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Autore: esmeralda92    10/06/2012    1 recensioni
In realtà la storia non è totalmente originale, fa riferimento alla sezione musical, ma in attesa che inseriscano la categoria per Notre Dame de Paris, visto quanto sono affezionata a questa storia, non ho resistito e l'ho pubblicata. la modificherò al più presto.
Narra la storia di una giovane donna argentina, Lola, che dopo dieci anni torna in Italia per il funerale della persona che più ha amato nella sua vita. E durante la giornata ripensa ai momenti passati insieme. spero che possa piacervi!! :D
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La stanza bianca, lucida e splendente odorava di ospedale. L'acre odore di disinfettante era giunto persino all'interno di quell'ala dell'ospedale. Non aveva mai provato alcun fastidio nell'andare in un tale stabile, non l'aveva mia impressionata come era successo invece quel giorno. Forse per la prima volta nella sua vita aveva provato un disagio derivato non dal luogo in cui era, ma dal vedere legato per la prima volta a quel luogo, dove si era recata tante volte, un evento tanto funesto. Non era mai stata in una camera mortuaria. Quella era un'area dell'ospedale che non aveva mai conosciuto. Aveva atteso una buona mezz'ora prima di avere il coraggio di entrare. Lola non si era mai curata di ciò che pensava la gente di lei, si era creata la propria vita libera e indipendente da qualsivoglia giudizio; eppure ora sentiva che tutte le sue certezze, tutte le sue forze la stessero lasciando, scivolando via più leggere di un soffio, di una piuma che lentamente cada a toccare la superficie. Fluivano attraverso di lei e fuori di lei. E lei non aveva la capacità di fermarle, era impotente e lasciava che la sua stessa forza vitale, per la quale si era tanto impressa nella memoria delle persone che l'avevano conosciuta, la lasciasse inerme e immobile.Quando aveva saputo l'accadimento, era a casa dei suoi per festeggiare il compleanno di sua zia, Paula, della quale, ironia della sorte, non si era mai ricordata il giorno di nascita. La sala era piena di parenti e amici di quella zia materna dalla quale si diceva avesse ereditato la carica e l'energia di affrontare la vita. Ad avvisarla dell'incidente che aveva avuto, era stata la moglie. Aveva chiamato nel bel mezzo dei festeggiamenti. La casa, piena di allegria e musica, aveva continuato a mantenersi tale nonostante lo squillo del telefono, che persistente cercava di farsi sentire in mezzo al trambusto. A rispondere era andato suo padre, che si era allontanato dalla sala, forse per comprendere meglio le parole del suo interlocutore. Lola, che era in compagnia del suo ragazzo, non si era accorta del telefono, finché non notò il padre che la chiamava. Di controvoglia lo raggiunse e si accostò il ricevitore del telefono all'orecchio, quando egli glielo mise in mano.Sentire la voce di colei che per anni era stata la sua rivale, l'aveva fatta preoccupare. Gloria non l'aveva mai sopportata e se era arrivata a chiamarla, doveva essere successo qualcosa di veramente grave. “È... morto.” furono le sue semplici parole. Poi, dopo una pausa interminabile, la sua voce, ora stranamente comprensiva e pacata, quasi dolce, riprese. “Ha avuto un incidente stradale. Era di ritorno a casa, dopo il tour. Era sull'autostrada. Pioveva a dirotto. La polizia sta svolgendo le indagini ma ancora non sa quali siano state le dinamiche dell'incidente. Noi... siamo distrutte. Il funerale sarà tra tre giorni. Ti farò sapere gli svolgimenti.” disse lei.Mentre la voce della donna parlava, Lola sentiva le gambe cederle, il respiro farsi sempre più veloce, la sua testa svuotarsi di tutto eppure appesantirsi sempre più. Sentì una voglia di urlare, di scoppiare a piangere come una bambina e andarsi a rifugiare tra le braccia della madre, scaturirle dal profondo del suo animo, ora lacerato, straziato, come se piccoli aghi le perforassero il cuore, quel muscolo che insieme a lei aveva tanto sofferto e patito per l'uomo della sua vita, quel suo primo amore che ora l'aveva abbandonata. Ora non sarebbe stato più così. Avrebbe imparato a vivere con lui, con questo dolore eterno e costante nella sua vita. Il