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Autore: _ivan    06/06/2012    9 recensioni
[ COMPLETATA LA PRIMA PARTE: la seconda verrà scritta e pubblicata al termine di 'Monetarium - la neve e le ombre' ]
Theodore è un ragazzo come tanti: alterna la sua vita tra facebook, videogiochi, televisione e uscite con pochi e fidati amici. Sua madre adora interpretare la parte del tiranno, suo padre quella dell'uomo saccente e un po' troppo pretenzioso. Eppure basta il discorso del presidente degli Stati Uniti, un giorno, a cambiare tutto. Al mondo viene rivelato che..
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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JADE+

~ Il Pianeta Verde ~







PRIMA PARTE

~ DA QUESTO CIELO ALL'UNIVERSO ~
 

*

«La verità è che, nel momento in cui l’intero pianeta cambiò, io avevo un dito nel naso ed una mano sul telecomando…»




CAPITOLO I

[ il testo è presente anche in formato pdf, più ordinato e pulito. questo è il link > http://tat.altervista.org/BLOG_Jade/JADE_CAP_1.pdf ; buona lettura! ]

L‘aria della camera era gravida dell‘odore speziato della cena, che come al solito sarebbe stata servita in perfetto orario alle nove meno un quarto, senza un solo minuto in più o un minuto in meno.
Quel semplice petto di pollo, incredibile ma vero, era un simbolo come un altro di ciò che in realtà fosse a quei tempi la mia vita, nient’altro che una tabella di orari da rispettare e che mi erano stati imposti, da sempre e dai miei genitori, senza la benchè minima disponibilità a trattare. Otto meno dieci: colazione con padre e fratello. Mezzogiorno e quaranta: pranzo con la famiglia. Due e quindici: registrazione su cd del talk show preferito di mamma, rigorosamente con i tagli ad ogni pubblicità.
E guai a sgarrare.
Forse non avevo ancora idea di cosa avrei fatto ‘da grande’ o quali dei miei amici mi sarebbero realmente rimasti fedeli con il passare degli anni, tuttavia avevo l’indiscutibile fortuna di sapere con precisione dove sarei stato tutte le sere alle otto e quarantacinque.
Ammirevole.
Talvolta mi sembrava di essere sottoposto a regole talmente ferree da fare concorrenza a quelle imposte nei campi di concentramento. Vedevo egoisticamente l’incontro domenicale con i miei parenti con lo stesso piacere con il quale probabilmente, prima di me, Anna Frank aveva visto gli agenti dell’SS.  Mi chiedevo se i miei genitori non avessero preso lezioni direttamente da loro, per rendere la mia vita impossibile e la loro più lineare.
La sera della festa di fine anno, tanto per citarne una, fui costretto a stare a casa perché, a detta loro, sarebbe stato fin troppo scortese non presenziare al compleanno di nonna Margareth, organizzato nel nostro salotto.
Lessi fumetti per cinque ore, prendendo sonno con la convinzione che tutti i miei amici probabilmente stessero passando la serata migliore delle loro vite - cosa che, tra l’altro, mi fu confermata nei giorni a seguire.
Sotto il mio sguardo imparziale, tutto questo era permeato da un insostenibile senso di ingiustizia.
A qualcuno di esterno alle vicende, invece, la situazione non sarebbe risultata diversa da quella che potremmo trovare, ancora oggi, in numerose altre famiglie rette da genitori un po’ troppo esigenti.
Tutto ciò, ad ogni modo, mi aveva reso avverso alle oppressioni, e da allora mi è sempre piaciuto credere che fosse quello il motivo per il quale non avessi ancora avuto una vera e propria relazione sentimentale con una ragazza.
Ribellarsi a quella condizione sarebbe certo stata la soluzione migliore, è vero, ma ben presto imparai ad evitare gli scontri in mare aperto: durante il mio quindicesimo Natale osai alzarmi da tavola nel mezzo della cena, stufo di sentire zia Genie ripetere le cause che portarono all’esportazione del suo grosso bitorzolo sulla guancia, e di cui ormai conoscevo ogni singolo particolare. Avevo raggiunto la soglia della sala da pranzo, quando papà mi afferrò per un braccio e mi diede uno schiaffo con una tale energia da farmi tremare le ossa.
