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Autore: WrongWay    09/06/2012    2 recensioni
Aspettavano tutti la chiamata degli ormoni con il cuore in gola, festeggiando i primi peli, contando con un quell’eccitazione inquieta i primi segni della crescita.
Dicono che dentro di te, oltre che al sesso, si liberi qualcos’altro.
Lo sanno tutti.
Se arrivato a dodici, massimo tredici anni, non hai nulla di super, beh, non sarai mai un eroe.
Non sarai mai un eXtra.
Silvan aveva raggiunto la pubertà e aveva ottenuto i tanti agognati super poteri.
Insieme al primo sperma la sua genetica incasinata aveva sputato fuori con eguale ardore la sua qualità stellare.
Peccato che fosse tutto completamente, inesorabilmente sbagliato.
Genere: Azione, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Age of Heroes #00
 
eXtra. 
Misplaced powers.

 
2015

Tutti i ragazzini sulla faccia di questa terra sognano di diventare degli eroi.
Di essere super.
E, ovviamente, di far parte degli eXtra.
Extra-cool, etra-dangerous, extra-super.
Una miscela fotonica e orgasmica per ogni dodicenne in possesso delle sue facoltà mentali.
Aspettano tutti la chiamata degli ormoni con il cuore in gola, festeggiando i primi peli, contando con un quell’eccitazione inquieta i primi segni della crescita.
Quando dentro di te, oltre che al sesso, dicono si liberi qualcos’altro.
Niente di certo, sono solo voci, i risultati dei primi di infiniti studi.
Ma si sa.
Se  arrivato a dodici, massimo tredici anni, non hai nulla di super, beh, non sarai mai un eroe.
Non sarai mai un eXtra.
 
1998
 
Ben osservava i solchi lasciati dallo struscìo delle sue scarpe chiodate nella polvere.
Erano gli ultimi giorni di Maggio e il tempo era tutto meno che clemente. Anzi.
La calura era impietosa.
Si vergognava, a camminare per le strade del quartiere con la divisa ingiallita, sudata e impolverata, che strillava a tutti “ MS St.Louis”. 
Sotto, la scolorita immagine di un falco.
Avrebbe dovuto essere il numero otto.
I troppi lavaggi lo avevano declassato a uno schifosissimo zero.
Per quanto sua mamma ci si mettesse di impegno a riattaccare quella dannata barretta, inevitabilmente Ben finiva per ritrovarla sul pavimento o dispersa in qualche angolo.
Ben era triste, deluso e arrabbiato.
Avevano perso l’ennesima partita di baseball.
Il che non era propriamente una novità, poiché Ben aveva sempre fatto schifo in qualsiasi sport, a differenza di Alex.
Grande, non grosso ma grasso, goffo, patetico, asmatico Ben.
Nello zaino la sua pagella massacrata, un’ennesima sfilza di C, C- e D+  di cui vergognarsi.
E neanche quella era una sorpresa.
Ciononostante qualcosa di diverso, ugualmente spaventoso, avvilente e imbarazzante c’era realmente.
Due cose, a dirla tutta.
Uno, la sera prima aveva sporcato per la prima volta i suoi boxer di liquido seminale, eventualità naturale avvenuta in una situazione decisamente snaturata.  
Due…Ben aveva scoperto di essere un mostro.
Più di quanto non sapesse già di essere.
Si pulì via un misto di lacrime, sudore e moccio dalle guance molli, mentre al suo passaggio di fronte al campo giochi del parco un gruppo di graziose ragazzine si perse in smorfiette di frivolo disgusto.
Peppe non li sopportava i mocciosi di quella risma presuntuosa.
Una generazione di stronzetti arroganti, stava venendo fuori.
Tutti con la materia grigia  avvelenata dai cellulari Nokia e dalle Play Station.
Ce ne erano pochi ancora genuini e puri,giovani al punto giusto per i gusti dell’’ormai vecchio Giuseppe Hizenkowitz.
E Benny era uno di questi.
Peppe lo Stalker lo osservava spesso con il binocolo dei suoi tempi da soldato, al sicuro in babbucce usurate sul suo balcone ingombro.
Aveva due grandi occhi azzurri, il piccolo grossograsso Benny, e un cuore altrettanto grande.
Il guardone ne osservò la figura molle e ancora infantile, strizzata ed evidenziata in  maniera impietosa dalla maglia sudata.
Il fisico paffuto nascondeva una bella ossatura robusta.
Un giorno sarebbe diventato un tipo grosso, lui se ne intendeva.
Ma al momento era solo un bambino ciccione.
Ed al mostro dentro di Peppe, agli arresti domiciliari dal  ’71 per abuso di minore ( un giovane prostituto quindicenne dagli occhi verdi e le ciglia lunghe, che oltre al portafogli gli aveva rubato cuore e vita) e in clausura volontaria dal ’83 , non dispiaceva.
Non era neanche una cosa proprio tutta sessuale.
Lo trovava quasi semplicemente bello nella sua imperfezione.
Una parte di lui si sentiva addirittura appagata dall’essere l’unico, almeno per la sua consapevolezza limitata a scorci di vialetto-cortile-finestra,  ad essere al corrente di quell’ avvenenza segreta.
Ne osservò le labbra piene, il naso a tubero stranamente delicato, appena visibile sotto la visiera storta del cappellino, i riccioli scuri e sudati ad accaldargli la nuca.
Si era fermato per allacciarsi una scarpa, le spalle massicce rivolte verso la veranda di Peppe.
Rialzandosi il cappello gli scivolò dalla testa.
Qualcosa attirò la sua attenzione.
Sembrava sorpreso, forse anche spaventato.
Ma Peppe era troppo concentrato sulle sue labbra  e sulle sue insalubri fantasie per dare peso ad alcunché.
Almeno finché un guanto di lattice si parò sul suo oggetto di osservazione.
Prima che Peppe lo Stalker potesse muovere un muscolo, uno strillo soffocato si perse nella zona residenziale semideserta di una St.Louis alle quattro del pomeriggio.
Di Fatty Benny rimase solo un cappellino da baseball su un marciapiede, mentre un furgone scrostato sgommava lontano.
Il binocolo della guerra sbatté sulle mattonelle.
Peppe il pedofilo ruppe la sua clausura e scese in strada in babbucce, vestaglia e braghe lese, strillando aiuto, al rapimento.



