The Divine Comedy
°
Molti avvenimenti e luoghi descritti nella fanfiction
sono completamente casuali, ogni riferimento a persone
o fatti realmente accaduti è puramente casuale °
Nel mezzo del cammin di nostra
vita
mi
ritrovai per una selva oscura
chè la retta via era smarrita [...]
(Inf. Canto I)
Gerusalemme notte del 7-8 Aprile 1300
Ma
dove sono finito?
Perché non ho dato ascolto a quel vecchio dalla pelle
scura e i capelli d’ argento?
Giuro, non ho mai visto nulla del genere…
Morirò ne sono certo…
Aspetta ma cos’è quella?
E’… il sole! Sono alla fine…
1
New York, Venerdì 6 aprile 2007 Ore 19.30
Il professor Roberto Saviola stava camminando per uno dei tanti corridoi del
nuovissimo palazzo dei congressi di New York,
inaugurato qualche settimana prima.
Il professore non ricordava
mai tante polemiche fatte per costruire qualcosa… costruirlo proprio sul Grand Zero era stato un’ insulto
alla memoria di tutti i morti di quel tragico giorno per alcuni, per altri era
semplicemente il simbolo della voglia di andare avanti senza dimenticare il passato;
costruire sulle fondamenta di ciò che era stato ciò che sarà, senza dimenticare
quello che era successo in quel luogo.
Roberto arrivò alla meta
tanto ambita, il simbolo dell’ Eleven
Bulding, nome simbolico dato all’ enorme palazzo
dalla forma ottagonale che si alza per centoventi piani dove un tempo sorgevano
le Twin Towers.
Ora si trovava dinanzi ad un’ atrio enorme, che dava sul vuoto, separato da una caduta
tanto brutta quanto letale solo dalla ringhiera di acciaio e dal una lastra
lunga un metro di vetro superresistente che partiva dalla parte superiore dalla
ringhiera verso l’ esterno, per impedire a qualsiasi persona che avesse la
felice idea di buttarsi o meno di farlo.
Era al sessantaquattresimo
piano e quando guardò giù si sentì mancare la terra sotto i piedi, benché non
soffrisse di vertigini.
Sotto, molti metri più in
basso c’ erano due sculture in marmo, purissimo e
bianchissimo.
Raffiguravano le due torri,
scolpite, altre quattro metri l’ una, tenendo le
proporzioni reali.
Il primo e il secondo piano
non avevano finestre che davano sull’ atrio perché le
pareti erano stati ricoperte di marmo ed incisi i nomi delle 2817 vittime di
quel tragico giorno.
Sospirò posando a terra la sua ventiquattro ore pensando che almeno a Pasqua di
poteva concedere un po’ di riposo.
Il telefono vibrò nella sua
tasca, per gli studiosi la Pasqua non era niente… e
purtroppo lui era uno di loro, uno studioso; ma c’era una sostanziale
differenza tra lui e gli altri studiosi: loro erano persone che si dedicavano
ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette al loro lavoro, senza pensare
a loro stessi e al mondo che li circondava… lui invece, anche se non era
credente, c’ era un giorno in cui staccava la spina e si lasciava cullare dal
rumore delle onde della sua casa a Lecce.
Ed era proprio li che si voleva trovare in quel momento, sdraiato sulla sua
amaca a godersi la sua solitudine come un amorevole padre di famiglia si godeva
la presenza dei suoi figli.
La sua attenzione tornò al suo cellulare, che non aveva smesso di vibrare.
Aprì lo sportellino e pigiò il tasto verde senza neanche vedere il numero della
persona che lo stava cercando.
-Pronto?- Disse
soprappensiero il professore, si aspettava la voce di Albert o di Giovanna, i suoi amici che di solito lo
chiamavano per organizzargli un appuntamento con una qualche donna, nella
speranza che il loro amico trovasse finalmente un pò
di stabilità nella sua vita, oltre la chimica.