Da allora non osai più oppormi ad una sola imposizione, tuttavia mi applicai per escogitare serie di accorgimenti che, l’ottanta percento delle volte, permettevano a me di prendere delle silenziose rivalse, e a loro di dormire ugualmente sonni tranquilli.
Al loro ostentato bisogno di dominio rispondevo sì con accondiscendenza, ma anche con totale mancanza di interesse, di gratitudine e - perché no - di energia.
Non potevo alzarmi da tavola il giorno di Natale, è vero, ma nessuno mi vietava di ignorare tutti e per tutto il tempo. Io ero felice perché riuscito a portare a termine quello che era un mio volere, loro perché avevo fatto presenza come era giusto che fosse.
Era un perfetto compromesso.
Neutralizzavo i loro sforzi di fare di me un buon modello comportamentale sprecando il mio tempo di fronte al televisore, al computer o a facebook, dove la vita di chiunque, seppur presentata in due righe abbozzate su una pagina, sembrava più entusiasmante della mia. Vagavo, all’interno della mia stanza, da un apparecchio elettronico all’altro, con lo stesso spirito d’iniziativa di un‘anima intrappolata nel Limbo. In tutto ciò ero riuscito ugualmente ad avvertire un piccolo cambiamento, una maturazione: all’alba dei miei ventun’anni, avevo cominciato a reputare i videogiochi inadatti al mio modo di pensare, ormai sempre più lontano dall‘adolescenza e proiettato verso l‘età adulta - o almeno così credevo.
La cosa peggiore di tutto questo, però, è che non sembravo rendermi minimamente conto della mia posizione di inetto.
Nella mia inferiorità, che mi auto convincevo fosse imposta e richiesta dalle circostanze, mi reputavo migliore di tutti gli altri. Vivevo senza uno scopo perché dovevo, perché non avevo altra scelta, non perché la mia forza di volontà rasentasse la suola di entrambe le mie scarpe. ’Se solo lo volessi potrei diventare un uomo di successo’, era ormai il mio mantra.
Per l’appagamento e la realizzazione mi bastava la consapevolezza di avere un gran cervello, che tutti gli altri sembravano non vedere e disprezzare. Quel cervello che non stavo sprecando, bensì solo preservando in attesa di una situazione che, ne ero certo, sarebbe presto arrivata strisciando per bussare alla mia porta.
Ero talmente convinto di me da risultare cieco nei confronti del mondo intero. Cieco e invisibile.
A ripensarci ora, quasi me ne vergogno.
 
Ero sdraiato sul mio letto, immerso nella calda penombra illuminata dai bagliori del dodici pollici. Ricordo di aver avuto un lieve mal di testa, perché era consueto che socchiudessi per lunghi momenti gli occhi, a causa della miopia che mi attanagliava e che rifiutavo di accettare.
Mentre con l’indice della destra esploravo una narice alla ricerca di tesori perduti, con la mano libera ero impegnato in una seduta di zapping selvaggio che, come al solito, avrebbe reso la mia serata un po’ meno noiosa ma a dir poco inconcludente.
Quando una schermata blu interruppe la proiezione della pubblicità inarcai un sopracciglio.
Ci scusiamo per il disagio. I programmi riprenderanno al più presto’.
Fissai la tv nell’immobilità della mia stanza, perdendomi di fronte ad un fiume di pensieri inutili.
Un breve fischio annunciò il ripristino del collegamento, ma a riprendere il suo corso non fu il film interrotto poco prima.
Quando il presidente degli Stati Uniti comparve prepotentemente sullo schermo, lo fissai con sguardo indagatore.
I polpastrelli dell’indice e del pollice strofinavano lentamente l’uno contro l’altro, per appallottolare quello che avevo trovato e che ben presto avrebbe toccato il pavimento.
Mi permisi di pensare che avesse un aspetto sciupato, inadatto a rivestire il ruolo che i cittadini gli avevano assegnato.
Faticava a guardare dritto in camera, tant’è che le numerose pause tra una frase e l’altra mi parevano più degli espedienti atti a trovare le parole giuste, piuttosto che vere e proprie strategie dialettiche. Il suo atteggiamento, mi dissi, era molto più conforme a qualcuno di impreparato finito di fronte al professore, piuttosto che ad un uomo di potere in mondovisione.
