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Autore: Douglas    03/06/2012    1 recensioni
Rivistazione della storia della BBC. Dopo aver perso l'aereo John Watson decide di tornare a casa dalla sua famiglia invece di recarsi direttamente a Londra. Scherlock intanto si impegnerà al massimo per cacciare ogni conquilino che il fratello gli procura finchè un giorno, durante una rapina in banca, incontra un soldato che gli salva la vita.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti ecco questo mio nuovo capitolo che risulta un po' più lungo di quello che mi aspettavo...

Spero che continuerete a leggere e ringrazio in particolar modo Celestine per i suoi utili consigli e spero vivamente di non deluderla con questo capitolo... Alla prossima 

ps scusate per il ritardo ma maggio è un mese infernale per tutti gli studenti!

 

Capitolo 4- Non pentirti di qualcosa che hai fatto, se quando l'hai fatta eri felice

 

Londra è così tranquilla questa mattina che nemmeno il vento osa scuotere i rami degli alberi piantati a pochi metri l'uno dall'altro per dare ai cittadini la falsa speranza che in quella stessa aria ci fosse una quantità di ossigeno più che sufficiente per i loro polmoni.

Il vapore acqueo è salito addirittura di qualche grammo in più per centimetro cubo, segno che l'acquazzone della notte precedente ha lasciato traccie evidenti del suo passaggio.

Se fuori il clima mite potrebbe risultare quasi piacevole alle masse di londinesi che si avventurano nella City con un ombrello ancora stretto sotto braccio ormai consapevoli delle tipiche bizze autunnali, qui dentro il caldo non è altro che asfissiante.

L'ambiente chiuso e poco areato sembra amplificare l'umidità prodotta dai respiri pesanti degli spettatori ordinatamente disposti intorno al piccolo ring bianco, andando a creare una pesante cappa che pesa sopra le nostre teste.

L'aria è pervasa da un forte odore salmastro: percepisco una strana miscela di nicotina e cloruro di potassio aleggiare leggera sotto le mie narici.

In un locale chiuso come questo non è permesso fumare ma il tizio al mio fianco è talmente impregnato dalla sostanza che un olezzo amaro si espande intorno a lui come un aurea pungente: è un fumatore accanito, uno da tre o quattro pacchetti al giorno, a giudicare dalla voce cavernosa, dalla frequenza dei colpi d tosse e dall'ingiallimento delle falangi dell'indice e del medio della mano destra.

Respiro a fondo estasiato, come se tentassi di assorbire le particelle di nicotina nell'aria circostante; quell'aroma inconfondibile mi graffia la gola come farebbe il profumo di birra ad un buon intenditore.

Solo dopo un occhiata più prolungata mi accorgo delle piccole tracce di cenere grigio-nera impigliata fra i baffi marroni e capisco che non si tratta di semplici sigarette ma bensì di ottimi sigari: dei Romeo and Juliet per la precisione.

Distolgo lo sguardo da lui solo dopo che mi ha lanciato un muto segnale di impazienza stringendo gli occhi in due fessure e avvitando le braccia intorno al petto e così mi concentro sulle figure che accerchiano il ring.

Un uomo con un enorme papillon rosso fuoco, il presentatore, e un vecchio canuto sulla cinquantina, l'arbitro, confabulano fra loro al centro del rettangolo bianco mentre tizi dall'aria losca e guardinga si aggirano nella parte esterna nel ring in attesa dell'arrivo dei contendenti: sono per lo più gli agenti degli avversari, qualche medico e due cronisti di bassa lega.

La figura più imponente è certamente quella di McMurdo, l' enorme ex-pugile dal viso taurino che si muove indisturbato fra lo spazio tra il ring e la folla scrutando attento ogni minimo particolare come se dalla sua analisi ci si aspettasse un dettagliato prognostico di vittoria.

Anche se ora non pratica più la boxe visto l'età ormai avanzata non sono rare le volte in cui viene invitato a presiedere agli incontri in qualità di esperto: in realtà, confesso che è tutt'altro che stupido quell'ammasso di muscoli ambulante.

Anche se la sua mente non sprizza scintille, è stato per lungo tempo uno dei pochi decenti boxer inglesi di questi ultimi tempi, capace di adattare pugni potenti ad una serrata tecnica difensiva.

