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Autore: Aya88    08/06/2012    4 recensioni
Una nuova routine quotidiana e una febbre provvidenziale porteranno il professore Kakashi Hatake a prendere una decisione importante.
Paring KakashiTenzo
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Yamato | Coppie: Tenzo/Yamato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
- Questa storia fa parte della serie 'Maybe'
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Al tuo fianco
Questa fanfiction ha partecipato al primo girone del contest 'The Hunger Games' indetto da Cosmopolitan00.


Nick:
Aya88
Titolo della storia: Al tuo fianco
Personaggio scelto: Kakashi
Rating: Verde
Genere: Generale, Romantico, Introspettivo
Avvertimenti: One-shot, Au, Shonnen-ai
Trama: Una nuova routine quotidiana e una febbre provvidenziale porteranno il professore Kakashi Hatake a prendere una decisione importante. 
Note dell’autore [facoltative]: Buona dose di turbe psicologiche e fluff, attenzione ^^’



 
La sveglia era suonata da un buon quarto d’ora, ma la voglia di alzarsi tardava a fargli visita, al punto da rendere la luce solare che filtrava attraverso la persiana solo un incentivo in più per rimanere a poltrire sotto il piacevole tepore delle coperte. Nel tentativo di scuotersi da quello stato di pigrizia mattutina, Kakashi Hatake si passò una mano sul volto, sfregandosi le palpebre con le dita. Come al solito, la stanchezza accumulata nelle lunghe ore quotidiane faceva sentire ancora i suoi effetti; tuttavia, era anche consapevole che, da qualche mese a quella parte, non fosse più solo quello a trasformare il risveglio vero e proprio in una faticosa impresa. Lasciò scivolare la mano sulla parte libera del letto, ancora tiepida per il corpo che l’aveva occupato fino a poco tempo prima. Ormai lo considerava inevitabile; quando Tenzo rimaneva a dormire da lui, si perdeva ad assaporare le piccole ma preziose tracce della sua presenza. Aveva trascorso così tanti anni ad accontentarsi della solitudine, che trovare qualcuno al suo fianco fin dal mattino, qualcuno che non se ne sarebbe andato in un’atmosfera fredda e impersonale scomparendo per sempre, era una novità a cui non si era ancora abituato. Ciò che però lo sorprendeva, tutte le volte che ci pensava, era la netta consapevolezza di non volervi più rinunciare, di non voler rinunciare a quel tipo di situazione e prima di tutto a lui; era davvero innegabile che incontrarlo gli avesse cambiato la vita in modo radicale, dissipando definitivamente paure e incertezze.  
Strinse tra le dita le lenzuola sgualcite, mentre un’espressione serena e rilassata gli si dipingeva sul viso. Era confortante il loro calore, seppure debole, così come lo erano i rumori che giungevano a tratti dalla cucina e la maglietta che il proprietario aveva pensato bene di adagiare su una sedia, sottraendola al freddo giaciglio del pavimento. Sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso malizioso; ricordava alla perfezione il preciso istante in cui gliel’aveva sfilata, come anche la piacevole sensazione del suo petto nudo sotto le proprie mani. Se non li avessero attesi i rispettivi impegni universitari, di sicuro non avrebbe esitato a trascinarlo di nuovo a letto. A causa sua stava diventando proprio svogliato, un particolare che non giovava affatto alla sua innata abitudine ai ritardi. Ben consapevole di ciò, si tirò su a sedere con un certo sforzo interiore, e fu solo allora che accusò un lieve mal di testa e un vago indolenzimento, prima sopiti dalla posizione supina. Non vi diede tuttavia particolare peso, attribuendo subito quei sintomi alla stanchezza e considerandoli destinati a sparire presto, opinione che l’arrivo di Tenzo sulla soglia della porta contribuì ad avvalorare; il solo pensiero di affrontare una nuova giornata insieme lo faceva sentire già meglio.
“Hai intenzione di dormire ancora, per caso?” Lo rimproverò quello in tono bonario, con le braccia conserte e la schiena appoggiata a uno stipite.
“Beh, non sarebbe una cattiva idea in realtà.”
“Certo, come non sarebbe una cattiva idea quella di arrivare ogni tanto in orario.”
A quella nuova frecciatina, Kakashi si grattò il capo scompigliando i capelli già ribelli.
“Il vantaggio di essere un professore.” Si difese con aria indifferente.
“Uhm, fino a prova contraria, la logica vorrebbe che fossimo noi a dare l’esempio.” Replicò l’altro, poi si avvicinò alla sedia raggiungendo l’ultimo indumento che gli mancava, lo prese e lo indossò, catturando con quel semplice gesto uno sguardo poco innocente.
“Comunque, se ti dai una mossa, il caffè lo trovi ancora caldo.” Proseguì poco dopo, voltandosi verso il collega con un’espressione tranquilla che dimostrava l’assenza totale di fastidio; quella situazione era piacevolmente nuova anche per lui per innervosirsi a causa di sciocchezze.      

