La stanza bianca, lucida e splendente
odorava di ospedale.
L'acre odore di disinfettante era giunto persino all'interno di
quell'ala
dell'ospedale. Non aveva mai provato alcun fastidio nell'andare in un
tale
stabile, non l'aveva mia impressionata come era successo invece quel
giorno.
Forse per la prima volta nella sua vita aveva provato un disagio
derivato non
dal luogo in cui era, ma dal vedere legato per la prima volta a quel
luogo, dove
si era recata tante volte, un evento tanto funesto. Non era mai stata
in una
camera mortuaria. Quella era un'area dell'ospedale che non aveva mai
conosciuto. Aveva atteso una buona mezz'ora prima di avere il coraggio
di
entrare. Lola non si era mai curata di ciò che pensava la
gente di lei, si era
creata la propria vita libera e indipendente da qualsivoglia giudizio;
eppure
ora sentiva che tutte le sue certezze, tutte le sue forze la stessero
lasciando, scivolando via più leggere di un soffio, di una
piuma che lentamente
cada a toccare la superficie. Fluivano attraverso di lei e fuori di
lei. E lei
non aveva la capacità di fermarle, era impotente e lasciava
che la sua stessa
forza vitale, per la quale si era tanto impressa nella memoria delle
persone che
l'avevano conosciuta, la lasciasse inerme e immobile.Quando
aveva saputo l'accadimento, era a casa dei
suoi per festeggiare il compleanno di sua zia, Paula, della quale,
ironia della
sorte, non si era mai ricordata il giorno di nascita. La sala era piena
di
parenti e amici di quella zia materna dalla quale si diceva avesse
ereditato la
carica e l'energia di affrontare la vita. Ad avvisarla dell'incidente
che aveva
avuto, era stata la moglie. Aveva chiamato nel bel mezzo dei
festeggiamenti. La
casa, piena di allegria e musica, aveva continuato a mantenersi tale
nonostante
lo squillo del telefono, che persistente cercava di farsi sentire in
mezzo al
trambusto. A rispondere era andato suo padre, che si era allontanato
dalla
sala, forse per comprendere meglio le parole del suo interlocutore.
Lola, che
era in compagnia del suo ragazzo, non si era accorta del telefono,
finché non
notò il padre che la chiamava. Di controvoglia lo
raggiunse e si accostò il ricevitore del telefono
all'orecchio, quando egli glielo mise in mano.Sentire la voce di colei
che per anni era stata la sua
rivale, l'aveva fatta preoccupare. Gloria non l'aveva mai sopportata e
se era
arrivata a chiamarla, doveva essere successo qualcosa di veramente
grave. “È...
morto.” furono le sue semplici parole. Poi, dopo una pausa
interminabile, la
sua voce, ora stranamente comprensiva e pacata, quasi dolce, riprese.
“Ha avuto
un incidente stradale. Era di ritorno a casa, dopo il tour. Era
sull'autostrada. Pioveva a dirotto. La polizia sta svolgendo le
indagini ma
ancora non sa quali siano state le dinamiche dell'incidente. Noi...
siamo
distrutte. Il funerale sarà tra tre giorni. Ti
farò sapere gli svolgimenti.”
disse lei.Mentre la voce della donna parlava, Lola sentiva le gambe
cederle, il respiro farsi sempre più veloce, la sua testa
svuotarsi di tutto
eppure appesantirsi sempre più. Sentì una voglia
di urlare, di scoppiare a
piangere come una bambina e andarsi a rifugiare tra le braccia della
madre,
scaturirle dal profondo del suo animo, ora lacerato, straziato, come se
piccoli
aghi le perforassero il cuore, quel muscolo che insieme a lei aveva
tanto
sofferto e patito per l'uomo della sua vita, quel suo primo amore che
ora
l'aveva abbandonata. Ora non sarebbe stato più
così. Avrebbe imparato a vivere
con lui, con questo dolore eterno e costante nella sua vita. Il tour...