Ottimo In-fighter e all'occasione anche eccellente puncher: con la sua scarica ininterrotta di pugni a distanza ravvicinata era riuscito a mandare al tappeto tantissimi suoi colleghi anche più mastodontici di lui.

L'unico suo punto debole? É un debole incassatore come lo dimostrano il suo naso quasi intatto rifatto dopo il suo ritiro dalle scene.

Durante gli incontri, quando McMurdo perdeva la possibilità di sfondare la difesa avversaria grazie alla tecnica elaborata prima dell'incontro, gettava con facilità la spugna prima del K.O. senza valutare le infinite possibilità di riscatto.

Narcisista a tal punto da preferire una sconfitta ad uno zigomo spaccato.

Lui sembra aver captato i miei ragionamenti perché, in quel preciso momento, alza il viso in mia direzione e mi fa un breve cenno d'intesa col capo.

Piega il capo con una certa inclinazione in avanti che fa intendere ad un buon osservatore quanta sia alta la stima che prova nei miei confronti.

Mi lascia volentieri la facoltà di non rispondergli e io la colgo al volo limitandomi a lanciargli uno sguardo eloquente.

Ha avuto bisogno spesse volte di una mia “consulenza” durante gli sfolgoranti anni della sua carriera, soprattutto quando si doveva battere contro avversari pericolosi come Tony Moore o Oscar Galaxy ed ora è giunto il momento di restituirmi il favore segnalandomi gli incontri più quotati delle varie categorie.

Sembra ancora sorpreso dalla mia presenza perché non smette di lanciarmi sguardi interrogativi, chiedendosi perché un intenditore come il signor. Holmes si interessi ad un incontro dall'esito tanto banale.

Il match tra Eric Small, pugile da poco approdato dalla categoria dei pesi leggeri che arriva per un soffio a pesare le libbre sufficienti per questa categoria, e il professionista Bartholomew Sholto non gli è sembrato sufficientemente interessante per mandarmi a chiamare.

La verità è che ho bisogno di racimolare un po' di soldi in un modo semplice ed immediato senza che Mycroft mi possa controllare.

L'arroganza con cui cerca di assegnarmi casi di importanza internazionale in cui spesse volte sono immischiati gli organi di potere delle altre nazioni mi fa desistere dall'accettarli mentre Lestrade sembra che in questo periodo abbia rispolverato la sua passione per il suo lavoro perché se la cava anche con quei pochi casi di rapina a mano armata che impazzano nella città in quest'ultimo periodo.

Non è da escludere che sia mio fratello stesso a togliere a Scotland Yard i casi più interessanti per assegnarli ad un super gruppo di esperti criminologi solo per il semplice piacere di mettermi i bastoni fra le ruote.

Spesse volte mi chiedo se mia madre lo abbia messo al mondo solo per infastidirmi ma, se è veramente così, mamma ne dovrebbe essere veramente fiera.

Se i normodotati lo chiamerebbero “amore fraterno” io dissento e lo definisco più una sorta vampirismo: succhiare ogni mia dote superiore per il bene superiore della nazione è una delle sue prerogative.

Anche questo mese devo pagare l'affitto per l'intero appartamento, e seppure io ami il ruolo di “consulente detective”, le gratificazioni morali non posso pagarmi le bollette o la spesa per il cibo.

Maledetti bisogni fisiologici!

L'unica alternativa per guadagnare soldi facili sono le scommesse: se gioco bene le mie carte e piazzo una puntata vincente posso essere soddisfatto per tutto questo mese e forse anche quello successivo.

Al microfono, il presentatore avverte che mancano pochi minuti all'inizio dell'incontro così mi concedo la possibilità di dare un occhiata al pubblico: la metà delle seggiole intorno al ring sono vuote; sono le tre di un venerdì pomeriggio e l'incontro vale soltanto per le qualificazioni del torno dei pesi medi.

Oltre a qualche occasionale appassionato di pugilato, ci sono soltanto i due agenti dei rispettivi concorrenti seduti in prima fila entrambi rigorosamente armati di occhiali scuri e auricolare all'orecchio seduti non molto distanti dagli angoli dei rispettivi atleti, ci sono anche un avversario venuto a studiare le tecniche del eventuale prossimo sfidante e qualche scommettitore occasionale, categoria a cui io e l'uomo a mio fianco facciamo parte.