tour... Lei sapeva benissimo che sarebbe tornato dalla moglie. Si erano visti l'ultima sera di replica a Verona. Due giorni prima della notizia. Aveva comprato il biglietto all'ultimo minuto, incurante del posto. Conosceva ogni singola battuta a memoria. Aveva assistito allo spettacolo, come tutte le sere in realtà. Era riuscita a emozionarsi come sempre, anche se ormai conosceva ogni singola nota e parola. Mentre le persone aspettavano fuori l'uscita dei cantattori, lei si era infilata nella zona del teatro dedicata agli artisti. E aveva aspettato nel corridoio, fuori dalla porta. La mente confusa dal tumulto dei pensieri. Lo stomaco chiuso e una scarica tra l'elettrizzato e il nervoso che le attraversava il corpo. Lo aveva sempre seguito ovunque, guardato tutte le repliche di tutti i suoi spettacoli. Eppure questa era la prima volta che andava da lui. Prima non aveva mai avuto il coraggio, nonostante i suoi buoni propositi. Sospirò, aspettando. Ogni attimo sembrava eterno. E ogni istante guardava l'orologio impaziente. Voleva vederlo, doveva vederlo. Dopo minuti che le parvero ore, la porta cigolò, e sulla soglia oscurata, apparve lui. E lo guardò. I suoi capelli neri corvini un tempo, ora presentavano qualche filo d'argento, e dentro di sé sorrise, pensando a quella vecchia canzone italiana che le aveva insegnato lui e il resto del gruppo quando era arrivata in Italia la prima volta.Poi i loro sguardi s'incrociarono. I suoi occhi color caffè erano ancora pieni di mistero, affascinanti come allora, e lei ne subì come sempre il fascino. Quegli occhi avevano la capacità di farle dimenticare tutto, persino il dolore che la lunga lontananza di dieci anni le aveva provocato. Quel dolore che nessun uomo, per quanto la amasse e le dedicasse tutte le attenzioni che si meritava, era mai riuscito a estinguere dal suo cuore, ferito, lacerato ma perdutamente innamorato del suo torturatore. Lo amava incondizionatamente, come solo una ragazzina di vent'anni poteva amare. E anche se ora erano trascorsi dieci anni, la forza del suo amore era sempre stata devastante come quello di una giovane teenager. Lo guardò per lunghi attimi, incapace di dire qualsiasi cosa. Ferma, immobile. L'emozione era tanto forte che non era certa di poter reggere. E invece, pochi attimi dopo, correva verso di lui, sorridendo felice. Lui l'aveva stretta forte a sé, e lei aveva corrisposto, spinta dalla paura che quell'attimo magico potesse finire da un momento all'altro. Aveva sentito le sue labbra tempestare di dolci baci i capelli soffici, e coprirle il viso, le guance, gli occhi, la fronte, per poi scendere dall'altro lato, fino a arrivare alle sue labbra e fermarsi. Guardarla negli occhi con amore, desiderio, con tutte le parole sospese tra loro, tutte le promesse non dette. Le loro labbra si sfiorarono, toccarono provocandole brividi lungo tutto il corpo. Sentiva un fortissimo bisogno di lui, di appartenergli, com'era successo anni prima. E poi, quel bacio colmo di amore si trasformò in qualcosa di più, in una necessità, dettata dalla troppa lontananza. Sentì le sue braccia forti stringerla a sé, le loro bocche cercarsi con passione e desiderio, gli stessi sentimenti che tante volte avevano rischiato di farla impazzire. Un bacio che spiegava tutti i forti sentimenti che entrambi avevano provato in quei lunghi dieci anni. Non riusciva ancora a credere che lui fosse lì, con lei.Quando il bacio finì, lui le disse soltanto “Sei tornata..” racchiudendo in quelle parole tutto ciò che era inutile aggiungere. Lui le afferrò la mano e la portò fuori dall’arena, nella sua stanza d’albergo. La sera era ancora calda e il cielo era blu zaffiro. Dalla strada giungevano le luci della città e la musica lontana dei locali, oltre al chiacchiericcio dei giovani per le strade. Qualche volta anche il rombo del motore di qualche moto, o di qualche auto che passava. Lei era alla finestra a guardare. Quella città le aveva sempre ricordato i bei momenti passati con lui, a girovagare per il centro la mattina e a provare al pomeriggio, dopo aver pranzato da qualche parte con il resto del cast. E ora era di nuovo lì. Felice con lui, anche se per una sola notte. Era certa che se la sarebbe ricordata per tutta la vita.
