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Autore: ButterflyOfTheWords    09/06/2012    4 recensioni
Eppure che colpa potevo avere io, se ero stata dotata di una fertile immaginazione e di scarso coraggio? Al mondo c’erano molte persone, alcune del tutto incapaci di “sognare qualsiasi cosa”, così razionali da trovare la bellezza solo nella fredda matematica, altre del tutto incapaci di sottostare a schemi, perennemente inserite nel loro mondo di fantasie, infine qualcuno aveva avuto la fortuna di poter fare entrambe le cose. Non era il mio caso.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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“Quando hai bisogno di scrivere, di inventare una vita che non è la tua, forse non hai quello che vuoi. O se ce l’hai non te ne sei accorta.”
Pensavo questo, eppure scrivevo. Scrivevo lo stesso, di tutto. Speravo che un giorno si sarebbe avverato almeno uno dei racconti. I protagonisti erano stati molteplici ma ultimamente ero diventata terribilmente monotona: Marco. Sempre lui. Sarebbe mai tornato? Non lo sapevo, ma avevo immaginato milioni di modi in cui questa azione avrebbe potuto essere compiuta. Forse mi portavo sfortuna da sola, dopo tutto. Magari, se avessi smesso di scrivere e avessi atteso che accadesse, allora sarebbe successo.
“Non lo so se è meglio vivere che scrivere. So che scrivo perché forse non so vivere.” Parole di una canzone di Vecchioni. Frase vera, nel mio caso. Perché nelle mie storie, l’eroina, che poi ero sempre io, aveva caratteristiche che la vera me non aveva. Era sempre coraggiosa, estroversa, divertente, possedeva la battuta pronta per ogni occasione. Era tutto quello che io sapevo di non essere. Oppure era identica a me, con la differenza che per lei era previsto un lieto fine: arrivava qualcuno, in quel caso sempre Marco, che riusciva a capire a fondo lei e la sua timidezza.
Per forza, poi, rileggendo, mi sentivo emozionata, felice. Tuttavia era una sensazione che bastava per poco: assuefaceva per un po’ il senso di vuoto e mancanza lasciato da quel ragazzo, mi rendeva stranamente eccitata. Avevo davvero scritto io quella storia? Voleva dire che poteva realizzarsi? No. Non voleva proprio dire questo. Significava semplicemente che non ero capace di uscire di casa e andare a prendermi il ragazzo che volevo. Non ero in grado di mostrarmi alla luce del sole ma rimanevo dietro l’ombra delle mie parole. Era immensamente più facile.
Eppure che colpa potevo avere io, se ero stata dotata di una fertile immaginazione e di scarso coraggio? Al mondo c’erano molte persone, alcune del tutto incapaci di “sognare qualsiasi cosa”, così razionali da trovare la bellezza solo nella fredda matematica, altre del tutto incapaci di sottostare a schemi, perennemente inserite nel loro mondo di fantasie, infine qualcuno aveva avuto la fortuna di poter fare entrambe le cose. Non era il mio caso.
Quella sera pioveva. Era la fine dell’inverno ma sembrava già primavera. Eppure non si trattava ancora di quei meravigliosi temporali: li amavo tanto. Erano l’incarnazione perfetta dell’idea di “sublime”, che avevo da poco studiato a scuola. Mi spaventavano e mi affascinavano allo stesso tempo, producendo una contraddizione estremamente piacevole in me. Pensai che fosse il momento di scrivere.
Ero stata fregata tre volte, da Marco. La prima era riuscito a portarmi via il “primo bacio”. Eppure a ripensarci dopo tanto tempo, mi rendevo conto che magari l’aveva fatto in buona fede. Anche se poi aveva chiuso la nostra “quasi relazione” perché innamorato di un’altra. Quest’ultima era diventata la sua ragazza. Eppure lui non aveva smesso di farsi vivo, ogni tanto. Lo stesso avevo fatto io. Quando aveva litigato con lei e l’aveva lasciata, avevo pensato, davanti a quello che mi scriveva, che sarebbe giunto il mio momento. Non era successo: se l’era ripresa e la loro relazione era durata ancora tre mesi. La mia delusione era rimasta cocente per lo stesso tempo, dato che ero stata liquidata con un “adesso tra noi va tutto bene, mi dispiace.”.
E poi lei aveva mollato lui. E Marco era tornato l’ennesima volta a cercarmi, proprio quando io avevo pensato di esserne fuori, del tutto. Avevo visto la libertà, avvertito la leggerezza nel mio cuore. Ma il semplice suono della sua chat mi aveva riportata a terra e mi aveva incatenata un’altra volta. Non potevo sfuggirgli. Ci ero ricaduta, convinta che per una volta sarei stata accontentata. Invece no: la sua migliore amica veniva prima di me ed era diventata la sua ragazza. Gli dispiaceva, non intendeva illudermi.
Certo. Ero stata arrabbiata. Ma ora, negli ultimi giorni, avevo avvertito qualcosa di diverso: in me non c’era più traccia della rabbia. Forse volevo solo andare avanti e conservare un bel ricordo del mio primo bacio e del mio primo “quasi ragazzo”.
L’avevo sentito, pochi giorni prima, dopo mesi di silenzio. Si era scusato. L’avevo perdonato.
E l’avevo risentito, quella sera. Avevamo parlato a lungo, di tutto e di niente. Come due amici di vecchia data che si scrivono per caso. Era stato bello. Mi fidavo di lui, purtroppo. Nonostante tutto avrei potuto accettare di essergli amica. Avrei potuto tenermi dentro tutto, questa volta, fingere che una relazione sincera di affetto reciproco ma non di amore potesse durare tra noi.
“Non è vero, però.”. Avrei mentito a due delle persone più care: me stessa e lui.
E in quel momento avevo voglia di scrivere. Di scrivere l’ennesimo suo ritorno, che non si sarebbe avverato. Eppure negli ultimi giorni, avendo anche saputo che lui e la sua ragazza erano in crisi, avevo immaginato migliaia di situazioni che prima non potevo sognare: avevo preso la patente. L’auto avrebbe potuto fare la differenza. Il tutto incrementato dal fatto che lui invece non ce l’aveva e per almeno due mesi non l’avrebbe presa.
E se..un giorno gli avessi chiesto di venire con me? Se gli avessi per caso suggerito che avevo un posto sulla mia panda rossa, che l’avrei potuto riportare a casa da scuola o sarei passata volentieri a prenderlo? Si sarebbe trattato di un breve viaggio, ma già più di quanto avrei mai potuto sognare. Scrissi. Scrissi questo e altro. Raccontai del modo brutale in cui la sua ragazza l’aveva tradito e della delusione che io avevo letto nei suoi occhi. Ero sua amica, l’avrei consolato.
La sua ragazza, lo sapevo, non l’avrebbe mai fatto. Anche se spesso lo trattava male, non lo avrebbe tradito. E soprattutto, di questo ero certa, non era così bella da riuscire a trovare uno per il quale valesse la pena di lasciare Marco.
Ma in un certo senso, il ruolo di “amica” mi piaceva tanto. Forse un giorno lui si sarebbe accorto di quanto mi amasse. Sapevo che fisicamente non gli ero mai stata indifferente. Questo era un buon punto di partenza. E chissà, nel frattempo avrei magari trovato qualcun altro e avrei comunque guadagnato un amico fidato, da chiamare al momento del bisogno, con cui parlare, uscire, andare a prendere l’aperitivo.
Poteva forse essere un buon compromesso per me e il mio cuore? Pensai di sì.
Non sapevo che non avrei mai potuto reggere in una situazione come quella.

  
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