Lei
sapeva benissimo che sarebbe tornato dalla moglie. Si erano visti
l'ultima sera
di replica a Verona. Due giorni prima della notizia. Aveva comprato il
biglietto all'ultimo minuto, incurante del posto. Conosceva ogni
singola
battuta a memoria. Aveva assistito allo spettacolo, come tutte le sere
in
realtà. Era riuscita a emozionarsi come sempre, anche se
ormai conosceva ogni
singola nota e parola. Mentre le persone aspettavano fuori l'uscita dei
cantattori, lei si era infilata nella zona del teatro dedicata agli
artisti. E
aveva aspettato nel corridoio, fuori dalla porta. La mente confusa dal
tumulto
dei pensieri. Lo stomaco chiuso e una scarica tra l'elettrizzato e il
nervoso
che le attraversava il corpo. Lo aveva sempre seguito ovunque, guardato
tutte
le repliche di tutti i suoi spettacoli. Eppure questa era la prima
volta che
andava da lui. Prima non aveva mai avuto il coraggio, nonostante i suoi
buoni
propositi. Sospirò, aspettando. Ogni attimo sembrava eterno.
E ogni istante
guardava l'orologio impaziente. Voleva vederlo, doveva vederlo. Dopo
minuti che
le parvero ore, la porta cigolò, e sulla soglia oscurata,
apparve lui. E lo
guardò. I suoi capelli neri corvini un tempo, ora
presentavano qualche filo
d'argento, e dentro di sé sorrise, pensando a quella vecchia
canzone italiana
che le aveva insegnato lui e il resto del gruppo quando era arrivata in
Italia
la prima volta.Poi i loro sguardi s'incrociarono. I suoi occhi color
caffè
erano ancora pieni di mistero, affascinanti come allora, e lei ne
subì come
sempre il fascino. Quegli occhi avevano la capacità di farle
dimenticare tutto,
persino il dolore che la lunga lontananza di dieci anni le aveva
provocato.
Quel dolore che nessun uomo, per quanto la amasse e le dedicasse tutte
le
attenzioni che si meritava, era mai riuscito a estinguere dal suo
cuore,
ferito, lacerato ma perdutamente innamorato del suo torturatore. Lo
amava
incondizionatamente, come solo una ragazzina di vent'anni poteva amare.
E anche
se ora erano trascorsi dieci anni, la forza del suo amore era sempre
stata
devastante come quello di una giovane teenager. Lo guardò
per lunghi attimi,
incapace di dire qualsiasi cosa. Ferma, immobile. L'emozione era tanto
forte
che non era certa di poter reggere. E invece, pochi attimi dopo,
correva verso
di lui, sorridendo felice. Lui l'aveva stretta forte a sé, e
lei aveva
corrisposto, spinta dalla paura che quell'attimo magico potesse finire
da un
momento all'altro. Aveva sentito le sue labbra tempestare di dolci baci
i
capelli soffici, e coprirle il viso, le guance, gli occhi, la fronte,
per poi
scendere dall'altro lato, fino a arrivare alle sue labbra e fermarsi.
Guardarla
negli occhi con amore, desiderio, con tutte le parole sospese tra loro,
tutte
le promesse non dette. Le loro labbra si sfiorarono, toccarono
provocandole
brividi lungo tutto il corpo. Sentiva un fortissimo bisogno di lui, di
appartenergli, com'era successo anni prima. E poi, quel bacio colmo di
amore si
trasformò in qualcosa di più, in una
necessità, dettata dalla troppa
lontananza. Sentì le sue braccia forti stringerla a
sé, le loro bocche cercarsi
con passione e desiderio, gli stessi sentimenti che tante volte avevano
rischiato di farla impazzire. Un bacio che spiegava tutti i forti
sentimenti
che entrambi avevano provato in quei lunghi dieci anni. Non riusciva
ancora a
credere che lui fosse lì, con lei.Quando il bacio
finì, lui le disse soltanto “Sei
tornata..”
