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Autore: mamie    07/06/2012    4 recensioni
Alexander e Tsukiko, dopo la fine del romanzo, pranzano in un piccolo ristorante giapponese a Parigi. Tsukiko ricorda il suo grande amore fra l'ironia e le battute pungenti del suo "maestro" e sembra quasi rassegnata al suo destino... quasi.
[Terza classificata al contest: "Scegliete il vostro Japan Menu" di Airo-pearl].
Genere: Drammatico, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Fanfiction in cucina!'
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Nota: terza classificata al contest "Scegliete il vostro Japan Menù di Airo-pearl" http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10180242
con il seguente menu:

Sunomono: Raiting “Verde”
Tsukimi Udon: Genere  “Horror”.
Katsuo no tataki: Avvertimento "FemSlash"
Budino di sesamo: Lunghezza "TenThousand-word"


 MENÙ GIAPPONESE
 

1. Tsukimi udon
 
La ciotola è una ceramica raku nera. Fa un bel contrasto col bianco candido degli udon e col caldo e sferico rosso del tuorlo che galleggia in superficie. Lo tsukimi udon è stato servito come deve essere, caldissimo, e Tsukiko ne avverte la lieve fragranza vaporosa, eppure non allunga la mano diafana, dalle unghie laccate di nero, verso gli hashi allineati con precisione.
Sebbene le sue splendide sopracciglia a falce di luna non siano per nulla aggrottate e la sua bocca (assolutamente piccola, assolutamente rossa) mostri un lieve sorriso, il fondo dei suoi occhi è una nuvola temporalesca in cui nuotano fulmini.
- Che cosa volete ancora da me, maestro? – chiede calcando pesantemente sull’ultima parola.
Il suo commensale non sembra più intenzionato di lei ad iniziare la cena.
- Riesci ad odiarmi ancora così tanto, Tsukiko? Dopo tutti questi anni? – dice con un sospiro che potrebbe anche essere paterno se non fosse per il lieve tono divertito con cui la frase viene pronunciata.
Nessuno, nel locale gremito, guarda quell’insolita coppia: lui impeccabilmente vestito di grigio, dalla fisionomia piacevole ed elegante sebbene, in qualche modo, insignificante; lei fasciata in un abito di un rosso ardente che le scopre ghirigori di simboli misteriosi arricciati sulle sue spalle fino a perdersi sulla nuca nel nero della chioma. Eppure nessuno la guarda, sono tutti impegnati a fare qualcos’altro: commentare il cibo insolito, sorbire il delicato tè al gelsomino, chiacchierare. Se qualcuno alza distrattamente gli occhi su di loro passa subito oltre, dimenticandosi di quello che voleva dire, ridacchiando, chiedendo scusa per la distrazione.
Il signore in grigio sorride. L’atmosfera piacevole di quel ristorante giapponese lo rilassa gradevolmente. Prende i bastoncini e comincia a mangiare con destrezza, sorbendo i tagliolini con lunghi e calcolati risucchi.
Tsukiko continua a guardarlo con quegli occhi pieni di tempesta.
- Ti diverti ancora, al circo? – chiede lui con noncuranza.
 
Sulla pedana nera, il costume a spirali bianche e argentate di Tsukiko sembra avvolgersi attorno al suo corpo come un serpente danzante. I capelli acconciati in complicate trecce sfiorano i talloni, le braccia si piegano in angoli impossibili, una gamba si alza fino a svettare come l’ago di un minareto e poi si riabbassa per annodarsi all’altra. La gente attorno trattiene il fiato, affascinata e insieme orripilata dallo spettacolo. Con un ultimo gesto Tsukiko si ripiega su se stessa e in uno sbuffo di fumo scompare in mezzo agli “ooooh” della folla. Il circo ora è la sua vita. Un luogo a cui appartenere senza appartenere a nessun luogo, perché lei non appartiene più a nulla… a nessuno.
 

2. Sunomono
 
Il sunomono ha un sapore asprigno e fresco, adatto alla stagione che sta diventando calda in quella Parigi primaverile che sembra dipinta da Monet.
L’uomo in grigio sorseggia compito il suo tè guardando la sua dama con un lieve sorriso venato di ironia.
- Non voglio nulla da te Tsukiko. Ho vinto ancora io.
La donna sbuffa appena.
- Quella non la chiamerei una vittoria – risponde. – A quanto pare i contendenti hanno deciso di tirarsi fuori dal gioco… e lo hanno fatto anche in modo piuttosto elegante.
- Oh, andiamo! – replica l’altro con una leggera nota risentita nella voce. – Un volgare trucco.
Tsukiko non risponde, si accorge di essere leggermente disgustata. No, non è più odio quello che prova. Da tanto tempo ormai… più che altro è disgusto.
 
