definitivamente calato.



Ranma continuava ad osservare l’inerte cumulo di massi. Nessuna traccia della battaglia che si era svolta sottoterra. Ogni cosa pareva tornata alla normalità. O meglio, come se nulla fosse mai accaduto. Le nuvole volteggiavano pigre nel cielo, mutando lentamente forma, mentre il disco del sole calava arrossandosi in un vano tentativo di opposizione al moto naturale delle cose: vano giacché l’equilibrio era stato ristabilito, ormai.
Strinse le braccia attorno al corpo, per proteggersi da una folata di vento freddo che si era alzata in quell’istante. Ripensò distrattamente ai pochi avvenimenti delle ultime ore. Taro e Rouge si erano entrambi congedati non appena avevano recuperato conoscenza, seppur in maniera completamente differente: Rouge si era esibita in ripetuti inchini e ringraziamenti; Taro si era, al contrario, voltato dalla parte opposta rispetto ai suoi interlocutori, borbottando con aria sprezzante un grazie ben poco sentito prima di bagnarsi e volare via.
Non era successo praticamente altro. Girò lo sguardo. Un poco di metri più in là, Akane stava ancora aiutando Ryoga e Ucchan a medicarsi le parecchie ferite che avevano riportato, e le fasciature eccessivamente abbondanti dei due fornivano una prova inconfutabile dell’operato della fidanzata. Un po’ prima, Ukyo era andata da Ranma a rendere chiaro il fatto che non era a conoscenza del vero piano di Shampoo. Dentro di sé, lui l’aveva perdonata da tempo. Sapeva già come stavano le cose, dopotutto. Non aveva avuto modo di constatare se la fidanzata carina si fosse chiarita anche con la stessa Akane, ma, dai loro comportamenti che aveva osservato a distanza, pensò che almeno qualcosa di simile, tra loro due, dovesse essere già avvenuto.
Ranma, dal canto suo, se n’era stato per tutto il tempo in disparte, davanti alle macerie. Cologne approfittò dell’occasione per avvicinarsi e parlargli a quattr’occhi.
“Come mai così pensoso, consorte? Non mi sembra da te.” disse.
Lui sbuffò tutt’ad un tratto. “Si vede tanto, vecchia? E’ che… non riesco a sopportarlo!” La scrutò attentamente e si decise a rivelare ciò che si teneva dentro. “Insomma, so che il vero responsabile era Shingo. Ma, in fondo, quel che è successo è stato per i capricci di Muchitsujo. E non sopporto l’idea che, dio o non dio, l’abbia fatta franca.”
La vecchia si lasciò sfuggire un sorriso malizioso.
“Di’ la verità: volevi combattere anche contro di lui, non ho forse ragione?”
Ranma arrossì leggermente. “Beh, cosa c’è di male? Non sarebbe nemmeno stata la prima volta che affronto una divinità.” mormorò, pensando di sfuggita a Safulan.
“Non mi aspettavo una risposta diversa!” ridacchiò Cologne. “Ma ascoltami bene, consorte. Avrai avuto modo di vedere con me che non tutto è sempre come sembra, che distinguere tra il bene ed il male è spesso più difficile di quanto appaia, che perfino tra l’Ordine ed il Caos non esiste un confine così netto e distinto come si potrebbe immaginare.”
Il giovane Saotome non parve accettare il discorso dell’amazzone.
“Non starai cercando di giustificarlo, adesso?!” replicò, accigliato.
Cologne bofonchiò qualcosa tra sé, quindi si rivolse nuovamente al suo interlocutore. “Immagino che sarà meglio mettertene al corrente. Ma prima di tutto – il mio doppione dell’altra dimensione ti ha, per caso, raccontato la leggenda che circola sull’origine del Tai-ma no Mamori?”
“Beh, sì.” mormorò spaesato lui, riconoscendo di ricordare la narrazione dell’altra vecchia in un modo molto vivido, forse perché allora la sua concentrazione era tesa al massimo per cercare di carpire qualche indizio su come tornare nel proprio mondo.
“Lo immaginavo. E me la riassumeresti brevemente?” domandò lei.
“Ecco…” cominciò, evidentemente a disagio. “C’era quel Saitoki o come diavolo si chiamava: il dio che, sceso sulla terra, si era innamorato di una ragazza umana. E così, per poter stare con lei senza metterla in pericolo, era stato indotto con l’inganno da Muchitsujo ad immergersi nella Nannichuan assumendo su di sé lo spirito del ragazzo affogato.”
“Precisamente.” annuì lei. “Ma la fonte Nannichuan, su Saitoki, dimostrò avere un effetto permanente, trasformandolo in un essere mortale. Proprio per rimediare a ciò, il padre di Saitoki, il sommo Ryuukei, decise di creare il talismano.”
“Ricordo. Grazie al medaglione, Saitoki ha potuto alla fine recuperare i poteri divini, assieme al controllo di essi. E basta, mi pare. La storia finiva qui, no?”
“Giusto. Ma adesso che sappiamo che quella leggenda corrisponde a verità, non ti risulta un particolare fuori posto, in tutta questa vicenda?”
“Uh… no, credo. A cosa ti riferisci, vecchia?”
“Non te ne sei ancora reso conto?! Il Tai-ma no Mamori, ovvio!”
“Eh? Non ti seguo!” esclamò Ranma, sempre più confuso.
“Pensaci un attimo. Se Saitoki aveva bisogno di tenere costantemente con sé il talismano, per mantenere la propria divinità e rimanere immortale, mi sai spiegare come mai, mille anni dopo, si trovava custodito dalla guida di Jusenkyo?”
“In effetti… non ne ho la minima idea!” ammise Ranma.
“Qui entra in gioco quel rotolo che mi ha consegnato Muchitsujo, nella grotta.” disse Cologne. “Si tratta di una pergamena antica, redatta in un dialetto cinese molto arcaico. Ho finito giusto adesso di tradurlo, sia pur sommariamente. E penso che sia meglio che tu venga messo al corrente del suo contenuto.”
Esitò un momento, prima di proseguire.
“La pergamena contiene il seguito della storia, ciò che si era perso nelle nebbie del tempo.”
“Un seguito?!” ripeté Ranma.
“Sì. E insieme una nuova versione, oserei dire. La narrazione comincia dal momento in cui Ryuukei creò il Tai-ma no Mamori.” Obaba tossì e, impugnato il rotolo, cominciò a leggere ad alta voce.