-Ti va?- chiese lui avvicinandosi a lei da dietro, porgendole un bicchiere di vino rosso.
-Non ho bisogno di bere, per dimenticare il resto del mondo fuori.- rispose prendendolo però in mano.
-Volevo brindare in realtà.- disse appoggiandosi di fronte a lei al davanzale.
-Con del vino?- chiese lei.
-Sì. Questo è quello che ho, ma se preferisci brindare con acqua, basta dirlo.-. rispose. I suoi occhi tornarono a essere quelli duri e scuri di sempre.
-No, va bene. A cosa si brinda?- domandò lei alzando il bicchiere.
-Niente. lascia perdere.- disse allontanandosi e sedendosi sul letto. Lei lo guardò. Era già tutto finito? Non era ancora passata un’ora e già erano tornati a essere degli estranei? Sospirò e si guardò intorno. Era la stessa stanza di dieci anni prima. C’era ancora la macchia di vino rosso sulla parete vicino al tavolo. Rimase lì a pensare, fissare il vuoto in silenzio. Sentiva il suo sguardo su di sé, ma non riusciva a dire niente. Era sbagliato. Tutto sbagliato. Se non si erano mai riusciti a vedersi in quegli anni, un motivo sicuramente c’era. Lei non faceva parte della sua vita. Lui era sposato, aveva una bambina bellissima di nove anni. E lei cos’era per lui? Una ragazzina amata che era diventata donna. Non poteva neanche definirsi la sua amante. Non era niente per lui. Eppure sentiva di essere legata a lui, in qualche modo. Voleva far parte del suo mondo. Voleva che le dicesse quanto la amava, voleva appartenergli. Lo desiderava con tutto se stesso. Si erano incontrati dopo lungo tempo, si erano guardati negli occhi, desiderando di tornare per un solo istante quelli di un tempo. E ora che potevano esserlo, era tutto rovinato. Per un attimo pensò che fosse meglio andarsene. E si avviò alla porta. Non aveva senso rimanere lì, con la persona che amava e con la quale non aveva nulla da dire. Eppure in tutti quegli anni si era ripetuta mille volte cosa dire a lui. Se l’era anche scritta a un certo punto.
-Resta con me. Ti prego... - mormorò la sua voce dietro di lei, mentre la abbracciava da dietro dolcemente. –Scusa per prima io non volevo rovinare tutto quanto. So che un brindisi con del vino rosso in un bicchiere di carta effettivamente non è il massimo. Tu ti meriti di meglio. Molto meglio. So di aver tante cose da farmi perdonare, Lola. Non ti merito. Però ti amo, per quanto vale. Mi sei mancata tantissimo sai? Le nostre chiacchierate fino a notte fonda, le nostre colazioni insieme. Il vederti semplicemente in giro per le stanze, la tua risata, tenerti tra le braccia.. tutto. Resta con me, mio amore, mia vita. Solo per questa notte. Ti prego.- le mormorò sincero all’orecchio. Lo sentiva che era sincero. La mano scivolò via dalla maniglia della porta e si voltò verso di lui.
