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Autore: heles_allgood    09/06/2012    0 recensioni
(Volevo ringraziare la mia immagine, che è l'unica cosa che conta)
Genere: Comico, Demenziale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una cosa a cui mi sono opposta con fermezza è stata proprio questa. La visione dei video. L’ho detto al mio manager. Gli ho imposto di fare assolutamente qualcosa. Ho sottolineato molto bene la parola assolutamente. Con tanto di mano e sguardo assassino.
Ovviamente lui non ha capito un cazzo come al solito, direi. Dal momento che il video di quella cretina vestita di viola sta passando sui maxi schermi alle nostre spalle.
Devo licenziare il mio manager. Questa volta sul serio però.
Da quando l’ho incontrato, credo di averlo licenziato almeno una ventina di volte. Ma lui sembra essermi attaccato come un insetto sulla carta moschicida. Non riesco a liberarmene nella maniera più assoluta.
Stavolta invece devo proprio farlo.
Non tollero certi tipi di affronto.
È già abbastanza umiliante che quella sottospecie di pinguino con la gonna di tulle abbia vinto un premio che spettava a me, cazzo. Spettava a me.
Di diritto.
Sono io la star del pop.
Sono io che merito il titolo di best song.
Sono io che ho lavorato duro per elevarmi dalla roulotte in cui vivevo e fare una bella vita.
Sono io che ho lavorato duro in questi ultimi tre mesi per imparare ogni stupida coreografia e studiare le luci e i vestiti che mi stessero meglio.
Sono io che ho mangiato carote bollite e sedano crudo per perdere i chili di troppo.
Sono io che ho posato per servizi fotografici e rilasciato interviste in ogni angolo del paese per fare pubblicità a questa stronza premiazione.
Non lei.
Non può usurpare la mia serata.
Non dopo tutto quello che ho fatto.
Non dopo tutti i miei sacrifici e i miei sforzi.
Devo calmarmi.
Devo assolutamente calmarmi.
O consumerò la scuola delle scarpe a forza di fare avanti e indietro nel backstage.
Mi serve una sigaretta.
Mi serve un po’ di polvere degli angeli.
Mi serve un po’ di nettare degli dei.
Mi serve Tanja.
E mi serve un cellulare.
Fermo il primo che trovo, lo afferro per il bavero della camicia e gli chiedo il cellulare. Gentilmente si intende.
È un povero operaio sovrappeso e con una ridicola camicia a scacchi rossi e neri da boscaiolo delle foreste. Totale mancanza di buon gusto. Come denota il suo cellulare. Un Blackberry a un operaio. Che deve farci? Far funzionare una sparachiodi  premendo invio? Povero idiota.
Compongo velocemente il numero di Tanja. È la mia assistente personale.
Lo so a memoria perché spesso ho avuto bisogno di lei, soprattutto in rehab.
Non potevo di certo chiedere se mi facevano usare il mio cellulare per farmi portare una bottiglia di whisky, per favore.
Backstage, quasi vicino al palco. Sigarette e alcool. Quello che trovi. Scatta.
Riattacco e tiro il cellulare all’operaio sfigato che ancora mi guarda con tanto d’occhi. Gli rimbalza proprio contro il petto e nonostante i suoi riflessi addormentati, con qualche acrobazia riesce a recuperarlo al volo. Quando mai gi ricapita una cosa del genere?
Su. Vallo a raccontare ai tuoi amici, gli dico, scacciandolo con la mano.
No anzi. Siccome non ti crederanno mai facciamo di meglio.
Gli riprendo il cellulare, cerco la funzione fotocamera, mi abbarbico a lui sfoderando il mio migliore sorriso e acceco i nostri occhi con il flash.
Questo telefono fa veramente schifo.
Ora i tuoi amici ti crederanno, gli dico, sbattendogli il telefono sul petto. Questa volta lo afferra senza contorsioni strane.
Meglio così, non ho tempo da perdere.
