Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |      
Autore: AlsDougsmold    11/06/2012    5 recensioni
Juliette Maison, quasi diciottenne, orfana di madre, sogna la nazionale di ginnastica artistica. Nel momento decisivo della sua carriera da sportiva, qualcosa le distruggerà il sogno.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Rientrai anche quella mattina alle quattro di notte. Erano tre, quattro o forse anche cinque sere che tornavo così tardi dal lavoro. La nonna dormiva.
Beata lei – pensavo, ogni volta che ritornavo a casa e la vedevo riposare tranquillamente.
Il suo russare mi fece capire che non si sarebbe svegliata neanche se avessi cominciato ad urlare per tutta la casa. Nonostante ciò, sfilai le scarpe e mi rintanai nella stanza per effettuare il solito notturno conto.
Fantastico, meraviglioso, cioè... - pensai. Cercai di mettere insieme i pezzi: una settimana di lavoro, tanto lavoro, guadagno ottimo. Trecento euro.
Con questo sarei riuscita a pagare i prossimi due mesi della palestra, o meglio, questo mese e quello scorso che non avevo ancora pagato.
Con quel pensiero, col pensiero che avrei continuato almeno per un altro mese gli allenamenti, riuscii a dormire. Cioè riuscii a riposare per quel che rimaneva di quella stressante, faticosa e sofferente notte del 16 novembre 20110

Julie, alzati, dai – le mie orecchie captarono una voce familiare, ma lontana dalla mia stanza. Non fui in grado di capire chi fosse, ma per una seconda volta il mio udito ascoltò – Julie, alzati, cavolo.

No, no, ma lei non era la nonna. Era una persona che conoscevo, lo sentivo. Quella mattina, alle sette di quella mattina, i miei sensi non erano del tutto funzionanti, pensai.
Eppure, c'era qualcuno in cucina che rideva, scherzava con la mia nonnina. Quella voce così familiare, lontana, una voce che non sentivo da tempo, non da mesi, ma da anni, tanti anni.
Cazzo, chi diamine era? E perchè rifiutavo di alzarmi?
Rispondere alla seconda domanda fu facile, ero stanca ed era presto. Volevo godermi l'altra ora di sonno che mi spettava. Quindi, non mi sarei alzata da quel letto fino a quando la sveglia non sarebbe suonata. Neanche se fosse venuta mia nonna, armata di fucile e coltellino!

Invece la prima domanda era complessa. Chi diamine era? Chi era l'idiota che si permetteva di venire qui e disturbarmi? Alle sette di mattina, poi! Appena avrei scoperto chi era, giurai di riempirlo di parolacce.
Juliette Maison, scendi da quel dannato letto – continuò quella voce tanto familiare quanto fastidiosa – altrimenti ti vengo a prendere per le orecchie.
Soffocai una risata, per evitare che quel maledetto o quella maledetta, che pretendeva di farmi alzare un'ora in anticipo, mi scoprisse. Io sarei rimasta in quel letto. Fosse caduto anche il palazzo, io sarei rimasta inchiodata su quel dannatissimo letto, sotto quelle dannatissime coperte e con quel dannatissimo pigiama.

Pensai questo fino a quando dalla voce familiare, che poi fu associata ad un'immagine,ad una specifica persona nella mia testa, non uscirono le parole fatali.
Ho poco tempo, darling. Alzati, su – furono queste le parole, quelle parole che aspettavo di sentire nuovamente da otto anni.
Scesi immediatamente dal letto e corsi in cucina. Mi fermai sulla soglia. Non poteva essere vero!
No, no, no, no, no! Lei non c'era più, era andata via.
Lo sapevo, lei non era più qui, era diventata il mio angelo custode.
Eppure era lì, appoggiata al frigo, con le braccia aperte, aspettando che corressi da lei.
Aspettai quell'attimo per realizzare che se fossi corsa verso di lei, non sarei andata a sbattere contro il frigorifero. E poi, le andai incontro, mentre le lacrime mi inondavano il viso.
Avevo sognato da tanto tempo, per tanto tempo di rivederla, riabbracciarla. Lei la mia Sonny, la mia cara Sonny, la mia mamma.
Avevo tante domande per lei. Cosa c'era dall'altro lato? Stava bene? E papà? Era ancora in viaggio? Quando tornava? Lo sapeva? Cosa faceva? Si divertiva? Le mancavo?
Ma prima di tutto avevo bisogno di porle la più difficile delle domande. Perchè se n'era andata?
Ed infine, la domanda fatale, quella lì di cui vuoi sapere la risposta solo se è positiva.
Resterai con me? - avrei voluto chiederle, dovevo sapere, volevo sentire di nuovo quella voce.

Mentre pensavo a tutto questo, la raggiunsi, saltandole addosso.

