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Autore: Il Saggio Trentstiel    12/06/2012    8 recensioni
Un'amichevole pacca sulla spalla lo spedì dritto contro la fila di armadietti alla sua destra: il fragore fece voltare diverse persone nella sua direzione, alcune delle quali dovettero trattenere le risate.
[...]
Noah scosse il capo e salutò il ragazzone con un cenno: attorno a lui, studenti e studentesse sembravano già aver dimenticato quella scenetta.
Ecco, quella era la normalità.
Essere un'ombra, evanescente.
Invisibile.

Noah è freddo, cinico, disilluso e altre belle cosette.
E' anche invisibile, per chiunque gli passi accanto.
A lui va bene così, ma a sua madre e ad un misterioso individuo, invece no: lui deve essere se stesso!
[Leggero OOC nel finale]
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Noah
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Abituarsi alla diversità dei normali è più difficile che abituarsi alla diversità dei diversi.
(Giuseppe Pontiggia)

 

 

 

 

 

 

 

Era strano camminare per quei corridoi e vedere ovunque facce felici.
Ragazzi e ragazze non facevano che sorridere, discutere delle imminenti vacanze, organizzare giornate al mare o serate in qualche affollata discoteca in centro...
Noah roteò gli occhi e tirò dritto, oltrepassando l'ennesimo, ciarliero crocicchio di ragazzine esagitate.
Il giorno successivo la scuola sarebbe finita, sancendo ufficialmente l'inizio delle sospirate vacanze estive, dunque quei comportamenti apparentemente fuori dalla norma erano invece più che normali.
Peccato che Noah faticasse ad accettare quel tipo di normalità.
Certo, un po' di riposo faceva piacere anche a lui, ma agitarsi per una cosa come le vacanze estive era... Stupido?
No, forse lo avrebbe definito patetico, se avesse trovato qualcuno disposto ad ascoltare le sue sarcastiche elucubrazioni.
-Noah! Amichetto!-
No, no.
Non lui, non anche quel giorno.
Un'amichevole pacca sulla spalla lo spedì dritto contro la fila di armadietti alla sua destra: il fragore fece voltare diverse persone nella sua direzione, alcune delle quali dovettero trattenere le risate.
Non senza un certo imbarazzo, Noah si rimise in piedi e lanciò un'occhiata assassina ad un imbarazzato Owen.
-Ops...-
Noah scosse il capo e salutò il ragazzone con un cenno: attorno a lui, studenti e studentesse sembravano già aver dimenticato quella scenetta.
Ecco, quella era la normalità.
Essere un'ombra, evanescente.
Invisibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-Allora? Pronto per l'ultimo giorno di scuola, domani?-
Vidya Dasari interruppe con quella domanda il silenzio che, come al solito, gravava su di lei e sul figlio durante la cena.
Noah si limitò a scrollare le spalle, portandosi una forchettata di patate alla bocca.
La donna alzò gli occhi al cielo e sospirò, cercando di calmarsi: Noah era un bravo ragazzo, studioso, diligente e molto tranquillo, ma da qualche tempo a quella parte aveva cominciato a diventare intrattabile.
Pesantemente sarcastico, cinico e scostante: un comportamento simile non era sano in un ragazzo di sedici anni!
Masticò con estrema lentezza un boccone di patate arrosto, riflettendo sul modo migliore per aiutare Noah ad uscire da quel periodo cupo: forse un'occhiata al passato sarebbe potuta risultare utile...
Posò la forchetta sul tavolo e, con un vago sorriso, puntò i suoi occhi scuri sul figlio.
Sentendosi osservato, Noah alzò la testa dal piatto, un'espressione imperscrutabile sul volto.
