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Autore: Wendigo    11/06/2012    2 recensioni
Il dirigibile si era improvvisamente fermato.
Il cane si svegliò catapultato contro la parete opposta della cabina.
L’aviatore gli apparve davanti poco dopo. Il cane lo intravide sconvolto.
Non l’aveva mai visto così, neppure sotto la minaccia di un tornado.
Che cosa aveva visto di così sconvolgente?
(La storia segue periodicamente i punti di vista dei tre protagonisti, ovvero l'Aviatore, il Cane e... . Se due o tre capitoli mostrano lo stesso nome, è dovuto al fatto che servono entrambi o tutti e tre per completare l'episodio raccontato. Se ti piace, seguimi su TheIncipit! Così scegli tu come farla continuare!)
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO I
Una Scoperta Sconvolgente
 
Dal punto di vista dell’Aviatore
 
 
È solo una sensazione, ripeteva tra sé l’aviatore ormai da mezz’ora, Soltanto una fastidiosa sensazione.
Non era la prima volta ad averne una, e certamente non sarebbe stata neanche l’ultima: aveva ormai compreso di possedere un vero e proprio sesto senso che gli si era rivelato utile in più di un’occasione, scattando sempre con giusto tempismo nelle situazioni di pericolo e salvandolo diverse volte da una morte più che certa.
Tuttavia questo era sostanzialmente diverso dalle altre, poiché l’aviatore non riusciva a scorgere nessun pericolo nel suo immediato futuro. D’altronde si trovava nel suo dirigibile, a diverse centinaia di metri sopra il livello del mare dove nessuna creatura del mondo inferiore era mai stata capace di raggiungerlo e, più di tutto, ucciderlo. Inoltre, ponendo anche per assurdo che una cosa del genere sarebbe stato invece possibile quel giorno, c’era sempre la velocità del dirigibile come ultima difesa e che lo avrebbe messo in salvo.  
No, si disse infine l’aviatore, ‘Sta volta si sbaglia: mi trovo nel luogo più sicuro della terra, il cielo.  
Eppure la sensazione non sembrava voler demordere e, ad ogni secondo andato perduto, gli martellava sempre più la sua testa quanto un trapano impazzito e impossibile da fermare. Vedi che sei tu che ti sbagli!, pareva dirgli, quasi arrabbiata per la totale mancanza di fiducia nei suoi confronti, Mi sono mai sbagliata prima?. Non aveva tutti i torti. L’aviatore decise dunque di darle una chance, una sola, pur di placarla un po’.
Mise la mano destra in una delle due tasche del suo giaccone d’aviatore, da cui non si separava mai, e, frugando al suo interno, cercò il binocolo. Trovato infine l’oggetto dopo una manciata di secondi, l’aviatore cominciò a osservare il cielo, ansioso di risposte.
Aveva infatti pensato che, se il pericolo non fosse giunto dal basso, dal mondo inferiore, allora sarebbe sicuramente giunto dall’alto, dal bianco estremo (così era solito chiamare quella porzione di cielo che si estendeva sopra le nuvole stesse e che rappresentava per lui una zona off-limits). Si chiedeva poi cosa l’avrebbe preso alla sprovvista: una tempesta da fine del mondo? Oppure un tornado delle dimensioni di una nazione? O, perché no, il temutissimo (ma rarissimo per sua enorme fortuna) buco d’ozono? Quello sì che sarebbe stato un pericolo coi fiocchi, anche per un uomo esperto dei cieli come lui.
Inutile dire che, chi prima chi dopo, l’aviatore aveva avuto il grande onore di averne a che fare durante il suo lungo viaggio e, soprattutto, di uscirne a malapena vivo da ciascuna di esse.
Tuttavia, nonostante non stesse trascurando neppure la più remota di queste possibilità in quei momenti di attenta osservazione, nessuna sembrava essere quella indicatagli dalla sua petulante sensazione, che ormai era divenuta del tutto insopportabile per la sua povera testa. Speravi che fossero solo quelli, gli disse con scherno. Infatti, il cielo pareva intento a donargli una giornata abbastanza tranquilla per una buona volta: “abbastanza” perché c’erano sempre delle nuvole sparse qua e là, ma erano così poche, così piccole, così lontane le une dalle altre che era impossibile e persino ridicola l’idea stessa di “tempesta”. Inoltre la presenza di quelle pecorelle negava pure la possibilità del buco. Il cerchio delle catastrofi si andava quindi restringendo.
A quel punto non rimaneva che una cosa da fare: pose il binocolo nella tasca da cui l’aveva preso ed afferrò il timone, sperando che, virando il dirigibile in una qualunque altra direzione e allontanandosi pertanto da quella zona di imminente pericolo, la sua sensazione si sarebbe a poco a poco acquietata fino a cessare del tutto; e invece questa non solo non si calmò, ma si scatenò più di prima e più velocemente.
Che cosa significa questo peggioramento? Che dovunque io vada, andrò sempre incontro al pericolo?