Quando le tempie iniziarono a pulsare con più insistenza e alcuni brividi di freddo gli fecero sembrare la giornata più fredda di quanto non fosse, Kakashi capì di aver commesso un errore di valutazione: più che i postumi della stanchezza, quelli erano chiaramente gli effetti dell’influenza. Incapace di proseguire qualsiasi tipo di spiegazione in quelle condizioni, si trovò costretto a sospendere la lezione che stava svolgendo e a rimandarla a data da destinarsi, suscitando in buona parte degli studenti un moto di sollievo, in altri invece disappunto, in altri ancora un interessato spirito altruistico. Mentre si apprestava ad andarsene, infatti, due ragazze lo affiancarono e gli offrirono un’aspirina, sostenendo con un sorriso incoraggiante che gli sarebbe stata molto utile. Di solito contrario ad assecondare atteggiamenti che miravano a catturare la sua simpatia, per motivi accademici o di natura privata, il professore esitò un attimo; poi, consapevole di avere indubbiamente bisogno di un analgesico e di non poterne recuperare uno in un modo più veloce, lo accettò di buon grado e ringraziò le studentesse.
Uscì quindi dall’aula e si diresse verso il dipartimento di Scienze Naturali, fermandosi solo a comprare una bottiglia d’acqua prima di raggiungere il suo studio e rintanarvisi. Chiusa la porta alle sue spalle, si sedette alla scrivania con un breve sospiro, mentre si portava una mano sulla fronte. Aveva la netta impressione che la testa gli scoppiasse. Non ricordava a quando risalisse l’ultima volta che la febbre l’aveva costretto a letto, ma avrebbe volentieri fatto a meno di rinfrescarsi la memoria con le sue spiacevoli conseguenze.
Senza perdere altro tempo, recuperò l’aspirina dalla tasca del pantalone e l’ingerì con un sorso d’acqua, poi si accasciò contro lo schienale della sedia, reclinando lievemente il capo all’indietro e chiudendo gli occhi. Appena si sarebbe sentito un po’ meglio, tanto da poter guidare senza pericolo per la propria incolumità, aveva tutta l’intenzione di tornarsene a casa; intanto, però, cercò di sgombrare la mente, con la speranza che anche l’assenza di pensieri e il silenzio lo aiutassero ad attenuare il dolore persistente. Furono solo un deciso bussare e il cigolio successivo che dopo alcuni minuti interruppero quel momento di stasi.
Ancora intontito, gettò uno sguardo stanco al nuovo arrivato e fu contento di scoprire che si trattava di Tenzo. In un certo senso, avrebbe potuto considerare proprio lui il responsabile indiretto della leggerezza che aveva commesso quella mattina, per cui pensò quasi di rimproverarlo scherzosamente; ma, non appena tentò di rimettersi in posizione eretta, un capogiro lo costrinse a puntellarsi con una mano sulla sedia e sorreggersi il capo con l’altra.
“Ehi, che hai?” Gli chiese subito il collega con una nota di allarme nella voce.    
Già quando aveva aperto la porta dello studio, era rimasto sorpreso di trovarlo lì in un orario in cui sarebbe dovuto essere a lezione, e quel suo comportamento finiva solo per avvalorare la tesi che ci fosse qualcosa che non andava.
“Niente, solo un po’ di mal di testa.“ Affermò Kakashi, restio ad amplificare un malanno che sarebbe sparito con massimo due giorni di riposo.
Poco convinto dalla risposta ricevuta, Tenzo inarcò le sopracciglia.
“Un po’? A me non sembrerebbe.” Commentò mentre gli si avvicinava.
“Va bene, credo sia la febbre, ma niente che una bella dormita non possa risolvere.”
“Eh, una dormita e qualche medicinale, direi. Come al solito, hai il brutto vizio di minimizzare quando si tratta di certe cose.” 
Di fronte a quelle ultime parole, il professore Hatake provò una calda e piacevole sensazione; per quanto rappresentassero l’ennesimo rimprovero ricevuto da lui in quella giornata, la confidenza e la preoccupazione che esse racchiudevano le rendevano in qualche modo insostituibili. La mano che poco dopo si posò sulla sua spalla, spingendolo a voltarsi di nuovo verso il collega, non fece altro che confermargli quell’impressione.
“Dovevo parlare con Genma, ma data la situazione è meglio se ti accompagno un attimo a casa.” Proseguì l’altro in tono pragmatico, guardandolo dritto negli occhi.
“Non preoccuparti, non ce n’è bisogno. Ho già preso un’aspirina e tra poco dovrebbe fare affetto.”
“Uhm, sarà, ma prima te ne vai a letto e meglio è, l’hai detto tu stesso.”
“Fino a un minuto fa, però, non sembravi convinto dell’attendibilità delle mie parole.”
“E non lo sono ancora, per questo ti accompagno.”
Conscio che qualsiasi altra obiezione sarebbe stata ugualmente respinta, Kakashi si lasciò andare a un sospiro, mentre i lineamenti del suo volto si distendevano in un’espressione di serena rassegnazione.