racchiudendo in quelle parole tutto ciò che era inutile
aggiungere. Lui le afferrò
la mano e la portò fuori dall’arena, nella sua
stanza d’albergo. La sera era
ancora calda e il cielo era blu zaffiro. Dalla strada giungevano le
luci della
città e la musica lontana dei locali, oltre al
chiacchiericcio dei giovani per
le strade. Qualche volta anche il rombo del motore di qualche moto, o
di
qualche auto che passava. Lei era alla finestra a guardare. Quella
città le
aveva sempre ricordato i bei momenti passati con lui, a girovagare per
il
centro la mattina e a provare al pomeriggio, dopo aver pranzato da
qualche
parte con il resto del cast. E ora era di nuovo lì. Felice
con lui, anche se
per una sola notte. Era certa che se la sarebbe ricordata per tutta la
vita.
-Ti va?- chiese lui avvicinandosi a lei da dietro, porgendole
un bicchiere di vino rosso.
-Non ho bisogno di bere, per dimenticare il resto del mondo
fuori.- rispose prendendolo però in mano.
-Volevo brindare in realtà.- disse appoggiandosi di fronte a
lei al davanzale.
-Con del vino?- chiese lei.
-Sì. Questo è quello che ho, ma se preferisci
brindare con
acqua, basta dirlo.-. rispose. I suoi occhi tornarono a essere quelli
duri e
scuri di sempre.
-No, va bene. A cosa si brinda?- domandò lei alzando il
bicchiere.
-Niente. lascia perdere.- disse allontanandosi e sedendosi
sul letto. Lei lo guardò. Era già tutto finito?
Non era ancora passata un’ora e
già erano tornati a essere degli estranei?
Sospirò e si guardò intorno. Era la
stessa stanza di dieci anni prima. C’era ancora la macchia di
vino rosso sulla
parete vicino al tavolo. Rimase lì a pensare, fissare il
vuoto in silenzio.
Sentiva il suo sguardo su di sé, ma non riusciva a dire
niente. Era sbagliato.
Tutto sbagliato. Se non si erano mai riusciti a vedersi in quegli anni,
un
motivo sicuramente c’era. Lei non faceva parte della sua
vita. Lui era sposato,
aveva una bambina bellissima di nove anni. E lei cos’era per
lui? Una ragazzina
amata che era diventata donna. Non poteva neanche definirsi la sua
amante. Non
era niente per lui. Eppure sentiva di essere legata a lui, in qualche
modo.
Voleva far parte del suo mondo. Voleva che le dicesse quanto la amava,
voleva
appartenergli. Lo desiderava con tutto se stesso. Si erano incontrati
dopo
lungo tempo, si erano guardati negli occhi, desiderando di tornare per
un solo
istante quelli di un tempo. E ora che potevano esserlo, era tutto
rovinato. Per
un attimo pensò che fosse meglio andarsene. E si
avviò alla porta. Non aveva
senso rimanere lì, con la persona che amava e con la quale
non aveva nulla da
dire. Eppure in tutti quegli anni si era ripetuta mille volte cosa dire
a lui.
Se l’era anche scritta a un certo punto.
-Resta con me. Ti prego... - mormorò la sua voce dietro di
lei, mentre la abbracciava da dietro dolcemente. –Scusa per
prima io non volevo
rovinare tutto quanto. So che un brindisi con del vino rosso in un
bicchiere di
carta effettivamente non è il massimo. Tu ti meriti di
meglio. Molto meglio. So
di aver tante cose da farmi perdonare, Lola. Non ti merito.
Però ti amo, per
quanto vale. Mi sei mancata tantissimo sai? Le nostre chiacchierate
fino a
notte fonda, le nostre colazioni insieme. Il vederti semplicemente in
giro per
le stanze, la tua risata, tenerti tra le braccia.. tutto. Resta con me,
mio
amore, mia vita. Solo per questa notte. Ti prego.- le
mormorò sincero
all’orecchio. Lo sentiva che era sincero. La mano
scivolò via dalla maniglia
della porta e si voltò verso di lui.