-Sai cosa diceva un famoso filosofo induista?- esordì Vidya, mentre Noah cominciava ad inarcare le sopracciglia con fare sprezzante -“Non importa se gli enigmi quotidiani della vita vengano o no compresi del tutto. Ciò che importa è dimostrarsi decisi nella ricerca della vera felicità, ossia la Gioia da cui trae origine ogni essere.”-
Il silenzio tornò a dilatarsi tra i due, e rimaneva da chiedersi soltanto chi l'avrebbe infranto.
E in che modo.
Vidya sorrideva ancora, certa di aver fatto perlomeno breccia nel cuore e nella mente di quel figlio troppo freddo e razionale; Noah, dal canto suo, era sicuro che la madre avesse mancato il suo bersaglio di diversi metri.
Sbuffò appena e scosse il capo.
-Credenze obsolete e superate, come tutte le religioni.- borbottò.
Il sorriso della madre svanì, sostituito da un'espressione delusa e irritata.
-Vedi? È questo tuo atteggiamento ad essere sbagliato, Noah!- sbottò, alzandosi in piedi e cominciando a sparecchiare -Non sai far altro che analizzare e criticare, come se da quei due verbi dipendesse la tua vita!-
Noah sgranò gli occhi, stavolta sinceramente sorpreso: la madre era sempre stata una donna pacata e ragionevole, mai preda di scatti d'ira di quella portata.
Doveva proprio aver toccato un nervo scoperto...
-Vuoi sapere come la penso io?- proseguì la donna, alzando la voce per sovrastare lo scrosciare dell'acqua nel lavello -Penso che tu abbia deciso di convertirti al Sarcasticesimo per evitare di apprezzare e accettare quello che hai, compreso te stesso!-
Terminato lo sfogo, cominciò a lavare le stoviglie con foga, ancora preda di forte frustrazione.
Senza una parola, Noah si alzò da tavola e si diresse in camera sua.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Perle di saggezza induiste, proprio quello che gli mancava!
Noah era sdraiato sul letto, un grosso libro aperto sul cuscino: le parole stampate sulle pagine, però, sembravano svanirgli dalla mente una volta lette.
Continuava a sentire la voce acuta della madre, il suo sfogo, la sua delusione: come un fiume in piena, i suoi pensieri lo portavano a riflettere su quegli ultimi giorni di scuola.
Giorni tutti uguali, tutti normali, giorni da invisibile.
Lui non accettava quello che aveva?
Ma se era grato e felice di quanto possedeva, dalle cose materiali al suo intelletto così sviluppato!
Lui non accettava se stesso?
Che stupidaggine... Si piaceva così com'era: sarcastico, disilluso, con una mente che mai e poi mai si sarebbe lanciata in voli pindarici e sogni ad occhi aperti!
Voltò una pagina del tomo, tentando di assimilare le informazioni in esso contenute, ma il trillo del telefono lo distolse da quell'attività.
Lo fece squillare per tre volte ma, constatato che la madre non aveva alcuna intenzione di rispondere, afferrò il cordless e lo portò all'orecchio.
-Pronto?- cominciò con voce neutra, non ricevendo alcuna risposta.
Attese qualche secondo, udendo soltanto una bassa melodia dall'altra parte del telefono.
-Pronto?- ripeté alzando la voce, appena più irritato -Odio questi scherzi, quindi...-
-”Whether I'm right or whether I'm wrong... Whether I find a place in this world or never belong... I gotta be me, I've gotta be me... What else can I be but what I am!”-
Una... Canzone?
Che domanda stupida, certo che si trattava di una canzone!
Non l'aveva mai sentita prima, eppure... Eppure gli sembrava così familiare...
La mano che teneva il cordless tremò appena, e Noah fu tentato di riagganciare.
Impossibile.
Le parole di quel brano sembravano entrargli in testa con violenza, come quelle del libro non erano riuscite a fare, costringendolo a rimanere con l'orecchio incollato alla cornetta.
-“I want to live, not merely survive... And I won't give up this dream of life that keeps me alive... I gotta be me, I gotta be me... The dream that I see makes me what I am!”-