Julie, che succede, Julie, svegliati! Apri gli occhi – gridava mia nonna. La sua voce era piena di paura.
Cazzo, non doveva essere contenta? Era tornata la mia mamma,sua figlia. La mia Sonny, la sua Sonny, la nostra Sonny.
Aprii gli occhi e mi resi conto che stavo piangendo. All'inizio non capivo, forse piangevo solo per l'emozione. Dopo otto anni, da chissà quale mondo era tornata la mamma.
Ad un certo punto, mi resi conto, dal viso della nonna, dalle mie lacrime, che era stato tutto un sogno. L'ardente desiderio di rivedere mia madre mi aveva tratto in inganno. Mi aveva fottuto.
Credevo di aver rivisto la mamma – cercai di dire, ma tra i singhiozzi, le lacrime e la voce che non usciva non avrei creduto che la nonna fosse stata in grado di capire.
Invece mi accorsi dallo sbiancarsi del suo viso che lei aveva capito e sentito bene. Non riuscii neanche a finire di pensare a come ci era riuscita che mi ritrovai stretta tra le braccia di mia nonna.
Ah, cosa avrei fatto se non ci fosse stata lei accanto a me? Sapevo la risposta; niente.
Dopo aver convinto almeno ottanta volte mia nonna che stavo bene, uscii di casa per andare a scuola. Dopo circa due settimane che marinavo la scuola, ci ritornai.
A quanto pare, o meglio stando a quanto mi aveva detto Margaret, avevamo un nuovo compagno durante la lezione di storia, fisica, biologia e trigonometria.

 

Era arrivato, dunque, il grande momento. Dopo due settimane di filoni e assenze per falsa malattia, ritornai a varcare la soglia di quella scuola, quella che tanti studenti sentivano come la propria scuola, quella che io tanto odiavo.

Sgattaiolai velocemente in segreteria per evitare di incontrare gente indesiderata. E ce n'era tanta!

Entrai e mi ritrovai in una frazione di secondo, inciampando in non seppi cosa, con le mani poggiate sulla scrivania faccia a faccia con la segretaria. Andy, ancora ricordavo il suo nome.

Tesoro, è tanto che non ti vedo! - mi alitò, prendendo una sola boccata d'aria e riservandomi quello che si può definire un sorriso a trentasei denti.

Sono stata malata,purtroppo – mentii così facilmente e spudoratamente – mi è mancato molto questo posto.

Se quella donna avesse saputo quel che bastava di me avrebbe capito che mentivo, ma fortunatamente conosceva solo il mio nome. E forse anche il cognome.

Adesso sei qui – proseguì Andy – sei venuta a ritirare il nuovo orario? - mi domandò.

Esattamente – risposi, ricambiandole il sorriso, mentre le sfilavo dalle mani il fogliettino con su scritto il mio nuovo orario.

In prima ora, avevo storia. Mi voltai e mi incamminai verso la porta per uscire dalla segreteria, facendo un cenno con la mano per salutare Andy, che alla fine era una delle poche del personale scolastico che teneva veramente alla sgangherata, orfana di madre, testarda Juliette, soprannominata Julie.

Ah,appena varcherai quella soglia – iniziò, vedendo che stavo uscendo – tutta la scuola, o meglio, tutte le ragazze ti guarderanno in modo strano – concluse, balbettando le ultime parole ed esplodendo, poi, in una delle sue risate, odiose.

E perchè mai? - risposi io, con una tale acidità per cui, se ci fosse stata la bella Sonny, mi avrebbe sgridata davanti a tutti.

Ho dimenticato di dirti – continuò Andy, con un ghigno, altrettanto odioso, stampato sulla faccia – che il ragazzo nuovo, Daniel, un 'figo da strapazzo', ha le lezioni con te – proseguì, con un'espressione che trapelava un pizzico, e forse più, di gelosia.

Lo so – ribattei – Margaret mi aveva detto di questo ragazzo nuovo con cui dovrei frequentare storia, fisica, biologia e trigonometria.

Signorina, allora non hai capito – sibilò con un tono di voce che mi fece capire che realmente era gelosa – Ora avete lo stesso orario, stesse lezioni, stesse ore. Lui ha cambiato tutto. – concluse, sfoderando un sorriso. Questa volta era un sorriso forzato, un sorriso dettato dall'impulso del suo cervello, non dal suo cuore. Lei era gelosa del fatto che questo ragazzo aveva cambiato l'orario per ME.

Scoppiai a ridere, sia per ciò che aveva fatto questo sconosciuto, sia per quello che ero riuscita a leggere sul viso di Andy. Decisi di non dire nulla, sapevo che qualsiasi parola avessi detto avrebbe scatenato l'ira di Dio. Le sorrisi e uscii dalla segreteria.

