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Autore: Kymera    25/12/2006    1 recensioni
E se percaso nel 1300 il viaggio di Dante non fosse stato solamente frutto dell' immaginazione del Poeta? E se percaso qualcuno lassù decidesse di farlo rifare ad un' altro uomo? Ecco qui cosa accadrebeb secondo me^^.---> -Non importa ora… penso che le importerà più di quel uomo vestito di nero che le sta per posare la mano sulla sua spalla destra- Ora la voce dell’ uomo aveva assunto una sfumatura divertita. Roberto non credeva alle sue orecchie, ma lo stava prendendo in giro… dietro di lui non c’ era nessun uomo vestito di nero… si voltò, e sentì una mano posarsi sulla spalla destra.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Divine Comedy

The Divine Comedy

° Molti avvenimenti e luoghi descritti nella fanfiction sono completamente casuali, ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale °

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura

chè la retta via era smarrita [...]

(Inf. Canto I)

Gerusalemme notte del 7-8 Aprile 1300

Ma dove sono finito?

Perché non ho dato ascolto a quel vecchio dalla pelle scura e i capelli d’ argento?

Giuro, non ho mai visto nulla del genere…

Morirò ne sono certo…

Aspetta ma cos’è quella?

E’… il sole! Sono alla fine…

1

New York, Venerdì 6 aprile 2007 Ore 19.30

Il professor Roberto Saviola stava camminando per uno dei tanti corridoi del nuovissimo palazzo dei congressi di New York, inaugurato qualche settimana prima.

Il professore non ricordava mai tante polemiche fatte per costruire qualcosa… costruirlo proprio sul Grand Zero era stato un’ insulto alla memoria di tutti i morti di quel tragico giorno per alcuni, per altri era semplicemente il simbolo della voglia di andare avanti senza dimenticare il passato; costruire sulle fondamenta di ciò che era stato ciò che sarà, senza dimenticare quello che era successo in quel luogo.

Roberto arrivò alla meta tanto ambita, il simbolo dell’ Eleven Bulding, nome simbolico dato all’ enorme palazzo dalla forma ottagonale che si alza per centoventi piani dove un tempo sorgevano le Twin Towers.

Ora si trovava dinanzi ad un’ atrio enorme, che dava sul vuoto, separato da una caduta tanto brutta quanto letale solo dalla ringhiera di acciaio e dal una lastra lunga un metro di vetro superresistente che partiva dalla parte superiore dalla ringhiera verso l’ esterno, per impedire a qualsiasi persona che avesse la felice idea di buttarsi o meno di farlo.

Era al sessantaquattresimo piano e quando guardò giù si sentì mancare la terra sotto i piedi, benché non soffrisse di vertigini.

Sotto, molti metri più in basso c’ erano due sculture in marmo, purissimo e bianchissimo.

Raffiguravano le due torri, scolpite, altre quattro metri l’ una, tenendo le proporzioni reali.

Il primo e il secondo piano non avevano finestre che davano sull’ atrio perché le pareti erano stati ricoperte di marmo ed incisi i nomi delle 2817 vittime di quel tragico giorno.

Sospirò posando a terra la sua ventiquattro ore pensando che almeno a Pasqua di poteva concedere un po’ di riposo.

Il telefono vibrò nella sua tasca, per gli studiosi la Pasqua non era niente… e purtroppo lui era uno di loro, uno studioso; ma c’era una sostanziale differenza tra lui e gli altri studiosi: loro erano persone che si dedicavano ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette al loro lavoro, senza pensare a loro stessi e al mondo che li circondava… lui invece, anche se non era credente, c’ era un giorno in cui staccava la spina e si lasciava cullare dal rumore delle onde della sua casa a Lecce.

Ed era proprio li che si voleva trovare in quel momento, sdraiato sulla sua amaca a godersi la sua solitudine come un amorevole padre di famiglia si godeva la presenza dei suoi figli.