-Ho aspettato queste parole per anni. Non ho alcuna intenzione di andarmene.-. disse lei per poi lasciarsi baciare con passione. Ricambiando totalmente. Perdendo totalmente il senso del tempo. Lasciando che tutta la sua razionalità e la sua forza di volontà scivolassero via, lasciando che si facesse forte in lei il senso di eternità. Si lasciò trasportare, senza pensare a niente che non fosse baciare lui, stringersi a lui, toccare lui, amare lui. Non importava come o dove. Voleva stare solo con lui, sentirlo, e appartenergli. Sentì sollevarsi da terra, sospesa e essere distesa sul materasso, tra le lenzuola. E si erano amati, con amore, dolcezza, passione, bisogno, finché entrambi sfiniti non si erano addormentati come due amanti, l’una tra le braccia dell’altro.
-Volevo brindare a noi. Oggi sono dieci anni esatti dalla prima del nostro spettacolo.- disse lui sorridendo prima di baciarla e addormentarsi definitivamente.
Lola si riscosse dal tumulto di pensieri. Gli occhi erano gonfi di lacrime che bruciavano. Ogni lacrima una fitta del cuore. Non si era mai sentita così male per nessuno. Solo lui era stato in grado di farle provare emozioni tanto forti, contrastanti e devastanti. Aveva annullato ogni sua capacità di intendere e di volere fin dal primo giorno del loro incontro ai provini per quell’opera che le avrebbe cambiato la vita. Niente era stato più bello della prima volta che lui l’aveva guardata. Allora lei aveva diciannove anni, lui trentotto. Lei una ragazzina innamorata della vita, lui un uomo innamorato di sua moglie. Si erano subito trovati bene e avevano parlato a lungo in attesa del loro turno, controllati dal padre di lei che l’aveva accompagnata.
-Lola, dobbiamo andare..- mormorò Alejandro, il suo fratello, prendendola dolcemente per mano. Lei scossa annuì e si lasciò portare alla macchina. Occupò il proprio posto sul sedile del passeggero e osservò le vie della città da fuori il finestrino. Le case erano belle, le vie ampie e il sole di quella mattina sembrava illuminare ogni cosa con l’intenzione di far apparire tutto più bello proprio nel giorno in cui lei soffriva come non mai. Maledetta ironia della sorte!
Non sentì neanche la macchina frenare e posteggiare. Era immune da tutto ciò che le stava accadendo intorno. Niente aveva più senso senza lui. Niente che non fosse lui. Pianse. E entrò in chiesa per la messa.
Le parole del parroco risuonavano nell’ambiente sacro rimbombando. La sola voce che si sentì era la sua, o almeno gli altri. Lei, la sua attenzione vagava su ben altri ricordi e pensieri. Di tutt’altro genere.
Era il 25 di Luglio, quando lei e il resto del cast erano entrati nella gotica cattedrale di Parigi. Erano entrati tutti curiosi di vedere l’edificio sacro. Lei si era lasciata incantare dalle dimensioni della chiesa e dall’atmosfera di sacralità e mistero che la avvolgeva. Le era sempre piaciuto andare a visitare le chiese, per la loro bellezza e per quel rapporto che si veniva a creare sempre con la religione in un luogo del genere, anche e forse soprattutto quando il sacerdote non celebrava la messa e la dimora di Dio era pressoché vuota. Si erano alzati presto quel mattino per andare a visitarla quando non era ancora affollata. E così per le nove erano entrati. Il pavimento a scacchi bianchi e neri era antico, originale e presentava tutti i segni che i tacchi delle nobildonne e dei nobili avevano formato nel corso dei secoli. Nelle colonne nulla era definito, tranne la forma. Assomigliavano a colonne doriche estremamente alte e per questo meno tozze delle colleghe risalenti al V secolo a.C. la pietra era ruvida al tatto e dava quel senso di imperfezione, come a indicare il fatto che nonostante la chiesa tenda verso l’alto, per avvicinarsi il più possibile a Dio, era sempre opera di un uomo, e per questo imperfetta. Era questo che più l’affascinava, il poter riconoscere in ogni chiesa il dettaglio dell’imperfezione umana, qualunque fossero gli ornamenti che la caratterizzassero.
