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Autore: Hon_yaku    04/06/2012    7 recensioni
Ace e la paura del buio. Quando la soluzione più semplice è anche la migliore: accendere la luce.
~*~
«Lu, seriamente. La risposta alla domanda 'perchè hai paura del buio?' non può essere 'perchè mi fa paura'».
~
Ace non temeva il buio, ma la consapevolezza di essere ormai in grado scacciare l'oscurità in qualsiasi momento gli faceva dormire sonni più tranquilli.
~
Poi aveva incontrato l'oscurità stessa, un'oscurità che inghiottiva qualsiasi cosa e non risparmiava niente.
~
Dicono che la paura del buio è in realtà la paura dell'ignoto, di ciò che si cela, che si aggira, che sta in agguato nell'ombra.
~
Accendi il tuo fuoco, lascialo bruciare, lascia che ti riscaldi e che ti conforti, e poi, quando sarai pronto, vai e affronta il buio.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Portuguese D. Ace, Smoker | Coppie: Ace/Smoker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Achluophobia
"La felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce."
~Albus Silente, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, regia di Alfonso Cuarón


Quando era ancora un bambino, piccolo ed impressionabile, talvolta Luffy si intrufolava nel suo letto e gli si raggomitolava contro, tronfio nella sua convinzione di non averlo svegliato.

Ma Luffy non era nemmeno lontanamente così discreto e silenzioso come credeva di essere, così Ace sapeva sempre con diversi secondi di anticipo quando il suo fratellino sarebbe venuto a dormire con lui.

Nel silenzio della notte lo sentiva tirare indietro le coperte e balzare sul pavimento, facendo cigolare le assi di legno consunto. Lo udiva attraversare il corridoio a passi sicuri e solo un po' affrettati, fino a giungere davanti alla camera di Ace ed aprire la porta di qualche centimetro. Lo poteva immaginare mentre infilava la testolina all'interno, tentando di capire se la massa informe sotto le lenzuola fosse sveglia o meno, per poi muovere cautamente qualche passo nella stanza. E poi le coperte venivano sollevate e un esile corpicino si faceva strada nel suo letto fino ad accoccolarsi contro di lui, sollevato di non essersi fatto scoprire.

Ace lasciava che si crogiolasse nel suo autocompiacimento per un po', poi semplicemente fingeva di essersi appena svegliato e gli pungolava una guancia con un dito.

Incredibile che dopo così tante volte Luffy non avesse ancora capito che quella di Ace era tutta una messinscena. O forse non era poi così strano, considerando che Luffy era e restava pur sempre il suo fratellino idiota.

«Cosa ci fai qui?», chiese Ace, leggermente irritato.

Il bambino mise il broncio. «Non volevo che ti sentissi solo», disse, con l'aria di uno che stava facendo un grande favore al proprio fratello maggiore troppo stupido per capirlo.

Ace sollevò un sopracciglio. «Non mentire».

Luffy si limitò ad aumentare l'intensità del proprio broncio, esclamando, «Non sto mentendo!».

«Non urlare, o sveglierai Dadan. È questo che vuoi?».

Il piccolo scosse il capo con fervore, tappandosi la bocca con entrambe le mani.

Ace sospirò. «Se non mi dici perché sei qui, ti rispedisco in camera tua a calci», minacciò. «E domani dico al nonno che ti comporti da femminuccia, capito?», aggiunse per sicurezza.

I grandi occhioni scuri si allargarono ancora di più e Luffy annuì con forza. Sotto lo sguardo divertito del maggiore, il bambino si morse il labbro inferiore, abbassando gli occhi con aria colpevole.

«Ho paura del buio», mormorò velocemente, in un sussurro appena udibile.

Ace non fu sorpreso, perché quella non era la prima volta che il suo fratellino cercava rifugio nel suo letto. Luffy era una delle persone più coraggiose che conoscesse, ma restava pur sempre un bambino e a volte si lasciava spaventare da un nonnulla.

«Perché?», chiese allora, abbracciandolo.

«Perché mi fa paura», disse Luffy, tirando su col naso.

Ace lo allontanò bruscamente da sé e lo fissò negli occhi, stizzito. «Lu, seriamente. La risposta alla domanda "Perchè hai paura del buio?" non può essere "Perchè mi fa paura"», tentò di spiegare, ma abbandonò il suo lodevole proposito non appena incontrò lo sguardo totalmente perso del fratello.

Sospirando, Ace chiuse gli occhi e tirò il piccolo più vicino a sé, cercando di prendere nuovamente sonno.

Luffy rimase fermo per un totale di cinque, gloriosi secondi, dopodiché cominciò a muoversi per trovare una posizione più comoda e ad avvicinare i piedini gelati a quelli tiepidi del fratello, scalciando e dando ad Ace un assaggio dei suoi capelli.

Ace spalancò gli occhi, sputacchiando e allontanando nuovamente il bambino da sé.

«Luffy, questa storia deve finire», ordinò, deciso. Voleva bene al suo fratellino, un bene inimmaginabile, ma a volte il marmocchio era davvero insopportabile.