-Ho aspettato queste parole per anni. Non ho alcuna
intenzione di andarmene.-. disse lei per poi lasciarsi baciare con
passione.
Ricambiando totalmente. Perdendo totalmente il senso del tempo.
Lasciando che
tutta la sua razionalità e la sua forza di
volontà scivolassero via, lasciando
che si facesse forte in lei il senso di eternità. Si
lasciò trasportare, senza
pensare a niente che non fosse baciare lui, stringersi a lui, toccare
lui,
amare lui. Non importava come o dove. Voleva stare solo con lui,
sentirlo, e
appartenergli. Sentì sollevarsi da terra, sospesa e essere
distesa sul
materasso, tra le lenzuola. E si erano amati, con amore, dolcezza,
passione,
bisogno, finché entrambi sfiniti non si erano addormentati
come due amanti,
l’una tra le braccia dell’altro.
-Volevo brindare a noi. Oggi sono dieci anni esatti dalla
prima del nostro spettacolo.- disse lui sorridendo prima di baciarla e
addormentarsi
definitivamente.
Lola si riscosse dal tumulto di pensieri. Gli occhi erano
gonfi di lacrime che bruciavano. Ogni lacrima una fitta del cuore. Non
si era
mai sentita così male per nessuno. Solo lui era stato in
grado di farle provare
emozioni tanto forti, contrastanti e devastanti. Aveva annullato ogni
sua
capacità di intendere e di volere fin dal primo giorno del
loro incontro ai
provini per quell’opera che le avrebbe cambiato la vita.
Niente era stato più
bello della prima volta che lui l’aveva guardata. Allora lei
aveva diciannove
anni, lui trentotto. Lei una ragazzina innamorata della vita, lui un
uomo
innamorato di sua moglie. Si erano subito trovati bene e avevano
parlato a
lungo in attesa del loro turno, controllati dal padre di lei che
l’aveva
accompagnata.
-Lola, dobbiamo andare..- mormorò Alejandro, il suo
fratello, prendendola dolcemente per mano. Lei scossa annuì
e si lasciò portare alla
macchina. Occupò il proprio posto sul sedile del passeggero
e osservò le vie
della città da fuori il finestrino. Le case erano belle, le
vie ampie e il sole
di quella mattina sembrava illuminare ogni cosa con
l’intenzione di far
apparire tutto più bello proprio nel giorno in cui lei
soffriva come non mai.
Maledetta ironia della sorte!
Non sentì neanche la macchina frenare e posteggiare. Era
immune da tutto ciò che le stava accadendo intorno. Niente
aveva più senso
senza lui. Niente che non fosse lui. Pianse. E entrò in
chiesa per la messa.
Le parole del parroco risuonavano nell’ambiente sacro
rimbombando. La sola voce che si sentì era la sua, o almeno
gli altri. Lei, la
sua attenzione vagava su ben altri ricordi e pensieri. Di
tutt’altro genere.
Era il 25 di Luglio, quando lei e il resto del cast erano
entrati nella gotica cattedrale di Parigi. Erano entrati tutti curiosi
di
vedere l’edificio sacro. Lei si era lasciata incantare dalle
dimensioni della
chiesa e dall’atmosfera di sacralità e mistero che
la avvolgeva. Le era sempre
piaciuto andare a visitare le chiese, per la loro bellezza e per quel
rapporto che
si veniva a creare sempre con la religione in un luogo del genere,
anche e
forse soprattutto quando il sacerdote non celebrava la messa e la
dimora di Dio
era pressoché vuota. Si erano alzati presto quel mattino per
andare a visitarla
quando non era ancora affollata. E così per le nove erano
entrati. Il pavimento
a scacchi bianchi e neri era antico, originale e presentava tutti i
segni che i
tacchi delle nobildonne e dei nobili avevano formato nel corso dei
secoli.