E poi era in sua compagnia. Erano in quella chiesa insieme. Vicini. Erano insieme a altre quindici persone più o meno, ma ciò non aveva importanza. L’importante è che fossero insieme. Era l’unica cosa fondamentale, non necessitava di altro. Solo loro due.
In religioso silenzio avevano girato per la cattedrale, ascoltando la voce registrata nell’aggeggio che le spiegava ogni punto della cattedrale e la sua storia. Girammo intorno all’altare maggiore, dietro, dove si trovavano tutte le tombe dei personaggi importanti e nobili di allora. Per tutta la durata della visita alla cattedrale, lei l’aveva guardato di nascosto, conscia del fatto che lui non poteva ricambiare lo sguardo, eppure tanto desiderosa che alzasse gli occhi, quegli occhi che tanto adorava e che la guardasse, anche per un solo istante. E a pensare questo scuoteva leggermente il capo, parlando con se stessa. Non era possibile che lui ricambiasse. Lei non aveva ancora e neanche vent’anni, mentre lui era un uomo. La differenza di età era troppa perché potesse succedere qualcosa che superasse la durata del tour. Si sarebbe anche accontentata di quei mesi, però era fin troppo certa che, tornata in Argentina, avrebbe sofferto troppo, al ricordare quei momenti passati con lui. Era troppo doloroso, eppure pensava che ne sarebbe valsa la pena. Meglio rimpiangere qualcosa che pentirsi di non aver agito, le diceva sempre suo padre. Suo padre aveva sempre avuto ragione, e così le era sembrato saggio seguire il consiglio del genitore. Lì, nella cattedrale, durante la visita, aveva pensato a come fare per parlare con lui da sola, senza destar sospetti negli altri e senza comportarsi come una bambina. Era troppo forte il desiderio, talmente forte che quando lui casualmente incrociò il suo sguardo, lei arrossì violentemente e distolse lo sguardo. Per poi tornarlo a guardare solo quando si fu calmata, ma lui, oramai, era tornato a guardare altrove. Chinò il capo e proseguì il giro. Si era comportata esattamente come una bambina, ovvero ciò che era.
Come si sarebbe giustificata con lui per questo suo comportamento infantile. L’avrebbe presa per scema? O per pazza? In ogni caso non voleva saperlo. L’umiliazione sarebbe stata troppa. E non voleva che la sua stupidità gli impedisse di rivolgerle la parola. Sarebbe stato peggio che non vederlo più.
Alla fine del giro dentro la cattedrale, uscirono fuori all’aria aperta. Felice guardava la piazza nel suo complesso, con la coda di persone e turisti che attendevano per entrare nella cattedrale.
-si sale in cima!- le disse un euforico Matteo, per poi trascinarla fino all’entrata laterale della torre. Entrati, iniziarono a salire una quantità infinita di gradini, stretti, ripidi che si srotolavano a chiocciola intorno al pilastro centrale della torre. Non c’era mancorrente e a furia di girare, continuando sempre più a salire, la testa iniziò lentamente a girare. Ma quando finivano?! Non credeva fosse possibile che potessero continuare ancora a lungo, e invece non si riusciva a intravedere mai la fine. Sembrava che più andassero avanti, più le scale invece di diminuire aumentassero.
-Va tutto bene? Hai rallentato il passo.. Sono troppe per te?- le chiese lui da dietro, sorridendo.
-No.. mi adeguo al tuo passo.. non vorrei distaccarti troppo!- fece lei ridendo.
-Io sto perfettamente..grazie per la premura..- ribatté sorridendole. Lei arrossì di nuovo violentemente, questa volta non vista da lui, e continuò a camminare in silenzio, presa dai suoi pensieri fino in cima.
-Arrivati.- disse sorridendo Matteo, voltandosi verso di lei.