Ma quando sentì la voce sconosciuta di un uomo,
così fredda da fargli sollevare persino i peli dietro la nuca.
-Parlo con il professor
Roberto Saviola?- Chiese la voce dall’
altro capo del telefono, con un tono talmente inespressivo da risultare
quasi robotica. Ma qualcosa di umano c’ era in quella
voce, una forte autorità, un carisma così forte che era riuscito a farsi notare
già in quelle sei parole.
-Certo con chi parlo?- Chiese il professore con viva curiosità, ma anche un
punta di cautela nella voce, chissà come si era procurato il suo numero
privato… lo avevano una trentina di persone sulla faccia della terra.
-Non importa ora… penso che
le importerà più di quel uomo vestito di nero che le
sta per posare la mano sulla sua spalla destra- Ora la voce dell’ uomo aveva
assunto una sfumatura divertita. Roberto non credeva alle sue orecchie, ma lo
stava prendendo in giro… dietro di lui non c’ era nessun uomo vestito di nero…
si voltò, e sentì una mano posarsi sulla spalla destra.
Le opzioni
erano due, quello che gli stava telefonando lo stava osservando in una qualche
maniera, oppure era proprio l’ uomo alto, magro ma atletico, con i capelli
lisci un poco lunghi quasi fino alle spalle che gli ricadevano con disordinate
ciocche sulla fronte.
Aveva gli occhi neri, così neri che sembrava che la luce fuggisse dinanzi a loro,
lasciandoli senza un minimo di colore.
Non riuscì più a parlare al
telefono, tanto era lo stupore che lo aveva colto in quel momento, ma non
separò il Nokia dal suo orecchio.
-Mi sembra stupito
professore...- la voce in quel momento pareva più
umana, quasi quella di un amico che non si sente per molto tempo e che
finalmente ti sei deciso a chiamare.
E risultava
anche parecchio divertita
-Non è in pericolo di vita,
non vogliamo rapirla e non vogliamo farle alcun male…
c’è solo una persona che desidera ardentemente vederla…- Lasciò in sospeso la
frase, lasciando chiaramente intendere che quella persona non avrebbe accettato
rifiuti.
-Cosa vuole da me?- Quelle furono le uniche parole che il professore riuscì a
pronunciare, in maniera quasi automatica.
-Solo parlare…- E la
comunicazione si interruppe.
Roberto chiuse lo
sportellino del cellulare e lo rimise in tasca osservando poi, con aria stupita
e anche molto spaventata l’ uomo dinanzi a lui.
-Mi segua professore- La
voce gentile dell’ uomo era così melodiosa che quasi
incantò Roberto. Sembrava sovrannaturale, esprimeva
una forza ed una purezza ad ogni suono, calda e profonda.
Se fosse stato una donna non saprebbe bene cosa
avrebbe fatto…
Per fortuna era un uomo e si
limitò a seguire l’ individuo per il corridoio.
Grazie al cielo l’ Eleven Bulding
aveva un’ efficiente sistema di ascensori per muoversi nei suoi 120 piani
agevolmente, altrimenti sarebbero arrivato giù tra parecchio tempo e molto
stanchi se decidevano di prendere le scale.
Il corridoio fece un giro a
destra appena accentuato, segno che erano passati in
un’ altro lato dell’ ottagono.
Dopo qualche secondo giunsero dinanzi all’ ascensore.
L’ uomo premette il pulsante
ed attese, nonostante tutto ci voleva qualche minuto, nel peggiore dei casi,
per dare il tempo alla cabina di raggiungere il piano chiamato.
Nel frattempo Roberto si
specchiò nell’ acciaio lucido della porta sigillata
che dava in quel momento sulla tromba dell’ ascensore, un tunnel lungo
centinaia di metri scavato nel cemento.
I suoi capelli neri erano
come sempre portati più o meno lunghi, un viso dalla
carnagione tipicamente mediterranea e la barba di due giorni che gli copriva
appena le guance.
