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Autore: Caffelatte    02/06/2012    6 recensioni
[Crack!Pairing] [Atsuya/Aphrodi]
“Perfetto” soffiò, poi si morse il labbro inferiore. Prese il cellulare e con grande orrore vide che il display non era illuminato. Scarico. Il cellulare era scarico.
Ok, ora poteva pensare di andare ad annegare in un qualche canale.
“Heilà, biondina, come mai qui tutto solo?” fece una voce alle sue spalle.
Si voltò e capì una cosa.
Doveva trovare un canale il più in fretta possibile.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: E poi c’era qual dolce aroma di caffèlatte …
Genere: Sentimentale.
Avvertimenti: schifosamente OOC, OneShot e shonen-ai.
Pairing: AtsuAfu, finalmente ♥
Note: è la prima volta che scrivo su questa coppia, quindi se faccio male, linciatemi pure.
Note2: la prima fic che scrivo con il mio nuovo nickname e metto nel titolo “caffèlatte”. Le coincidenze della vita ~ (??)


Ad Alicchan.
Perché ha la fissa per il caffèlatte, in questi giorni.
Perché ha la fissa per la AtsuAfu, sempre.




 

E poi c’era quel dolce aroma di caffèlatte


Non sapeva perché, ma da quando era arrivato non faceva altro che pensare che lui, in quel posto, con quella compagnia, non centrava proprio nulla.
Le gondole scivolavano veloci lungo l’acqua del canale, sotto il sole cocente. L’aria estiva attraversava le strade e le nuvole vagavano senza una meta apparente per il cielo. Si era fatto più volte un paio di domande.
Prima di tutto, perché era a Venezia.
Risposta: era in vacanza, dal momento che la scuola era terminata.
“Afuro, dici che riusciamo a trovarlo, un campo da calcio?”
“Non lo so, Endou.”
“Mamoru-kun, la biondina non riuscirebbe ad orientarsi nemmeno in uno sgabuzzino.”
Il secondo quesito, quello da un milione di yen, era il seguente: perché era a Venezia con alcuni membri dell’Inazuma Japan.
“Chiamami ancora biondina e ti butto nel canale, cretino.”
Soprattutto, perché tra di loro c’era anche il fratello di Shirou.
“Ma io voglio giocare a calcio!!”
Così il capitano della Inazuma di attaccò come una cozza al suo ragazzo -ovvero Kazemaru.
Faceva un caldo infernale, e quando alle tre di pomeriggio tutti si divisero per andare a gironzolare senza meta per la città, lui che era rimasto solo aveva come unico scopo trovare un posto in ombra e poco affollato.
Capì che la cosa non era fattibile dopo pochi minuti. In ogni via c’erano turisti.
Chi era lì per un motivo preciso e chi invece si era semplicemente perso –cosa più che normale, in una città-labirinto come quella.
Vagò per le calli fino alle quattro, quando dopo essere passato per tre volte di fila nello stesso posto si arrese, comprendendo che, sì, si era smarrito anche lui.
“Perfetto” soffiò, poi si morse il labbro inferiore. Prese il cellulare e con grande orrore vide che il display non era illuminato. Scarico. Il cellulare era scarico.
Ok, ora poteva pensare di andare ad annegare in un qualche canale.
“Heilà, biondina, come mai qui tutto solo?” fece una voce alle sue spalle.
Si voltò e capì una cosa.
Doveva trovare un canale il più in fretta possibile.
“Potrei farti la stessa domanda, Atsuya.” Sibilò “E poi ti ho detto di non chiamarmi in quel modo.”
Il suo interlocutore si lasciò scappare una risata sommessa, che fece quasi perdere il controllo ad Afuro.
Quanto avrebbe voluto spaccargli quel bel faccino.
Per qualche oscuro motivo –oscuro perfino al diretto interessato- Terumi lasciò che il maggiore dei Fubuki gli facesse compagnia.
Era sgradita, ma almeno non era più il solo ad essersi perso.
“Cosa facciamo?”
“Non ne ho idea, Fubuki. In fondo, io non saprei orientarmi nemmeno in uno sgabuzzino, no?” schioccò la lingua contro il palato “L’hai detto tu, se non erro.”
Un’altra risata.
Che cosa aveva fatto di male per ritrovarsi solo con lui??
Ciò che era più strano poi, era che nonostante non sopportasse quell’albino, si sentiva felice, sapendolo vicino a sé.
Arrossì in modo vergognoso e scosse violentemente la testa. Subito dopo aprì e richiuse più volte le labbra, indeciso se parlare o meno. Optò per la prima scelta.
“Credo che sia inutile cercare di capire come muoversi in questo posto.” Osservò, guardandosi intorno.
“E quindi, che pensi di fare?” domandò l’albino guardandolo di sbieco “Camminare a vuoto sperando di trovare gli altri?”
“Perché no” rispose Afuro, facendo un passo in avanti “Si dice che chiunque di perde a Venezia, prima o poi si ritrova in Piazza San Marco. Quindi, possiamo sempre provare.” Fece una pausa “Infondo … tentare non costa nulla.” Mormorò infine.
“Mh” fu tutto ciò che uscì dalla bocca dell’altro, e non era nemmeno troppo convinto.