Quando apriva bocca sembrava non convincere neppure sé stesso. I suoi occhi non mi erano mai sembrati così grandi come allora.
A breve mi convinsi che io, a differenza sua, sarei risultato sicuramente splendente, dietro quella torretta di legno con affissa la bandiera americana.
Era il colmo.
Ad ogni modo, dal momento che la politica non aveva mai fatto parte delle mie priorità, e che gli Stati Uniti d’America erano troppo lontani dalla mia posizione per poter rientrare nel mio ventaglio di interessi, cercai più e più volte di cambiare canale. Rinunciai all’idea di dedicarmi ad altri programmi solo quando, con mio stupore e -ahimè - disappunto, mi resi conto che la diretta da Washington sarebbe stata trasmessa da tutte le reti disponibili. Avrei potuto continuare a fare zapping per ore ed ore, senza mai incappare in nessun programma di cabaret o in uno di quei talk show dai toni violenti che tanto mi divertivano.
Mi fermai dunque al canale cinquantaquattro, quando ormai l’attuale presidente d’America aveva terminato le scuse per le brusche interruzioni, e si stava ora rivolgendo alla popolazione mondiale imbastendo una fastosa introduzione, fondata su discorsi riguardo l’unità e la necessità di tutti noi di tirare fuori quella forza che, in millenni di storia, era arrivata a porci alla supremazia di tutto il nostro pianeta.
In quel momento, però, io non stavo ascoltando.
Per mia fortuna nei giorni seguenti, il discorso in versione integrale fu ritrasmesso più e più volte sulle reti nazionali, a scanso d’equivoci.
Era il cinque marzo 2014, ovvero quello che gli storici chiamano ‘Giorno della Rivelazione’, e che diede inizio alla nuova era, al nuovo anno zero, seppur questa fu una variazione nella numerazione che, solo due anni dopo, la scienza decise di adottare.
Ancora oggi col senno di poi non saprei dire se, il fatto che sia avvenuto esattamente nel pieno della gioventù della mia generazione, sia per me stato una fortuna o piuttosto una sventura. Nessuno, ad ogni modo, discorda nell’ammettere che quello fu il giorno più importante per l’intera umanità dalla nascita di Cristo o - per i meno religiosi - dalla nascita del mondo.
Mi costrinsi ad ascoltare.
«…E’ dunque strettamente necessario,» disse l’uomo nella mia tv « che l’intera popolazione mantenga uno stato di quiete, affinchè gli enti governativi possano lavorare e collaborare per la salvaguardia di voi tutti, da sempre priorità massima di ogni manovra politica interna ed esterna ai nostri confini… ».
Fedele alla mia fama di ragazzo con il peggiore livello di concentrazione dell’universo, per un attimo mi persi in quell’ammasso di forme tonde che costituivano il suo viso: cerchi abbozzati e ripresi negliocchi, nelle gote, nelle narici, talvolta perfino nella posizione assunta dalle labbra, che mi pareva ricordassero vagamente uno stretto canale di scolo dalla quale fuoriuscivano le parole.
«Da sempre, gli Stati Uniti d’America…», una mosca si posò sulla fronte del presidente, unica forma luminescente nella penombra della mia camera. Io, sdraiato sul mio letto, mi concessi uno sbadiglio annoiato e mi grattai una guancia. Non capivo di cosa si stesse parlando: forse ci sarei riuscito, se solo mi fossi applicato per almeno tre minuti di seguito, tuttavia trovavo paradossalmente molto più interessante l’agitarsi di quell’insetto attorno allo schermo piuttosto che le parole cariche di significato, che costituirono il discorso più importante della storia dell’umanità.
Mi voltai verso la finestra, sull’altro lato della stanza, incuriosito dall’inconsueta assenza di rumori al di là del vetro. Vivere nel centro di Londra è un po’ come essere immersi nel brodo primordiale, gravido di essenza in continuo sviluppo, in perpetuo movimento ed evoluzione. Si cresce in un turbinio caotico che presto diventa talmente familiare da risultare muto.
Il rumore c‘è.
Non ci si fa caso, ma questo non esclude che esista ancora.
