Titolo:
T’inventi.
Autore:
braver than nana
Rating:
verde
Conteggio
parole:
786
Note: Non scrivevo qualcosa da troppo tempo. Ho buttato giù queste righe perché è partita ‘L’altra parte di te’ di Alessandra e non mi sono potuta trattenere. Non è praticamente niente, ma credo mi piaccia. Bye.
T’inventi.
Chissà
se in qualche
posto tu esisti, da qualche parte mi cerchi, se come me t'inventi
l'altra metà
di te
Holmes
Chapel, nonostante
tutto, gli piaceva. Certo, non era una grande metropoli e sicuramente
non
avrebbe voluto passare il resto della sua vita lì, ma era
rassicurante pensare
all’aria tranquilla del suo paese, alle chiacchiere al bar
del centro con i
vecchietti che tiravano le guancie e le bastonate, alle neanche sei
mila
persone che ti salutavano per strada e che di sicuro ti volevano bene e
ti
sparlavano dietro.
Lui,
appoggiato alla
finestra della sua stanza, mentre guardava senza particolare interesse
il cane
del vicino saltare dal una parte all’altra del giardino, orse
inseguendo
qualche farfalla, sbuffò appannando il vetro sottile. Era
una sensazione
strana, condensata sul fondo dello stomaco da un paio di settimane e
che non
sembrava aver intenzione di andare via, pesante, che lo teneva di
cattivo umore.
Sua
madre gli accarezzava i
capelli, si abbassava alla sua altezza e gli sussurrava cose carine, non essere nervoso, andrà
tutto bene, se non ti
prendono gli spacco io il culo, a Simon Cowell, e lui
riusciva a ridere per
qualche istante, rilassandosi, ma sapeva che non era colpa del provino
per x
Factor che avrebbe dovuto fare a giorni.
Era
diverso. Era più
grande. Più pericoloso.
Era
come la fitta di tristezza che si può provare solo per colpa
della lontananza.
Come un grande vuoto, al centro del petto. Eppure se provava a
raccontarlo a
qualcuno, se non lo prendevano in giro subito, sbatacchiando le sue
spalle da
sedicenne fragili e ossute, il discorso ricadeva sempre su suo padre
facendolo
sbuffare ancora più forte perché certo, gli
mancava, ma lo sentiva almeno una
volta a settimana, lo vedeva una volta al mese, quella cosa
era più grande.
Era
come se mancasse una parte di lui. Come se, arrivato a quel punto, il
suo corpo
avesse smesso di trattenere una solitudine provata per tutta la vita,
come se
stesse cercando, scavando, annusando per una completezza maggiore.
Perché
Holmes Chapel gli piaceva ma quello che stava cercando non era
lì.
Si
sedette sul davanzale e appena chiuse gli occhi immaginò due
grandi occhi
azzurri e delle belle mani profumate. Rise, scuotendo i ricci ribelli
tagliati
da poco, concentrandosi. Doveva provare ancora una volta, isn’t she lovely.
E
chissà se nei tuoi giorni mi sogni, se nella sabbia disegni
la vaga idea che ti
sei fatta di me
Sua
madre era una forza della natura, le sue sorelle erano come quattro
piccoli
uragani, suo padre, l’unico padre che avesse mai conosciuto,
era forte come una
montagna. Lui, in mezzo a tutta quella gente così energica e
vivace non poteva
di certo essere da meno anche se doveva sforzarsi un po’ di
più per stare al
loro passo.
E
allora, per non perdersi per strada, faceva rumore. Era una cosa che
gli veniva
particolarmente bene. Ridere a voce alta, troppo alta, urlare, sbattere
i piedi
giusto per attirare l’attenzione e far sorridere e scuotere
la testa alle
persone che lo circondavano. Anche Hannah si era messo con lui
perché la faceva ridere,
e allora si era
sentito spronato a fare del suo meglio per diventare il buffone del
gruppo.
Tutti
ridevano sempre, ridevano alle sue battute stupide, alle sue camminate
ridicole, alle sue urla improvvise.
Poi
però tornava a casa e il rumore non finiva mai. Lo teneva
nella testa, il
casino più assoluto e quindi urlava, rideva, sbatteva i
piedi per non sentire
quel baccano che cercava attenzione. E lui ignorava da diciotto anni
anche se
sapeva benissimo fin da subito che mancava
quel qualcosa che con la voce alta non si riesce a riempire.
Si
coprì la faccia con il cuscino morbido, schiacciando il
tessuto morbido contro
le orecchie, sugli occhi che ogni volta che si chiudevano gli
riportavano l’immagine
di grandi, grandissimi occhi verdi e capelli ricci, morbidi e ribelli.
Non
era neanche nervoso per
l’esibizione che alla quella parte avrebbe dovuto presentarsi
pochi giorni
dopo. Hey there Delila la sapeva
così
bene di non aver neanche bisogno di provare ancora. Infondo lo sapeva,
non lo
avrebbero preso mai e sarebbe dovuto tornare in quella stanza, con
quella
insopportabile sensazione di mancanza affondata nel cervello,
continuando a gridare
per farsi sentire da chiunque stesse cercando.
E
poi che cosa ti aspetti, chissà se adesso mi senti,
chissà se fai come me, se
t'inventi, t’inventi
«Sei
stato bravissimo, io sono Louis.» gli occhi azzurri, il
sorriso sincero.
«Grazie,
io sono Harry e scusa, ma non ricordo la tua esibizione.» gli
occhi così grandi
e verdi da fare male.
«Non
fa niente, me lo fai un autografo?» l’ossigeno
nelle vene, il totale abbandono,
la consapevolezza.
Chissà.