Se era davvero così, non c’era nulla che lui potesse fare: lasciò dunque il timone e si diresse verso l’interno del dirigibile, cercando di pensare ad altro ed attendendo l’invitabile, ma non prima di aver preso due grosse funi poste lì vicino e di aver legato il timone saldamente alla ringhiera. Era una procedura noiosa ma che andava fatta se non desiderava finire chissà dove per quei rari attimi di assenza che si concedeva.
Un giorno di questi dovrò trovare un modo migliore per ovviare al problema. Si ripromise borbottando, benché anche questa promessa facesse ormai parte della prassi.
Raggiunto poi l’interno del dirigibile, ebbe immediatamente modo di constatare come ogni cosa si trovasse ancora dove l’aveva lasciata la scorsa notte: le sue cartine geografiche erano rimaste sparse sul tavolo, vicine a una piccola lanterna spenta. Benché l’aviatore la tenesse accesa solo per una buona mezz’ora o, al massimo, un’ora al giorno, poco prima di andare a coricarsi nella sua branda di ferro, notò che la candela al suo interno si era quasi consumata del tutto. Procurarsi altre candele, aggiunse meccanicamente alla sua lista di cose da fare per quel giorno sotto la voce Fare qualcosa per il timone.
Si avvicinò al tavolo di legno e, preso un compasso lasciato sempre sul tavolo la notte precedente, verificò dove il cambiamento di rotta effettuato poco fa lo stesse effettivamente portando.
L’Impero dell’Aquila, constatò in pochi secondi, o l’Ex-Austria. Decise che gli andava bene, e lasciò tutto.
Intanto, nel lato opposto della stanza, il suo compagno di volo stava ancora dormendo nella sua cuccia fatta di vecchi vestiti che l’aviatore aveva a poco a poco recuperato in alcuni negozi di diverse città fantasma. Si trattava di un cane, un border terrier per la precisione, ed era anche l’unico regalo che suo padre gli avesse mai fatto.  
“Prendilo”, gli aveva semplicemente detto dieci anni fa, gettandogli letteralmente il cucciolo fra le sue braccia. “Così, anche se il tuo viaggio dovesse durare molto, avrai sempre qualcuno con cui passare le tue giornate”.
L’aviatore decise di non svegliarlo e si diresse verso la sala macchine: in realtà si tratta solo di un’altra cabina,
accessibile soltanto mediante una scaletta, sottostante alla prima e più piccola. Lì, poiché era stata stipata una caldaia tanto grande quanto vecchia e rumorosa, faceva estremamente caldo a tal punto che l’aviatore, ogni volta che ci veniva, credeva sempre che si sarebbe sciolto come un ghiacciolo.
Diede dunque una rapida occhiata ai vari sensori posti sopra la caldaia: prima alla temperatura, poi alla pressione e infine al carburante; tutte registravano un valore accettabile ad eccezione dell’ultima che segnava quasi zero. L’aviatore si avvicinò pertanto ad un altro tavolo, posto alla sua destra, ed afferrò una delle tante fiale presenti e contenenti uno strano liquido rosso fosforescente: infine la gettò nelle fiamme della caldaia, in pochi secondi anche i valori di quel sensore rientrarono nella norma ed il dirigibile acquisì maggior velocità.
Il tutto avvenne così velocemente e bruscamente che ogni cosa a bordo venne scaraventata all’indietro.
L’aviatore invece, avendo afferrato subito la scala, aveva evitato di volare via. Lo stesso non dicasi però per il suo cane che si risvegliò difatti nel peggiore dei modi: cadendo giù nella sala macchine dopo essere stato scagliato via, come un proiettile, dal suo giaciglio di vestiti. “Ma perché non mi svegli mai prima di farlo!?”, gli domandò il cane, colmo di rabbia, “Ogni giorno sempre la stessa storia! E se io lo facessi a te, ti piacerebbe?”.
L’aviatore prese un pezzo di carne dall’altra tasca della giacca e glielo lanciò. Inutile dire che il cane lo afferrò a volo e in meno di tre secondi se lo era già divorato tutto. “Ti perdono, amico mio!”, urlò di gioia il cane subito dopo.
Calmare il cane, fatto. Procurarsi altra carne prima che finisca ma solo dopo aver trovato altre candele.
Intanto il cane si era avvicinato alle fiale rosse, curiosando un po’, “Un giorno mi rivelerai di cosa sono fatte?”. L’aviatore però, poiché aveva ormai finito il suo lavoro nella sala macchine per quel giorno, era già corso fuori da lì per il caldo soffocante, non curandosi minimamente di rispondere alla domanda del suo amico quadrupede. “Ti odio quando fai così”, gli urlò seguendolo nella cabina da notte.
La mattinata andò, per il resto, come al solito per i due: il cane, dapprima si era appostato fuori, vicino al timone, godendosi la leggera brezza autunnale, ma poi era ritornato nel suo giaciglio, riaddormentandosi. L’aviatore invece aveva dapprima ricontrollato la rotta e, una volta sgombra la pedana, ritornò a pilotare il dirigibile, benché la sua sensazione non l’avesse ancora abbandonato dentro la sua testa…
 
 
…finché non vide improvvisamente 
un verde baleno salire all’orizzonte  e una violenta onda d’urto prendere in pieno il dirigibile. 
   
 
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