La sua attenzione tornò al suo cellulare, che non aveva smesso di vibrare.
Aprì lo sportellino e pigiò il tasto verde senza neanche vedere il numero della persona che lo stava cercando.

-Pronto?- Disse soprappensiero il professore, si aspettava la voce di Albert o di Giovanna, i suoi amici che di solito lo chiamavano per organizzargli un appuntamento con una qualche donna, nella speranza che il loro amico trovasse finalmente un di stabilità nella sua vita, oltre la chimica. Ma quando sentì la voce sconosciuta di un uomo, così fredda da fargli sollevare persino i peli dietro la nuca.

-Parlo con il professor Roberto Saviola?- Chiese la voce dall’ altro capo del telefono, con un tono talmente inespressivo da risultare quasi robotica. Ma qualcosa di umano c’ era in quella voce, una forte autorità, un carisma così forte che era riuscito a farsi notare già in quelle sei parole.

-Certo con chi parlo?- Chiese il professore con viva curiosità, ma anche un punta di cautela nella voce, chissà come si era procurato il suo numero privato… lo avevano una trentina di persone sulla faccia della terra.

-Non importa ora… penso che le importerà più di quel uomo vestito di nero che le sta per posare la mano sulla sua spalla destra- Ora la voce dell’ uomo aveva assunto una sfumatura divertita. Roberto non credeva alle sue orecchie, ma lo stava prendendo in giro… dietro di lui non c’ era nessun uomo vestito di nero… si voltò, e sentì una mano posarsi sulla spalla destra.

Le opzioni erano due, quello che gli stava telefonando lo stava osservando in una qualche maniera, oppure era proprio l’ uomo alto, magro ma atletico, con i capelli lisci un poco lunghi quasi fino alle spalle che gli ricadevano con disordinate ciocche sulla fronte.

Aveva gli occhi neri, così neri che sembrava che la luce fuggisse dinanzi a loro, lasciandoli senza un minimo di colore.

Non riuscì più a parlare al telefono, tanto era lo stupore che lo aveva colto in quel momento, ma non separò il Nokia dal suo orecchio.

-Mi sembra stupito professore...- la voce in quel momento pareva più umana, quasi quella di un amico che non si sente per molto tempo e che finalmente ti sei deciso a chiamare.

E risultava anche parecchio divertita

-Non è in pericolo di vita, non vogliamo rapirla e non vogliamo farle alcun male… c’è solo una persona che desidera ardentemente vederla…- Lasciò in sospeso la frase, lasciando chiaramente intendere che quella persona non avrebbe accettato rifiuti.

-Cosa vuole da me?- Quelle furono le uniche parole che il professore riuscì a pronunciare, in maniera quasi automatica.

-Solo parlare…- E la comunicazione si interruppe.

Roberto chiuse lo sportellino del cellulare e lo rimise in tasca osservando poi, con aria stupita e anche molto spaventata l’ uomo dinanzi a lui.

-Mi segua professore- La voce gentile dell’ uomo era così melodiosa che quasi incantò Roberto. Sembrava sovrannaturale, esprimeva una forza ed una purezza ad ogni suono, calda e profonda.
Se fosse stato una donna non saprebbe bene cosa avrebbe fatto…

Per fortuna era un uomo e si limitò a seguire l’ individuo per il corridoio.

Grazie al cielo l’ Eleven Bulding aveva un’ efficiente sistema di ascensori per muoversi nei suoi 120 piani agevolmente, altrimenti sarebbero arrivato giù tra parecchio tempo e molto stanchi se decidevano di prendere le scale.

Il corridoio fece un giro a destra appena accentuato, segno che erano passati in un’ altro lato dell’ ottagono.

Dopo qualche secondo giunsero dinanzi all’ ascensore.

L’ uomo premette il pulsante ed attese, nonostante tutto ci voleva qualche minuto, nel peggiore dei casi, per dare il tempo alla cabina di raggiungere il piano chiamato.