Siamo precisamente in undici, un numero relativamente basso se si conta che solitamente, durante gli incontri più quotati della stagione, il numero si aggira intorno ai 30 e 40.

La quota ottenuta dalla vittoria di Sholto sarebbe troppo contenuta per le mie esigenze così mi chiedo se non sarei capace di dirottare l'esito dell'incontro a mio piacimento: conosco abbastanza Sholto da sapere che la sua tecnica di lotta è davvero infima, è uno tra i tanti volgarissimi “slugger” che crede che il pugilato sia solo uno sport fisico.

Ovviamente neanche l'altro pivellino, tale Eric Small, ha accumulato sufficiente esperienza per permettersi di accorgersi delle carenze dell'altro e di sfruttarle a proprio piacimento.

Gli unici vantaggi oltre ad una mente più lucida di Sholto sono i riflessi pronti e le schivate rapide con cui è riuscito a distinguersi nella categoria dei pesi leggeri.

Prima di scommettere, decido di appurare di persona le qualità di entrambi come faccio sempre: mi bastano un bastone da passeggio, una parrucca grigia, un paio di occhiali da vista, una busta della spesa colma di cibarie e un bambinetto profumatamente pagato per fingere di travolgere un povero vecchio davanti al marciapiedi della strada a fianco dell'arena.

Capisco che il giovane, oltre ad avere inutile buon cuore inadatto a questo tipo di carriera, dimostra di avere i tanto decantati riflessi rapidi per cui è conosciuto, tali da evitare la caduta a terra della busta della spesa.

Il professionista, invece, mi sbatte a terra lui stesso e mi ringhia addosso come farebbe una bestia dall'aspetto rozzo e selvatico.

Riconosco immediatamente gli effetti collaterali degli steroidi anabolizzanti androgeni come la perdita dell'elasticità muscolare che lo fa cadere a terra dopo una debole spinta di un corpo leggero come quello di un vecchio e l'indebolimento della flessibilità dei tendini della mano che sfrega in maniera quasi ossessiva: diagnosi= ancora tre anni di incontri e poi i dolori muscolari prenderanno il sopravvento riducendolo ad un ammasso informe dolorante e psicologicamente disturbato.

Sorrido compiaciuto con me stesso nel momento stesso in cui getto tutto il mio travestimento in un cassonetto dell'immondizia convinto ormai della strategia esatta con cui il ragazzo potrebbe battere Sholto.

Rientro nell'arena e sussurro la mia puntata allo scozzese dall'aria annoiata che si trova seduto in uno dei posti a fianco della porta centrale: mi osserva con aria sorpresa e quasi disperata, ben consapevole che lo strambo tizio che si ritrova davanti non ha mai perso una scommessa da quando lo conosce.

Mi sussurra, quasi come se fosse un consiglio, che l'incontro è dato 10 a 1 per Barholomew Sholto, il professionista dallo sguardo truce e dalla capacità intellettuale pari a quella di una scimmia poco evoluta.

Non lo ascolto neppure, andandomi invece a sedere al mio solito posto in ultima fila vicino alla porta d'entrata mentre lui se ne rimane solo con i suoi pensieri e le sue congetture: sono consapevole che in pochi minuti circolerà la voce che Mr.Holmes ha puntato contro Sholto e tutti gli altri scommettitori cominceranno a pentirsi della loro scelta.

Nessuna sa quale sia il criterio con cui sceglie i vincitori o i perdenti ma l'unica cosa certa è che se Sherlock Holmes fa i suoi prognostici, l'esito dell'incontro è ormai deciso.

Un chiaroveggente per gli 10 altri scommettitori ma un abile stratega per McMurdo che, appena gli giunge voce della puntata, mi chiede se voglio riferire qualcosa al giovane Small.

Non esito un secondo e utilizzando un linguaggio tecnico e preciso, faccio capire a McMurdo che Small deve giocare sopratutto sulle staticità dell'atleta sulle gambe e che deve riuscire a parare i suoi ganci destri per oltrepassare la sua difesa poco stabile.

Una mossa rischiosa ma efficace che, se applicata con criterio, gli permetterà di vincere l'incontro.

McMurdo non esita un secondo sui metodi poco ortodossi di Holmes e se ne va in direzione del camerino di Small come farebbe un umile servo con il suo padrone.