Nelle colonne nulla era definito, tranne la forma. Assomigliavano a
colonne
doriche estremamente alte e per questo meno tozze delle colleghe
risalenti al V
secolo a.C. la pietra era ruvida al tatto e dava quel senso di
imperfezione,
come a indicare il fatto che nonostante la chiesa tenda verso
l’alto, per
avvicinarsi il più possibile a Dio, era sempre opera di un
uomo, e per questo
imperfetta. Era questo che più l’affascinava, il
poter riconoscere in ogni
chiesa il dettaglio dell’imperfezione umana, qualunque
fossero gli ornamenti
che la caratterizzassero.
E poi era in sua compagnia. Erano in quella chiesa insieme.
Vicini. Erano insieme a altre quindici persone più o meno,
ma ciò non aveva
importanza. L’importante è che fossero insieme.
Era l’unica cosa fondamentale,
non necessitava di altro. Solo loro due.
In religioso silenzio avevano girato per la cattedrale,
ascoltando la voce registrata nell’aggeggio che le spiegava
ogni punto della
cattedrale e la sua storia. Girammo intorno all’altare
maggiore, dietro, dove
si trovavano tutte le tombe dei personaggi importanti e nobili di
allora. Per
tutta la durata della visita alla cattedrale, lei l’aveva
guardato di nascosto,
conscia del fatto che lui non poteva ricambiare lo sguardo, eppure
tanto
desiderosa che alzasse gli occhi, quegli occhi che tanto adorava e che
la
guardasse, anche per un solo istante. E a pensare questo scuoteva
leggermente
il capo, parlando con se stessa. Non era possibile che lui ricambiasse.
Lei non
aveva ancora e neanche vent’anni, mentre lui era un uomo. La
differenza di età
era troppa perché potesse succedere qualcosa che superasse
la durata del tour.
Si sarebbe anche accontentata di quei mesi, però era fin
troppo certa che,
tornata in Argentina, avrebbe sofferto troppo, al ricordare quei
momenti
passati con lui. Era troppo doloroso, eppure pensava che ne sarebbe
valsa la
pena. Meglio rimpiangere qualcosa che pentirsi di non aver agito, le
diceva
sempre suo padre. Suo padre aveva sempre avuto ragione, e
così le era sembrato
saggio seguire il consiglio del genitore. Lì, nella
cattedrale, durante la
visita, aveva pensato a come fare per parlare con lui da sola, senza
destar
sospetti negli altri e senza comportarsi come una bambina. Era troppo
forte il
desiderio, talmente forte che quando lui casualmente
incrociò il suo sguardo,
lei arrossì violentemente e distolse lo sguardo. Per poi
tornarlo a guardare
solo quando si fu calmata, ma lui, oramai, era tornato a guardare
altrove.
Chinò il capo e proseguì il giro. Si era
comportata esattamente come una
bambina, ovvero ciò che era.
Come si sarebbe giustificata con lui per questo suo
comportamento infantile. L’avrebbe presa per scema? O per
pazza? In ogni caso
non voleva saperlo. L’umiliazione sarebbe stata troppa. E non
voleva che la sua
stupidità gli impedisse di rivolgerle la parola. Sarebbe
stato peggio che non
vederlo più.
Alla fine del giro dentro la cattedrale, uscirono fuori
all’aria
aperta. Felice guardava la piazza nel suo complesso, con la coda di
persone e
turisti che attendevano per entrare nella cattedrale.
-si sale in cima!- le disse un euforico Matteo, per poi
trascinarla fino all’entrata laterale della torre. Entrati,
iniziarono a salire
una quantità infinita di gradini, stretti, ripidi che si
srotolavano a
chiocciola intorno al pilastro centrale della torre. Non
c’era mancorrente e a
furia di girare, continuando sempre più a salire, la testa
iniziò lentamente a
girare. Ma quando finivano?! Non credeva fosse possibile che potessero
continuare ancora a lungo, e invece non si riusciva a intravedere mai
la fine. Sembrava
che più andassero avanti, più le scale invece di
diminuire aumentassero.