“Ryuukei, il leggendario signore del Tempo e dello Spazio, si era manifestato sulla terra non in tutta la sua potenza, ma in modo tale da poter consegnare di persona al figlio, ormai ridotto a semplice mortale, l’amuleto che avrebbe posto rimedio allo scherzo del dio del Caos. Così facendo, però, rese possibile il caso che anche un altro essere umano fu in condizione di assistere a tutto ciò: e di scoprire, così, la verità riguardo Saitoki.
Quella persona era Pyu-ha, la pastorella da lui amata.
Anch’ella ricambiava il sentimento e, quando vide che egli aveva lasciato il villaggio, si era messa immediatamente alla sua ricerca, guidata da nient’altro che il suo cuore. Questo si rivelò una buona guida, ma per la fanciulla il raggiungimento della meta sarebbe stato appena l’inizio del dramma.
Era notte fonda e Pyu-ha si stava arrendendo alla stanchezza, dato che, da quando era partita, non aveva mai interrotto il suo viaggio, nemmeno per la sosta più breve. Fu proprio allora che udì una voce e questa era, inconfondibilmente, quella di Saitoki. Piena di gioia, le andò incontro, ma si fermò non appena scorse Ryuukei. Inizialmente spaventata, rimase nascosta dietro alcuni alberi e fu così che ascoltò il discorso non vista...
Un momento dopo che Ryuukei ebbe consegnato il talismano al figlio e fu ripartito verso la propria dimora celeste, Saitoki avvertì un sussulto. Era Pyu-ha che singhiozzava, tradendo involontariamente la propria presenza. Accortasi di essere stata scoperta, la giovane scappò via. Saitoki la rincorse e questo durò parecchi minuti. Quando, infine, Pyu-ha si arrestò esausta, Saitoki si fermò a pochi passi di distanza e si decise a parlare.
Pyu-ha… perché fuggi da me?” le domandò, addolorato.
Ho sentito ogni cosa!” rispose lei, piangendo. “Per tutto questo tempo, mi hai nascosto di essere un dio!
Capisco…” mormorò lui, credendo di leggere correttamente le lacrime che bagnavano il viso dell’amata. “Dunque mi disprezzi, dato che adesso conosci la mia autentica natura. Perdonami se non sono stato sincero, se non ti ho mai rivelato la verità su di me, ma temevo appunto che la cosa potesse spaventarti! Lo so, so che ti ho deluso… e ti comprendo… ti comprendo benissimo, se vuoi starmi lontano, d’ora in avanti.” concluse, con un sospiro sofferto.
No!” si affrettò ad esclamare Pyu-ha, non potendo sopportare che lui pensasse una cosa simile. “Non dire che io ti disprezzo… perché non è assolutamente vero e non potrei mai farlo. Ma ciò non toglie che questa è l’ultima volta che noi due ci vedremo.
Saitoki conobbe, in pochi secondi, la felicità, nel sapere che Pyu-ha non lo odiava, e poi di nuovo la disperazione, ma una disperazione ancora più profonda di quella che ebbe provato in passato, nell’udire le parole finali.
Come?! Se non mi disprezzi, cos’è che non va?!” replicò, con un filo di risentimento. “Perché non potremo più vederci? Hai paura, forse, che possa perdere il controllo dei miei poteri? Ma questo, adesso, non costituisce più un problema, te l’assicuro!
Non è questo, infatti, Saitoki! Non sono io a non poter stare con te… ma tu con me.”
“Che vuoi dire? Pensi che sia io a non volerti vicino? Allora non l’hai ancora capito? Non sono fuggito per questo!
” disse lui, rompendo la distanza che li separava. “La mia unica intenzione era non farti correre alcun rischio. Il solo pensiero che la mia manifestazione divina avrebbe potuto ucciderti non mi lasciava il cuore in pace un singolo istante. Impazzivo a quella sola idea. Ci tengo troppo alla persona che… che amo! Mi hai sentito, Pyu-ha, io ti amo!
La giovane parve illuminarsi, a quell’affermazione. Le lacrime si arrestarono. Ma ciò durò solamente pochi secondi. Lei conosceva il motivo. E pensò che fosse giusto che anche lui ne divenisse consapevole.
Oh, Saitoki! Anch’io ti ho sempre amato! Però… però questo non cambia niente.”
“Che significa?
” esclamò lui, che non sapeva più se urlare per la gioia o per la frustrazione. “Giuro che non ti lascerò mai, che rimarrò con te per tutta l’esistenza!”
“E’ questo il punto! Tu sei immortale… ma non io. Mentre per te non sarà passato un considerevole lasso di tempo, mi vedrai velocemente invecchiare e morire. Sei veramente disposto a sopportarlo? Apparteniamo a mondi diversi, e questo non si può cambiare in alcun modo!
” disse la pastorella, con un ultimo singhiozzo.
Rimasero entrambi in silenzio. Ora anche Saitoki aveva capito.
Pyu-ha aveva smesso di piangere. Non doveva piangere nel momento dell’addio. Salutò mentalmente l’amato, quindi accennò a correre via da lui. Per sempre. Ma il braccio di Saitoki la trattenne.
Ci ho pensato.” disse. “E il modo c’è… un unico modo!
Saitoki aveva conosciuto infinite culture e popoli. Si era sempre chiesto cosa li spingesse ad andare avanti, nonostante la loro mortalità. Cosa desse loro la forza di vivere con tanta intensità quel poco tempo che avevano a disposizione.
Si sfilò il Tai-ma no Mamori. “Lo vedi? Se non porto questo, io adesso sono un semplice essere umano. Come te. Umano… e mortale.
Saitoki…” mormorò lei. “Non posso… non posso chiederti un sacrificio del genere! Non è giusto!
Ma Saitoki sorrise. Aveva finalmente trovato la risposta che aveva tanto cercato.
Un sacrificio, dici? Pyu-ha, un sacrificio sarebbe una vita eterna senza di te! Invece noi vivremo insieme ed invecchieremo insieme. E godremo con ogni nostro senso, nella massima intensità, ciascun prezioso istante che ci offrirà il calice della vita… e ogni attimo sarà per noi infinito… e berremo avidamente assieme ogni singola goccia della nostra eternità!” disse, prima di baciarla.
Segnando in questo modo il suo – ed il loro, ora comune – destino.”