Per la decima volta in quella giornata, il telefono squilla freneticamente nella tasca del cappotto abbandonato sulla sedia a mio fianco: rimango un attimo in silenzio ascoltando le vibrazioni che, ad intervalli regolari, fanno fremere tutto il cappotto come se ci fosse un enorme scarafaggio all'interno della tasca.

Primo squillo, secondo squillo, terzo squillo e così via dicendo fino all'ultimo prima della segreteria telefonica: Mycroft deve essersi parecchio innervosito perché, invece di mandare qualche agente segreto in mia ricerca, preferisce telefonarmi conoscendo bene la mia avversione verso le sue chiamate.

Quando è nervoso perde completamente la testa e lascia che quest'inutile stato d'animo prenda il sopravvento sul suo cervello: sono rare le volte in cui succede poiché, con il lavoro che si ritrova, la calma e la ragione sono elementi essenziali con cui deve convivere quotidianamente se non vuole offendere qualche pezzo grosso straniero.

Osservare gli effetti devastanti di questo sentimento sono stati per me fonte di gran divertimento fino dall'infanzia: bastava osservare la sua stanza per accorgersi della sua mania di ordine e controllo su tutto.

Ogni oggetto aveva un posto prestabilito congeniale alle sue funzioni e ai suoi usi: i libri disposti in ordine alfabetico, le camice accuratamente ripiegate esclusivamente da lui stesso nei cassetti dell'armadio a seconda del giorno della settimana in cui le avrebbe indossate, i costosi modellini d'auto d'epoca regalatigli da papà ad ogni compleanno posti maniacalmente a predefinite distanze l'uno dall'altro, distanze che la nostra governante doveva tenere conto se non voleva essere presa di mira dalle ossessive antipatie del ragazzo.

Io non badavo alla mia stanza, avevo troppi progetti per la testa per accorgermi della disposizione delle mutande nel mio cassetto: l'unico oggetto per cui manifestavo la stessa ossessione di mio fratello era il set chimico per gli esperimenti: dovevo poterci bere dalla beute e dai becker se il governante di turno voleva tenersi stretto il loro posto di lavoro.

Non era facile lavorare a stretto contatto con dei maniaci dell'ordine come i due giovani Holmes e, se si contava anche la mania di mamma e papà di avere tutto perfettamente pulito e in ordine in caso di arrivo di qualche illustre ospite, erano assai poche le persone che affrontavano l'ardua impresa di tenere sotto controllo la grandiosa villa degli Holmes, anche se i salari a fine mese erano a dir poco astronomici.

Mycroft sembra essersi rassegnato all'impresa di far rispondere suo fratello al telefono perché due trilli secchi arrivano immediatamente alle mie orecchie facendosi largo fra il brusio sottomesso della folla: non deve mancare molto all'entrata dei due contendenti.

Sorrido soddisfatto della vittoria a questa interminabile battaglia che dura dalle 8 di questa mattina e, con un gesto rapido, agguanto il cellulare e leggo il suo prevedile messaggio, rispondendogli in modo più rapido di quanto lui potrà mai fare:

-Dove sei? MH -

 -Non lo sai? Stai perdendo colpi SH-

-Smettila di fare il bambino e rispondi alle mie telefonate, è urgente MH-

-Non hai ancora risposto alla mia domanda SH -

-Credevo di saperlo ma mi sono sbagliato, questa risposta risposta è di tuo gradimento? MH-

-Abbastanza...i tuoi segugi stanno perdendo il loro fiuto eppure sai bene che la mia vita non si limita solo a Scotland Yard e il Bart's SH-

Ad ogni messaggio l'impazienza del mio "caro" fratello si fa sempre più marcata influenzata dalla difficoltà nell'utilizzare i messaggi: il telefono per lui può avere come funzione esclusiva quella di effettuare e ricevere chiamate di lavoro eppure si ostina a comprarseli sempre più ipertecnologici solo per mettersi in mostra con i suoi amichetti del Governo.

Una lieve pressione alla spalla destra mi fa abbandonare a mala voglia lo sguardo dallo schermo dell' I-phone che almeno io sfrutto completamente in ogni sua funzione e, alzando il capo, invito McMurdo a riferirmi l'esito della sua missione.