Ho quattro minuti di video, due e mezzo di pubblicità e altri quattro di esibizione, prima di dover tornare sul palco.
Ho la bellezza di dieci minuti.
In cui devo anche cambiare abito.
È tutto calcolato e provato al secondo, con i cronometri alla mano.
Qui dietro la gente sembra impazzita. Ci sono coreografi e ballerini che corrono ovunque. Alcune delle celebs che dovranno presentare insieme a me cercano il mio sguardo, alcuni impauriti, altri completamente fregandosene di quello che devono fare o di me. La cosa mi sta benissimo perché il disinteresse al momento è reciproco.
Stephen e Didì arrivano con il nuovo vestito. Il tema della seconda uscita è il circo. Via la gonna di filo di ferro, via il body di pizzo quasi trasparente, via le calze a rete larga strappate in diversi punti, via i tronchetti tempestati di piccole borchie. Sei mani, comprese le mie mi svestono e mi rivestono alla velocità di un fulmine.
Ho bisogno di Tanja.
Quindi prima mi vesto, prima Cip e Ciop riprenderanno la via dei camerini e se ne andranno a discutere di qualche amenità da checche come fanno di solito.
Mentre loro mi infilano dei leggings a righe rosse e gialle, io mi infilo una giacca in stile divisa militare della guerra di Secessione con i bottoni e la passamaneria dorati, che arriva a malapena in vita, con tanto di code che lasciano scoperto il mio culo, di un blu elettrico perfettamente coordinato con i nastrini di raso che legano i leggings lungo i lati esterni delle mie gambe, come una volta si faceva con i corsetti. Mentre io mi infilo dei guanti rossi da motociclista, Cip e Ciop mi fanno infilare i piedi in un paio di stivali di gomma da pioggia, sempre con un micidiale tacco quindici, sempre blu in tinta con i nastrini e la giacca.
Questo si chiama “precorrere i tempi”.
Questo viene fatto da chi è sempre un passo avanti rispetto al resto del mondo.
Arrivano ovviamente anche la parrucchiera e la truccatrice.
In tutto al momento ho usato quattro minuti e diciassette secondi. Il che significa che ho ancora sei minuti e tredici secondi per bere qualcosa e fumare una sigaretta e pregare.
Faccio segno alla truccatrice di non muoversi, ma di seguirmi. Ho visto Tanja.
Ha una bottiglietta in mano con su l’etichetta del the al limone, e dentro qualcosa che sembra the al limone e che ha invece potrebbe dar fuoco alla parrucca della stronza se solo le arrivasse troppo vicino.
Il trucco purtroppo rimarrà lo stesso per tutta la sera, mentre i capelli cambieranno ogni due uscite. Sono tutte parrucche. Ci metto veramente poco a cambiare acconciatura. Per fortuna. Per il trucco, però, non abbiamo potuto farci molto. Mi avevano addirittura proposto di mettere una specie di pellicola adesiva al posto del trucco, così avremmo cambiato solo quella di volta in volta.
La mia risposta è stata che non ci pensassero nemmeno a rendermi la faccia come un colabrodo strappandomi roba adesiva per tutta la sera.
Per il trucco me ne sarei fatta una ragione, a patto che avessero fatto scegliere a me.
Non lo hanno fatto. lo dimostra il fatto che ho uno stupido ombretto azzurro “che si intona con tutto”. Ma vaffanculo, voi e l’azzurro. Manager del cazzo e assistenti ancora più del cazzo. Almeno ho Tanja al mio fianco.
Tanja è la mia assistente personale. Nonché la mia migliore amica. Nonché la mia compagna di classe delle medie. Nonché una mia ex. Nonché una raccatta tutto. Qualsiasi cosa tu chieda a Tanja lei è in grado di procurartela nel giro di ventiquattro ore. Per questo me la tengo sempre ben stretta. Inoltre è bravissima a distrarre il prossimo. Così che, anche in mezzo a una folla come quella che c’è ora, io posso pregare in santa pace.