Nel frattempo Roberto si specchiò nell’ acciaio lucido della porta sigillata che dava in quel momento sulla tromba dell’ ascensore, un tunnel lungo centinaia di metri scavato nel cemento.

I suoi capelli neri erano come sempre portati più o meno lunghi, un viso dalla carnagione tipicamente mediterranea e la barba di due giorni che gli copriva appena le guance.

Gli occhi verdi infine risaltavano benissimo su quel viso, facendoli apparire come i fanali di un’ auto nella notte.

Roberto Saviola era un chimico, aveva ventisette anni ed era il più giovane premio Nobel della storia.

Ricordava come se fosse ieri quando, laureato da poco meno di tre anni aveva scoperto altri tre elementi chimici, presenti in un campione di meteorite trovato in una miniera.

Aveva avuto l’ intuizione fin da subito, che quella non era una roccia normale, così si era dannato, giorno e notte, per cercare una risposta a gli strani effetti di quella roccia quando veniva sollecitata minimamente.

E così aveva scoperto il 113, 114, 115 elemento, da lui ribattezzati, Italio, Leonio e Angelio.

La cosa più spettacolare di quella scoperta fu che riuscì a catalogare tutto di quegli elementi e a creare un nuovo gruppo nella tavola periodica degli elementi, stravolgendola.

E per quello, nel 2006 era stato insignito del premio Nobel per la Chimica.

Ed ora portava, naturalmente, il peso di tale riconoscimento.

Tutti si aspettavano grandi cose dalla mente più promettente che circolava, invece lui non aveva più voglia di esserlo.

Ora l’ unica cosa che voleva era prendersi una lunga, ma lunga vacanza e iniziare ad insegnare.

Già… trasmettere i concetti che lui amava, trasmettere il suo amore per la scienza era una cosa a cui aveva sempre aspirato e il suo cammino verso quella meta era stato interrotto solo dalla scoperta che lo aveva reso di fama mondiale.

Si riscosse dai suoi pensieri quando sentì il campanello elettronico dell’ ascensore fare il suo solito e melodioso suono, per indicare che l’ ascensore era arrivato.

Senza una parola entrò stupendosi del fatto che era completamente vuoto.

Di solito in quegli ascensori c’ era così tanta gente che mancava persino l’ aria a volte.

Due erano le questioni, un improbabile colpo di fortuna oppure che quel vuoto nell’ ascensore l’ avessero voluto loro.

Per colpa di quei pensieri non si accorse che il suo accompagnatore aveva spinto il pulsante che gli avrebbe catapultati direttamente sul tetto.

Quando sentì il suo peso gravargli appena sulla pianta dei piedi che capì che qualcosa si stava muovendo come non doveva, o meglio, come credeva che si dovesse muovere.

-Dove stiamo andando?- Chiese Roberto guardando la nuca dell’ uomo dinanzi a lui che gli rispose con la sua voce gentile

-Sul tetto-

-Questo l’ ho capito anche io… - Roberto usò un tono tranquillo ed ironico in quella frase, che non seppe proprio da dove andò a prendere visto che tecnicamente era stato rapito…

Stava per continuare a parlare quando un’ occhiata dell’ uomo lo zittì.

Gli sembrò per un istante che le sue parole fossero un insulto personale per lui e per tutta la natura.

Quella occhiata riuscì a fargli abbassare lo sguardo, una cosa decisamente incredibile dato che in vita sua Roberto non aveva mai abbassato lo sguardo, neanche di fronte alle più eminenti menti scientifiche del mondo, quando gli avevano sbattuto tutte le leggi della fisica ed della chimica, dicendogli che la sua ricerca non avrebbe prodotto alcun risultato.

Ed invece lui gli aveva rivoltato tutte le leggi contro, smontandole una ad una, dimostrando che aveva ragione.

E tutto questo combattendo come un leone e senza mai abbassare lo sguardo. Eppure quel uomo che forse non aveva niente di speciale ci era riuscito… che aveva di speciale?