-All'inizio non l'ha presa molto bene perché credeva che fossi stato pagato poi, quando gli ho spiegato che avevo amici influenti che volevano la sua vittoria, si è calmato ed ha ascoltato i miei consigli. Subito dopo mi ha sbattuto fuori- mi spiega con voce profonda e con un attenzione particolare nel tralasciare i dettagli meno influenti.

-Non hai fatto il mio nome, vero? Non voglio mocciosi alle calcagna- esclamo infastidito del fatto che fossi stato definito un amico di McMurdo.

-No, signore. Ho solo detto che eravate molto interessato alla vittoria- esclama deglutendo in modo impacciato come se fosse appena stato accusato di smerciare sostanze dopanti.

-Bene, ora devo andare. Mi raccomando raccogli tutte le vincite ed inviale al 221/B Baker Street, Marylebone- esclamo indossando il mio cappotto con un gesto fluido.

-Non rimanete a vedere il match?- esclama stupito della sua stessa voce, come se prima avesse valutato a lungo se quella domanda avesse potuto  scatenare le ire di quello strambo ma geniale uomo.

-So già come andrà a finire, tanto vale andarsene. Arrivederci McMurdo!- esclamo con tono asciutto mentre mi avvio all'uscita dell'arena, lasciandomi alle spalle brusii confusi e congetture di ogni genere.

Non esco del tutto dalla sala fermandomi proprio sotto la porta principale e quando, per l'ennesima volta, sullo schermo del cellulare appare la chiamata di Mycorft, schiaccio sull'icona della risposta nel momento esatto in cui il suono della campanella dell'inizio dell'incontro si propaga a dismisura nell'aria pesante di quella sala.

Infine chiudo la telefonata e attendo una sua risposta.

Se è abbastanza intelligente da capire qual'è l'unica arena che utilizza la campanella manuale per l'inizio dell'incontro installata negli anni sessanta durante il suo periodo d'oro in cui in quel posto arrivavano scommettitori da tutta Europa, lo degnerò di una risposta.

Pochi secondi dopo arriva un suo messaggio e, quando ne leggo il contenuto, non posso fare a meno di complimentarmi mentalmente per la sua sagacia.

Sono infastidito dal fatto di dover parlare direttamente con lui però una promessa e pur sempre una promessa e se stesse per assegnarmi uno dei suoi casi di importanza nazionale non mi tirerei certo indietro: sono stufo di tenere sempre la mia genialità a bada.

-Sei riuscito a trovarmi lo stesso? Dovresti rimproverare un po' più spesso i tuoi uomini; far perdere le ie tracce travestendomi da vecchio è stato più facile del previsto- lo interrompo io prima che lui mi chieda come abbia fatto a sfuggire al pedinamento dei suoi agenti.

-Presuntuoso come al solito, fratellino- esclama pungente senza che un velo di sottile ironica ricopra la sua frase.

-Vuoi dire geniale come al solito- lo correggo andandomene avanti e indietro per il corridoio deserto e osservando con accuratezza i volti dei pugili appesi alle pareti: russo ubriacone, tedesco con un insana passione per la violenza, irlandese ingenuo massacrato a suon di ganci, italiano perverso che distruggeva i pugili durante gli incontri e ne rimorchiava altrettanti nel tempo libero.

-Cosa hai per le mani questa volta?- domando incuriosito sperando che tralasci i soliti convenevoli inutili che tanto disprezzo.

-Mi hai frainteso Sherlock, questa non è una telefonata di lavoro, ma di piacere – afferma lui con il suo solito tono freddo e distaccato, screziato da qualche punta di sarcasmo.

-Credi che io sia così stupido da credere che tu mi abbia telefonato solo per un saluto?- domando chiedendomi invece tra me e me cosa ci sia sotto tutta la premura che mi riserva in quest'ultimo periodo.

-Sherlock già all'età di otto anni sapevi a memoria tutti gli elementi della tavola periodica, a quattordici hai battuto l'intero club degli scacchi professore compreso in meno di cinque minuti e a diciassette sei riuscito ad incriminare quei fanatici che dicevano di aver messo una bomba nell'ufficio del preside solo dal contenuto del loro armadietto... come puoi credere che ti possa giudicare uno stupido?- mi elogia lui con troppa convinzione ed, improvvisamente ho una folgorazione che mi lascia basito e allo stesso tempo inorridito.

