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Autore: braver than nana    10/06/2012    1 recensioni
{ Larry Stylinson never ends }
Era come se mancasse una parte di lui. Come se, arrivato a quel punto, il suo corpo avesse smesso di trattenere una solitudine provata per tutta la vita, come se stesse cercando, scavando, annusando per una completezza maggiore. / E lui ignorava da diciotto anni anche se sapeva benissimo fin da subito che mancava quel qualcosa che con la voce alta non si riesce a riempire.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: T’inventi.
Autore: braver than nana
Rating: verde
Conteggio parole: 786

Riassunto: Era come se mancasse una parte di lui. Come se, arrivato a quel punto, il suo corpo avesse smesso di trattenere una solitudine provata per tutta la vita, come se stesse cercando, scavando, annusando per una completezza maggiore. / E lui ignorava da diciotto anni anche se sapeva benissimo fin da subito che mancava quel qualcosa che con la voce alta non si riesce a riempire.
Note: Non scrivevo qualcosa da troppo tempo.  Ho buttato giù queste righe perché è partita ‘L’altra parte di te’ di Alessandra e non mi sono potuta trattenere. Non è praticamente niente, ma credo mi piaccia. Bye.

T’inventi.

Chissà se in qualche posto tu esisti, da qualche parte mi cerchi, se come me t'inventi l'altra metà di te

Holmes Chapel, nonostante tutto, gli piaceva. Certo, non era una grande metropoli e sicuramente non avrebbe voluto passare il resto della sua vita lì, ma era rassicurante pensare all’aria tranquilla del suo paese, alle chiacchiere al bar del centro con i vecchietti che tiravano le guancie e le bastonate, alle neanche sei mila persone che ti salutavano per strada e che di sicuro ti volevano bene e ti sparlavano dietro.

Lui, appoggiato alla finestra della sua stanza, mentre guardava senza particolare interesse il cane del vicino saltare dal una parte all’altra del giardino, orse inseguendo qualche farfalla, sbuffò appannando il vetro sottile. Era una sensazione strana, condensata sul fondo dello stomaco da un paio di settimane e che non sembrava aver intenzione di andare via, pesante, che lo teneva di cattivo umore.

Sua madre gli accarezzava i capelli, si abbassava alla sua altezza e gli sussurrava cose carine, non essere nervoso, andrà tutto bene, se non ti prendono gli spacco io il culo, a Simon Cowell, e lui riusciva a ridere per qualche istante, rilassandosi, ma sapeva che non era colpa del provino per x Factor che avrebbe dovuto fare a giorni.

Era diverso. Era più grande. Più pericoloso.

Era come la fitta di tristezza che si può provare solo per colpa della lontananza. Come un grande vuoto, al centro del petto. Eppure se provava a raccontarlo a qualcuno, se non lo prendevano in giro subito, sbatacchiando le sue spalle da sedicenne fragili e ossute, il discorso ricadeva sempre su suo padre facendolo sbuffare ancora più forte perché certo, gli mancava, ma lo sentiva almeno una volta a settimana, lo vedeva una volta al mese, quella cosa era più grande.

Era come se mancasse una parte di lui. Come se, arrivato a quel punto, il suo corpo avesse smesso di trattenere una solitudine provata per tutta la vita, come se stesse cercando, scavando, annusando per una completezza maggiore. Perché Holmes Chapel gli piaceva ma quello che stava cercando non era lì.

Si sedette sul davanzale e appena chiuse gli occhi immaginò due grandi occhi azzurri e delle belle mani profumate. Rise, scuotendo i ricci ribelli tagliati da poco, concentrandosi. Doveva provare ancora una volta, isn’t she lovely.

E chissà se nei tuoi giorni mi sogni, se nella sabbia disegni la vaga idea che ti sei fatta di me

Sua madre era una forza della natura, le sue sorelle erano come quattro piccoli uragani, suo padre, l’unico padre che avesse mai conosciuto, era forte come una montagna. Lui, in mezzo a tutta quella gente così energica e vivace non poteva di certo essere da meno anche se doveva sforzarsi un po’ di più per stare al loro passo.

E allora, per non perdersi per strada, faceva rumore. Era una cosa che gli veniva particolarmente bene. Ridere a voce alta, troppo alta, urlare, sbattere i piedi giusto per attirare l’attenzione e far sorridere e scuotere la testa alle persone che lo circondavano. Anche Hannah si era messo con lui perché la faceva ridere, e allora si era sentito spronato a fare del suo meglio per diventare il buffone del gruppo.

Tutti ridevano sempre, ridevano alle sue battute stupide, alle sue camminate ridicole, alle sue urla improvvise.

Poi però tornava a casa e il rumore non finiva mai. Lo teneva nella testa, il casino più assoluto e quindi urlava, rideva, sbatteva i piedi per non sentire quel baccano che cercava attenzione. E lui ignorava da diciotto anni anche se sapeva benissimo fin da subito che mancava quel qualcosa che con la voce alta non si riesce a riempire.

Si coprì la faccia con il cuscino morbido, schiacciando il tessuto morbido contro le orecchie, sugli occhi che ogni volta che si chiudevano gli riportavano l’immagine di grandi, grandissimi occhi verdi e capelli ricci, morbidi e ribelli.

Non era neanche nervoso per l’esibizione che alla quella parte avrebbe dovuto presentarsi pochi giorni dopo. Hey there Delila la sapeva così bene di non aver neanche bisogno di provare ancora. Infondo lo sapeva, non lo avrebbero preso mai e sarebbe dovuto tornare in quella stanza, con quella insopportabile sensazione di mancanza affondata nel cervello, continuando a gridare per farsi sentire da chiunque stesse cercando.

E poi che cosa ti aspetti, chissà se adesso mi senti, chissà se fai come me, se t'inventi, t’inventi

«Sei stato bravissimo, io sono Louis.» gli occhi azzurri, il sorriso sincero.

«Grazie, io sono Harry e scusa, ma non ricordo la tua esibizione.» gli occhi così grandi e verdi da fare male.

«Non fa niente, me lo fai un autografo?» l’ossigeno nelle vene, il totale abbandono, la consapevolezza.

Chissà.

   
 
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