In quegli interminabili minuti, piuttosto, mi parve di essere finito al centro di un basalto, incastrato nelle profondità di chissà quale monte ai confini della Terra, attorniato solo da silenzio statico e geologico.
Aprii la finestra che dava sulla strada, ed il semplice fatto che anche il vento sembrava essersi fermato mi lasciò sconvolto. Col senno di poi credo si trattasse di mera suggestione, ma allora ebbi l’impressione che tutti, anche la natura, si fossero interrotti per ponderare su ciò che da lì a qualche ora sarebbe accaduto. Non potevo saperlo ma nulla, neppure l’aria che stavo respirando, sarebbe rimasto lo stesso.
«Mamma!» urlai abbandonando la mia posizione ed affacciandomi sul corridoio, là dove una corsia di foto di mio padre in tenuta da pesca sembrava fissarmi con critica attenzione. Distolsi timidamente lo sguardo, andando piuttosto a cercare la bocca delle scale, messa in risalto dalla pallida luce del televisore nella stanza di sotto.
Non ricevetti risposta, cosicché fui costretto a raggiungere il salotto, rabbrividito dal contatto dei miei piedi scalzi con la viva pietra del pavimento.
«Mamma»
«Shhhht» fui immediatamente zittito.
Per un secondo riuscii a impormi al centro dell’attenzione di tutti i membri della mia famiglia, assiepati sul nostro divano e non certo felici di notare la mia presenza.
Fui l’unico a sedersi sul tappeto, camminando con la stessa attenzione che, probabilmente, avrei impiegato solo se il terreno fosse stato cosparso da mine antiuomo.
Mai come allora mi sentii così diverso da loro, seduti in fila, tutti con lo stesso sguardo concentrato, i lineamenti affilati, le labbra sottili arricciate per lo sforzo, con il loro interesse e la loro cultura.
Io, abbandonato a me stesso sul tappeto, mi grattavo distrattamente la barba incolta e fissavo ciò che, forse per mia fortuna, non sarei mai diventato. Mi chiedevo - e non per la prima volta - dove fossi finito. Chi fossi realmente.
Questa è l’immagine della mia vita famigliare che tutt’ora mi porto nel cuore.
L’atmosfera di ansia febbrile che traspariva dallo schermo ventiquattro pollici sembrava essersi aggrovigliata attorno a tutti, meno che a me.
Annusai l’aria ed immaginai che, mio malgrado, la cena in cucina stesse ormai bruciando. Guardai mia madre di sottecchi e schiusi le labbra, per un attimo seriamente tentato di farglielo presente. Era completamente rapita. Erano le nove meno dieci, e per la prima volta nella mia vita la cena non era stata servita.
Mi costrinsi così ad ascoltare.
«Dalla nascita della National Intelligence nel 1947, numerose questioni di sicurezza nazionale sono state classificate a livello talmente elevato da non consentire alcuna pubblica dichiarazione in merito. Tra gli argomenti di vitale importanza cito le questioni di terrorismo internazionale, di proliferazione nucleare e di conflitti armati globali, assegnati ognuno ad un protocollo specifico, e che per decenni sono stati nascosti perfino a chi, come me, ricevette il ruolo di portavoce del popolo. Un compito che viene dal sacrificio dei nostri padri e più indietro dei nostri antenati. Tra le questioni di sicurezza nazionale in merito, particolare attenzione viene riposta nella ricerca ufologica che, a sostenimento di ciò che in molti tra voi hanno creduto, al momento attuale è il soggetto a più alta classificazione di segretezza del governo USA».
Trascorse un breve attimo di silenzio. Assieme a lui, anche io mi scoprii a riprendere il fiato.
«Sono notizie reali, e io sono qui ad ulteriore conferma che, ormai da tempo, esistano protocolli specifici ed archivi contenenti prove inconfutabili del ritrovamento di reperti alieni sul nostro pianeta. Avvistamenti ed incontri del terzo tipo sono solo la punta di un iceberg che fino a quarantotto ore fa perfino io, nonostante il potere che i miei stessi concittadini mi hanno assegnato, ignoravo. In anni recenti sono trapelate diverse notizie relative all’esistenza di vita extraterrestre, primo tra tutti l’Eisenhower Briefing Document, risalente a data 18 novembre 1952 e contenente sensazionali notizie relative ai cosiddetti UFO. Ad oggi, si era arrivati a possedere circa duemila testimonianze comprovate, non solo relative alla presenza di organismi ignoti nei nostri cieli, ma anche sulla nostra stessa terra e nei nostri mari. Le implicazioni in termini di sicurezza nazionale sono state gestite dalla comunità di Intelligence ed oggi, cittadini del mondo, è giunto il momento di dare giustizia ad una politica trasparente che metta Voi al centro di tutto.