-No, assolutamente no! Tre volte in uno stesso anno! Sei un illuso se credi che salirò su quella macchina solo per farti un piacere.- gli urlo al microfono del telefono consapevole che probabilmente ne rimarrà assordato per qualche secondo.

-Credi che non abbia capito perché sei andato a quest'incontro di box; tu hai bisogno di un coinquilino.- esclama appoggiando in malo modo la tazzina di ceramica sul piattino e chiudendo il Times rigorosamente aperto sulla pagina della politica estera: il tonfo secco della ceramica e lo scricchiolio molto più secco delle pagine del Times rispetto a quelle del Sun sono inconfondibili.

-Io non ho bisogno di niente e di nessuno, tanto meno di te! Lestrade mi ha spiegato che, misteriosamente, i casi più interessanti di omicidio a Londra vengono assegnati ad una squadra speciale governativa. C 'è il tuo zampino dietro a tutto questo? Non rispondere so già la risposta. Se tu mi lasciassi fare il mio lavoro potrei pagarmi l'affitto come sempre!- gli ringhio addosso trattenendomi dal insultarlo per riuscire a mantenere il mio adorato self-control.

-Devo ricordarti che giorno è domenica, Sherlock.- lo sento sorridere sarcasticamente dall'altro capo del telefono e questo mi fa rabbrividire in modo umano, così poco da me.

Questo cambio netto di discorso mi fa capire che Mycroft sta per giocare il suo asso nella manica.

Mi fermo improvvisamente, al centro esatto del corridoio, davanti a una finestra da cui riesco a vedere la limousine di mio fratello e appoggiandomi al muro con la schiena, faccio aderire la colonna vertebrale contro la parete destra del corridoio su cui è stata messa della mochette rossa da tre giorni.

-Non lo so, ma il tuo tono mi suggerisce che centra qualcosa con la nostra famiglia- dico facendo scivolare la schiena contro la parete e lasciando toccare il sedere a terra e, incrocio le gambe in una perfetta imitazione di un buddista in preghiera, mi preparo alla più catastrofica delle eventualità.

-é il compleanno di nostra madre...- esclama semplicemente come se quel fatto non fosse un tentativo di sabotaggio alla mia salute mentale.

Deglutisco rumorosamente e, dall'altro capo del telefono, Mycrosoft si scioglie in una risata liberatoria.

Non ho scampo di salvarmi da quella orribile riunione di famiglia a cui venivano invitati i più illustri capitani di industrie e le loro viziatissime moglie.

Mamma aveva sempre avuto molta pazienza con me: aveva sopportato a malincuore il lento processo di distruzione della mia vita sociale e aveva visto sfumare la possibilità di avere dei bei nipotini con gli occhi azzurro-Holmes, come li chiamava lei, per lasciare che io vivessi la mia vita in modo pieno e autonomo senza avanzare nessuna protesta.

Ma su questo genere di cose era categorica,

Dio diceva di santificare le feste e le feste vanno santificate!

Qualsiasi tipo di festa, dal battesimo del cuginetto più sconosciuto al ricco cenone di Natale.

Una donna forte con un altrettanto forte senso di giustizia e un gusto inimitabile ma anche donna molto capricciosa e sperperatrice incallita di denaro se si trattava di feste: i cibi, i fiori, le posate in argento e le decorazioni dovevano intonarsi perfettamente all'arredamento e al look dei padroni di casa altrimenti sarebbe successo un putiferio tra il club delle amiche del bridge.

La mia famiglia, così come l'ho descritta, corrisponde perfettamente allo stereotipo della tipica famiglia inglese snob con la puzza sotto il naso che si diverte con il golf e con le serata di gala e che conosce di persona buona parte dei reali di Inghilterra.

Non era stato affatto facile per me non perdere il senso dell'orientamento fra tutto quel lusso sfrenato.

Povero bambino ricco, sussurravano i miei compagni a scuola quando passavo fra i banchi con i miei vestiti che costavano quasi quanto lo stipendio dei loro genitori.

Anche se non disprezzo la ricchezza, fino all'età di quattordici anni non avevo mai capito che cosa volesse dire essere indipendenti.

