Mi
chiamo Quinn Fabray, ho
avuto un incidente d’auto non meno di mezz’ora fa.
Il pick-up rosso che mi ha
messo sotto è stata l’ultima cosa che ho visto
nella mia vita. So di essere
morta, ma… ancora non me ne rendo conto. Il mio corpo
è qui, se penso di muovere
un braccio questo si muove. Ho ancora la capacità di muovere
il mio corpo,
forse ho ancora una speranza. Sento il silenzio intorno a me, anche se
vedo
buio, buio pesto. Nessuna figura. Nessuna persona. Buio pesto e
silenzio
eloquente.
Avrei
tante cose da dire
alle persone che mi circondano, che mi hanno circondato per anni. Mi
piacerebbe
rivolgere loro un bel sorriso, uno dei miei migliori e sostenere che
sono stati
importanti per me. Mi piacerebbe far sapere loro che… mi
hanno aiutata
crescere, nella buona o cattiva sorte, sono sempre stati dei maestri
per me,
maestri di vita. Sono particolarmente orgogliosa di essere cresciuta al
McKinley, l’ignoranza non ha mai regnato sovrana.
Così mia figlia dovrebbe
crescere, sapendo che Blaine e Kurt si amano per quello che sono e che
non
fanno schifo; sapendo che Dave Karofsky ha semplicemente sbagliato, ma
non si
uccide chi sbaglia, si perdona. Proprio come Kurt ha fatto. Ognuno di
loro
avrebbe potuto insegnare qualcosa alla mia bambina. Bambina che non ci
sarà
mai.
Inizio
a sentire freddo,
ma ancora non vedo nessuna luce. Sono sempre stata abituata a vedere il
paradiso come un luogo di luce eterna, spero vivamente di andarci. Mi
sono
sempre comportata al meglio, professando la mia fede. Anche se ho dato
qualche
fastidio negli anni successivi ho cercato di rimediare.
Ho
avuto un’adolescenza
difficile, e forse è per questo che mi sono sempre
comportata male, mi sono
tinta i capelli di rosa e ho iniziato a fumare. Ho sfiorato i limiti
della
pazzia, ossessionata da una bambina che aveva cessato di essere mia sin
dalla
sua nascita. Ora starà per sempre con la sua nuova
mamma e spero che Puck sarà sempre il suo speciale papà. Non voglio
che si arrenda solo perché io non ci
sono più. Conto sul fatto che resti per sempre il Noah
Puckerman di cui mi sono
innamorata anni fa.
È
stato certamente
l’errore più bello di io potessi fare, quel
ragazzo. Amarlo mi ha reso più
forte e forse anche distrutto un po’ dall’interno.
Mi ha insegnato a non
arrendermi. A non rassegnarmi all’idea di stare sola, mi ha
reso forte, ma mi
ha distrutto. Lui, la sua indifferenza, il suo gelo. Come
può una persona dirti
di amarti e poi dimenticare tutto quanto in soli tre mesi?
Temevo
che il cuore
smettesse di battere per un momento, lasciandomi morta. Niente di tutto
questo.
Pensavo di morire di dolore, invece ho appena capito che non provo
dolore nel
morire. Non c’è nessun dolore al momento. Solo un
senso di vuoto dentro lo
stomaco, come se mi stessi, in questo momento, separando dal mio corpo.
Sto
seguendo la mia anima e sto lasciando il mio corpo.
Ho
avuto una bella vita dopotutto,
anche se la mia adolescenza non è stata il massimo me la
sono costruita io
intorno. Quindi immagino sia colpa mia. Ho stretto mani alle persone
più
disparate – e ne ho incontrare tante, con tutti i campionati
che ho vinto e a
cui sono stata. Ho sorriso tanto, pianto, gridato, dato alla luce una
bambina..
Non mi è mai mancato niente, se non l’affetto di
mio padre. Non ha mai avuto
più niente a che fare con me. Ho sempre pensato di avere
qualcosa di sbagliato
io, ma alla fine, ho capito che non ero io. E’ sempre stato
lui quello
sbagliato, quello con i problemi… Io… ho solo
fatto un errore, chi non ne fa? E
poi ho dato alla luce una splendida creatura, sono orgogliosa di me, lo
sarò
per sempre. Chissà se non l’avessi fatto, forse a
quest’ora mi sentirei una
persona ignobile. Sono sempre stata abituata a volermi bene, non ce
l’avrei
fatta ad odiarmi.