Ranma si destò come da un sogno. Le parole della vecchia Cologne erano state talmente coinvolgenti da dargli l’impressione di aver vissuto di persona i momenti solamente narrati. Soprattutto, pensò ancora ed ancora al gesto di Saitoki. L’amore poteva portare a tanto? Gli venne in mente, per converso, quanto tempo lui avesse sprecato, fino a questo punto.
Ciò occupava il suo animo, turbandolo, mentre continuava a fissare l’amazzone con gli occhi spalancati, ma in realtà persi nel vuoto dei ricordi e dei dubbi circa un futuro che gli si presentava più caliginoso che mai.
“Adesso capisci, consorte?” continuò la vecchia, inconsapevole di ciò che avveniva nel ragazzo. “Saitoki rinunciò ai poteri del medaglione e questo spiega come mai il talismano è andato custodito nei secoli dalle guide di Jusen: fu lui stesso, probabilmente, ad affidarlo a loro. Non è tutto bianco o nero. Zhou Chuan Xiang, come vedi, si rivelò un bene per Saitoki, che poté grazie ad esso coronare il proprio sogno d’amore.”
Ranma si costrinse a scuotersi una seconda volta, concentrandosi di nuovo sulle parole di Obaba. Tutto questo aveva la funzione di commentare l’operato di Muchitsujo, dopotutto.
“Lo vedo.” disse. “Lo scherzo di Muchitsujo, forse, non aveva un’intenzione così malvagia. Ma fu punito lo stesso, no?”
“Questo è vero.” ammise lei. “Forse le altre divinità non erano ancora a conoscenza della decisione di Saitoki. Chi può dirlo? Sembra che adesso abbiano, in ogni caso, ammesso di nuovo il dio del Caos tra loro.”
“Ora che ci penso!” Ranma schioccò le dita. “Mi ha… affidato il suo protetto. Cosa voleva dire con questo?”
“Non credo si tratti di nulla di particolare: suppongo che si riferisse a Zhou Chuan Xiang, dato che sei caduto in una delle sue sorgenti. Certo, non posso affermarlo con certezza. Piuttosto…”
“Cosa?”
“Quando tu hai varcato lo squarcio della materia... Spero che il fatto resti senza conseguenze: per quello che ne sappiamo, la tua bella iniziativa potrebbe tanto non aver comportato nulla di nulla, quanto aver destabilizzato irrevocabilmente l’Ordine delle cose: in questo o in chissà quale altro mondo.” Cologne sospirò. “Del resto, non è in nostro potere fare alcunché. Possiamo solo sperare in bene.”
Ranma sudò freddo. Ritenne fosse il caso di tacere, sia riguardo alle sue continue interferenze con l’universo parallelo, che intorno a quella specie di sogno, o cos’altro fosse, in cui aveva forse aiutato l’altra Akane a sconfiggere il dojo yaburi.
“Bene, questo è tutto. E’ tempo di andare, per noi.” riprese Cologne, chiamando poi a sé in lingua cinese la bisnipote e il quattrocchi, che stavano sistemando le loro poche cose.
Prima che i due giovani li raggiungessero, Ranma domandò istintivamente alla vecchia: “Riguardo Shampoo?”
Non serviva aggiungere altro. L’espressione dell’anziana amazzone si fece più grave.
“Ha agito senza dirmi niente. Ha adoperato una tecnica proibita. Ha tradito la mia fiducia. Direi che è stato trasgredito un certo numero di leggi amazzoni. Ma” si affrettò ad aggiungere “è pure vero che sembra averne preso coscienza. Ha cercato di riabilitarsi ed in effetti è anche in parte merito suo, se adesso noi siamo qui a parlare di ciò.”
“Capisco.” disse Ranma, non sapendo cos’altro dire. Si sentiva in colpa perché avrebbe dovuto sentirsi infuriato nei suoi confronti, per la trappola apparentemente mortale che aveva teso ad Akane, eppure non lo era. Tra l’altro, Shampoo aveva, in seguito, difeso Akane contro Shingo, nella caverna. Almeno pareva che lo avesse fatto. Non sapeva affermarlo con certezza.
“La cosa migliore è un certo periodo di severo addestramento nel nostro villaggio.” proseguì Cologne. “In qualche modo, dovrà espiare le sue colpe. Lei lo sa, gliene ho già parlato. Ma credo che non sarà lasciata sola, credo che qualcuno vorrà accompagnarla.” Alzò lo sguardo verso il cinese vestito di bianco, che solo allora si stava incamminando.
“Ti riferisci a Mousse?” Il giovane Saotome dilatò vistosamente le pupille. “Sbaglio o hai cambiato opinione su di lui?”
“Ah, questo no! Resta un grande impiastro e sicuramente non farei mai a cambio tra te e lui come mio futuro genero. Sta di fatto, però, che affidare il Nekohanten alla sua conduzione, finché noi ci troveremo in Cina, sarebbe un autentico suicidio… e, soprattutto, nella grotta Mousse ha sconfitto Shampoo ed in un regolare combattimento, ricordi? Le leggi di Joketsuzoku parlano chiaro, a riguardo.”
“Ma allora vuoi dire…”
“Frena! Questo cambia tutto e non cambia niente. Diciamo solo che ora si è, per così dire, legittimato. Se mai un giorno la mia nipotina dovesse stancarsi di te, da oggi Mousse rientra tra i possibili pretendenti. E se per assurdo Shampoo dovesse scegliere proprio lui, io non avrei più niente in contrario… Ma sta' tranquillo, tu rimarrai sempre il mio consorte preferito!” ammiccò, in una maniera che a Ranma fece rizzare leggermente il codino.
Nel frattempo, Shampoo e Mousse erano arrivati. Lei era irriconoscibile. Il ragazzo con il codino non ricordava di averla mai vista in tale stato: certo, non si aspettava che gli saltasse addosso abbracciandolo e gridandogli “Wode ailen!”, non dopo tutto ciò che era accaduto; ma la cinesina era remissiva come non mai ed evitava, inoltre, il viso rivolto costantemente verso il basso, di incrociare il suo sguardo. Ranma notò che non erano soli. Akane, vedendoli in movimento, si era silenziosamente aggregata al gruppo.
“Bene, partiamo subito.” disse la vecchia. “Mi sembra inutile passare per il ryokan.”
Mousse salutò alzando appena il capo, il braccio sinistro ricoperto da un’ingombrante fasciatura. Ranma ricambiò alla stessa maniera. Quasi nel medesimo momento, Shampoo e Akane si erano rivolte uno scambio di sguardi, che il giovane Saotome non fu in grado di decifrare.