Ritornato al suo appartamento, l’unica cosa produttiva che era riuscito a fare era stata recuperare un’altra coperta dall’armadio e infilarsi subito nel letto, poi era sprofondato facilmente nel sonno, assalito da un senso di spossatezza crescente. Si risvegliò solo dopo alcune ore, ormai nel bel mezzo del pomeriggio, e nel gettare uno sguardo all’orologio, si rese conto di non aver mai dormito così tanto. Dopo quel lungo riposo, però, il dolore martellante alla testa sembrava pressoché sparito, un risultato che lo portò a ringraziare l’aspirina che gli avevano prestato. Consapevole che, come al solito, continuare a rimanere sdraiato non gli sarebbe servito più di tanto, si alzò e si diresse in cucina con l’intenzione di prepararsi un tè. Sapeva che la cosa migliore sarebbe stata mangiare qualcosa, ma non aveva alcuna fame, nonostante non avesse toccato più niente da quella mattina, così ripiegare su una bevanda calda gli sembrava un buon compromesso.
Giunto davanti ai fornelli, riscaldò dell’acqua in un pentolino e la versò in una tazza, poi mise in infusione una bustina e, dopo aver recuperato il barattolo dello zucchero e un cucchiaio, si sedette al tavolo in attesa che il liquido incolore assumesse una tinta ambrata. Aveva sempre avuto l’abitudine di osservare con un certo interesse quel graduale processo. Per un bel pezzo, in esso aveva scorto la capacità di cambiare, di sbloccare una situazione asettica, ciò che per lui era stato del tutto impossibile prima di essere adottato e incontrare sua sorella Ame, la persona che era riuscita a fargli aprire di nuovo il suo cuore ferito. Quando poi era morta, per uno strano scherzo del destino, il tè aveva continuato a rispecchiare qualcosa della sua vita: il suo colorato mondo affettivo che non andava al di là dei limiti di ceramica.
All’improvviso le sue labbra si piegarono in un’espressione serena e vagamente divertita, mentre approfittava del tepore emanato dalla tazza che stringeva tra le mani; ormai percepiva in modo chiaro come il suo contenuto si riversasse all’esterno liberamente. Spinto da quel pensiero, si chiese quando sarebbe arrivato Tenzo, una domanda che da un momento all’altro gli fece sembrare la casa troppo grande e silenziosa. Per attenuare quella spiacevole sensazione pensò di accendere la televisione o ascoltare un po’ di musica, ma subito respinse l’idea giudicandola inefficace, conscio che ciò che cercava non era certo una compagnia artificiale. Aggiunse allora un po’ di zucchero al tè e iniziò a sorseggiarlo. Quando si erano lasciati, il collega gli aveva detto che avrebbe fatto un salto appena possibile e non poteva far altro che aspettare, anche se avrebbe preferito mille volte essere all’università ad aiutarlo con il progetto di ricerca.
Imprecò mentalmente contro l’influenza, meditando quasi di tornarsene sotto le coperte, e fu in quell’istante che un ricordo lo colpì, presentandosi ai suoi sensi accompagnato dal calore tonificante che la bevanda diffondeva nel suo corpo. Era uno stralcio del passato che risaliva a pochi mesi prima del matrimonio di sua sorella, un periodo in cui si era sentito triste e confuso, in qualche modo deluso da lei. Ame, che non aveva affatto tardato ad accorgersi del suo disagio, l’aveva trascinato al mare, in mezzo alla sabbia e all’andirivieni delle onde, nello stesso posto che aveva segnato l’inizio del loro particolare rapporto. Lì, seduta al suo fianco, con un tono dolce e rassicurante gli aveva detto che per lui ci sarebbe sempre stata e che sarebbero potuti ritornare insieme su quella spiaggia tutte le volte che avrebbe voluto, poi aveva aggiunto qualcosa a cui allora, ancora dodicenne, non era riuscito ad attribuire il giusto peso. In quel momento, le sue parole gli risuonavano nella mente con un valore quasi profetico. “Sono sicura che un giorno, quando incontrerai anche tu la persona giusta, mi capirai un po’ di più”, aveva affermato con un sorriso, scompigliandogli subito dopo i capelli con affetto.