In realtà, avrei preferito rimanere lì dentro per tutta la vita, se avessi saputo che quello che diceva Andy era vero.

Mi chiusi quella porta alle spalle, pregando chiunque ci fosse lassù di farmi diventare invisibile.

Iniziai a dirigermi verso la classe del professor Henricson, e ci avrei messo cinque secondi, se non mi fossi scontrata con uno sconosciuto.

Chi cazzo era questo imbecille che camminava e non guardava avanti? L'avrei preso a schiaffi, promisi a me stessa. Anche perchè tutto l'istituto si voltò a guardarmi, nonostante tutti i miei sforzi per diventare trasparente.

Alzai gli occhi per guardare in faccia colui che mi aveva intralciato nella corsa verso l'aula di storia e che adesso mi aveva costretto ad incrociare gli sguardi di tutte le ragazze della scuola.

La mia mano sinistra si stava preparando per volare direttamente sulla guancia di chiunque mi fossi trovata davanti in quel momento, uomo o donna, maschio o femmina, bambino o bambina.

Quando ad un tratto il movimento della mia mano si arrestò, i miei occhi si spalancarono e la mia bocca si aprì. Mi ritrovai davanti agli occhi una creatura, una di quelle lì che trovi solo nei film o nelle favole, una creatura di quelle lì che speri esistano, ma purtroppo non ce ne sono.

La pelle del suo volto era di un colore che sfociava nel bianco. La sua bocca era di un rosso poco accesso, elaborata in delle curve volte a formare un sorriso. Il naso, perfettamente proporzionato, faceva parte di quel quadro che già amavo. I suoi occhi, beh i suoi occhi, erano due sfere azzurre in piacevole contrasto con le sopracciglia nere e discretamente folte. I capelli circondavano tutta la sua testa ed erano organizzati in un elegante cresta in cui ci si poteva perdere con le dita.

Non riuscivo a chiudere la bocca, ma mi sforzai almeno di riacquistare il controllo di me stessa, per evitare che lui e tutto il resto dell'istituto si accorgesse della mia reazione davanti a tanta bellezza, compostezza, perfezione, eleganza...

Mi stavo perdendo di nuovo, dovevo controllarmi!

Conoscendomi quel tanto che bastava per sapere che se gli avessi rivolto la parola non sarei più entrata in classe, decisi di avviarmi, come se nulla fosse successo, come se nessuno mi fosse venuto addosso, come se fossi appena uscita dalla segreteria e come se non avessi saputo che quella marmorea statua posizionata davanti ai miei occhi aveva cambiato tutto il suo orario per la qui presente Juliette.

 

Mi incamminai, ma qualcosa mi prese il braccio. - Scusa – mi alitò in faccia quel ragazzo che stavo cercando di evitare – non volevo – concluse e poi sul suo viso si disegnò uno di quei sorrisi per cui avrei pagato, sapendo di non poterli ammirare neanche in un sogno.

Non preoccuparti, non è successo nulla – risposi,io, molto freddamente. Perchè, alla fine, nonostante fosse quello che mezza scuola definiva 'il ragazzo dei loro sogni', mi dette un immenso fastidio il suo cambiamento d'orario. Avevo già tanti problemi e, carino o meno, non aveva il diritto di starmi addosso tutti i giorni per cinque ore di seguito.

Davvero, mi dispiace molto – continuò, con le sue ridicole e fastidiose scuse – Ah, piacere Daniel – e mi porse la sua pallida mano. La fissai per un momento e poi la strinsi, esclamando - Piacere, Juliette! – con più entusiasmo di quanto fosse necessario. Nonostante ciò, disegnò nuovamente sul suo viso quello splendido sorriso.

 

Quel primo giorno di scuola passò molto velocemente, anche se al termine di ogni ora Daniel veniva con me, e molto spesso mi portava anche i libri.

Mi piaceva, molto. Era un ragazzo, splendido, simpatico, dolce. Seducente e sexy, quando era necessario. Ma sapevo che la nostra non sarebbe stata nient'altro se non una semplice amicizia.

Il mio lavoro non mi permetteva di avere un ragazzo, ed avevo già troppi impegni per potermi occupare anche di qualcosa in cui non avevo mai creduto,l'amore.

Inoltre, c'era qualcosa in quel ragazzo che non mi convinceva. Sentivo che aveva più segreti di chiunque altro avessi mai conosciuto, più di quanti ne avessi io. Eppure era stato molto bravo a nascondersi dietro la maschera del ragazzo normale.

Mi promisi che, anche se fossimo rimasti semplici amici, avrei scoperto cos'era, chi era o qualsiasi altra cosa nascondeva.

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: AlsDougsmold