Serie TV > Doctor Who
Ricorda la storia  |       
Autore: Aelin_    11/06/2012    2 recensioni
L'ho finita! Con un giorno di ritardo, l'ho finita! Ma l'ho conclusa solo per MARS88, che spero mi concederà l'onore di leggerla, visto che, se non fosse stato per lei, questa povera storiella sarebbe rimasta a marcire in qualche anfratto del mio pc.
Essendo un tantino lunghetta, l'ho divisa in due parti, e la seconda la pubblicherò domani, o dopodomani, devo decidere.
Detto questo... nient'altro xD
Dalla parte prima:
Rose non sapeva più che pesci pigliare.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Rose non sapeva più che pesci pigliare.

Seduta su uno dei sedili del TARDIS, stette a guardare il Dottore che si affaccendava attorno a dei cavi, in silenzio. Era già un’ora che non le rivolgeva la parola. Ed erano quasi due giorni che non avevano una conversazione civile, o un contatto fisico di alcun genere, tipo un abbraccio, una pacca sulla spalla, qualsiasi cosa. Era diventato taciturno, spento, quasi apatico. E non l’ascoltava, era come se per lui lei non esistesse più.

Lo sentì sbuffare piano, e lo vide sollevare la testa, fissando un punto indistinto nelle pareti della pseudocabina, arruffandosi i capelli con una mano. Le faceva tenerezza in questi momenti, quando mostrava questi attimi di stanchezza o… di qualsiasi altra emozione\sensazione umana, sembrava quasi un bambino. E lei doveva fare violenza su se stessa per non correre ad abbracciarlo. Sapeva che era un alieno, ma, dopo averlo visto sbuffare, avvilirsi o gioire come un qualsiasi umano, tendeva a scordarlo.

Si alzò lentamente e si fermò appena dietro di lui. Era disteso sulla grata del pavimento, quasi sotto la console al centro del TARDIS, e lambiccava con il suo cacciavite sonico. Ma non sembrava aver concluso un bel niente. Si chinò sulle ginocchia, tentennando prima di parlare.

-          Ehi, posso aiutarti in qualche modo? – gli chiese, ma lui non diede segno di averla sentita.
-          Dottore? –

Uno sbuffo irritato le diede la conferma che, questa volta, lui aveva sentito. Girò la testa e la fissò con uno sguardo talmente severo che lei s’immobilizzò all’istante.

-          In questo momento, l’unica cosa che puoi fare è tacere. Quindi taci. –

Il suo tono era gelido, privo di emozione, inflessibile. Rose sentì i bordi dei propri occhi cominciare a pizzicare, mentre nella sua gola cominciava a formarsi un groppo che sapeva di lacrime.

-          Okay, io… faccio un giro. – la ragazza si diresse velocemente verso la porta.

Uscì quasi di corsa, per non fargli vedere le prime gocce trasparenti che già le rigavano le guance candide e andavano a morire nella curva morbida delle labbra e del collo.
Fuori Londra era come la ricordava. Rumorosa, piena di persone e… uggiosa. Terribilmente uggiosa. Pioveva a dirotto, e Rose si ritrovò fradicia in pochi secondi.
Ma non le dispiaceva. Cosa c’era di meglio della pioggia per nascondere le lacrime?
Si fermò in mezzo ad un marciapiede per alzare lo sguardo verso il cielo. Era cupo, e i lampi di tanto in tanto illuminavano le nuvole scure. Non sapeva dove andare. In un altro momento sarebbe andata da sua madre, per approfittare che il TARDIS fosse approdato là, ma non era dell’umore giusto.