Da quanto tempo passeggiavano?
Non se lo ricordava, e non ricordava nemmeno come e perché avessero iniziato a camminare mano nella mano. Poi ebbe un flash: si erano persi di vista così tante volte, tra calli, campi e ponti, che Atsuya gli aveva afferrato la mano sinistra, dicendo che non lo avrebbe lasciato, fino a che non fossero giunti in Piazza San Marco. E così aveva fatto.
Svoltarono a destra, poi a sinistra, lungo un canale, di nuovo tra le calli, tra i turisti, immersi nel rumore, ma sempre mano nella mano.
Quando arrivarono a destinazione –senza nemmeno averla cercata davvero- tirarono un sospiro di sollievo.
Di Piazza San Marco si potevano notare tre cose: i piccioni, in primis, che dominavano la piazza.
Erano ovunque. Sulle panchine, sui lampioni, sui palazzi, sulla Basilica …
La seconda cosa da notare era ovviamente San Marco. La chiesa era imponente e meravigliosa. Quasi risplendeva sotto la luce del sole.
Il panorama da là sopra, si disse Afuro osservando l’edificio, doveva essere davvero stupendo.
L’ultima cosa che non poteva passare inosservata, in quella piazza, era quello che all’apparenza sembrava un normalissimo bar. Terumi lo notò per caso, alzandosi sulle punte per scorgere meglio tra i tanti turisti –e piccioni-.
Il caffè era si trovava sotto un porticato e quando Atsuya e Afuro lo raggiunsero, quest’ultimo osservò l’insegna sopra l’ingresso: Florian [1].
“Ti và di bere qualcosa …?” chiese Fubuki, esitante.
Aphordi annuì, e si sedettero in uno dei tavoli all’aperto. Ordinarono due caffelatte.
Rimasero seduti a quel tavolo per chissà quanto tempo. Sta di fatto che la maggior parte dei turisti se n’era andata, e perfino la maggior parte dei piccioni.
Terumi si stava divertendo. Si stava divertendo con Atsuya.
Se un membro della Inazuma li avesse visti seduti là –le dita ancora intrecciate- impegnati in un tranquilla conversazione –cosa più unica che rara, considerati i soggetti in questione- non avrebbero creduto ai loro occhi. Era infatti risaputo che Afuro e il maggior dei Fubuki non andavano ‘d’amore e d’accordo’, anzi.
Quando alle sette di sera, dopo aver pagato, si alzarono da quel tavolo, rimasero vicino al caffè.
L’intenso profumo di the e cappuccino riempiva l’aria circostante. Il tempo sembrava rallentare, tutti sembravano prendersela con tranquillità.
Era una cosa naturale, dopo tutto. In un labirinto di strade del genere, chi andava di fretta senza conoscere la città, finiva per perdersi –e magari ritrovarsi in Piazza San Marco, proprio davanti al caffè Florian- .
Solo quando una folata improvvisa di vento lo investì, Afuro abbassò lo sguardo, e noto che la sua mano era ancora stretta a quella di Fubuki.
Possibile che non se ne fosse accorto prima? Magari era troppo impegnato a osservare intorno a sé, o magari quel dettaglio non gli dava poi così fastidio …
“A-Atsuya …” mormorò, arrossendo “E-Ecco …”
L’altro non si voltò, rimase immobile a contemplare il cielo, come rapito.
Terumi lo guardò “O-Ora … puoi lasciarmi la mano …” non era un tono molto convinto, ma almeno era riuscito a pronunciare una frase sensata.
Il ragazzo si voltò leggermente e i loro occhi si incontrarono per alcuni attimi. Poi Atsuya scosse la testa e gli prese il mento tra le dita della mano libera, avvicinando i loro visi.
Aphordi non ebbe la forza –o la volontà- per evitare l’inevitabile.
Si sentiva leggero, gli sembrava di volare. Eppure faceva un caldo infernale. Era certo che il sole sarebbe potuto esplodere da un momento all’altro, o forse sarebbe esploso prima lui.
Ma non aveva intenzione di smettere. Non voleva separarsi.
E poi c’era quel dolce aroma di caffèlatte …


 





[1] Caffè Florian: È il più antico caffè italiano ed è uno dei simboli della Serenissima. Fu inaugurato nel dicembre 1720 da Floriano Francesconi e fu ribattezzato "Floriàn", dal nome del proprietario nel dialetto veneziano. Da allora fino ad oggi ha continuato la sua attività di caffè divenendo meta principale di veneziani, italiani e stranieri.

  
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