Poi venne la parte più difficile.
La ragazza si fece forza e alzò il volto verso Ranma. Ma nient’altro. Era veramente, quella, Shampoo l’indomita amazzone? Ranma non era un genio a capire cosa passasse per la testa degli altri, ma percepì chiaramente il sentimento che impregnava la giovane.
Paura. Shampoo aveva paura. Di quello che le avrebbe detto.
E lui… cosa le avrebbe detto? Sinceramente, non lo sapeva. Fu per questo che, alla fine, parlò come gli suggerì l’istinto.
“Così, stai per partire.” Nel pronunciare la frase che al suo stesso orecchio percepiva come delle più stupide e banali che avesse mai articolato, perfino per i suoi canoni, avvertì che la propria voce non celava rimprovero, non era alterata. Non era nulla in particolare. Sentì che doveva proseguire, in qualche modo.
“Uhmm, com’è che dite voi in Cina?... Bie la.” ¹
Shampoo sospirò, rilasciando la tensione. Aveva inteso. Ranma non la odiava.
Poteva bastare.
Per adesso.
“No.” scosse la testa, accennando per la prima volta un sorriso. “Non bie la. Ma zai jian.” ²
Cologne ridacchiò, a quella scena. “Non devi preoccuparti troppo, consorte!” aggiunse, marcando l’ultima parola. “Vedrai che torneremo presto. Molto prima di quanto tu possa immaginare.”
Le due donne si avviarono insieme, mentre Mousse le seguì da tergo senza proferire una parola.
*Buona fortuna!*
Fu con questo pensiero, teoricamente rivolto al solo Mousse, che Ranma li accompagnò, mentre si facevano sempre più piccoli, lungo la linea dell’orizzonte infuocato dal calare del sole, fino a scomparire del tutto. Scorse Akane al suo fianco e, per un attimo, s’irrigidì preoccupato da una sua possibile reazione. Ma la fidanzata era ancora intenta a fissare con lo sguardo nella stessa direzione e Saotome finì con l’immaginare che non stesse pensando qualcosa di troppo diverso.