«Perché non accendi una luce nella tua camera?», chiese allora, tentando di trovare una soluzione al problema.

«Ci ho provato, ma Dadan mi ha sgridato! Dice che così la bolletta si alza troppo», spiegò l'altro con aria saputa, anche se era evidente che non aveva idea di che cosa stesse parlando.

«D'accordo, allora come la mettiamo con i temporali? I fulmini illuminano il cielo, quindi non dovresti averne paura, eppure ogni volta vieni 'a farmi compagnia'. Mh, allora, cosa mi dici?», chiese Ace con aria di sfida.

Luffy mise il broncio. «I temporali sono pericolosi, sai? Lo dice sempre anche Makino!», ribatté, sulla difensiva.

Ace sbuffò divertito. «Marmocchio...».


~*~


Stranamente, dopo che Ace ebbe mangiato il Frutto del Diavolo, il primo pensiero che gli attraversò la mente fu che, una volta rincontrato il suo fratellino, gli avrebbe mostrato come le sue fiamme riuscivano senza difficoltà a rischiarare la notte scura, ad illuminare senza sforzo tutto ciò che le circondava, brillando incessantemente e salendo su, su, sempre più in alto, fino a toccare il cielo nero e a rischiararlo con l'aiuto delle stelle.

Il fuoco metteva in fuga il buio, lo allontanava, lo dissipava e lo confinava agli angoli della luce creata dalle fiamme, e per una volta era l'oscurità ad avere paura e a fuggire.

Ace non temeva il buio, non l'aveva mai temuto, e in tutta sincerità non capiva perché Luffy ne fosse spaventato, ma la consapevolezza di essere ormai in grado scacciare l'oscurità in qualsiasi momento gli faceva dormire sonni più tranquilli.


~*~


Poi aveva incontrato l'oscurità stessa, un'oscurità che inghiottiva qualsiasi cosa e non risparmiava niente. Inglobava case, persone, luce, gioia, speranza, sogni, per poi risputarli, tramutati in macerie, cadaveri, tristezza, disperazione, paura...

Inghiottì anche il suo potere. Quelle fiamme che lo avevano sempre protetto non c'erano più, la loro brillantezza accecante si era spenta, così come il loro confortante calore, ed Ace aveva perso.

Non era riuscito a sconfiggere il buio e il buio aveva sconfitto lui.


~*~


Da quel momento in poi, l'oscurità aveva un nome — Yami Yami no Mi — e un possessore — Marshall D. Teach, Barbanera.


~*~


Dicono che la paura del buio è in realtà la paura dell'ignoto, di ciò che si cela, che si aggira, che sta in agguato nell'ombra.

Forse era vero, perché nella completa oscurità della sua cella di Impel Down Ace credeva di percepire movimenti, sussurri, bisbigli... O forse stava solo impazzendo.

Rimanere a fissare il buio totale per ore non poteva essere una buona cosa, una parte del suo cervello gli fece notare.

Ma il buio era il suo unico compagno, lì dentro. Forse se le stava solo immaginando, tutte quelle sagome che si muovevano tra le ombre, e forse quelle figure dai contorni indefiniti non gli stavano davvero parlando, ma tanto lui non aveva niente di meglio da fare, e l'oscurità era l'unica cosa che gli tenesse compagnia.


~*~


Poi all'improvviso, dopo giorni, mesi o forse ore passate all'interno di quell'inferno che la Marina aveva il coraggio di chiamare prigione, Ace si rese conto che l'oscurità non era sua amica. Il buio era il motivo per cui lui si trovava lì in quel momento, incatenato ad un muro, il corpo martoriato e la mente che gli giocava brutti scherzi.

Il buio era ciò che l'aveva sottomesso, che gli aveva inflitto una sconfitta che bruciava più del fuoco stesso.

E con quella realizzazione, Ace cominciò a raggomitolarsi su se stesso, a chinare il capo, a tentare inutilmente di sottrarsi all'incessante avanzata del buio.


~*~


Durante la guerra di Marineford, l'oscurità acquistò un nuovo significato per Ace.

Una parte di lui era scelleratamente felice, felice che ci fossero così tante persone che gli volevano bene, ma quelle stesse persone stavano rischiando le loro vite a causa sua, e tutto perché lui non era stato in grado di combattere e sconfiggere l'oscurità.

Il buio aveva un nuovo significato — mettere in pericolo le persone che ami.


~*~


Il suo fratellino era cresciuto. In tutto il tempo in cui non si erano visti, Luffy era diventato più forte — e apparentemente anche più avventato.

Aveva sfidato apertamente Barbanera. Non aveva vinto — i suoi alleati l'avevano costretto ad interrompere lo scontro —, ma non si era tirato indietro di fronte alla prospettiva di dover combattere contro l'oscurità fatta persona.

Il suo fratellino era cresciuto, aveva superato ed affrontato la paura del buio e il buio stesso, mentre Ace cominciava solo in quel momento a capire che da solo non sarebbe mai riuscito a sconfiggere né le tenebre né il terrore che ne provava.


