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Autore: Eterocromia    09/06/2012    1 recensioni
Teneva con sé una pistola.
Lo sguardo perso nel piacere dell’amore ossessivo.
Sette colpi.
Stava per mettere in scena il suo spettacolo migliore.
Sette, come i peccati capitali.
{6927 TYL! Buon compleanno, Mukuro Rokudo~}
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mukuro Rokudo, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seven Deadly Sins

Tetsu to hagane ja
magaru, magaru, magaru.
Tetsu to hagane ja
magaru, My Fair Lady.

I tendaggi di quel teatro stantio raccontavano storie mai entrate in scena, il palcoscenico ormai da anni risentiva di tutti quei passi mai fatti che l’avevano calpestato, i sedili vellutati rovinati dalle persone che, colte dall’entusiasmo dello spettacolo, si erano alzate ad oltranza, inondando quel teatro di applausi semieterni. Ballerini virtuosi non avevano eseguito lì le loro studiate coreografie, gli artisti folli non avevano mai inondato il palco grigiastro con la loro creatività stravagante.
Quel teatro, polvere sugli spettri e sui violini, ancora con l’orologio fermo a quell’estate del 53, conosceva una sola, immutabile, opera.
La danse macabre.
Quando Tsunayoshi Sawada spostò le tende per entrare nella sala, e ricevette come biglietto d’invito una fitta polvere sul suo cappotto, capì che nulla era cambiato lì, e nulla sarebbe cambiato.
Lì l’aria era monotona e perennemente umida, una cappa di fresco veleno che regale se ne stava in disparte, ignorando il caldo esterno. Un umido mortorio colorato di uno scarlatto spettrale.
Per questo Tsunayoshi indossava un cappotto stretto in petto e corto davanti, mentre dietro si dileguava come un’ombra devitalizzante sotto la maschera di uno strascico da sposa.
I tacchetti degli stivali rievocavano –assieme allo schiocco dei guanti di pelle appena indossati- gli ardenti echi di quegli applausi grandiosi, quegli applausi tanto forti da far tremare i teatri. Con un gesto altero mise a tacere quell’illusione, e i sedili tornarono ad essere marci di polvere e di peccato.
Quel teatro era la sua casa.
Era la loro casa.
Camminò ancora, senza possedere un’ombra, avvolto in quel lungo strascico da sposa. Tenne lo sguardo basso a rimembrare i loro passi, e ai suoi si sovrapposero quelli di tanti altri, fantasmi del passato che ancora lo perseguitavano. I bottoni di quel cappotto richiamavano lo stemma dei Vongola, e lo stringevano tanto forte da trasformarsi quasi in un corsetto matrimoniale; eppure andava avanti, senza emettere alcun suono che potesse indicare la sua sofferenza.
Sospinto da quel pubblico eccitato da una nuova esibizione, si fermò sotto il palco, la vista già annebbiata. Alzò il braccio arcuandolo tenuemente e alzò il volto, fissando quel palcoscenico illuminato così lievemente da apparire come un fantasma in movimento.
Aspettò che quegli applausi incorporei smettessero di cantare e schiuse le sue labbra, adornate di perenne modestia.
«London Bridge is falling dawn,
falling dawn, falling dawn,
London Bridge is falling dawn,
my fair lady

Sul palco qualcosa si mosse. L’illusione di un movimento si stanziò in un inchino veloce e riprese a ballare verso di lui, delineata e lontana come la fiamma di una candela destinata a spegnersi in pochi istanti.
Il ballerino si fermò, sorridendo di sbieco, e arcuando le labbra a rassomigliare un fil teso da una freccia, tentò la sua esibizione. Ma le manie di protagonismo di Mukuro Rokudo andavano oltre il normale, e con lo stesso gesto altero del Decimo si puntò le luci invecchiate su di lui, concedendo a quel pubblico la deliziata visione di un essere perfetto come lui.
«La mia sposa è venuta, è venuta! E’ scappata dalla sua torre d’avorio ed è venuta a concedersi a me. Non è vero, Tsunayoshi Sawada? La mia sposa perfetta
Sfiorò la risata maligna, non cedendo però nell’inganno. Tsunayoshi mancò un paio di battiti prima che il suo corpo intero iniziasse a tremare. L’ansia da palcoscenico.
Quella luce proveniente dal basso attillava ogni suo singolo pregio: gli zigomi alti e perfetti, il collo ridente e soave, le labbra che si confondevano con la pelle di ceramica.
Mukuro Rokudo era tutto e lui era niente.
«Oggi è un giorno speciale, per questo sei una funeraria sposa. E per festeggiare, la messa in scena di oggi sarà un po’ più impegnativa del solito.» Prese un attimo di pausa per godersi il volto del suo piccolo e delicato amante, e poi riprese il suo discorso fluente.
«Siamo diventati grandi ormai, Tsunayoshi. Di spettacoli ne abbiamo fatti tanti in questo teatro, io e te.
Ma, per festeggiare il mio venticinquesimo compleanno, sto per chiederti una cosa particolare.»
Un suono metallico nacque tra le mani dell’illusionista, che lo portò alla luce senza troppe menzogne.
Teneva con sé una pistola.
Lo sguardo perso nel piacere dell’amore ossessivo.
Sette colpi.
Stava per mettere in scena il suo spettacolo migliore.
Sette, come i peccati capitali.