Ad oggi, quindi, non abbiamo altra scelta se non quella di informarvi riguardo ad importanti e recenti successi riscontrati.
Tutto ciò è certo, reale, concreto.
Davanti a noi, adesso, si apre una nuova era, fatta di responsabilità e prosperità. Dobbiamo essere forti. Dobbiamo rimboccarci le maniche e non avere paura. Tutti noi ci ricordiamo con vergogna le disgrazie che colpirono le nostre città il 20 dicembre 2012, durante la ‘Notte della Folla’.
Nessuno di noi desidera che ciò acca-…»
Sorrisi, stupito del fatto che realmente non avessero la benchè minima intenzione di citare quella che, in realtà, i cittadini chiamavano la ‘Notte della Follia’.
La questione sollevata sul calendario Maya era patrimonio del mondo intero.Allora, tutti erano a conoscenza della presunta sorte che avrebbe fatto il pianeta.
Nessuno ne sembrava realmente convinto, tuttavia man mano che ci si avvicinava alla data prescelta, lo scetticismo sembrò risultare sempre più un lusso concesso a pochi.
Seppur si respirasse un clima di tensione, tutto rimase tranquillo fino allo scoccar della mezzanotte che diede inizio al 21 dicembre. Le reazioni furono delle più disparate: ci fu chi decise di stare coi propri familiari a godere di attimi di costretta tenerezza, chi scese in piazza per manifestazioni pacifiche e di fratellanza, chi optò per l’inaugurazione di nuove ere, imbastendo feste di benvenuto per presunti alieni in arrivo, chi partecipò - come prevedibile - ad immense feste orgiastiche.
Ricordo che la mattina seguente lessi un articolo sul giornale che spiegava, con toccante ironia, come si fosse scelto di inserire il nome ’Folla’ non relativamente a quella riversatasi nelle strade ma piuttosto a quella ammassatasi nei magazzini, per godere in gruppo dei piaceri della carne.
Io ricordo di aver passato la notte intera sdraiato sul tetto di casa, in compagnia di tre amici intimi ed in completo silenzio, in attesa della venuta dal cielo di quelli che allora vedevamo come salvatori.
Se tutto ciò si fosse chiuso qui non ci sarebbe stato alcun motivo per parlarne, tuttavia la storia del dicembre 2012 ebbe non pochi risvolti oscuri.
Ci fu chi, in preda al panico, all’incertezza e alla paura dell’ignoto, preferì il suicidio. Chi approfittò del caos per commettere stupri, violenze e rapine. Chi inspiegabilmente appiccò incendi o organizzò rivolte contro gli enti governativi, approfittando della distrazione generale.
Il nero bilancio dei crimini compiuti rimase per sempre un’incognita, messo a tacere per volere di gran parte delle nazioni europee. Girò la voce che solo a Londra, furono stati circa mille morti e quattromila feriti.
Una parentesi oscura che da allora tutti cercavano di ignorare, presidente degli Stati Uniti compreso.
Sgranai gli occhi e sbadigliai, tornando ad ascoltare la tv con le ginocchia abbracciate e poggiate al petto, il mento incassato tra le rotule.
«…Il messaggio che deve dunque essere cristallino, che deve essere recepito, diffuso ed assolutamente non sottovalutato, è che il nostro pianeta non sia in alcun modo in pericolo. La situazione è sotto controllo, e la sicurezza dei cittadini tutti resterà inviolata…»
Mi concessi il lusso di pensare che stessero palesemente mettendo le mani avanti, nonostante non si capisse ancora per quale motivo.
Il presidente tirò un lungo sospiro, abbassò lo sguardo e quando lo risollevò, qualche secondo più tardi, fu di nuovo pronto a parlare. Le cornee arrossate per l’incontro di troppi flash.