-Va tutto bene? Hai rallentato il passo.. Sono troppe per
te?- le chiese lui da dietro, sorridendo.
-No.. mi adeguo al tuo passo.. non vorrei distaccarti
troppo!- fece lei ridendo.
-Io sto perfettamente..grazie per la premura..- ribatté
sorridendole.
Lei arrossì di nuovo violentemente, questa volta non vista
da lui, e continuò a
camminare in silenzio, presa dai suoi pensieri fino in cima.
-Arrivati.- disse sorridendo Matteo, voltandosi verso di lei.
-Finalmente! Non finivano più…- disse lei
prendendo la mano
che lui le offriva e uscendo di nuovo all’aria aperta.
Rivedere il cielo, dopo
tutte quelle scale, così vicino, meritava davvero la fatica
fatta. E poi da lì
potevano vedere Parigi, tutta la capitale. Si vedeva persino la Tour
Eiffel! Il
cielo terso e il sole caldo di Luglio rendevano tutta
l’atmosfera ancora più
bella e magica. Non credeva di poter provare un’emozione
così forte. Prima d’allora
non aveva viaggiato molto, e non le era mai capitato comunque di vedere
la
città dall’alto, da un posto così
elevato e che aveva un significato tanto
particolare e intenso per lei. Quel giorno non l’avrebbe mai
dimenticato.
-Bello alto…-
-Sì… è da qui che cade?-
-Sì.- rispose lui.
-Ahia.-
-Già. Ahia.- ribatté lui, rimanendo a guardare
per qualche
istante l’altezza e la strada sotto di loro.
Sorrise al ricordo d quella volta. Forse perché in quel
momento tutto le sembrava piacevole, senza problemi. Dovevano ancora
passare i
primi giorni, doveva ancora trascorrere qualche mese per far
sì di vedere il
loro rapporto più razionalmente, e individuare anche la
sofferenza che le aveva
provocato. Non le interessava, in quel momento. Voleva restare con il
suo vivido
e bel ricordo ancora un po’, prima di ritornare alla
realtà. Ne aveva bisogno.
Dopo la messa tutti si recarono a casa della moglie per un
rinfresco. Lola l’aveva osservata a lungo. Vestita di nero,
semplice, aveva
ascoltato la messa attenta, e aveva anche versato qualche lacrima nel
momento
dell’estremo saluto. La figlia, di nove anni, con gli stessi
occhi scuri del
padre e i capelli dorati della madre, aveva pianto per tutto il tempo,
anche
quando aveva letto una lettera per il padre. Era
stata tenerissima e nessuno aveva osato
biasimarla per i forti singhiozzi che ogni tanto si lasciava sfuggire.
E chi
avrebbe mai potuto?
La casa era grande, ben curata, e nell’ampia sala era stato
sistemato tutto per il rinfresco. I tavoli, con sopra i vassoi di cibo,
la
sedie, tutto era predisposto secondo una logica ben precisa, per
soddisfare i
bisogni e le necessità di ciascun invitato. Lola prese
coraggio e, tenendo la
mano di suo fratello, cercò Gloria, per poi lasciare la mano
del fratello,
quando l’ebbe trovata in cucina, appoggiata al piano della
cucina. Prese un
sospiro e si avvicinò alla donna.
-Ciao.- disse lei in un flebile sussurro.
-Come ti senti?- chiese la donna guardando dritta davanti a
sé, portandosi il bicchiere di vino alle labbra, mentre
l’altra mano sorreggeva
il gomito del braccio.
-Male. Mi sento.. Vuota.- disse lei, provocando il sorriso
della donna.
-Lo amavi?-
-Sì, più di qualsiasi altro uomo io abbia avuto
dopo di lui.-
rispose lei.