L’ ascensore si fermò e nuovamente, il campanello elettronico emise le sue solite due note, una più alta ed una più grave per indicare che la meta era stata raggiunta.

Uscirono entrambi dall’ ascensore e proseguirono dritti per qualche metro in un corridoio così modesto che quasi non sembrava essere parte dell’ edificio più imponente del mondo.

Roberto aveva capito tutto, e il rumore del moto di un’ elicottero non lo spaventò più di tanto, infondo, come avrebbero fatto ad andare via se non volando?

Quando uscirono all’ aperto, capì veramente a che altezza erano.

Si riusciva a vedere letteralmente tutta New York, in tutta la sua imponenza, maestosità e contemporaneamente in tutta la sua fragilità e la sua malvagità.

New York ti incantava, ti cullava, ti alzava su torni di cristallo e poi, quando meno te l’ aspetti, era capace di buttarti giù in un secondo.

-Salga.- Disse l’ uomo che l’ aveva accompagnato indicandogli il portellone aperto dell’ elicottero.

Si avvicinò e si mise una mano in testa, per impedire ai suoi già scarmigliati capelli di ribellarsi al loro precario ordine, visto il veno che muovevano le pale dell' elicottero.

Quando salì vide il pilota, un’ uomo, anche questo magro ed alto, aveva i capelli biondi, portati esattamente come l’ altro.

Solo che questo aveva dogli occhi di un’ azzurro così chiaro che sembravano due diamanti incastrati nei suoi occhi.

Aveva il volto di una bellezza disarmante, che Roberto, anche se era sessualmente tendente verso le donne, riusciva a riconoscere e ad ammirare.

Il pilota premette senza dire una parola un pulsante, poi prese tre paia di cuffie, ne porse due all' uomo che aveva l' aveva accompagnato fin ora.

-E' lui Michel?- Chiese il conducente infilandosi le cuffie, che erano munite di apposito microfono per permettere la loro comunicazione.

Nel frattempo il rumore del motore dell' elicottero era aumentato di intensità, e questo si era sollevato, inclinandosi appena in avanti.

-Si Gabriel- Disse solamente Michel porgendo a Roberto un paio di cuffie.

Lui si sbrigò ad indossarle visto che il rumore gli stava letteralmente spaccando il cervello.

Era stato altre volte in elicottero ma mai aveva avvertito un rumore così forte.

Poco dopo Gabriel, con esperienza e sicurezza armeggiò con alcuni comandi e decollò; l’ elicottero si alzò verticalmente e dopo iniziò a viaggiare verso avanti, inviandosi leggermente come era normale.

Andava troppo veloce, c’ era qualcosa che non quadrava.

Roberto rimase letteralmente spiaccicato contro il suo sedile per l’ accelerazione della partenza, poco dopo riuscì a rimettersi in piedi e non osò guardare dove stavano andando e soprattutto a che velocità stavano andando.

Ma per il professore non vi fu alcun bisogno di interrogarsi oltre anzi, non ne ebbe proprio la possibilità visto che crollò poco dopo, come investito da un potente sonnifero.

Gabriel sorrise e premette un pulsante sul quadrante.

Un lampo di luce e l’ elicottero non era più li.

Erano le 20.44

Gerusalemme, Venerdì 6 aprile 2007 Ore 20.48

Un lampo di luce abbagliante corrispose con il risveglio di Roberto.

-Cosa è successo?- Chiese portandosi una mano alla tempia. Nessun dolore, niente di niente, non era stato drogato, colpito o cosa… era come se nella sua vita ci fosse stato un Black-Out

-Siamo arrivati Professor Saviola- Disse Michel con tono gentile

-Dove siamo?- Chiese con viva e preoccupata curiosità il professore. Che ore erano? Quando si trovava sull’ elicottero erano circa le nove meno venti.