“Direi che è ora di avviarci anche noi.” disse Genma, a braccia conserte e con sguardo grave, affiancandosi al figlio. “Tanto più che il sole sta tramontando. Si è fatta ora di cena… e il cibo che ho preso dal tuo zaino, che avevi lasciato qui all’ingresso della caverna, bastava appena per una persona!” aggiunse, pulendosi poi con uno stuzzicadenti.
“Che cosa?!” esclamò Ranma, voltandosi esterrefatto. “Vuoi dire che ti sei appena fregato il pasto che mi aveva preparato mia madre?! Maledetto!”
“E’ anche mia moglie!” protestò l’altro. “E poi non è colpa mia, se a me non l’ha preparato.”
“Cosa ho fatto di male per avere un padre così goloso e così geloso? Vieni qui!” e prese a rincorrerlo.
Ryoga fissò malinconicamente, dalla cima di una rupe, quei soliti battibecchi. Le cose non cambiavano mai, tra loro. Pensò che nello zaino aveva un souvenir. Akari l’avrebbe gradito, sperava. Forse si sarebbe dovuto avviare, mettersi in cammino per raggiungere la sua fattoria prima che scadesse pure questo. Solo che… solo che…
“Che hai intenzione di fare qui in disparte, mammalucco? Non vorrai perderti un’altra volta?!” Ukyo lo colpì piano sul capo con la solita spatola, o meglio, quel poco che ne era rimasto dopo lo scontro con Asura. “Ora tu vieni con me, immediatamente, al ryokan, ti ci dovessi portare legato mani e piedi! Non so gli altri, ma io non ho nessun’intenzione di fermarmi in questo posto qualche altro giorno per mandare le squadre di ricerca a prenderti.”
“Ukyo…” Il ragazzo con la fascia immaginò che anche lei stesse condividendo i suoi pensieri, in quel momento.
“E poi devo tornare al locale, prima che Konatsu mi mandi in bancarotta. Non posso perdere un giorno di più. Inoltre ho in mente una nuova ricetta di okonomiyaki che farà letteralmente impazzire Ran-chan e…”
Ryoga le pose gentilmente un indice davanti alla bocca. Le sorrise, in atto di conferma, e si avviò con lei.