-Finalmente! Non finivano più…- disse lei prendendo la mano che lui le offriva e uscendo di nuovo all’aria aperta. Rivedere il cielo, dopo tutte quelle scale, così vicino, meritava davvero la fatica fatta. E poi da lì potevano vedere Parigi, tutta la capitale. Si vedeva persino la Tour Eiffel! Il cielo terso e il sole caldo di Luglio rendevano tutta l’atmosfera ancora più bella e magica. Non credeva di poter provare un’emozione così forte. Prima d’allora non aveva viaggiato molto, e non le era mai capitato comunque di vedere la città dall’alto, da un posto così elevato e che aveva un significato tanto particolare e intenso per lei. Quel giorno non l’avrebbe mai dimenticato.
-Bello alto…-
-Sì… è da qui che cade?-
-Sì.- rispose lui.
-Ahia.-
-Già. Ahia.- ribatté lui, rimanendo a guardare per qualche istante l’altezza e la strada sotto di loro.
Sorrise al ricordo d quella volta. Forse perché in quel momento tutto le sembrava piacevole, senza problemi. Dovevano ancora passare i primi giorni, doveva ancora trascorrere qualche mese per far sì di vedere il loro rapporto più razionalmente, e individuare anche la sofferenza che le aveva provocato. Non le interessava, in quel momento. Voleva restare con il suo vivido e bel ricordo ancora un po’, prima di ritornare alla realtà. Ne aveva bisogno.

 
Dopo la messa tutti si recarono a casa della moglie per un rinfresco. Lola l’aveva osservata a lungo. Vestita di nero, semplice, aveva ascoltato la messa attenta, e aveva anche versato qualche lacrima nel momento dell’estremo saluto. La figlia, di nove anni, con gli stessi occhi scuri del padre e i capelli dorati della madre, aveva pianto per tutto il tempo, anche quando aveva letto una lettera per il padre.  Era stata tenerissima e nessuno aveva osato biasimarla per i forti singhiozzi che ogni tanto si lasciava sfuggire. E chi avrebbe mai potuto?
La casa era grande, ben curata, e nell’ampia sala era stato sistemato tutto per il rinfresco. I tavoli, con sopra i vassoi di cibo, la sedie, tutto era predisposto secondo una logica ben precisa, per soddisfare i bisogni e le necessità di ciascun invitato. Lola prese coraggio e, tenendo la mano di suo fratello, cercò Gloria, per poi lasciare la mano del fratello, quando l’ebbe trovata in cucina, appoggiata al piano della cucina. Prese un sospiro e si avvicinò alla donna.
-Ciao.- disse lei in un flebile sussurro.
-Come ti senti?- chiese la donna guardando dritta davanti a sé, portandosi il bicchiere di vino alle labbra, mentre l’altra mano sorreggeva il gomito del braccio.
-Male. Mi sento.. Vuota.- disse lei, provocando il sorriso della donna.
-Lo amavi?-
-Sì, più di qualsiasi altro uomo io abbia avuto dopo di lui.- rispose lei.
-Anche lui ti amava. Molto. Forse anche più di quanto abbia mai amato me in tutti questi anni. Però non ci ha mai lasciate. Era un uomo troppo corretto per lasciarci. Non avrebbe mai fatto soffrire nostra figlia.-
-Sì. Era un uomo buono.-
-Se lo fosse stato non mi avrebbe mai tradito con te. Non era quel santo che tutti credono. Era solo un uomo. Sai, se c’è una cosa che detesto è la divinazione della persona morta, incredibile come i defunti risultino perfetti dopo la loro dipartita, no? Improvvisamente diventiamo tutti dei santi, non importa ciò che si è fatto nella vita. Diventiamo tutte creature perfette senza peccato.- fece sorridendo sarcasticamente. Poi guardò Lola, osservandola per qualche minuto. –Se non altro, aveva una buona ragione per tradirmi, ne valeva la pena.- aggiunse con freddezza. –e tu… cosa ne pensi? La vedi anche tu come me?-
-Credo.. sia abbastanza naturale.. dimenticare il male subito nei.. primi giorni. Comunque non mi interessa, tutti siamo umani e abbiamo i nostri difetti. Non capisco perché dobbiamo biasimare i morti per i loro errori. Tutti li commettiamo.- rispose lei.