-Penso che lo capirà guardando fuori- Disse Michel indicando il finestrino. Si potevano vedere le luci di una città viva, anche piuttosto grande, ma non al livello delle grandi metropoli.

Roberto guardò fuori e per poco non svenì, tanta era la sorpresa che gli provocava la vista.

Riconobbe all’ istante quella città, ma era quasi agli antipodi di dove si trovava… Roberto guardò il suo orologio da polso.

Quattro minuti fa?

Come erano arrivati in quatto minuti a Gerusalemme?

-C… cosa? Siamo a Gerusalemme?- Roberto era teso, molto teso a dire la verità. Che diavolo di incubo era quello? Chiuse gli occhi mordendosi un labbro, magari era solo un sogno, un incubo.

Si sarebbe risvegliato sul suo letto dell’ albergo a cinque stelle di New York, interrogandosi sul perché mai era ancora li.

Proprio come stava facendo poco prima di uscire, andare alla conferenza ed essere rapito da questi due uomini ed essere catapultato in quattro minuti dall’altra parte del globo.

Tuttavia non gli arrivò nessuna risposta da parte dei due, che erano molto assorti. Roberto non osò disturbali, perché era anche sicuro che una loro risposta non avrebbe di certo cambiato l’ illogicità della cosa.

L’ elicottero si fermò a mezz’ aria, iniziando la consueta discesa verticale che valeva a dire atterraggio.

Atterraggio furi dalla città, in una zona completamente buia.

Il cuore del professore ebbe un sussulto e si alzò, tenendosi contro la parete dell’ elicottero per non rovinare a terra.

Sentì l’ elicottero battere a terra in maniera vellutata ed i portelloni si aprirono da soli.

Timidamente Roberto guardò fuori.

Buio, solo bui dinanzi a lui.

Sospirò girandosi verso i due conducenti.

Erano spariti.

Spalancò gli occhi, mentre puntava le iridi smeraldine dove poco prima c’ erano i due uomini.

-Michel…? Gabriel…?- Chiamò, andando lentamente e con molta prudenza verso la cabina di pilotaggio.

Se erano scomparsi poteva esserci qualcuno…

Ma non vi era nessuno, almeno, era questo che notò quando arrivò dove poco prima sedeva Gabriel.

Niente di niente.

-Roberto…-

Il professore si voltò.

Ora anche il cervello gli faceva brutti scherzi.

Aveva appena sentito una voce che l’ aveva chiamato… che buffo.

-Roberto…-

Di nuovo quella voce.

Era poco più di un sussurrò, ma l’ uomo la poteva sentire forte e chiara.

Ed aveva anche qualcosa di vagamente familiare.

Si morse forte un labbro.

Quella sensazione gli provocò una forte stretta allo stomaco, e decise di seguire quella voce.

Gli ricordava troppo lei.

Ma che diceva… lei era morta, l’ avevano visto tutti… era morta dinanzi ai suoi occhi…

Scosse la testa mentre la voce chiamava il suo nome per la terza volta.

-Roberto…-

L’ unico suono che sentiva, quando la voce era muta, era il battito accelerato del suo cuore.

Si catapultò fuori dall’ elicottero, l’ aria si era fatta improvvisamente pesante, non riusciva più a stare in quel posto.

Corse via, guardandosi le spalle ma vedendo solo nero.

Dov’ era? Gerusalemme non era così nera.

Il cielo non era privo di luna e stelle…

La terra, fatta di pietre fino a quel momento divenne morbida e sentì lo scricchiolio di fogli e rami secchi che si rompevano al suo passaggio.

Poi andò a sbattere contro un albero.

Cadde all’ indietro, allungando la mano per istinto per afferrare qualcosa e si ritrovò il palmo della mano contro il tronco di un’ altro albero.

Era in una foresta.

Anticipazioni

-Cosa significa tutto ciò?-

-Che devi compiere questo viaggio Roberto, volente o nolente…-

  
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