 
2029
 
A Fran venne da piangere.
Avrebbe voluto raggomitolarsi un angolo qualsiasi del parco giochi ficcato a forza nel giardino  del  NeweXt e piangersi tutte le sue lacrime.
Ma piangere era una cosa da femmine.
E i maschi non piangono.
Nemmeno se a dieci anni hanno già  non solo la cavigliera, ma anche le fasce, due addirittura, a pesargli sui polsi, il conto alla rovescia incastonato sul retro.
Povero Fran.
Già tre EQ, a dieci anni.
Funesti i suoi geni.
E pensare che stavano addirittura considerando di mettergliene un quarto.
Un tempo sarebbe stata una benedizione. Ma nella sua di era non era altro che un incubo.
 
 
 
1998
 
Silvan aveva sempre voluto essere un eroe.
L’aveva sempre dannatamente desiderato.
Aveva tappezzato la sua stanza con ritagli di simboli e di fantasie.
Aveva passato mucchi di nottate insonni in nell’inquietudine tipica dei desideri feroci e in qualche modo, anche se solo lontanamente, possibili.
L’ansia del se solo.
Se solo.

In quel pomeriggio afoso di inizio Giugno Silvan Preston stava effettivamente strusciando il suo paio di converse consunte sulle mattonelle appiccicose fuori dall’ufficio di Carving.
Stava effettivamente respirando la stessa aria bollente e pesante dall’altra ventina di ragazzini altrettanto eccitati, altrettanto nervosi e sicuramente altrettanto sudati.
In quel pomeriggio Silvan Preston aveva la sua valigia molle, ammucchiata tra le altre nell’ingresso sottostante.
Ma Silvan Preston era tutto meno che felice.
La maggior parte di quei ragazzini era tutto meno che felice.
Silvan aveva raggiunto la pubertà e aveva ottenuto i tanti agognati super poteri.
Peccato che fossero quelli sbagliati.