Un singhiozzo la fece tremare e, cercando di distrarsi, si sedette su una panchina bagnata per pensare. Cosa era rimasto nella sua vita? Niente, nessuna certezza, nessuno su cui contare. Prima credeva che sarebbe stata sempre con il Dottore, a viaggiare per le galassie nel TARDIS, ma da quando lui aveva cambiato aspetto era come se… una barriera invisibile si fosse messa i mezzo a loro. E ormai sapeva che, in un futuro non troppo lontano, lui si sarebbe stancato e l’avrebbe mollata sulla Terra, lasciandola sola. Sola come era adesso, sotto la pioggia. Se qualcuno avesse guardato fuori dalla finestra, lei sarebbe parsa come un fantasma, una cosa non reale, eterea. Non era la solitudine a spaventarla. No, se fosse stato per questo lei non avrebbe avuto problemi, aveva convissuto con il vuoto per diciannove anni. Quello che la terrorizzava e la faceva stare male era il pensiero di perdere quella vita, di perdere il TARDIS e le stelle, di perdere… LUI. Dio, cosa avrebbe fatto? Aveva visto la sua vecchia compagna, e nei suoi occhi, anche se celato, era ancora vivo il dolore lancinante dell’abbandono, lo sapeva.

Lui era diventato tutto il suo mondo, dannazione!, aveva lasciato pure Mickey per stare con quel… Pazzo. Ogni volta che rischiavano di morire, Rose non temeva per se stessa. No, lei poteva pure scoppiare in tanti mille pezzettini, ma aveva bisogno di sapere che lui era al sicuro, che era vivo.
Lui. L’ultimo Signore del Tempo.
Ancora non si era abituata all’idea, le sembrava talmente assurdo che le venne quasi da ridere. Ma invece le sfuggì un altro singhiozzo.

-          Ehi, ma… stai bene? –

Una voce le fece alzare un sguardo speranzosa, ma il sorriso le morì sulle labbra vedendo che davanti a lei c’era solo un ragazzo.

-          No, non credo… -

Era biondo, e gli occhi verdi apparivano vivaci nella nebbia londinese. Si sedette accanto a lei.

-          Allora ti faccio compagnia. –
-          Non hai niente di meglio da fare? –
-          A dir la verità, non proprio, e poi… non mi piace veder piangere le belle ragazze come te. –

Rose fece un piccolo sorriso, alzando lo sguardo verso il cielo.

-          E tu saresti? – gli chiese.
-          Chiamami Garth. –
-          Io sono Rose. –
-          Lo so. –
-          Aspetta, come fai a… -

Prima che potesse reagire, il ragazzo le premette un panno umido contro la bocca e il naso. La ragazza riconobbe l’odore del cloroformio. Poi tutto divenne indistinto.
 
 





Una nube di fumo si levò contro il soffitto\cupola del TARDIS, e un’imprecazione risuonò nell’aria, satura di puzza di bruciato. La grata di uno dei pannelli del pavimento venne messa a posto, e un uomo emerse dalla “nebbia”, con un sorriso luminoso sulle labbra. In mano roteava lentamente un bastoncino di metallo, con una lucina blu all’estremità. I capelli castani erano arruffati, la faccia aveva l’aria stanca, ma gli occhi color nocciola erano vividi e curiosi. Non era riuscito a riparare il TARDIS… perché non c’era niente da aggiustare! La sua macchina era sana come un pesce (se così si poteva dire). Il problema era la volontà. La “nave” non VOLEVApartire. Restava solo da capire il perché. 

Mettendosi le mani sui fianchi e spostandosi davanti alla console, il Dottore cominciò a borbottare tra sé, formulando teorie e scartandole subito dopo. Pian piano, la sua fronte cominciò ad aggrottarsi. Alzò di scatto la testa, guardando la stanza. C’era troppo silenzio, dentro la cabina. Dov’era Rose?
Si ricordò che, circa un’ora prima, la ragazza gli aveva chiesto se poteva aiutarlo e lui, seccato perché non riusciva a capire cosa aveva il TARDIS, le aveva risposto male. E lei era uscita fuori… Si fiondò verso la porta, l’aprì e si bloccò quando la sua visuale si riempì della pioggia di Londra e il suo rumore li giunse alle orecchia. Un senso d’inquietudine lo invase. Lei odiava stare sotto un acquazzone… Si spinse fuori e, ignorando la sua giacca che cominciava ad inzupparsi, si guardò intorno, chiamandola ad alta voce, cercando di sovrastare gli scrosci d’acqua. Il Dottore cominciò ad aver paura.
 