Gli occhi verdi infine
risaltavano benissimo su quel viso, facendoli apparire come i fanali di un’ auto nella notte.
Roberto Saviola
era un chimico, aveva ventisette anni ed era il più giovane premio Nobel della
storia.
Ricordava come se fosse ieri quando, laureato da poco meno di tre anni aveva
scoperto altri tre elementi chimici, presenti in un campione di meteorite
trovato in una miniera.
Aveva avuto l’ intuizione fin da subito, che quella non era una roccia
normale, così si era dannato, giorno e notte, per cercare una risposta a gli
strani effetti di quella roccia quando veniva sollecitata minimamente.
E così aveva scoperto il
113, 114, 115 elemento, da lui ribattezzati, Italio,
Leonio e Angelio.
La cosa più spettacolare di quella scoperta fu che riuscì a catalogare tutto di
quegli elementi e a creare un nuovo gruppo nella tavola periodica degli
elementi, stravolgendola.
E per quello, nel 2006 era stato insignito del premio
Nobel per la Chimica.
Ed ora portava, naturalmente, il peso di tale
riconoscimento.
Tutti si aspettavano grandi
cose dalla mente più promettente che circolava, invece lui non aveva più voglia
di esserlo.
Ora l’ unica
cosa che voleva era prendersi una lunga, ma lunga vacanza e iniziare ad
insegnare.
Già… trasmettere i concetti
che lui amava, trasmettere il suo amore per la scienza
era una cosa a cui aveva sempre aspirato e il suo cammino verso quella meta era
stato interrotto solo dalla scoperta che lo aveva reso di fama mondiale.
Si riscosse dai suoi pensieri quando sentì il campanello elettronico dell’
ascensore fare il suo solito e melodioso suono, per indicare che l’ ascensore
era arrivato.
Senza una parola entrò
stupendosi del fatto che era completamente vuoto.
Di solito in quegli
ascensori c’ era così tanta gente che mancava persino l’ aria
a volte.
Due erano le questioni, un
improbabile colpo di fortuna oppure che quel vuoto nell’ ascensore
l’ avessero voluto loro.
Per colpa di quei pensieri
non si accorse che il suo accompagnatore aveva spinto il pulsante che gli
avrebbe catapultati direttamente sul tetto.
Quando sentì il suo peso gravargli appena sulla pianta dei
piedi che capì che qualcosa si stava muovendo come non doveva, o meglio, come
credeva che si dovesse muovere.
-Dove stiamo andando?-
Chiese Roberto guardando la nuca dell’ uomo dinanzi a
lui che gli rispose con la sua voce gentile
-Sul tetto-
-Questo l’ ho capito anche io… - Roberto usò un tono tranquillo ed
ironico in quella frase, che non seppe proprio da dove andò a prendere visto
che tecnicamente era stato rapito…
Stava per continuare a parlare quando un’ occhiata dell’ uomo lo zittì.
Gli sembrò per un istante
che le sue parole fossero un insulto personale per lui
e per tutta la natura.
Quella occhiata riuscì a fargli abbassare lo sguardo, una cosa
decisamente incredibile dato che in vita sua Roberto non aveva mai abbassato lo
sguardo, neanche di fronte alle più eminenti menti scientifiche del mondo,
quando gli avevano sbattuto tutte le leggi della fisica ed della chimica,
dicendogli che la sua ricerca non avrebbe prodotto alcun risultato.
Ed invece lui gli aveva rivoltato tutte le leggi contro,
smontandole una ad una, dimostrando che aveva ragione.
E tutto
questo combattendo come un leone e senza mai abbassare lo sguardo. Eppure quel uomo che forse non
aveva niente di speciale ci era riuscito… che aveva di speciale?
L’ ascensore si fermò e
nuovamente, il campanello elettronico emise le sue solite due note, una più
alta ed una più grave per indicare che la meta era
stata raggiunta.