2031
 
Fran stava morendo di caldo.
Perché l’estate doveva essere così dannatamente afosa?
Infilò un dito sotto il collare, cercando un po’ di sollievo.
Invano, ovviamente.
La condanna degli EQ carriers.
Liberi di liberarsene solo durante test e rinnovi.
Fran non era mai stato chiamato per un test.
Mai.
Da quando, ai suoi tre anni, gli avevano sprangato il primo EQ sulla caviglia.
Sospirò, girandosi sulla pancia.
-Fraaan! Dove sei, Fran, dannazione!-
Chiuse gli occhi.
Cinque minuti.
Voleva solo cinque minuti.
-Fran, ragazzo, vieni subito qua! Ma dove si sarà cacciato?–
Sospirò, socchiudendo gli occhi per osservare il sole pomeridiano.
Il rumore della strada e il clangore della cucina sembravano stranamente ovattati.
Quel giorno gli EQ sembravano più pesanti del normale.
Erano prossimi alla data di scadenza, saturi di potere represso. Cercò di spostarli almeno un po’, ma il rame era stretto come e più del solito sulla sua carne.
-Fran.-
Il ragazzo sobbalzò.
Si tirò a sedere con un mezzo strillo, ripensando a tutte le storie del terrore che gli aveva raccontato Mei-mei la sera prima.
Non voleva morire nel giardino sul retro de “L’Aragosta Felice”.
Okay, più generalmente l’idea del decesso non lo rendeva entusiasta, ma in particolare l’idea di tirare le cuoia nel giardino sul retro di una friggitoria cino-francese  sarebbe stato l’epitomo della sua non particolarmente fortunata vita.
-Fran… che stai facendo?-
Fran chiuse il sipario del suo piccolo dramma, e alzò cautamente gli occhi.
- Aubin! Mi hai spaventato!-
Il dodicenne gli lanciò uno sguardo scettico.
-L’ho notato. Non sarà ancora per la storia del senza occhi, vero Fran?-
Fran ebbe almeno la decenza di arrossire.
Aubin sospirò, con quell’atteggiamento di vaga sufficienza che ostentava sempre.
Almeno con Fran.
- Sidoine mi ha mandato a chiamarti. Hanno bisogno di te in cucina.-
Fran si alzò con un sospiro e scompigliò i capelli di Aubin mentre si avviava verso le cucine.
- Vado, vado. Poi vengo ad aiutarti con i compiti, va bene Aubie?-
Come se ce ne fosse stato bisogno.
-Non chiamarmi Aubie.- si limitò a replicare con uno sbuffo.
Sospirò, notando macchie d’erba sulla divisa di Fran. Aveva un buco sul pantalone, anche. Riusciva ad intravedere i suoi slip logori e infantili.
Aubin scosse la testa e regalò alle spalle di Fran uno dei suoi rarissimi mezzi sorrisi.
 
1998

Non sei tu a scegliere il tuo dono.
Arriva e basta, incontenibile e volitivo.
No grazie non è un opzione.
Niente alternative, non è un supermercato.
Sono le tue cellule che si svegliano e si mischiano e ti sbattono tra le braccia l’evoluzione del tuo potenziale.
Un po’ come i cognomi. Ti si piazzano addosso senza se, né ma , né libertà di appello.
Irving Couliflower lo sapeva bene.
Beh, non proprio come i cognomi.
Irving Couliflower era diventato Irving Coul giusto due settimane prima, insieme con i  suoi trent’ anni e col suo permesso di soggiorno.
Ma le capacità sono diverse, quelle restano a schiumare nel sangue.
Irving si passò un mano tra i capelli sudati.
Non c’era quel che avresti chiamato una bella atmosfera.
Una bambina, avvolta in una coperta nonostante la calura, singhiozzava in un angolo, apparentemente incapace di smettere di piangere.
Altri erano accucciati tra sedie e pavimento, ostentando a tratti una certa sicurezza o nascondendo a malapena un’eccitazione febbrile, per poi tornare ciclicamente alla paura e all’angoscia.
Era la possibilità a turbarli.
Avrebbero potuto trovarsi in mezzo a quel che pensavano.
Avrebbero dovuto.
Ma c’era quel se…
La maggior parte se ne stava nervosa nel suo spigolo a mangiarsi le unghie, a frignare in silenzio o a fissare le piastrelle affollate.
Non c’erano abbastanza seggiole.
Una ragazzina dai capelli gonfi e un cappellino calato in testa stava facendo rimbalzare periodicamente una palla da baseball contro la parete, sollevando di tanto in tanto nuvole di stucco sbucciato.
Nessuno aveva fatto caso all’uomo sulla porta.
Magari perché era quella sbagliata.
Non ti aspetti che qualcuno in vena di discorsi esca da una toilet con scritto “Guasto” a lettere cubitali.
Era un tipo alto Irving. Lungo e snello, e nonostante fosse tutto meno che fuori forma sembrava sempre stranamente secco.
Ma la sua non era una presenza particolarmente imponente.
Austera, quello sì.
Imponente? Quello era il compito di Craving.
Che tanto per cambiare non era nel suo ufficio.
Dove avrebbe dovuto essere.
Da almeno due ore.
Il bastardo si era dileguato e aveva lasciato a loro la parte problematica.
Spiegare a una ventina di ragazzini sudati e agitati perché erano stati caricati su un autobus sgangherato e prelevati dalle loro abitazioni o dal parco dove si erano rifugiati o dal percorso per tornare da scuola o dagli allenamenti di pallacanestro.
Ecco.
Il complicato stava esattamente nel rendere comprensibile e legittimo per ventisei dodicenni il motivo del loro sequestro.