 




Rientrò una decina di minuti dopo, con i vestiti fradici e la gola indolenzita. Era stato tutto il tempo ad urlare il suo nome, aveva cercato nei dintorni, ma niente. Era sparita. Si sedette su uno dei sedili, con i capelli appiccicati alla fronte e gli occhi spalancati e allarmati, colmi di preoccupazione. Forse è andata da sua madre, pensò, alzandosi. Sperava di si, anche se… lei glielo avrebbe detto. Ma valeva la pena tentare.
 
 



Jackie stava guardando la televisione, ne sentiva il volume attraverso la porta. Avrebbe potuto aprire la porta senza problemi, ma preferì suonare il campanello. Dopo qualche minuto, Jackie apparve, e sorrise, vedendolo. Ma, notando che era solo lui, il sorriso scomparve. E il Dottore ebbe la conferma che la ragazza non era lì.

-          Dov’è Rose? –
-          La stavo cercando. –
-          Che vuol dire “La stavo cercando”?! Dottore, lei ha promesso di proteggerla! –

Uno schiaffo gli arrivò all’improvviso, e sulla guancia comparve l’impronta della mano.

-          Ahia! – protestò, guardandola male.
-          Veda di trovarla!!! –

La porta gli fu chiusa ad un palmo dal naso.
 
 






Non gli rimase altro che tornare al TARDIS e aspettare lì. Probabilmente Rose aveva deciso di abbandonarlo. E come biasimarla? Lui la metteva in pericolo ogni volta, e, nonostante la bellezza delle stelle e dei pianeti che avevano visto e visitato, questa vita stancava. E poi… si rese conto che era tutta colpa sua. Già dall’inizio si era innamorato di lei, ma, forse per paura, non le aveva mai permesso di… avvicinarsi emotivamente a lui. L’aveva invischiata in un tira-e-molla perpetuo e quasi sicuramente lei se ne era tirata indietro per non soffrire più. Un sorriso triste comparve sul suo viso. All’inizio aveva creduto che lei fosse una delle tante che lo avevano accompagnato nel corso dei suoi lunghi anni, ma solo ora realizzava che, in fondo, aveva sempre saputo che era diversa. Gli era entrata dentro, e questo non poteva cambiarlo.

La amava?

Questo pensiero lo sorprese così tanto che inciampò e finì spalmato sull’asfalto, ma non se ne preoccupò, tanto era già bagnato fino al midollo. Se non si fosse asciugato, si sarebbe preso un malanno. In questo era molto umano. In tutti i suoi 900 e passa anni non si era mai innamorato veramente. Non se l’era permesso. Aveva chiuso in gabbia il suo cuore (i suoi due cuori, ma questi sono dettagli) e aveva evitato di legare troppo con qualcuno. Perché aveva perso troppe persone. Il suo popolo, i suoi familiari…
Aveva provato affetto per le sue compagne, era vero, e si era permesso qualche bacio per farle felici, ma non si era mai spinto altre a questo. E ora Rose… Dio, era riuscita a superare tutte le sue barriere e ad insinuarsi dentro di lui.
Doveva trovarla. Se aveva deciso di lasciarlo, allora doveva dirle, per la prima e ultima volta, che l’amava. Anche se non poteva stare con lei. Era umana, e la sua vita era infinitamente più breve di quella del Signore del Tempo. Scacciò via quel pensiero. Ora il problema era trovarla. Riprese a camminare, pensando a qualche soluzione, fino a quando non posò lo sguardo sul TARDIS.