L’uomo sospirò, riadagiando la tazza sul tavolo. Non avrebbe mai pensato che incontrare la persona giusta avrebbe significato sentire la mancanza di qualcuno così facilmente. Era di fronte all’ennesima dimostrazione che fosse difficile dare torto a sua sorella; a suo tempo avrebbe anche potuto spiegargli qualcosa in più, ma evidentemente sapeva bene che vivere certe cose sulla propria pelle era più utile di mille parole. Istintivamente, pensò che non sarebbe stata affatto una cattiva idea fare in modo che si realizzasse il desiderio di avere quel qualcuno al proprio fianco il più possibile.
Stava ancora meditando su quella conclusione, quando il campanello suonò interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Si alzò allora per andare ad aprire e, trovando proprio il collega sulla soglia di casa, fu avvolto insieme dalla sorpresa e da un improvviso senso di quiete.
“Tenzo?” Esordì, guadagnandosi uno sguardo interrogativo. “Credevo che ne avresti avuto ancora per un bel po’.” Spiegò subito dopo, mentre si spostava leggermente per lasciarlo entrare.
“Beh, sì, doveva essere così, ma ho pensato che sospendere prima per un giorno non sarebbe stato un dramma.” Disse l’altro per poi dirigersi a passo sicuro verso la cucina, celando sotto un atteggiamento tranquillo gli effetti dell’ansia che aveva provato fino a poco tempo prima. “Piuttosto come va con la febbre? Vedo che stavolta riesci a stare in piedi.” Si informò.   
“Sto bene, per ora il mal di testa è sparito. Più tardi prenderò un’altra aspirina.” Rispose Kakashi, mentre lo seguiva dopo aver richiuso la porta alle loro spalle, felice per quella visita anticipata che aveva senza dubbio un effetto positivo anche sul suo stato fisico.
Fu solo quando Tenzo la posò sulla tavola che si accorse della busta che aveva portato.      
“Bene, mi fa piacere che tu stia meglio.” Affermò quello tirando definitivamente un sospiro interiore di sollievo, poi si voltò verso di lui e indicò con un cenno della mano il sacchetto di plastica. “Comunque ho comprato qualcosa da mangiare, dato che sono certo che non hai toccato nient’altro oltre ad una tazza di tè.” Proseguì pacato.
Dopo quella spiegazione, calarono alcuni brevi ma intensi istanti di silenzio, durante i quali Kakashi pensò che avrebbe dovuto associare alla cosiddetta persona giusta anche la capacità di un semplice gesto di riscaldargli il petto, come accadeva in quel momento o come era accaduto in ufficio. Tale riflessione non fece altro che rinsaldare la decisone che si era fatta strada nella sua mente non molti minuti prima. Si avvicinò allora al collega e gli afferrò con una mano la maglia, tirandola leggermente verso di sé, poi senza preavviso lo baciò, cancellando anche gli ultimi centimetri che li separavano, mentre faceva scivolare l’altra mano sul suo fianco. Tenzo non si oppose, ma superato un primo attimo di sorpresa assecondò quell’improvviso e irruento incontro ravvicinato; intrecciò la lingua con la sua in una piacevole lotta e gli sfiorò le braccia con le dita.
Quando poté guardarlo di nuovo in viso, si trovò ad incrociare un inaspettato sguardo serio.
“Perché da domani non vivi qui e cucini tu?” Gli propose l’altro continuando a stringere il suo indumento in un gesto quasi possessivo. 
Del tutto spiazzato, lui lo fissò senza rispondere, almeno fino a quando non assimilò la notizia e si rilassò, invaso da una felicità condita da un pizzico di soddisfazione; se Kakashi era giunto a chiedergli di convivere, credeva di poter affermare che aveva davvero compiuto un piccolo miracolo.
“Se compri un letto più grande, posso pensarci.” Disse ironico, ottenendo come risposta l’accenno di un sorriso e un secondo bacio.

 


Sintassi e Grammatica: 8/10
IC dei Personaggi: 8/10
Originalità della Storia: 6/10
Giudizio Personale del Giudice: 2/5
Premetto che non sono un'amante dello Yaoi (o Shonnen-ai).
Sinceramente - e parlo con totale obbiettività - non mi ha entusiasmata molto.
Senza dubbio è scritta bene e, grammaticalmente parlando, è pure corretta. Ma ha ben poco di originalità.
Insomma, ci troviamo davavanti ad una semplice storia d'amore tra due uomini/colleghi di lavoro, con le sue difficoltà e i suoi alti e bassi. Cosa un pò scontata, a mio avviso.
Tuttavia, ho apprezzato molto come hai dato largamente spazio ai pensieri di Kakashi, alle sue emozioni e ai suoi ricordi. Così facendo, ho potuto comprendere appieno i suoi sentimenti - sia per la sorella, che per Tenzo. Brava.
TOTALE PUNTEGGIO: 24/35

  
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