~*~


Ace fissava con occhi spenti la distesa scura al di là dell'oblò della nave. Era impossibile distinguere il mare dal cielo, impossibile dire dove iniziasse uno e dove finisse l'altro. Entrambi erano completamente neri, neri come la pece, neri come la tenebra più profonda.

Poi i primi, timidi raggi di sole cominciarono a rischiarare l'orizzonte, e in breve il cielo fu di nuovo azzurro, le nuvole bianche e il mare blu.

Ace voleva disperatamente un'alba anche per se stesso. Prima dello scontro con Barbanera, Ace era il sole di se stesso; dopo, il fuoco e la luce non erano mai abbastanza, e le notti di solitudine mettevano paura. Ogni volta che chiudeva gli occhi, la sua mente si divertiva a giocare con i suoi timori, a distorcere i bei ricordi e a riportare a galla quelli brutti.

Ace aveva bisogno di una luce, di qualcosa — o qualcuno — che lo tirasse fuori dal baratro dell'oscurità e lo aiutasse a non ricadervi.

Si mosse leggermente, distogliendo lo sguardo dall'oblò e mettendosi a fissare il soffitto.

«Credo... di avere paura del buio», disse dopo qualche minuto.

Ammetterlo non era stato difficile — lo aveva già fatto, in fondo —, ma per qualche motivo voleva che all'uomo disteso accanto a lui fosse chiaro che lui non temeva Marshall D. Teach — e che non lo avrebbe mai temuto, qualsiasi cosa avesse potuto fargli —, bensì il suo potere. E non ne aveva paura perché quell'abilità lo aveva sconfitto già una volta e avrebbe potuto farlo di nuovo, no. Ne aveva timore perché le tenebre inghiottivano tutto, perché lo risucchiavano in un vortice vuoto, privo di luce e calore, di gioia e di umanità, ma al contempo pieno, colmo fino all'orlo di buio e gelo e sofferenza e crudeltà e disperazione. E quando il contenuto di quel mulinello nero raggiungeva il bordo, il vortice traboccava, e tutto ciò che si trovava all'interno si riversava all'esterno, causando ancora più dolore e terrore e, in ultimo, morte.

Ace avvertì il suo compagno rigirarsi nel letto e fissarlo intensamente, ma non si mosse. Non fece nulla finché non sentì le braccia dell'altro circondarlo e tirarlo contro quel corpo a cui era stato stretto tutta la notte, allora si voltò anche lui e sorrise leggermente.

Quella scena gli ricordava qualcosa, mancava solo...

«Ora mi dirai che anche i temporali ti spaventano», sbuffò Smoker, alzando gli occhi al cielo.

Il sorriso di Ace si allargò. «No, quello sarebbe stupido. I lampi e i fulmini illuminano il cielo, no?».

Smoker non rispose, limitandosi ad appoggiare il mento ispido sulla sua testa.

Ace si strinse a lui con più forza, affondando il viso nel suo petto. Era rassicurante passare la notte con qualcuno ed Ace sperò di poter trascorrere più tempo con Smoker, e non solo nel tentativo di alleviare la sua fobia.

«Ho paura», ripeté. Non era un piagnucolio lamentoso, il suo, al contrario. Si trattava più che altro di una mera constatazione della realtà.

«Allora accendi la luce», disse Smoker, deciso.

Ace sorrise lievemente. Sapeva che ciò che aveva detto il suo compagno non andava inteso in senso letterale. Junsho voleva dire semplicemente accendi il tuo fuoco, lascialo bruciare, lascia che ti riscaldi e che ti conforti, e poi, quando sarai pronto, vai e affronta il buio.

Era esattamente ciò che avrebbe fatto e questa volta sarebbe uscito vincitore dallo scontro.

Si districò a malincuore dall'abbraccio, si allontanò quel tanto che bastava e prese il viso di Smoker tra le mani.

Lo baciò dolcemente e profondamente, prendendosi tutto il tempo che gli serviva per esplorare ogni anfratto di quella bocca umida e calda ed incredibilmente accogliente.

Quando si separarono, entrambi ansanti e stupiti dall'intensità del bacio, Ace appoggiò la propria fronte contro quella di Smoker.

«Moccioso...».

Ace sorrise.


A/n:

Come credo abbiate capito, acluofobia è semplicemente il nome scientifico della paura del buio, ma in inglese fa più figo.

Dopo aver letto alcune fanfiction a riguardo, mi sono convinta che Ace, se fosse sopravvissuto (ç__ç), avrebbe comunque riportato dei danni psicologici dovuti alla detenzione in Impel Down e alla guerra di Marineford, nonostante tutte le sue capacità sovrumane, così mi è sembrato logico che potesse aver sviluppato anche una sorta di paura del buio — non del buio in sé (e men che meno di Barbanera), ma di ciò che esso significa per lui. E poi ci ho sbattuto dentro una salutare dose di SmoAce.

  
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