Prologo
Pioveva, quel giorno. Lo scrosciare della pioggia, così rara
ultimamente, mi faceva compagnia nel buio.
Il cellulare giaceva immobile e silenzioso sul comodino. Da ore aspettavo che
squillasse, invano.
Ore, o forse una manciata di minuti. Magari un intero pomeriggio, con un po’ di
fantasia.
Sentivo che l’ansia mi stava facendo perdere la concezione del tempo, ma non
importava. Sapevo che la sorpresa mi avrebbe fatto girare la testa se avessi
anche solo provato a sbirciare l’ora sul display della sveglia con la coda dell’occhio.
La certezza che la frustrazione non mi avrebbe abbandonata per un po’ si faceva
sempre più terribilmente vicina.
Tesi l’orecchio, pronta a captare ogni più minimo rumore che avesse scosso il
silenzio, ma l’unico suono che riuscivo a percepire era il rumore delle ruote
di un’auto solitaria che sfrecciava sull’asfalto.
Nient’altro, solo quello. Nessuna vibrazione del cellulare, nessuna nota
cantilenante.
E poi, proprio quando stavo per perdere le speranze, il telefono squillò.
Ma la suoneria non era la solita, acuta ed allegra. Almeno, non per me.
Io sentivo solo suoni di tomba.
Portavano cattive notizie.