Il maestro ha intinto il pennello nell’inchiostro luccicante. Esita un attimo e poi le traccia un segno deciso sulla spalla in un unico gesto fluido.
Acqua.
Potere sull’acqua. La senti, Tsukiko, scorrere nelle vene della terra come il sangue nel tuo corpo? La senti trasformarsi in nuvole come il tuo fiato che sgorga deciso dalle labbra? La senti cadere in gocce pesanti come il tuo sudore? Acqua Tsukiko. L’acqua è tutto. L’acqua è la vita. Se hai il potere dell’acqua hai il potere della vita.
Tsukiko si beve le sue parole.
Quell’uomo la istruisce, la affascina, la seduce, la blandisce, la rende forte per la sfida che dovrà affrontare. Un gioco, sì? Un gioco di magia.
Nessuno le dice quanto quel gioco è crudele.
 

 3. Katsuo no tataki
 
Il katsuo no tataki è un piatto difficile perché richiede una padronanza perfetta dell’acqua e del fuoco. Troppo fuoco e diventa stopposo, troppa acqua e rimane crudo. Tsukiko guarda con interesse il delicato colore rosa dei bordi che si inspessisce in un cupo sanguigno verso il centro. Acqua e fuoco. Fuoco e acqua. Così diversi. Così necessari l’uno all’altra.
 
La prima volta che la vede, quasi si mette a ridere. Una bambina, praticamente. Prima scorge il lampo dei dentini candidi, poi il luccicare malizioso degli occhi. Smette di trovarla divertente quando capisce quello che riesce a fare col fuoco. Modella le fiamme come se fossero creta, le colora delle più delicate sfumature di luce, le fa viaggiare come uccellini dal canto soave, poi esplodono in fuochi d’artificio che rendono fragorosa la notte.
Hinata.
La sua risata è come un trillare di campanelli d’argento.
Le sue guance profumano di zenzero e panna.
I suoi capelli sono come una notte luccicante di stelle.
Tsukiko è perduta. Perduta per sempre.
 

 4. Budino di sesamo
 
Il budino di sesamo invece è servito in una porcellana tradizionale bianca e blu e guarnito di marmellata di azuki. L’uomo in grigio fa un smorfia nell’assaggiarlo.
- Non mi abituerò mai… - mormora. – È sempre troppo dolce.
Tsukiko lo guarda ancora imperturbabile, sempre con quel lievissimo sorriso nell’angolo della boccuccia scarlatta, gli occhi che non ridono, neri come il buio di una stanza sempre chiusa.
Quando ha finito, l’uomo in grigio si tampona delicatamente le labbra e si strofina le dita con la salvietta umida e profumata di rose.
- Ma tu non hai mangiato nulla, mia cara – le dice.
- Non importa – sospira Tsukiko.  – Non ho fame, maestro.
- Una passeggiata allora? Che ne dici di ammirare Parigi dall’alto?
La donna annuisce appena col capo. Lascia che sia lui a posarle sulle spalle la mantella nera che le copre gli inquietanti disegni.
Fuori dal ristorantino l’aria è luminosa e leggera come solo sa essere a Parigi in primavera.  La Tour Eiffel è proprio lì vicino. Da sotto sembra un enorme insetto di ferro arrugginito, una mantide che inarca il collo per divorare la sua preda. Il manovratore fa salire la cabina dolcemente e senza scossoni. Sotto di loro comincia a distendersi la grande città che sembra non finire mai, chiara nell’aria trasparente e improvvisamente silenziosa.
Quando l’uomo esce dall’ascensore barcolla un poco. Lei lo sostiene brevemente, con la mano guantata di nero.
- Credo di soffrire un po’ l’altezza – mormora l’uomo ora leggermente stupito. – Non si direbbe che il pranzo fosse…
Si ferma, allarmato, quando vede che alla donna ora ridono anche gli occhi, ma è una risata violenta, cattiva.
Ora l’uomo respira pesantemente ed è costretto ad aggrapparsi al parapetto per tenersi in piedi. Intorno, i turisti che curiosi lanciano gridolini riconoscendo questo o quel monumento dall’alto, sembrano non accorgersi di nulla, proprio come al ristorante.
- Sei stata tu!
Non è una domanda. E’ un’accusa, veemente, disperata.
- Cosa hai messo nei piatti? Dimmelo!
 