Vivevo con mio fratello e la mia famiglia in una bella gabbia d'oro dotata di tutti i confort e ne ero felice come lo sarebbe ogni bambino sulla terra.

Poi era venuta l'adolescenza e con questa la consapevolezza di quanto potevo essere diverso dagli altri, persino dai membri della mia famiglia: non mi importava un accidente delle belle auto o dei capi firmati anche se la mia prima macchina era stata un spider e indossavo abiti per lo più dai tessuti pregiati.

Tutto quello era un qualcosa che faceva da sfondo alle mie immense capacità intellettive e che, spesse volte, le contrastavano fino a renderle invisibili.

Così a quelle orribili feste, me ne stavo in disparte con il mio libro di chimica sulle gambe e mi limitavo a fare gli auguri a mia madre e a mandar giù a fatica un pezzo di torta che vomitavo fra le rose del giardino qualche ora dopo.

All'inizio questo aveva creato non pochi disaggi alla mia famiglia, visto che gli ospiti domandavano come mai non parlassi con questo o quell'altro figlio preferendo starmene in disparte con i miei pensieri e i miei tomi voluminosi ma poi si erano fatti l'abitudine e nessuno faceva più caso alla pecora nera degli Holmes.

A diciotto anni compiuti, avevo fatto le valigie e me ne ero andato a studiare a Cambridge senza nemmeno un attimo di esitazione evitando la mia festa per i diciotto anni per un soffio.

Neanche là la situazione cambiò parecchio perché, come se fosse un eterna maledizioni, i figli degli amici dei miei genitori erano miei compagni di studi.

Mi isolai e passai gli anni della giovinezza con i veleni come miei unici amici.

E ne ero felice perché la solitudine non mi ha mai spaventato.

Alle sue amiche mia mamma diceva che avevo una forma di autismo che mi impediva di instaurare delle vere e proprie relazioni umani.

I loro perfetti figli, di conseguenza, mi stavano alla larga lanciandomi ogni tanto qualche occhiata di carica di pura pena, come se avessi una sorta di malattia infettiva irreversibile.

Non mi sono mai pentito della scelta di aver abbandonato sia l'università che villa Holmes quando Lestrade cominciò a chiamarmi per risolvere i casi più difficili: non era il mio mondo quello e non è nemmeno quello delle persone normodatate, i morti mi danno più soddisfazioni dei vivi.

Del passato non mi rimangono che queste fastidiose incombenze a cui sono obbligato, con le buone o con le cattive maniere, a farne parte.

-Facciamo un patto- esclamò Mycroft dopo aver lasciato che i miei pensieri vagassero a quegli orribili tempi lontani – tu ti presenti alla coinquilina che ti ho trovato e io ti prometto che convincerò la mamma che sei troppo occupato in un caso per venire, cosa ne pensi?- mi domanda con un tono tentatore che conosco bene: i suoi patti sono ormai il suo pane quotidiano.

-Una donna?- domando indispettito dalla scelta errata già di partenza: a parte rare eccezioni, le donne sono solo trappole mortali travestite da pietre preziose.

-Qualche problema?- esclama lui divertito come non mai dalla mia reazione: Bastardo, sa bene quanto io le sopporti poco!

-In effetti sì, se la mia prossima eventuale coinquilina è donna, le condizioni pendono troppo a tuo vantaggio. Per riequilibrarle dovresti assicurarmi che non parteciperò neanche alla festa di Natale e al compleanno di papà- ritratto convinto che potrò guadagnarci un po' di più.

    -Ti concedo il compleanno di papà, ma a Natale mamma diventa troppo isterica se manca qualcuno all'appello, se vuoi potrei offrirti l'anniversario di matrimonio- propone lui come se stessimo piazzando azioni in borsa.

    - Natale, compleanno di mamma e papà, anniversario di matrimonio e pranzo di ferragosto. Ultima offerta!- gli rispondo io in modo telegrafico.

    - Ok, te li concedo a patto che tu salga immediatamente sulla macchina e torni al tuo appartamento.- esclama lui impaziente riflettendo su come potrebbe riferire a mamma che il suo figlio minore non tornerà a casa per un bel pezzo.

Vittorioso, mi alzo immediatamente da terra e, con quattro agili falcate, sono già entrato nella lumousine suggerendo all'autista l'indirizzo del mio appartamento.

 

Continua...

  
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