Uscirono entrambi dall’ ascensore e proseguirono dritti per qualche metro in
un corridoio così modesto che quasi non sembrava essere parte dell’ edificio
più imponente del mondo.
Roberto aveva capito tutto,
e il rumore del moto di un’ elicottero non lo spaventò
più di tanto, infondo, come avrebbero fatto ad andare via se non volando?
Quando uscirono all’ aperto, capì veramente a che altezza erano.
Si riusciva a vedere
letteralmente tutta New York, in tutta la sua
imponenza, maestosità e contemporaneamente in tutta la sua fragilità e la sua
malvagità.
New York ti
incantava, ti cullava, ti alzava su torni di cristallo e poi, quando
meno te l’ aspetti, era capace di buttarti giù in un secondo.
-Salga.- Disse l’ uomo che l’ aveva accompagnato indicandogli il portellone
aperto dell’ elicottero.
Si avvicinò e si mise una
mano in testa, per impedire ai suoi già scarmigliati capelli di ribellarsi al
loro precario ordine, visto il veno che muovevano le
pale dell' elicottero.
Quando salì vide il pilota, un’ uomo, anche questo magro ed alto, aveva i capelli
biondi, portati esattamente come l’ altro.
Solo che questo aveva dogli
occhi di un’ azzurro così chiaro che sembravano due
diamanti incastrati nei suoi occhi.
Aveva il volto di una
bellezza disarmante, che Roberto, anche se era sessualmente tendente verso le donne,
riusciva a riconoscere e ad ammirare.
Il pilota premette senza dire
una parola un pulsante, poi prese tre paia di cuffie, ne porse due all' uomo che aveva l' aveva accompagnato fin ora.
-E' lui Michel?- Chiese il
conducente infilandosi le cuffie, che erano munite di apposito
microfono per permettere la loro comunicazione.
Nel frattempo il rumore del
motore dell' elicottero era aumentato di intensità, e
questo si era sollevato, inclinandosi appena in avanti.
-Si Gabriel-
Disse solamente Michel porgendo a Roberto un paio di
cuffie.
Lui si sbrigò ad indossarle
visto che il rumore gli stava letteralmente spaccando il cervello.
Era stato altre volte in elicottero ma mai aveva avvertito un rumore così forte.
Poco dopo Gabriel, con
esperienza e sicurezza armeggiò con alcuni comandi e decollò; l’ elicottero si alzò verticalmente e dopo iniziò a
viaggiare verso avanti, inviandosi leggermente come era normale.
Andava troppo veloce, c’ era
qualcosa che non quadrava.
Roberto rimase letteralmente
spiaccicato contro il suo sedile per l’ accelerazione
della partenza, poco dopo riuscì a rimettersi in piedi e non osò guardare dove
stavano andando e soprattutto a che velocità stavano andando.
Ma per il professore non vi
fu alcun bisogno di interrogarsi oltre anzi, non ne
ebbe proprio la possibilità visto che crollò poco dopo, come investito da un
potente sonnifero.
Gabriel sorrise e premette
un pulsante sul quadrante.
Un lampo di luce e l’ elicottero non era più li.
Erano le 20.44
Gerusalemme, Venerdì 6
aprile 2007 Ore 20.48
Un lampo di luce abbagliante
corrispose con il risveglio di Roberto.
-Cosa è successo?-
Chiese portandosi una mano alla tempia. Nessun dolore, niente di niente, non
era stato drogato, colpito o cosa… era come se nella sua vita ci fosse stato un
Black-Out
-Siamo arrivati Professor Saviola- Disse Michel con tono gentile
-Dove
siamo?- Chiese con viva e preoccupata curiosità il professore. Che ore erano? Quando si
trovava sull’ elicottero erano circa le nove meno
venti.
-Penso che lo capirà
guardando fuori- Disse Michel
indicando il finestrino. Si potevano vedere le luci di una città viva, anche
piuttosto grande, ma non al livello delle grandi
metropoli.