-Anche lui ti amava. Molto. Forse anche più di quanto abbia
mai amato me in tutti questi anni. Però non ci ha mai
lasciate. Era un uomo
troppo corretto per lasciarci. Non avrebbe mai fatto soffrire nostra
figlia.-
-Sì. Era un uomo buono.-
-Se lo fosse stato non mi avrebbe mai tradito con te. Non era
quel santo che tutti credono. Era solo un uomo. Sai, se
c’è una cosa che
detesto è la divinazione della persona morta, incredibile
come i defunti
risultino perfetti dopo la loro dipartita, no? Improvvisamente
diventiamo tutti
dei santi, non importa ciò che si è fatto nella
vita. Diventiamo tutte creature
perfette senza peccato.- fece sorridendo sarcasticamente. Poi
guardò Lola,
osservandola per qualche minuto. –Se non altro, aveva una
buona ragione per
tradirmi, ne valeva la pena.- aggiunse con freddezza. –e
tu… cosa ne pensi? La vedi
anche tu come me?-
-Credo.. sia abbastanza naturale.. dimenticare il male subito
nei.. primi giorni. Comunque non mi interessa, tutti siamo umani e
abbiamo i
nostri difetti. Non capisco perché dobbiamo biasimare i
morti per i loro
errori. Tutti li commettiamo.- rispose lei.
-Sì… immagino di sì. Il mio
più grande errore è stato quello
di sposarlo. Non avrei dovuto. Non è mai stato un marito
fedele e presente. Per
stare con te si dimenticava tutto il resto, persino di nostra figlia.
Non c’era
neanche ai saggi di danza di Bianca, da copione, lo so, come nei
più banali
film. Però era così. Non c’era niente
da fare. Viveva per il lavoro. Lavoro e
basta. Non è quel santo che la gente di là vuol
far credere.- disse lei. Per poi
scostare una sedia di fronte a lei. –siedi. Di là
sono tutti talmente
incentrati su se stessi che nessuno noterà la tua assenza.-
disse versandole
del vino dalla bottiglia. –ti piace il vino?- chiese poi.
-Sì. La prima volta che l’ho bevuto è
stata.. con lui. Erano..
dieci anni fa. Eravamo usciti tutti in gruppo per una cena fuori, dopo
una
settimana dura. E.. tutti avevano ordinato vino. Io non ero ancora
abituata a
berlo, mio padre aveva sempre detto “più tardi
inizi a berlo, meglio è!”. Ma quella
sera ero particolarmente euforica che non ci badai. Lui sapeva che
avrei
ceduto, ero troppo fuori di me per essere totalmente lucida. E quando
arrivarono le bevande, lui si versò un po’ di vino
nel bicchiere e me lo mise
di fronte. E per quanto io negassi, lui mi spronava, parlandomi del
vino in una
maniera.. divina. Non ho mai sentito nessuno decantare il vino come
lui. Aveva una
capacità di parola.. come pochi. Mi aveva persuasa con le
parole talmente tanto
che quando accostai il bicchiere alle mie labbra e il liquido rosso
toccò le
mie labbra per poi scorrere lungo il mio corpo, pur essendo lo stesso
di prima,
mi sembrò estremamente più buono.-
-Sì, lui.. aveva questa capacità. Riusciva in
qualsiasi cosa
lo appassionasse e desiderasse con tutto se stesso, ed era in grado di
trascinarti nel suo mondo. Forse prima ti sarà sembrato che
lo disprezzassi, ma
non era così. Semplicemente volevo ti fosse chiaro che lui
era un uomo. Vedendoti
stamattina ho capito subito che il tuo era un pianto sincero, provocato
dal tuo
sentimento per lui. Solo che una ragazza giovane e innamorata
solitamente tende
a idealizzare un po’ troppo il proprio innamorato. Ma dio non
era. Era solo un
marito infedele, come ce ne sono stati, ci sono e ce ne saranno sempre
tanti.-
-Ce.. l’hai con me? Ti.. capirei se.. così fosse.-
-No. A che servirebbe. Lo sono stata all’inizio, è
vero. Però
poi ho capito che tu non avevi nessuna colpa a esserti innamorata di
lui. Mi ero
innamorata anche io, ti capivo benissimo. Era lui nel torto. Ho passato
gli
anni a chiedermi come fossi realmente, come… lo amassi,
quali fandonie e
promesse non mantenute ti dicesse; a domandarmi se ogni volta che era
fuori per
lavoro, in realtà non fosse corso da te.- disse con le
lacrime agli occhi.
