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Autore: Iurin    12/06/2012    3 recensioni
Leggendo le caratteristiche della fanfiction (quelle scritte qui sotto, in pratica) mi rendo conto che non si capisce assolutamente di cosa potrebbe parlare questa one-shot :P
Ebbene, provvedo subito io: il protagonista della storia è nientepopodimeno che... Beda il Bardo! :D Questa piccola storia mi è venuta in mente all'improvviso, e non riuscivo a smettere di scrivere se non quando non l'avessi conclusa. Beh... Forse l'ho fatta senza star lì a rifletterci troppo, quindi diciamo che... è venuta così, spontaneamente e senza pretese. Ma io spero tanto che vi piaccia lo stesso :3
W Beda! XD
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Il riscatto di un giovane (ma antico) Magonò

 
 
C’era il rumore metallico degli attrezzi sbattuti tra loro, del crepitio del fuoco della fornace, dell’acqua versata sul ferro caldo, sfrigolante, dei lamenti dei lavoratori.
E c’era puzza. Puzza di cenere, di sudore, di aria viziata.
“Che schifo.” Si disse un ragazzo, mentre trasportava casse di attrezzi da una parte allpaltra della stanza semibuia.
Lavorava tutti i giorni, lui, tra i fabbri del suo villaggio, ma di sicuro non era ciò a cui aspirasse di più. a dire il vero neanche lui sapeva quale fosse la dote che lo contraddistingueva dagli altri, dote che, per lo meno, gli avrebbe permesso di smetterla di lavorare in quella puzza.
‘Odore di uomo’, lo chiamavano gli altri; ‘odore virile’.
“Ma tanto tu non sarai mai un vero uomo, dico bene?” Gli diceva sempre qualcuno, prima di scoppiare in una poderosa – e virile? – risata denigratoria.
“E neanche un mago, no?”
Cosa sei, allora?”
E lui finiva sempre con l’arrabbiarsi, in quei momenti.
“State zitti, io sono un mago!”
“Ah, sì? E dov’è la tua bacchetta?”
E a quel punto lui non parlava più. Subiva soltanto.
Non era colpa sua, però, se era basso e gracile, se era così sottile che sembrava che un alito di vento avrebbe potuto farlo volare via. Beh, d’altronde gli bastava anche solo una pacca sulla spalla per farlo piegare in due.
Naturale, perciò, che fare il fabbro, per lui, fosse così faticoso. Ma che avrebbe potuto fare, altrimenti? Il contadino? Peggio si sentiva. Avrebbe nettamente preferito un lavoro più semplice e remunerativo allo stesso tempo e che non lo facesse affaticare così. lui non era un uomo di fatica. Non lo definivano neanche un uomo, a quanto pareva, quindi no: non era un uomo di fatica; affatto.
Lui era solo Beda, il gracile e strano ragazzo del villaggio.
“Dov’è quel… Beda! Dov’è il mio martello?” Quasi sputò quell’uomo, accanto al fuoco della fornace.
“Arrivo, eccomi!” Rispose il diretto interessato, dall’altra parte della stanza, e si affrettò subito a prendere in martello di Aodhus per poi, correndo, dirigersi verso di lui.
Peccato che qualcuno avesse fatto cadere dell’acqua per terra, e, non vedendola, Beda finì con lo scivolare. Come se non bastasse sbatté sulla cassa che aveva posato poco prima lui stesso e finì per fare una piroetta; diede a quel punto un’involontaria botta con il braccio a Faolon che gli fece sfuggire il martello di mano, il quale schizzò via, andando a colpire proprio Aodhus, dritto contro il suo stomaco.
Quel giorno Beda venne cacciato a pedate nel didietro.
 
“Sono stufo!” Esclamò Beda, spalancando la porta di casa e trovando sua madre intenta a sistemare la legna del fuoco con piccoli movimenti della sua bacchetta.
Lei si voltò verso di lui, rimettendosi poi in piedi, e trovandolo con il volto stanco.
“Cosa c’è che non va?”
“Sono appena stato cacciato.” Spiegò lui con una specie di lamento, buttandosi sul proprio giaciglio, sconsolato.
“Di nuovo?”
Si udì un altro lamento.
“Mi sono stancato di lavorare per poi essere mandato via a spintoni.” Disse poi Beda, mettendosi seduto e guardando sua madre Eira “Io non sono come gli altri, come Ivor, o Gwyn, o Murdos. Io non sopporto fare questo genere di cose!”
“Oh, Beda.” Fece Eira, andandosi a sedere accanto al figlio “Non hai alternative… E’ questo ciò che hai a disposizione, nulla di più…”
Beda fece una smorfia. “Voglio fare qualcosa di più… semplice.”
Eira non rispose, e Beda si fece pensieroso.
 