Deglutì a vuoto, preda di sensazioni mai provate prima o, più semplicemente, dimenticate, accantonate in favore di un cinismo sterile e privo di senso.
Gli angoli degli occhi gli pizzicavano, il cuore gli batteva violentemente nel petto, le mani erano madide di sudore.
Non appena la canzone terminò, Noah riagganciò.
Sarebbe dovuto essere curioso di sapere chi fosse dietro a quel gesto così strano -eppure così giusto, così normale-, ma mise da parte quel pensiero.
Balzò giù dal letto, diretto in cucina.
La sua nuova normalità cominciava con il chiedere scusa a sua madre e con il parlarle a lungo.
Molto, molto a lungo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-Noah, stai... Sorridendo?-
Il ragazzo annuì vivacemente, dando un buffetto sulla spalla dell'amico.
-Certo, Owen! È l'ultimo giorno di scuola, poi ci aspettano solo vacanze e relax!-
Il biondo era stupito dal comportamento del suo amico preferito, ma non contestò.
Era lieto di vederlo così felice, così sorrise a sua volta.
-Hai ragione! Abbuffate in riva al mare, in montagna, sul bordo delle piscine...-
Noah ridacchiò, divertito dall'ingordigia dell'amico: e pensare che fino al giorno prima lo disgustava anche solo sentirlo parlare in continuazione di cibo!
Dopo qualche minuto di chiacchiere, Owen decise che era giunto il momento di un robusto spuntino: Noah declinò il suo invito ad unirsi a lui, ma gli promise che avrebbero pranzato insieme e che gli avrebbe lasciato anche la sua porzione di dolce.
-Oh, Owen?- lo richiamò quando l'altro era a pochi metri da lui.
Questi si voltò, sorridente come al solito.
-Sì?-
Noah prese un bel respiro ed incrociò le braccia.
-Sono gay.-
Il biondo lo fissò basito, ma Noah non gli diede il tempo di dire alcunché.
Lo salutò e, voltatosi verso l'affollato corridoio, si sbottonò la camicia.
Sotto l'indumento comparve una maglietta bianca, su cui risaltava la scritta nera “I've gay-tta be me!”: diversi ragazzi lessero sconvolti quella dichiarazione, cominciando a confabulare con i propri amici, finché...
Beh, come è normale che sia, all'ora di pranzo tutta la scuola sapeva che Noah Dasari era gay.
Il protagonista del nuovo, freschissimo gossip estivo non se ne curava minimamente: non era più invisibile, non era più dedito a ignorare tutto ciò che lo circondava.
Era se stesso, era normale.
Chiunque incrociasse il suo sguardo, si vedeva rivolgere un sorriso sereno e privo di sarcasmo, inusuale per uno come Noah.
Mentre si recava a pranzo, seguito da un Owen confuso e imbarazzato, salutò allegramente due ragazze della sua classe, LeShawna e Izzy.
La prima era a bocca aperta, sconvolta dalla rivelazione e da quanto Noah sembrasse a suo agio nell'esporsi così; la seconda, invece, sorrideva con aria astuta.
LeShawna si voltò verso la rossa.
-E quel sorriso?-
Izzy le strizzò l'occhio.
-Sono felice per Noah, e voglio mostrare a tutti che la panna montata sbianca i denti alla perfezione!-
La ragazzona incrociò le braccia e fece un'espressione furba.
-Eh no dolcezza, a me non la racconti giusta! Quello è un sorriso soddisfatto, insomma...- rifletté -... Sembra quasi che ti aspettassi questo outing!-
Izzy rise sonoramente, si strinse nelle spalle e si allontanò canticchiando.
-“Daring to try, to do it or die, I've gotta be me!
”-











Folle?
Un po', ma rivedere la puntata "Born this way" di Glee porta anche a questo xD
La frase citata dalla madre di Noah è di Paramahansa Yogananda, filosofo indiano realmente esistito.
La canzone ascoltata per telefono da Noah, e cantata anche da Izzy nel finale, è "I've gotta be me" di Sammy Davis Jr.

   
 
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