-Io.. l’ho visto pochissime volte. E mai siamo rimasti soli a
lungo. Mi ha sempre amata, forse. Però mai letteralmente.
Tranne… una settimana
fa, più o meno. Quella è stata l’unica
volta in cui.. ti ha tradita fino in
fondo.- rispose lei guardandola.
-Grazie.. per avermelo detto.- disse lei per poi bere il
vino. –ti parlava mai di noi?-
-Sì. Venerava Bianca e… amava molto te.- rispose
lei per poi
vuotare lentamente il bicchiere. Poi la guardò e le chiese -Come vi siete conosciuti
voi due?-
-Andavamo insieme al liceo. Stessa classe. No, non siamo di quelle
coppie che si formano tra i banchi di scuola e poi si sposano. No.
Noi.. non ci
frequentavamo più di tanto. Rapporti normali di convivenza.
Andavamo abbastanza
d’accordo. Ci siamo rincontrati dieci anni dopo, alla pizzata
di classe,
presente quei raduni nostalgici che si fanno di tanto in tanto giusto
per pura
curiosità e poter ritrovare i vecchi amici e spettegolare
degli altri come se
fossimo dei liceali. Comunque… ci siamo trovati uno di
fronte all’altra e
abbiamo iniziato a parlare.. fino alla fine della serata. Mi ha
chiamato due
giorni dopo chiedendomi di uscire, e così è nato
tutto.- rispose lei, mentre
Lola sorrideva. E loro? Come si erano conosciuti? Ai provini. Lei con
il padre
si era avvicinata e gli aveva chiesto un’informazione. Lui le
aveva risposto e
si erano messi a parlare, vigilati dal padre di lei. Avevano parlato a
lungo,
finché non era arrivato il proprio turno per il provino.
Quando si erano rivisti all’aeroporto di Roma Fiumicino, lei
aveva sentito il cuore battere a mille e aveva subito capito che lui
sarebbe l’uomo
della sua vita. E lo aveva amato senza riserve.
-Si era laureato in letteratura italiana e latina da poco, e
per qualche anno aveva anche insegnato, prima di entrare a far parte
del
programma Maurizio Costanzo Show e far parte della band musicale..-
disse la
moglie continuando a parlare di lui, dicendo cose che la giovane non
sapeva. E fu
in quel momento che Lola si accorse quanto poco sapesse della sua vita.
Dunque aveva
amato un uomo senza sapere niente di lui. Il cuore pian piano
iniziò a
sgretolarsi, come un muro di gesso che miseramente e lentamente si
sgretola e
si disperde al suolo.
Tutto quello in cui aveva creduto, era falso. Erano castelli
di carta che venivano spazzati via da una folata di vento. Era dunque
quello l’uomo
di cui mi ero innamorata? Sicura che l’uomo di cui parlava
Gloria fosse proprio
lui? Il cuore le si spezzò in mille schegge.
Era il tramonto quando Lola, con un ultimo gesto, si alzò e
si diresse alla scrivania. Sopra c’era una boccettina che
aveva comprato anni
prima. Quella boccetta di vetro verde le avrebbe risolto tutti i suoi
problemi.
Avrebbe ritrovato la pace, dopo anni di lunghi e sofferti tormenti.
Ma ne valeva davvero la pena morire così? Abbandonare la
vita
per un uomo del genere? Le aveva mentito, non era stato sincero con
lei, mentre
lei, spontanea e solare, le aveva dato tutto ciò che poteva
dargli. Mancava solo
questo: la vita. Perché anche se lui le aveva mentito, lei
lo amava
immensamente. Più della sua stessa vita. Prese la boccetta
tra le mani, con
entrambe le mani, la aprì e la avvicinò a
sé. E il telefono squillò.