«Ringrazio la NASA, che ha sempre svolto un egregio servizio per la nostra Nazione. Innumerevoli sono i successi riscontrati nel corso della storia. Altissimo è il livello di preparazione dei suoi componenti, nostri fratelli e fonte d‘orgoglio per tutti noi. Ricordiamo i viaggi che hanno portato l’uomo sulla Luna e su Marte, dove di recente si è dato il via ai progetti di costruzione di insediamenti che vedranno il loro completamento nel 2030. Ed è proprio grazie ad uno di quegli avamposti che oggi sono qui, a rivolgermi a voi con l’umiltà e il rispetto che contraddistinguono il nostro paese.»
Per la prima volta si concesse un fugace sguardo al foglio di fronte a lui.
«In data 28 febbraio, alle ore quindici e zerosette, le apparecchiature hanno riscontrato quella che inizialmente fu classificata come semplice anomalia nel funzionamento strutturale. I radar e i satelliti adibiti allo studio dell’ambiente extraterrestre hanno subito diverse alterazioni. Alcuni, nelle ultime ore, hanno smesso completamente di funzionare. Su una frequenza generalmente non utilizzata dalle apparecchiature umane, un messaggio è stato diffuso…spedito, ricevuto da un nostro satellite su Marte, e solo in seguito decriptato da validi scienziati di tutto il mondo, chiamati a raccolta per valutare e confermare l’apparente inconfutabilità del reperto. Non ne siamo certi, ma il messaggio pare essere stato lanciato da un punto del nostro sistema solare distante circa centomilioni di chilometri da Saturno, non che ad una distanza di circa un miliardo di chilometri dal nostro pianeta, novecentomilioni dal pianeta rosso. Si parla di un messaggio che abbiamo ragione di credere sia stato spedito decine d’anni, se non secoli fa. La differente frequenza sul quale ha viaggiato ha impedito ai nostri ricercatori di stabilire, ad oggi, con certezza matematica la sua origine spazio-temporale. Siamo in mancanza di dati specifici, ma possediamo le prove del contenuto vero e proprio dell’annuncio, espressione della palese intenzionalità di cinque razze aliene di visitare il pianeta Terra.»
Non potevo crederci.
Intesa finalmente la vera entità del discorso che stava per essere affrontato, i giornalisti si agitarono come formiche, riversando un baluginare di flash sul volto accecato del presidente che, invano, cercò di riportare al silenzio le persone in sala.
«Mamma» mio fratello aprì la bocca.
«Non ora, tesoro.»
«Mamma» fu il mio turno. Motivi probabilmente diversi, tempismi identici.
«Shhht. Zitto.»
La fissai per un istante.
«La tua cena del cazzo sta andando a fuoco» non era quello che volevo dire, ma quando faceva delle preferenze così palesi mi faceva imbestialire.
Trasalì, notando solo ora il puzzo della cena e quel dito di fumo denso che aleggiava ad altezza minima dal pavimento. Sparì in cucina con passo svelto, mentre l’occhio severo di mio padre si inchiodò al mio volto.
Mi costrinsi ad osservare lo schermo, seppur con la mente assaggiai già in parte quello che mi avrebbe atteso da lì a qualche decina di minuti.
«La verità tanto cercata nei secoli dell’intera esistenza umana è ormai nelle nostre mani. L’infinito universo non ospita solo noi. Non sappiamo se hanno bisogno dell’acqua e dell’ossigeno per vivere, non sappiamo nemmeno se la stessa parola “Vita” significhi qualcosa di diverso per loro, non sappiamo nemmeno se respirino, non sappiamo niente.
Non sappiamo se abbiano dei figli, mogli, padri, presidenti, eroi. Sappiamo però che possiedono il senso e il significato della pace e della fratellanza, e che in onore di questi valori cercheranno un contatto con la popolazione terrestre. Non sappiamo con quali mezzi, ma i dati recuperati ci danno modo di pensare che tale avvenimento coinciderà con l’avvento dell’eclissi solare del 23 ottobre 2014»
Un secondo boato interruppe il discorso. Ci vollero diverse decine di secondi prima che il silenzio tornasse.
«Tale eclissi sarà visibile esclusivamente in America del Nord.