Vorrei
però riscattarmi.
Vorrei aver avuto l’opportunità di vincere le mie
prime nazionali,
l’opportunità di stringere nuovamente la mano a
Puck, baciarlo e dirgli che lo
amo… Ma sto morendo. Sto morendo qui. Non rivedrò
mai più i miei amici. Non
amerò più nessuno. Non mi diplomerò.
Non avrò dei figli. E non farò la fotografa.
Nessuno dei miei sogni si realizzerà mai perché
sto morendo. Chissà se c’è
qualcuno intorno a me ora. Vorrei sentire le voci di qualcuno a me
caro, così
da andarmene senza rammarico, senza paura di essere morta da sola.
È egoistico,
lo so. Ma non posso morire sola. Non me lo merito.
«Quinn…
Quinn, mi senti?»
Una
voce roca, maschile mi
stava portando alla realtà. Mi stava disturbando,
però, produceva un sacco di
rumori. Sentivo quella stessa voce sbattere nella mia parete mentale,
se
esisteva, e proiettarsi in ogni angolo del mio corpo. Mi faceva male.
Lo
sentivo avrei voluto dargli una risposta, ma al momento non riuscivo a
muovermi
o parlare.
«Quinn,
per favore…»
Sentii
il suo respirò
affannarsi, quasi stesso piangendo. O forse lo stava facendo. Non ero
sola,
qualcuno era li, mentre io passavo a miglior vita. Avrei tanto voluto
vedere
chi fosse. Il ragazzo – chiunque fosse – si
lasciò andare in un pianto
liberatorio, pieno di singhiozzi. Mi faceva una tale tenerezza. Gli
avrei
voluto dire di non disperarsi tanto, che non faceva così
male, ma come? Dovevo
muovermi, dovevo fare qualcosa… Sentivo le ossa rompersi
ogni genere di
movimento che provavo a fare. Ero una delusione. Mi scoppiava la testa,
ma non
era ancora arrivato il momento di mollare. Deglutii o forse lo feci
solo nella
mia più remota immaginazione. Chiunque fosse conosceva il
mio nome e piangeva,
mi voleva bene.
«Ascolta…
» provai allora.
La mia voce risultò troppo bassa, quasi non mi sentivo
nemmeno io, e questo era
tutto dire. Mi portai una mano all’addome. Il mio respiro si
affannava sempre
di più. Ero… ero vicina, dovevo sbrigarmi.
«Devi… dire delle cose alle persone
che conosco, se ci conosciamo. Sennò vai al Glee Club del
McKinley, sono loro
le persone che amo… »
«Quinn,
apri gli occhi,
sono Puckerman… Dimmi che mi odi, ma guardami.
Scusa… » Era lui. Lui era venuto
al mio capezzale a piangere.
«Puck,
ascoltami… Sei la
miglior cosa che mi sia potuta accadere, te lo giuro…
» Continuava a piangere
però. Non sapevo nemmeno se tra i suoi singhiozzi si sentiva
la mia voce. «Ti
amo, Puckerman… Sei sempre stato la mia
prima scelta e sempre lo sarai. Ma ora, per favore, smettila di
piangere. »
ripresi a parlare deglutendo ancora. Volevo… volevo
lasciarmi andare,
semplicemente. «Proteggi Beth, non
mollare. Salutami i ragazzi e di loro che li ho amati, anche
la Berry. Ricordale
che è stata la mia nemesi per eccellenza. Parla con
l’Unholy, di che sono le
sorelle che ho sempre desiderato. E amami, amami Puckerman. Ma vai
avanti, per
favore… » Aveva smesso di singhiozzare,
è vero. Mi stava ascoltando. Ma ora ero
io che sentivo un liquido caldo scendermi dagli occhi, invadermi le
guance. Mi
sarebbe mancato tutto quello.
Mi
stava scivolando tutto
dalle mani, stavo morendo. «Ti guardo
dall’alto… Non dimenticarti.» Mi
costrinsi a dire per quanto facesse male.
damnhudson’s
corner.
E’ qualcosa che stavo
scrivendo da molto, che ho ripreso oggi solo perché sono in
vacanza e non ho
dovuto studiare per domani, yay.
Beh, si basa un po’ sulla
3x14, l’incidente di Quinn. E’ raccontato
direttamente da lei, perché pensavo
avesse fatto più effetto.
Come sempre, sono stata
male a scrivere queste scene, non so davvero perché continuo
a farlo. Anche se
non ne posso fare a meno.