EPILOGUE


Ranma sbuffò, mentre finiva di tornare sui propri passi. Essendosi fatto tardi ed avendo ancora fame, suo padre aveva pensato bene di svignarsela, dichiarando ad alta voce che sarebbe tornato per primo al ryokan, padre tanto generoso da permettere al sangue del suo sangue di trascorrere un po’ di meritata intimità con la propria fidanzata. Si credeva pure spiritoso! Ma il ragazzo con il codino aveva deciso di rinunciare all’inseguimento. Tanto, sapeva che al vecchio l’avrebbe fatta pagare una volta tornato. Come al solito.
Già, proprio come al solito. Ranma si fece più serio. Com’è che aveva detto la vecchia?
Era cambiato tutto e non era cambiato niente.
Proprio vero. Nonostante quello che avevano passato, l’equilibrio, solo apparentemente sottile, che legava le persone che si rapportavano a lui, in sostanza non si era modificato. Perfino Shampoo sarebbe tornata presto in Giappone, pensò. E la sua vecchia bisnonna avrebbe escogitato qualche nuovo stratagemma per incastrarlo, senza dubbio. Tutto come sempre. In quel modo, gli interrogativi che lo torturavano dall’inizio dell’intera vicenda non si erano per nulla sopiti, ma, al contrario, parevano essersi alimentati di nuova linfa vitale per tornare a martellarlo, più insistenti che in precedenza.
Aveva rimpianto di essere penetrato a forza nelle loro vite. Nella sua vita. Poteva biasimarsene ancora? Dopotutto, aveva sperimentato sulla propria pelle cosa fosse un mondo senza di lui. Nemmeno lì, le cose andavano come voleva, tanto che erano state, paradossalmente, proprio le sue continue interferenze ad aggiustare qualcosa. Ma allora? In definitiva, cos’avrebbe dovuto fare, lui?
“Ranma…”
La voce di Akane lo riscosse dai propri pensieri. Si rese conto di essere rimasto veramente solo con lei, suo padre dunque non scherzava. Che fine avevano fatto Ryoga e Ucchan? Guardò la fidanzata, con aria confusa e allo stesso tempo curiosa. In effetti, non si erano più scambiati una sola parola da quando erano usciti dalla caverna.
“Obaba, prima, ha raccontato, a me e agli altri, di quello che è successo nella grotta con Muchitsujo.” disse la minore delle Tendo, quieta. “Beh… direi che ci è andata bene. Siamo stati fortunati, vero?”
Ranma ebbe l’impressione che non fosse questo l’argomento di cui lei intendeva parlare. Sembrava voler aggiungere qualcos’altro. Cosa, dunque?
E d’un tratto, si ricordò.