 
Tsukiko lo guarda di nuovo con quel sorriso luccicante tra le ciglia.
- Se tu, maestro – comincia a dire a voce bassa – avessi amato qualcuno, qualcosa… mi sarei divertita a portartela via. Ma tu non hai mai amato nessuno. Non sai cosa vuol dire vedere la persona che ami gettarsi nel fuoco davanti ai tuoi occhi e finire in cenere. Non lo sai.
L’uomo in grigio sembra boccheggiare a corto d’aria.
- Cosa mi… hai fatto?
- No, tu non ami altri che te stesso, la tua magia è solo un trucco per tenerti insieme, perché senza non saresti niente.
L’uomo alza una mano. Cerca disperatamente nella memoria una formula adatta, un antidoto, anche solo una scusa…
- E visto che ami solo te stesso, sarà questo che avrò il piacere di portarti via. Ti ricordi la storia di Merlino? Tu mi hai insegnato troppo bene.
Tsukiko sorride ancora. Vuole che quel sorriso sia l’ultima cosa che il mago possa ricordare. Poi fa un passo indietro e scompare nella luce. Al suo posto, un muro di fiamme circonda l’uomo in grigio. Tra le fiamme, volti ghignanti: Hinata con la faccia distorta dal fuoco, Marco che lo guarda con disprezzo, la faccia di Celia bambina con gli occhi spalancati dal terrore, innumerevoli altri incubi che pensava di aver dimenticato, superato, allontanato. In mezzo gli occhi taglienti di Tsukiko che ora ridono, ridono di lui. L’uomo comincia ad urlare, ma nessuno sembra sentirlo. Nessuno, finché il corpo disarticolato non si schianta come un sacco di patate proprio vicino all’ingresso della torre. Allora si alzano grida di spavento e di orrore e arrivano ambulanze e gendarmi. Un sacco di gente fa ressa, disgustata e affascinata insieme. Tsukiko, con calma, si allontana.
 
 
5. Sakura mochi
 
Il parco Maruyama di Kioto è gremito di gente che fa allegri picnic ammirando la fioritura dei ciliegi. I petali bianchi cadono continuamente spolverando ogni cosa di una leggera neve profumata. Tsukiko cammina lentamente, senza guardarsi intorno. In mano ha una scatola bianca che contiene un piccolo sakura mochi, uno solo, rosa e avvolto nella sua foglia di ciliegio verde chiaro.
C’è un ciliegio molto vecchio, in un angolo del parco. È un po’ in disparte dagli altri e ormai fiorisce poco, ma è lì che si ferma Tsukiko pensierosa.
- Hinata – mormora.
 
- Io non voglio vincere questa sfida, lo capisci? Non voglio! – la sua voce piccola e leggera che ora ha una nota stridente di paura.
- Nemmeno io! Andiamo via di qui, andiamocene lontano, dove non potranno trovarci…
- È inutile! Ci troveranno sempre, non abbiamo nessun posto dove andare. Io non voglio vincere, Tsukiko… io ti amo…
Tsukiko la abbraccia forte.
- Ti amo anch’io. Non devi aver paura. Starò sempre con te… sempre.
 
Hinata con i fiori tra i capelli e il kimono rosso della festa. Hinata che fa lampeggiare i suoi dentini bianchi mentre li affonda nel dolcetto a forma di fiore. Hinata che sorride tra le lacrime e guarda il ciliegio fiorito…  che alza le piccole mani bianche e scompare in una colonna di fuoco.
 
Tsukiko appoggia il piccolo dolce ai piedi del ciliegio.
- Ora… posso venire con te? – chiede… ma sa già la risposta. Le pare quasi di sentirla ridere ancora, con quel tintinnio di campanelli d’argento.
Il Circo ha bisogno di te.
Un petalo volteggiante le sfiora una guancia prima di cadere, quasi una carezza. Tsukiko si accorge solo allora di avere il volto bagnato di lacrime.

 
  
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