Quando sei in mezzo alla folla, la cosa migliore che puoi fare per evitare che la gente abbia gli occhi su di te, è far finta che la gente non esista. Se la ignori, e ti mescoli senza problemi in mezzo alla massa, assumendone i comportamenti principali, nessuno farà mai caso a te. Se sei a un concerto devi saltare. Se sei sulla metro all’ora di punta devi guardarti intorno con fare indispettito. Se sei in chiesa devi tenere lo sguardo fisso davanti a te e muovere le labbra. Se sei al ristorante devi mangiare. Devi assumere gli atteggiamenti della folla in cui ti trovi, comportarti come lei, se vuoi passare totalmente inosservato. Quando ti sei mimetizzato con lei, allora puoi fare quello che vuoi, che nessuno ti noterà.
In questo casino per non farmi notare mi muovo in giro in modo nervoso e agitato. Tanja mi segue parlando con la truccatrice, istruendola su come deve sistemarmi il trucco del naso in modo da non farlo apparire come una cipolla matura quando sono in video. Le dice che il rossetto color ciliegia 609 non va bene per me, perché mi fa sembrare le labbra come due prugne sanguinolente in video. E nel frattempo io do le spalle a tutti, e con la scusa di sistemarmi il reggiseno, faccio la mia preghiera propiziatoria per la nuova uscita. Nel casino generale nessuno mi sente tirare su con il naso. E anche se fosse posso sempre dire di avere un po’ di raffreddore.
Eccola la botta.
Eccola.
Eccolaeccolaeccolaeccola.
Fantastico. Sento il cuore che pompa a mille e ogni vena che si spalanca. È come un viaggio veloce lungo una galleria illuminata da neon. È un salto nel vuoto senza paracadute. È un orgasmo moltiplicato cento e ancora ne avanza. È la testa che ti esplode e il corpo che diventa leggero. È la vita che senti dentro e che vuole uscire da te perché è troppa.
Apro gli occhi.
Di nuovo ogni cosa è nitida e cristallina. Meravigliosa. Pura. E perfetta.
Ora va meglio.
Ho sete, dico a Tanja.
Mi passa la bottiglia. Quello che c’è qui dentro sembra the al limone, ha lo stesso colore del the al limone, ma potrei barattarlo con una centrale atomica in Iraq e ci perderei io.
Bevo tre lunghi sorsi nel giro di pochi secondi. Poi allungo di nuovo la mano verso Tanja che mi da un pacchetto ancora intatto di Lucky Strike e un accendino.
Mi restano ancora due minuti e cinquantasei secondi.
Il tempo di fumare mezza sigaretta, farmi ripassare al volo i rossetto e uscire in scena. Ce la posso fare.
Un minuto, chiama il regista.
Sento l’aria diventare elettrica, e la tensione che cresce al punto da diventare palpabile. Cosa cazzo si agitano tutti quanti? Non c’è la loro faccia lassù ma la mia. Quindi non vedo perché si comportano come tante checche isteriche il primo giorno di saldi a metà prezzo da Chanel.
Ora di spegnere la sigaretta, mi dicono. O meglio: me lo fanno capire. La truccatrice me la strappa praticamente dalle dita. Questa patetica balena fasciata in una maglia di nylon nero ha avuto il coraggio di strappare a me la sigaretta dalle dita. È fortunata che io non abbia più l’accendino in mano, altrimenti le avrei dato fuoco alla maglia.
Ovviamente con lei dentro.
Per cena balena arrosto. Sai che spettacolo?
Con il pennello mi ritocca il rossetto, senza aggiungerne altro. In questo modo si smorza un po’ la tonalità intensa da prugna sanguinolenta. Vedremo se Tanja sarà più soddisfatta da questo nuovo tentativo.
Trenta secondi, urla il regista.
Non so se sia più irritante lui o il fatto di dover ogni volta uscire sul palco e trovarmi l’oca vestita di viola davanti alla faccia. Ma ci penserò prossimamente. Ora devo uscire a presentare la prossima categoria.
   
 
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