Documentazione 001

[...]
I nuovi movimenti semi-hippies sembrano essere del tutto dimentichi del dramma causato dalla terza generazione.
Nemmeno è passato nemmeno un decennio e già si parla di abolire non solo la distribuizione obbligatorie e gratuita, ma anche lo sviluppo degli EQualizzatori.
Parlano di capacità innate e di diritti, scordando la pericolosità intrinseca di un essere umano con una diversità genetica di natura violenta e mancante della saggezza e dalla sensibilità necessaria per  poterla gestire.
Gli EQ bloccando il potenziale distruttivo di tali capacità (grazie alle nuove scoperte nel campo dell'elettromagnetismo), proteggono  non solo la cittadinanza, ma anche gli stessi individui anormodotati, proteggendoli dalle loro stesse  tendenze degenerative.
La imposizione di un bracciale o una cavigliera, così spesso dagli anti-NeweXt comparati a manette (falsamente, poichè costruiti in rame, materiale rinomatamente leggero. Il timer sul fronte, che avvisa gli EQ carrier dell'imminente saturazione dei loro dispositivi di controllo, modernamente è costituito di materiali leggeri. Lo stesso EQ shop è in continuo aggiornamento per trovare le soluzioni più confortevoli per i carrir.) , è un prezzo minimo per garantire non solo la protezione della specie, ma anche per l'attuazione di quel principio di ugualianza che è sempre stato alla base del diritto civile e umano.
Grazie agli EQ e a NeweXt  possiamo dire di essere parte di una specie a cui viene garantito, per quanto possibile, lo stesso potenziale dalla nascita.
Il libero arbitrio e la meritocrazia sono liberi da barriere di potenziale ingiusto.
Essere contrari agli EQ è essere contrari alla libertà.


Fred Mayer, In difesa degli EQ, New York Times, Issue 16, pg. 12-16,  New York, 2027







La piccola baracca delle N.D.A :)

1) E mentre cambio i connotati a KvW, voilà, un'altra simpatica storia.
Sarei molto tentata di ammorbarvi  sfacciatamente con le mie chiacchiere, ma per quello c'è il mio fantastico (?) blog semideserto : http://xwritingwastelandsx.blogspot.it/
Se siete interessati fateci una capatina, anche solo per scaricare insulti o dire ciao.

2) http://www.facebook.com/pages/The-Writers-Shelter/177059989086422 <---- Questo è il link di una felice pagina facebookiana.
Prima di insultarmi violentemene (mal sopporto anche io la sete di fama delle pagine brulicanti nel famoso social network) premetto che  è improntata a offrire un servizio.
Con i fan faccio la birra (anzi, neanche quella ).
Quello che cerco sono membri per scrivere insieme , per dare e ricevere consigli pratici per entrare nel campo (sono una studentessa di cinema e scrittura creativa, scrittrice freelancer part-time e con una bella lista di altre cosine che potrebbero essere utili ), a recensire e per recensire e generalmente sguazzare da brave papere/paperi in una polla di creative juices.
Credo fermamente nel potenziale creativo di questa generazione. EFP ne è la prova.
In Italia particolarmente, negli ultimi tempi l'arte è un po' (tanto) scoraggiata, messa in secondo piano da problemi più grossi.
Invece io penso che sia proprio in momenti come questi che la necessità di esprimersi in maniera libera e al meglio diventi più urgente.
The Writers shelter è una pagina dedicata alla scrittura come arte e al suo affinamento, a creare una comunità unita e produttiva, a dare consigli sia dal punto di vista lavorativo che da quello culturale, oltre che per scrivere felicemente tutti insieme.
I feedback sono l'anima del miglioramento e un rifugio per appassionati mi è sembrata semplicemente una buona idea per diffondere la causa.
Non è un sito per l'archiviazione è la pubblicazione. Va preso come un playground o una sottospecie di laboratorio creativo.

Ci linkerei anche il blog relativo, ma la grafica è piuttosto tanto oscena al momento.

3) Mi scuso per codesto ammorbamento orripile. Con la P.
E vi ringrazio per essere arrivati fin qui.
  
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