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Autore: Ila_Chia_Echelon    04/06/2012    3 recensioni
Questa specie di storiella è praticamente un alleggerimento (molto, ma moolto romanzato) di una cosa che ho provato veramente durante una verifica (motivo in più per odiare le verifiche e il latino).
P.S. Prendetemi pure per pazza, ma il mio neurone preferito si chiama sul serio Fitzwilliam xD
Ilaria.
Genere: Demenziale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ULTIMA CHIACCHIERATA NEURONALE.
Spiccai un salto cercando di raggiungere quel pensiero ad alta velocità, ma sfortunatamente lo mancai per un soffio. I successivi fallimenti non contribuirono di certo a migliorare il mio umore e così mi avviai furente su per la collinetta, mentre quegli odiosi dispettosi continuavano impudentemente a sfrecciarmi accanto. Con la coda dell’occhio notai qualcosa venire verso di me, qualcosa di molto più pesante che un semplice pensiero fluttuante, ma questo non lo scoprii soltanto guardandolo. Di fatto meno di un secondo dopo mi ritrovai spiaccicata su una parete cerebrale con addosso quell’inutile vagabondo del mio neurone Charles, che immediatamente si staccò da me e rimase a fissarmi in tutta la sua preoccupata sfericità per venti secondi buoni, prima di autoconvincersi che fosse tutto a posto, nonostante io protestassi a gran voce di avere almeno una decina di costole incrinate. Come potesse essere il miglior amico di Fitzwilliam, così posato e tranquillo, io davvero non lo contemplavo, ma dopotutto gli volevo un gran bene e lo perdonai praticamente subito, proprio mentre vidi spuntare il suddetto Fitzwilliam , che con la consueta galanteria si presentò in modo impeccabile, splendido nel suo elegantissimo abito nuovo. Certo, non si poteva dire che gli cascasse a pennello, ma era pur sempre un neurone, ed è risaputo che sono piuttosto rotondetti.  Entrambi non furono particolarmente sorpresi di vedermi, ultimamente mi rifugiavo nel mio cervello anche più spesso del solito e chiacchierare con loro mi piaceva.
A poco a poco salutai anche gli altri, tutti con nomi rigorosamente inglesi, cosa buffa se si considera la mia totale incapacità in quella lingua. Con questo in mente sospirai affranta e andai a sedermi sulla carcassa di quella che un tempo doveva essere stata un’idea, ma che era naturalmente rimasta incompiuta e conseguentemente dimenticata. Subito l’atmosfera si sfumò di viola e divenne così scura da farmi sospettare che qualcosa doveva andare storto già prima del mio arrivo.
Guardai Hareton, un vecchio amico, e, conoscendo i suoi modi diretti e spicci, decisi di affidarmi a lui per un rapporto generale della situazione.
“Non abbiamo idea di cosa stia succedendo, ma ormai la luce è sempre più fioca e ai rari momenti di quiete se ne alternano altri in cui i pensieri sembrano impazziti e strani suoni ci sconquassano i timpani” borbottò lui, in risposta alla mia domanda, accompagnando il tutto con uno sguardo impotente e frustrato e un eloquente gesto della mano.
Effettivamente, guardandomi intorno, notai echi di pensieri lontano riempire l’aria, come unici testimoni del loro passaggio, prima di scomparire.  Sentii una sensazione di freddo avvolgermi in un abbraccio spinoso, non potevo certo negare che qualcosa che era più di un sospetto aveva già preso forma nella mia mente. Il mio tempo lì stava per scadere, quasi come se tutto l’ossigeno fosse stato consumato. La realtà era che tutto aveva un limite ed io ero ad un passo dal raggiungerlo. Levai lo sguardo da terra e non mi accorsi di tutta la tristezza che vi era contenuta fino a quando Jane e Nelly non si avvicinarono per  confortarmi e riempirmi di dolci e premurose attenzioni materne.
Improvvisamente il suono di una chitarra elettrica invase l'aria e una voce leggermente nasale si diffuse tutt'intorno, cantando a un ritmo sempre più veloce, frenetico e martellante, quasi spaventoso. Raggiunse il limite della sopportazione umana dopo pochi secondi, supportata dall'incessante passaggio dei pensieri, ormai ad una velocità spropositata. Percepii un violento strattone seguito da una sensazione di vuoto in mezzo allo stomaco, tutto ciò che mi circondava cominciò ad assumere colori sempre più sbiaditi e i contorni si fecero meno netti. Una lacrima sfuggì al mio controllo mentre salutavo mentalmente tutti quelli che erano stati i miei migliori amici.
Il vortice mi risucchiò.

"Ragazzi manca meno di mezz'ora!"
Stordita, mi guardai intorno e il mio sguardo cadde su una scheda completata per molto meno che metà. Una consapevolezza terribile mi attraversò la mente in subbuglio. Mi gettai con foga su quella che ora sapevo essere la mia verifica di latino, maledicendo le mie stupide chiacchierate neuronali, come le avevo definite in un momento di noia.
Non sapevo, non ne ero consapevole nemmeno per metà, di quanto mi sarebbero mancate. Avevo chiuso le porte della mia stessa mente, forse per paura, forse perchè ormai mi ritenevo scioccamente troppo grande e matura per questo, non sapendo di intraprendere in questo modo la strada della squallida normalità, imprigionandomi in una scatola stretta e angusta, dove il bacio leggero e fresco della fantasia è tenuto alla larga quasi si trattasse di peste, in un limbo di grigiore rassegnato e triste. 

   
 
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