Roberto guardò fuori e per
poco non svenì, tanta era la sorpresa che gli
provocava la vista.
Riconobbe all’
istante quella città, ma era quasi agli antipodi di dove si trovava…
Roberto guardò il suo orologio da polso.
Quattro minuti fa?
Come erano arrivati in quatto
minuti a Gerusalemme?
-C… cosa? Siamo a
Gerusalemme?- Roberto era teso, molto teso a dire la
verità. Che diavolo di incubo era quello? Chiuse gli occhi mordendosi un labbro, magari era solo un
sogno, un incubo.
Si sarebbe risvegliato sul
suo letto dell’ albergo a cinque stelle di New York,
interrogandosi sul perché mai era ancora li.
Proprio come stava facendo
poco prima di uscire, andare alla conferenza ed essere rapito da questi due
uomini ed essere catapultato in quattro minuti dall’altra parte del globo.
Tuttavia non gli arrivò nessuna risposta da parte dei due, che
erano molto assorti. Roberto non osò disturbali, perché era anche sicuro che
una loro risposta non avrebbe di certo cambiato l’ illogicità
della cosa.
L’ elicottero si fermò a
mezz’ aria, iniziando la consueta discesa verticale che valeva a dire atterraggio.
Atterraggio furi dalla città, in una zona completamente buia.
Il cuore del professore ebbe
un sussulto e si alzò, tenendosi contro la parete dell’ elicottero per
non rovinare a terra.
Sentì l’ elicottero
battere a terra in maniera vellutata ed i portelloni si aprirono da soli.
Timidamente Roberto guardò
fuori.
Buio,
solo bui dinanzi a lui.
Sospirò girandosi verso i
due conducenti.
Erano spariti.
Spalancò gli occhi, mentre
puntava le iridi smeraldine dove poco prima c’ erano i due uomini.
-Michel…? Gabriel…?- Chiamò, andando lentamente e con molta
prudenza verso la cabina di pilotaggio.
Se erano scomparsi poteva esserci qualcuno…
Ma non vi era nessuno,
almeno, era questo che notò quando arrivò dove poco
prima sedeva Gabriel.
Niente di niente.
-Roberto…-
Il professore si voltò.
Ora anche il cervello gli faceva brutti scherzi.
Aveva appena sentito una
voce che l’ aveva chiamato… che buffo.
-Roberto…-
Di nuovo
quella voce.
Era poco più di un sussurrò, ma l’ uomo la poteva sentire forte e chiara.
Ed aveva anche qualcosa di vagamente familiare.
Si morse forte un labbro.
Quella sensazione gli
provocò una forte stretta allo stomaco, e decise di
seguire quella voce.
Gli ricordava troppo lei.
Ma che diceva… lei era morta, l’ avevano visto tutti… era
morta dinanzi ai suoi occhi…
Scosse la testa
mentre la voce chiamava il suo nome per la terza volta.
-Roberto…-
L’ unico suono che sentiva,
quando la voce era muta, era il battito accelerato del suo cuore.
Si catapultò fuori dall’ elicottero, l’ aria si era fatta improvvisamente
pesante, non riusciva più a stare in quel posto.
Corse via, guardandosi le spalle
ma vedendo solo nero.
Dov’ era? Gerusalemme non era così nera.
Il cielo non era privo di
luna e stelle…
La terra, fatta di pietre
fino a quel momento divenne morbida e sentì lo scricchiolio di fogli e rami
secchi che si rompevano al suo passaggio.
Poi andò a sbattere contro
un albero.
Cadde all’
indietro, allungando la mano per istinto per afferrare qualcosa e si
ritrovò il palmo della mano contro il tronco di un’ altro albero.
Era in una foresta.
Anticipazioni
-Cosa significa tutto ciò?-
-Che devi compiere questo
viaggio Roberto, volente o nolente…-