E’ da molto tempo che volevo dirti… che…

Avvampò all’istante e sperò che Akane non se ne fosse accorta. Per qualche strana ragione, adesso che non si trovavano più in pericolo di vita e ogni minaccia era definitivamente cessata, il giovane con la treccia non sentiva più la pressante esigenza di concludere quel discorso. Né lei, ora, l’avrebbe potuto costringere. D’altronde non aveva nessuna prova, riguardo ciò che voleva dirle… giusto…?
Dannazione! Ecco che ci ricadeva! Eppure, dopo l’esperienza nel mondo alternativo, lui credeva di essere cambiato… almeno un po’. Aveva fatto maggiore chiarezza riguardo ai propri sentimenti. E allora, perché continuava ad esitare?
Forse perché… Perché aspettare era facile. Molto più facile. Ma quanto sarebbe potuto durare?
“Scusami.”
Non appena udì Akane aprire bocca, scattò in lui la molla. “Non so di cosa tu stia parlando!” si sbracciò Ranma, scattando come morso da una tarantola. “Guarda che non ho detto, assolutamente, categoricamente, nulla del genere e… c-come?” afferrò solo allora ciò che aveva proferito la fidanzata.
“Mi riferisco a poco fa, nella grotta.” Si spiegò Akane, che parve non aver fatto caso alla reazione del fidanzato. “Se non fossi tornata, nonostante quel che avevi detto, e Shingo non mi avesse preso di mira, sarebbe stato tutto più facile, penso. Forse… forse io non dovrei nemmeno essere qui…”
Si tranquillizzò. Non era l’unico con i sensi di colpa. Ma lei non aveva motivo di farsene. Volle farglielo comprendere e pensò che, una volta tanto, doveva dirle qualcosa di gentile.
“Ma dai!” fece. “Eppure l’hai capito, che prima non parlavo sul serio! Cosa vuoi che me ne importi delle fesserie che fai senza pensare?! Ne combini così tante che ci sono abituato, quale sarebbe la novità?” sdrammatizzò, con un grosso ghigno stampato in bocca. Per poi indietreggiare di un passo, al repentino mutare dell’espressione della ragazza, che aveva assunto uno sguardo a dir poco omicida. Forse, a ben pensarci, non era stato abbastanza gentile. Avrebbe fatto meglio a spiegarsi al più presto, per il loro – e per il suo stesso bene.
“V-volevo dire che, se tu non avessi fatto quella fesseria… no, cioè” aggiustò subito la frase “se non fossi intervenuta, forse non avrei fatto in tempo a scagliare l’Hiryu Shotenha contro Shingo.”
“Non è solo questo.” Akane si era ricomposta. “Se Shampoo non avesse cercato di sbarazzarsi di me, tutto ciò non sarebbe accaduto. E’ stato per me.”
“Che?! Non dire assurdità!” sbottò Ranma. Non doveva sentirsi in colpa lei. Per una cosa della quale, in fondo, la colpa era piuttosto di lui che non aveva mai voluto fare chiarezza con le fidanzate. Proseguì, con tono più dolce: “Oggi mi hai salvato la vita… e nemmeno questa, del resto, è una novità…”
“Ranma…” disse lei di nuovo, colpita da quell’inatteso seguito del discorso.
“Certo, so di averti troppe poche volte ringraziato veramente per tutto quello che fai per me… il fatto è che sono maldestro, con le parole.”
“Sì, lo so.” Akane sorrise, ripensando alle diverse cose, oltre a questa, che lui le aveva confidato nell’altra grotta, quella di Jusendo: cioè che non aveva mai inteso farla arrabbiare sul serio, o ferirla; che ciò succedeva quando tentava, senza successo, di dirle quello che provava veramente. Da allora era divenuta più sicura, perché aveva inteso che Ranma sentiva qualcosa nei suoi confronti. Ma temeva, ancora, lei stessa, di approfondire l’argomento. Non riusciva a compiere quell’ultimo passo: guardare in faccia, anche lei, i propri sentimenti ed esporsi.
“Se è per questo” sussurrò la minore delle Tendo. “Nemmeno io sono brava con le parole… e neanch’io credo di averti saputo ringraziare per tutte le volte, compreso oggi, in cui sei stato tu a salvarmi…”
“E’ vero che non dovresti essere qui.” riprese Ranma, scuotendo la testa. “Perché non dovresti essere tu a correre tanti rischi. Perché, se è vero che ti salvo dai pericoli, il più delle volte, quando ti trovi in pericolo, è proprio… per tirare me fuori dei guai.”
Il ricordo del monte Hooh, il più recente prima di quel giorno e, contemporaneamente, il più atroce, lo assalì di nuovo in tutta la sua brutalità. Akane era quasi morta, per aver girato quel dannato rubinetto della Fenice salvandolo dai filamenti di Safulan. Così anche questa volta, non aveva ripetutamente rischiato la vita, gettandosi nel varco e combattendo Shingo, sempre per lui? Quello che Ranma aveva cercato in ogni guisa di evitare, persino scacciando la fidanzata da sé in malo modo. Senza successo.
E lui forse ne conosceva il motivo. Ecco perché doveva agire e cambiare qualcosa.
“Come posso permettertelo ancora?” continuò. “Non deve più succedere. Per questo, tra noi, non voglio che… che le cose continuino in questo modo.”
Akane lo guardò attentamente.
“Dunque… mi vuoi lontano dalla tua vita?” Non lo chiese con risentimento, anzi. Sembrava essere avvolta da una strana lucidità. Era evidente che entrambi sentivano il desiderio che qualcosa cambiasse, tra loro. Ma temevano, allo stesso tempo, che ciò avrebbe solamente complicato ancor di più le loro esistenze. Ranma era un artista marziale, più passava il tempo e più avversari trovava sulla sua strada. Sempre più pericolosi. Il fatto, poi, che, come le aveva raccontato Obaba, l’anima del fidanzato fosse intrisa di Caos, questa era un’ulteriore promessa riguardo nuovi futuri nemici e nuove future minacce. Poteva permettersi di dargli il peso ulteriore, in questi scontri, di dover anche… pensare a lei?
“NO!” replicò con decisione Ranma. Akane sgranò gli occhi, prima di intendere che la negazione era riferita alla prima domanda, quella che gli aveva rivolto ad alta voce. “Stai sempre a fraintendermi! Non volevo dire questo!”
”Allora… che volevi dire? Come vuoi che continuino, le cose?” domandò lei, con recuperata calma.
Non avrebbe frainteso, stavolta. Voleva solo ascoltare. La verità. E Ranma lo capì. Ma qual era la verità?
“Io… io non lo so.” disse, girandosi nervosamente i pollici. Si sforzò di continuare, ma le parole gli morivano in bocca.
“Capisco.” Akane sorrise amaramente, mordendosi il labbro, quindi si voltò di spalle.
Attese qualche secondo, ma il silenzio del fidanzato fu la risposta che ritenne più eloquente. Alzò lo sguardo al cielo. Le prime stelle della sera stavano affacciandosi nel firmamento. La giornata stava volgendo alla conclusione. Forse non solo quella. Si avviò.
“Sta facendosi buio.” mormorò. “Io torno al ryokan.”
A quello, Ranma si sentì il cuore in gola. Non poteva perdere anche quest’occasione!
Maledizione, perché non riusciva a parlare? Perché doveva essere tutto sempre così difficile?! Ripensò a Saitoki, che non si era fermato di fronte ad ostacoli ben più gravi. Poteva lui essere da meno? Se era vero che le cose non erano cambiate, sapeva che era altrettanto vero che lui stesso avrebbe potuto, in quel momento, cambiarne una.
La più importante.
E lo fece. Cinse Akane da dietro con entrambe le braccia, trattenendola. Non si accorse che la ragazza aveva sussultato, al suo tocco. Il ragazzo col codino prese un lungo respiro, per scuotersi di dosso l’agitazione che l’aveva sconvolto da capo a piedi per quel solo gesto.
Riprese a parlare.
“Non lo so… non so quello che ci riserverà il futuro. Diamine, non so nemmeno quale assurdità ci potrebbe capitare domani stesso! Ma voglio avere una sicurezza in più.” aggiunse. “Me ne basta una sola. Io… non ti sto chiedendo di non essere qui. Però voglio dovermi preoccupare il meno possibile per quello che combini. Voglio essere nella condizione di poter controllare che tu non faccia niente di azzardato. Voglio che tra noi non ci siano più incomprensioni. Voglio… non rimanere solo.” Imprecò silenziosamente contro la timidezza che voleva impedirgli di proseguire e spiegarsi meglio. “Quello che sto cercando di dire è che… voglio essere...”
Il tempo si fermò un istante per entrambi, prima che lui, guardandosi le scarpe, trovasse la forza di concludere.