Il mondo cambia, e noi dobbiamo cambiare con lui. Non dobbiamo avere paura. Non dobbiamo lasciare che il terrore dell’ignoto raggeli i nostri cuori. C'è una forza che ha elevato le nostre anime e la nostra specie dalle proprie origini, e quella forza è il coraggio. Continuiamo a esistere nel desiderio di emergere, di conoscere, di amare, di sognare, di sperare, di Vivere. Tutto andrà per il meglio. Dio vi benedica.»
Il caos di flash e urla che ne seguirono fu frastornante. La diretta rimase aperta per il tempo necessario a mostrare la sortita del presidente.
Ci scusiamo per il disagio. I programmi riprenderanno al più presto’.
 
Mi voltai verso il divano alle mie spalle, incrociando per un attimo il profilo di mia madre rimasta in piedi sulla soglia della cucina.
«Papà…» dissi in cerca di risposte, rifacendomi alla sua spiccata cultura.
«E’ pronta la cena.» rispose, lasciandosi scappare un sospiro. Spense la tele quando la schermata azzurra lasciò spazio al film interrotto. Un cowboy schiamazzava all’interno di un saloon.
Voluttuoso fumo passò di fronte allo schermo, assumendo affascinanti sfumature di luce.
Annusai l’aria, alzandomi dal tappeto e camminando verso la cucina, risvegliato dal freddo pungente del pavimento.
Ci sedemmo a tavola e cominciammo a mangiare cibi freddi nel più totale ed imbarazzante silenzio. Mio fratello, così come me prima di lui, cercò di aprire invano l’argomento, senza ricevere risposte.
«Theo» mio padre ruppe il silenzio. Mi stava fissando.
Poggiai la forchetta nel piatto, ricambiando lo sguardo in attesa di un seguito.
«Non t’azzardare mai più ad usare quel tono con tua madre. Spero di esser stato chiaro».
Lo sapevo.
Mi alzai masticando ancora un pezzo di formaggio, sistemai la sedia sotto al tavolo e mi allontanai dalla cucina con lo stomaco vuoto. Mia madre alle mie spalle scatenava su di me, urlando, l’ansia che aveva creato l’intera situazione.
Mentre mi chiudevo in camera, girando due volte la chiave nella serratura, mi domandai il significato di ciò che avevo appena ascoltato in televisione.
Oddio, il vero significato mi sembrava a dir poco lampante, ma ora cosa sarebbe successo?
Da primo esponente del buon partito della network generation, chiusi la finestra, spensi il televisore lasciato acceso e presi posto alla mia scrivania. Digitai su pochi tasti sporchi, illuminato esclusivamente dalla luce del mio schermo. Fuori, i primi rumori cominciavano a ravvivare la strada.
Facebook si rivelò una completa delusione: a parte il tripudio di link riguardanti il futuro incerto e lo sgomento attuale non trovai nulla degno di nota. Fu comunque interessante analizzare le varie reazioni alla notizia: come previsto, i catastrofisti andavano per la maggiore. In pochi sembravano davvero fidarsi delle parole rassicuranti del presidente in persona.
Vogliamo le prove!’, ‘urlava’ qualcuno.
Prima i Maya, ora la NASA’, diceva qualcun altro.
Google non fu da meno: suppongo fosse tutto dovuto al fatto che il discorso era terminato da troppo poco tempo, perché a parte i video della diretta, nulla era ancora stato caricato.
Mi persi così in ricerche sull’eclissi d’ottobre, su Saturno e perfino sugli insediamenti che avevano cominciato ad essere costruiti su Marte, argomento di cui avevo sentito parlare ma che non mi aveva mai interessato particolarmente, prima d’allora.
Andai a letto verso le tre di notte, con la testa fumante, gli occhi arrossati ed un’enorme stanchezza addosso.
Per quell’ora le prime recensioni erano comparse, tuttavia nessuna sembrava distanziarsi eccessivamente dall’altra. I dati a disposizione erano troppi pochi.
Mi infilai sotto alle coperte.
Fissai il soffitto buio.
Mi parve di sentire, fuori, un uomo urlare qualcosa di inerente alla fine del mondo, tuttavia ero troppo rintronato per prestarvi particolare attenzione.
Persi conoscenza pensando al mio futuro.

   
 
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