-Sì… immagino di sì. Il mio più grande errore è stato quello di sposarlo. Non avrei dovuto. Non è mai stato un marito fedele e presente. Per stare con te si dimenticava tutto il resto, persino di nostra figlia. Non c’era neanche ai saggi di danza di Bianca, da copione, lo so, come nei più banali film. Però era così. Non c’era niente da fare. Viveva per il lavoro. Lavoro e basta. Non è quel santo che la gente di là vuol far credere.- disse lei. Per poi scostare una sedia di fronte a lei. –siedi. Di là sono tutti talmente incentrati su se stessi che nessuno noterà la tua assenza.- disse versandole del vino dalla bottiglia. –ti piace il vino?- chiese poi.
-Sì. La prima volta che l’ho bevuto è stata.. con lui. Erano.. dieci anni fa. Eravamo usciti tutti in gruppo per una cena fuori, dopo una settimana dura. E.. tutti avevano ordinato vino. Io non ero ancora abituata a berlo, mio padre aveva sempre detto “più tardi inizi a berlo, meglio è!”. Ma quella sera ero particolarmente euforica che non ci badai. Lui sapeva che avrei ceduto, ero troppo fuori di me per essere totalmente lucida. E quando arrivarono le bevande, lui si versò un po’ di vino nel bicchiere e me lo mise di fronte. E per quanto io negassi, lui mi spronava, parlandomi del vino in una maniera.. divina. Non ho mai sentito nessuno decantare il vino come lui. Aveva una capacità di parola.. come pochi. Mi aveva persuasa con le parole talmente tanto che quando accostai il bicchiere alle mie labbra e il liquido rosso toccò le mie labbra per poi scorrere lungo il mio corpo, pur essendo lo stesso di prima, mi sembrò estremamente più buono.-
-Sì, lui.. aveva questa capacità. Riusciva in qualsiasi cosa lo appassionasse e desiderasse con tutto se stesso, ed era in grado di trascinarti nel suo mondo. Forse prima ti sarà sembrato che lo disprezzassi, ma non era così. Semplicemente volevo ti fosse chiaro che lui era un uomo. Vedendoti stamattina ho capito subito che il tuo era un pianto sincero, provocato dal tuo sentimento per lui. Solo che una ragazza giovane e innamorata solitamente tende a idealizzare un po’ troppo il proprio innamorato. Ma dio non era. Era solo un marito infedele, come ce ne sono stati, ci sono e ce ne saranno sempre tanti.-
-Ce.. l’hai con me? Ti.. capirei se.. così fosse.-
-No. A che servirebbe. Lo sono stata all’inizio, è vero. Però poi ho capito che tu non avevi nessuna colpa a esserti innamorata di lui. Mi ero innamorata anche io, ti capivo benissimo. Era lui nel torto. Ho passato gli anni a chiedermi come fossi realmente, come… lo amassi, quali fandonie e promesse non mantenute ti dicesse; a domandarmi se ogni volta che era fuori per lavoro, in realtà non fosse corso da te.- disse con le lacrime agli occhi.
-Io.. l’ho visto pochissime volte. E mai siamo rimasti soli a lungo. Mi ha sempre amata, forse. Però mai letteralmente. Tranne… una settimana fa, più o meno. Quella è stata l’unica volta in cui.. ti ha tradita fino in fondo.- rispose lei guardandola.