«Balliamo, Tsunayoshi Sawada?»
Con un salto balzò giù dal palco, ridendo follemente.
Il Decimo, colto all’improvviso, riuscì a spostarsi di sbieco, saltando a sua volta sui decadenti sedili. Era bianco in volto, ancora una volta. Assieme a lui balzò anche la coda del cappotto signorile, sparpagliando in aria polvere assuefante che gli diede l’illusione di indossare un velo da sposa.
Come poteva amare un uomo simile?

«Ira!» urlò Mukuro Rokudo, le corde vocali vibranti come un violoncello accordato in modo maniacale. Gli piacque il volto marmoreo del suo amante e il primo sparo risuonò sordo assieme agli applausi.
Con un movimento azzardato ma ugualmente delicato, Tsunayoshi saltò in equilibrio su un altro sedile, e il proiettile colse unicamente il cappotto lateralmente. La paura gli imperlava le gambe.
«La rabbia furente che mi coglie quando non sei qui con me!» tuonò nuovamente, spostandosi verso la sua preda a passo di danza. Ricaricò la pistola e solo allora il Decimo capì a pieno.
Se voleva sopravvivere abbastanza a lungo da vedere il finale dello spettacolo doveva ballare.
Era iniziata la danse macabre.
Gli occhi di Mukuro tremarono violentemente. «Invidia!»
Girò su se stesso in un movimento dannatamente aggraziato e sparò ancora, sfondando il sedile con l’intenzione di far cadere l’altro, che invece balzò sull’altra fila, gli occhi tristi nel constatare la follia perversa che sanguinava tra le labbra e scivolava lungo il collo dell’altro.
«Per tutte le volte in cui non desidererei altro l’attenzione che regali agli altri guardiani!»
«Accidia!» il colpo arrivò netto nella spalla destra e barcollò, cadendo come un peso morto tra i sedili. Il dolore gli attanagliava la vista e cercava di portarsela via per distruggerlo, ma con le lacrime nelle iridi si rialzò e corse alla cieca, gettandosi tra tende e cadendo nelle quinte.
Il cuore gli batteva tanto forte che sembrava stesse per cedere, e non gli diede l’udito per sentire lo scatto e la risata esattamente dietro di lui.
Scappò dalla mano insanguinata prima di esser preso come in un incubo, e ballando come Mukuro tanto desiderava, si gettò tra gli strumenti musicali. L’impatto con quei freddi e inutilizzati strumenti gli stordì i sensi, ma quella voce riuscì comunque a perseguitarlo.
«Avarizia!»
Il colpo perforante della pistola gli arrivò accanto, sfondando il cuore di un violino che si trasformò in rugginosa polvere.
«Ti posseggo a tal punto che nessun altro potrà più farlo!»
I loro corpi si sfiorarono per un istante e avvertì la gelida mano tastargli le labbra e dissolversi nel nulla.
Il sangue scendeva copiosamente dal braccio, lasciando a terra macchie distinte; la penombra gli giocava un brutto gioco, trasformandole in petali di rosa e ghigni salmastri.
Corse a perdifiato, avvertendo quello sguardo su di lui, inciampando tra vesti ed oggetti di scena.
Due colpi consecutivi tanto vicini da donargli un brivido di terrore atrofizzato.
«Gola, superbia!»
Due colpi consecutivi che gli avevano lambito le guance, ora a fuoco.
«Mio, e mio soltanto! Chi altro folle compara la mia superbia alla sua?»
Si gettò col respiro affannato sul palco, ormai diventato quasi cieco dal bruciore delle ferite penetranti.
Come una pellicola degli anni 20 bruciacchiata dalle guerre, la sua mente non ragionava più a pieno.
Accasciato su quel palco se ne stava rannicchiato ad aspettare il settimo colpo.
Nei meandri delle quinte ancora risuonava quella risata, ancora l’aria si spostava sotto il tono di un mago incompreso da tutti.
E poi, arrivò.
Lento e freddo come solo un ballerino d’élite poteva essere.
Si gettò su di lui ridendo, sfiorandogli i capelli con la mano libera e poggiando le labbra assassine sull’orecchio ormai insensibile.
I loro respiri si fusero in un’unica orchestra.
«Lussuria...»
La pistola gelida gli marcò la fronte, prendendo possesso di essa.
«Quella di cui tanto ci macchiamo assieme.»
Altro sangue ricoprì il cappotto: il sangue di Mukuro.

«Che si chiudano le luci, che cali il sipario.
Perché continueremo questa danza...
all’inferno!»

L’ultimo colpo fu sovrastato dagli applausi dei fantasmi in sala,
che si alzarono con tutta la polvere,
e lanciarono loro rose marce per congratularsi
di quella messinscena così reale.

  
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