E un sorriso gli illuminò il volto. Rose aveva guardato nel cuore della macchina, ne aveva assorbito l’essenza, e, anche se poi l’aveva restituita, aveva lasciato un segno. Segno che poteva usare per trovarla. Si fiondò dentro la cabina blu, e, senza neanche preoccuparsi di chiudere la porta, si inginocchiò su una grata, spalancando poi un pannello inferiore della console. Dovette chiudere gli occhi, accecato dall’intensa luce bianca che si sprigionò, e, dopo che si fu abituato, vi immerse lo sguardo.

Nessuno sapeva cosa c’era dentro il TARDIS, nei suoi luoghi più nascosti. Alcuni dicevano che vi era un segreto in grado, al solo udirlo, di uccidere un uomo. Altri ipotizzavano che vi era una creatura sconosciuta molto potente, e ciò era riconducibile al fatto che la macchina era un’entità vivente e cosciente. Altri ancora affermavano (e il Dottore era più incline a questa teoria) che vi era una tale energia che, se finita nelle mani sbagliate, sarebbe stata in grado di distruggere tutte le galassie e i pianeti esistenti e di cancellare definitivamente ogni essere vivente nell’universo. Mentre la guardava, gli parve di scorgere due occhi, anziani e sapienti, che lo fissavano con accondiscendenza. Ma un secondo dopo erano spariti, quindi pensò di averli immaginati. Sporse il viso, e, con l’aumento d’intensità della luce, chiuse le palpebre, cominciando a concentrarsi. Immaginò Rose, vide i suoi capelli biondi, le ciglia lunghe e arcuate, gli zigomi perfetti, la pelle candida e le labbra rosee e piene, che avrebbe tanto voluto…

Smise di pensare a questo, e intrise la propria richiesta di preoccupazione e ansia. Capì che aveva funzionato quando con uno scossone fu allontanato di slancio dalla console mentre il TARDIS cominciava a sussultare e a muoversi. Il Dottore chiuse allora il pannello e corse ai comandi, dove cominciò ad abbassare leve, a premere bottoni e a dare martellate ad alcuni bulloni. Dopo qualche secondo, la macchina si fermò. Si mise un altro completo, e, dopo essersi infilato il soprabito e aver controllato di avere il cacciavite sonico, aprì la porta.

Il rumore assordante lo sorprese talmente tanto che rimase bloccato per alcuni secondi. Era in una stanza quadrata, in penombra, e l’abbondanza di cappotti e giacche sulle sedie e per terra lo portò alla conclusione che, molto probabilmente, quello era un guardaroba. La musica pulsante e ripetitiva proveniva da una porta di fronte a lui, di legno scuro. Quando l’aprì, il rumore si fece più forte, tanto che dovette quasi tapparsi le orecchie. Una sala enorme era gremita di gente che si dimenava come assatanata a tempo di musica. Ai lati, in dei divani o delle sedie, numerose coppiette limonavano. Il Dottore sollevò un sopracciglio. Perché il TARDIS lo aveva portato in una discoteca? Si mosse scivolando in mezzo alla folla, cercando di passare inosservato. Ma evidentemente non funzionò, perché nel giro di cinque minuti si ritrovò due ragazze totalmente ubriache spalmate addosso, che cercarono di baciarlo. Stufo di quella situazione, se le scrollò di dosso e puntò il cacciavite contro le casse, premendo il bottone. La musica si interruppe di botto. Nella confusione generale, un ragazzo gli si avvicinò.

Era biondo, e gli occhi verdi erano calmi e controllati.

-          Venga con me, Dottore. –
-          Dov’è Rose? –
-          Venga con me. –

Il Signore del Tempo lo seguì attraverso la folla verso una porta che, inizialmente, non aveva visto. Quando la oltrepassò, due uomini spuntarono dall’ombra dietro di lui, afferrandolo e trascinandolo in avanti, quasi di peso.

-          Grazie, non sapevo di non essere in grado di camminare. – replicò lui sarcastico.
-          La stavamo aspettando. –
 
 




   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Doctor Who / Vai alla pagina dell'autore: Aelin_