-Grazie.. per avermelo detto.- disse lei per poi bere il vino. –ti parlava mai di noi?-
-Sì. Venerava Bianca e… amava molto te.- rispose lei per poi vuotare lentamente il bicchiere. Poi la guardò e le chiese  -Come vi siete conosciuti voi due?-
-Andavamo insieme al liceo. Stessa classe. No, non siamo di quelle coppie che si formano tra i banchi di scuola e poi si sposano. No. Noi.. non ci frequentavamo più di tanto. Rapporti normali di convivenza. Andavamo abbastanza d’accordo. Ci siamo rincontrati dieci anni dopo, alla pizzata di classe, presente quei raduni nostalgici che si fanno di tanto in tanto giusto per pura curiosità e poter ritrovare i vecchi amici e spettegolare degli altri come se fossimo dei liceali. Comunque… ci siamo trovati uno di fronte all’altra e abbiamo iniziato a parlare.. fino alla fine della serata. Mi ha chiamato due giorni dopo chiedendomi di uscire, e così è nato tutto.- rispose lei, mentre Lola sorrideva. E loro? Come si erano conosciuti? Ai provini. Lei con il padre si era avvicinata e gli aveva chiesto un’informazione. Lui le aveva risposto e si erano messi a parlare, vigilati dal padre di lei. Avevano parlato a lungo, finché non era arrivato il proprio turno per il provino.
Quando si erano rivisti all’aeroporto di Roma Fiumicino, lei aveva sentito il cuore battere a mille e aveva subito capito che lui sarebbe l’uomo della sua vita. E lo aveva amato senza riserve.
-Si era laureato in letteratura italiana e latina da poco, e per qualche anno aveva anche insegnato, prima di entrare a far parte del programma Maurizio Costanzo Show e far parte della band musicale..- disse la moglie continuando a parlare di lui, dicendo cose che la giovane non sapeva. E fu in quel momento che Lola si accorse quanto poco sapesse della sua vita. Dunque aveva amato un uomo senza sapere niente di lui. Il cuore pian piano iniziò a sgretolarsi, come un muro di gesso che miseramente e lentamente si sgretola e si disperde al suolo.
Tutto quello in cui aveva creduto, era falso. Erano castelli di carta che venivano spazzati via da una folata di vento. Era dunque quello l’uomo di cui mi ero innamorata? Sicura che l’uomo di cui parlava Gloria fosse proprio lui? Il cuore le si spezzò in mille schegge.

Erano trascorsi cinque giorni dal funerale. E lei non mangiava da giorni. Rimaneva sdraiata sul letto, in posizione fetale. A piangere e rimanere in silenzio, per poi cadere addormentata, sfinita. Risvegliarsi e continuare a non fare altro che pensare a ciò che aveva sentito da Gloria riguardo a lui. Chi aveva amato dunque? Non lui, evidentemente. Aveva creduto un uomo che, infine, da morto si era rivelato essere tutt’altra persona, facendo di lei una completa estranea. Non poteva credere che in tutti quegli anni lui le avesse mentito. Che si fosse finto un altro uomo per poterla amare. Chissà quante altre bugie le aveva detto, quante menzogne a fin di bene per essere amato da lei. Lui, che aveva amato più della sua vita, tutto ciò in cui aveva creduto e a cui era appartenuta cuore, anima e corpo, era… niente. Niente se non una menzogna. Che senso aveva dunque vivere se fino ad allora aveva vissuto per niente. La ferita, quest’ultima ferita, troppo grande e profonda per poter essere rimarginata, sgorgava sangue rosso, copioso. La sua linfa vitale usciva da lei per sempre. E lei non aveva né la forza né la volontà per contrapporsi a essa e impedire di fluire via, lontano da lei.
Era il tramonto quando Lola, con un ultimo gesto, si alzò e si diresse alla scrivania. Sopra c’era una boccettina che aveva comprato anni prima. Quella boccetta di vetro verde le avrebbe risolto tutti i suoi problemi. Avrebbe ritrovato la pace, dopo anni di lunghi e sofferti tormenti.
Ma ne valeva davvero la pena morire così? Abbandonare la vita per un uomo del genere? Le aveva mentito, non era stato sincero con lei, mentre lei, spontanea e solare, le aveva dato tutto ciò che poteva dargli. Mancava solo questo: la vita. Perché anche se lui le aveva mentito, lei lo amava immensamente. Più della sua stessa vita. Prese la boccetta tra le mani, con entrambe le mani, la aprì e la avvicinò a sé. E il telefono squillò.

 

 

 

  
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