“…con te.”

L’eco di queste parole si confuse col battito accelerato dei loro cuori. “Ra…” ebbe appena modo di accennare la giovane con i capelli corti, mentre lui, lasciandosi guidare completamente dal proprio istinto – che non aveva mai fallito, non cominciasse proprio ora! – cercava le sue mani e gliele stringeva, spingendola a girarsi.
I loro sguardi si incrociarono, finalmente. Ranma era adesso incapace di pronunciare qualunque altro suono, rapito dalla bellezza di lei. Ma non ce n’era bisogno. I loro occhi si specchiavano ciascuno in quelli dell’altro. E si dicevano tutto quello che non erano in grado di esprimere con le parole.
Avvicinò lentamente il proprio viso al suo, le gote di entrambi che arrossivano ogni secondo che passava. Si arrestò quando i loro nasi quasi si toccavano, attendendo un qualunque consenso della fidanzata.
Akane si sentì invasa da una sensazione di gioia pura.
Ranma stava per baciarla.
Ranma voleva che loro fossero insieme.
“Anch’io…” gli sussurrò inavvertitamente, levandosi in punta di piedi, sorridendogli e sciogliendo così le ultime resistenze di entrambi, dettate dalla timidezza e dall’orgoglio. Inclinò leggermente il capo e chiuse gli occhi.
Ranma la imitò subito dopo.

Il ragazzo con il codino pensò, un’ultima volta, all’altra Akane. Pensò a come si fosse sentito colpevole per averla lasciata sola. Adesso era però tornato dalla sua Akane, nella sua realtà. Lei, non l’avrebbe mai abbandonata, per nulla al mondo.
Ricordò ciò che si era ripromesso quel giorno, al parco.
Non aveva alcun dubbio.

*E’ qui, che voglio che avvenga!*

Fu l’ultima considerazione razionale. Mentre le loro labbra si accingevano a toccarsi reciprocamente, dando vita al loro vero primo bacio, Ranma non pensava più a nulla, tanto meno all’avvenire. Akane era il presente e lui sapeva di non desiderare altro.

Qualunque cosa il futuro avesse avuto in serbo per loro, avevano entrambi una certezza in più.





*******


Il finale è sempre la parte più difficile da scrivere. Ma uno dei motivi è che non mi sembrava vero di stare concludendo definitivamente una Fan Fiction la cui stesura mi ha accompagnato per qualcosa come circa due anni.
Non riesco ancora a credere di aver realmente scritto tutto, ma proprio tutto quel che avevo ideato, senza saltare nulla, senza semplificare minimamente. Ignoro il risultato, ma vi assicuro che è stato qualcosa di parecchio impegnativo. E sicuramente, non ce l’avrei mai fatta senza il continuo sostegno, le recensioni, gli incoraggiamenti, i consigli, i suggerimenti che ho ricevuto capitolo per capitolo, che mi hanno permesso di intervenire più volte in corsa, modificare certi particolari, in una parola: migliorarmi.
Non so cosa avrei fatto senza di voi. Non posso che ringraziarvi come sempre. Sappiate che grandissima è la gratitudine che provo nei confronti di tutti, nessuno escluso. Compreso anche chi è rimasto nell’ombra, ma ha comunque deciso di perdere un po’ di tempo nella lettura di questa storia.
Bene. Tutte le domande hanno avuto una risposta, alla fine. Ma se ve ne avanza lo stesso qualcuna, chiedete pure: vi risponderò nel topic relativo a questa FF, sul forum N di Nibunnoichi, come ho avuto modo di ricordare più volte. Dunque ci tengo, fatemi sapere le vostre opinioni! ^^

Kuno84




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