“Ho appena scoperto quale sarà il mio futuro, madre.”
Eira posò il piatto di vivande su loro piccolo tavolo.
“Ovvero?”
“Farò il bardo.”
Eira rimase in silenzio, per un momento, limitandosi a fissare il figlio con sguardo un po’ perso. Poi scoppiò semplicemente a ridere, e Beda pensò bene di rabbuiarsi e di guardare la madre con un’espressione non molto soddisfatta.
“Oh, scusami, Beda.” Disse poi lei, calmandosi un po’ “Ma non puoi… Non puoi fare il bardo!”
“E perché no? Sentiamo.” Ribatté lui, ostinatamente, incrociando le braccia al petto.
Eira si sedette accanto a lui. “Il bardo non si fa. Ci si nasce, Beda. È… un’ispirazione. Un dono che ti viene dall’alto.” Sorrise “Non puoi fare il bardo.”
“Oh, sì che posso. Non ci vuole niente…”
“Beda, non sai quello che dici.”
Beda si alzò, prendendo a vagare per la stanza, parlando con un tono così infervorato che Eira per un istante pensò che il figlio stesse delirando.
“Cosa dovrei fare, per diventare un bardo?” Cominciò “Inventarmi quattro canzonette per… ammaliare l’ascoltatore di turno! E in cambio riceverei praticamente vitto e alloggio senza spendere un soldo. Andiamo, madre… Non è necessaria neanche la magia!”
Beda guardò sua madre intensamente, a quel punto, aspettando una risposta che per il momento non arrivò. Parlando della magia, in effetti, doveva averla un po’ spiazzata, e forse stava veramente riflettendo su quanto aveva appena detto.
Il giovane Beda, infatti, era un Magonò. E, per giunto, era l’unico del suo villaggio, ad esserlo.
Per fortuna, perlomeno, il resto dei membri di quella piccola comunità magica non praticava nessuna sorte di atroce e… definitivo tipo di discriminazione; ma ovviamente Beda veniva comunque visto come uno stupido, un inferiore. E adesso tutto ciò aveva smesso di andargli bene.
Alla fine, in ogni caso, la cocciutaggine di Beda aveva prevalso sul buon senso di Eira, e di lì a qualche giorno il ragazzo si preparò a partire, desideroso di iniziare a viaggiare e di cominciare veramente a ‘fare’ il bardo.
Eira era ancora molto scettica, e continuò ad esserlo per molto tempo, ma più che consigliare a suo figlio di desistere dai suoi intenti non poteva fare; se lui voleva partire, lei avrebbe dovuto accettarlo di buon grado. Anche se dentro di sé aveva paura lo stesso; paura che quella non fosse la strada adatta a Beda… Presto lui avrebbe potuto fallire, rendendosi conto di non poter seguire le proprie ambizioni, e quando sarebbe tornato a casa, di nuovo sconfitto dall’ennesimo rifiuto, lei avrebbe potuto dargli ben poco conforto, oltre un misero abbraccio.
Il mondo magico non era un posto amichevole e facile da affrontare, per un Magonò.
“Allora io… vado.” Disse lui, una mattina, con il suo mantello sulle spalle e la sua sacca da viaggio a tracolla.
Eira prese il viso del figlio tra le mani.
“Ne sei proprio sicuro?”
“Voglio almeno provarci, madre.” Rispose Beda con un lieve cenno del capo.
Eira sospirò. A prescindere dal motivo della sua partenza, era tutt’altro che facile separarsi dal figlio che aveva avuto accanto per quasi tutta la propria esistenza.
“Che Belenus ti protegga, Beda.”
“Anche a te, madre.” Rispose lui, sorridendo appena “Anche se dovresti scomodare Oghma, in questo caso.”
Eira fece un sorriso. “Tempo fa avrei pregato Creidhne, allora.”
“Non lo facevi? Mi volevi male, per caso?”
L’espressione di Eira si rilassò un poco, e Beda le fece una piccola carezza sulla guancia.
Dopo un ultimo sguardo, lui partì davvero.
 
Il viaggio di Beda iniziò nel migliore dei modi: il ragazzo viaggiava fiducioso delle proprie capacità, e durante il cammino che l’avrebbe portato di paese in paese si dilettava nell’inventare rime ad alta voce, cercando di comporre qualcosa che suonasse allettante al suo stesso orecchio. Ogni tanto riposava le gambe sedendosi sotto un albero, o accanto alla riva di un ruscello, ma mai smetteva di pensare ai modi di raccontare tutto ciò che gli passasse per la testa.
I bardi erano dei cantori e poeti di imprese epiche, erano i conservatori delle tradizioni del popolo. Beda non era ovviamente stato istruito per un simile compito, ma sin da quando era piccolo aveva avuto tutto il tempo per imparare le tradizioni e gli usi caratteristici, dato che non doveva allenarsi con la propria bacchetta magica. Tutto quel tempo adesso non gli sembrava più di averlo passato inutilmente, no? Beda doveva solo trovare il modo di raccontare quello che gli passava per la testa.
Oppure poteva sempre provare a declamare poesie da lui stesso inventate.
“Cosa che” Pensava camminando “mi riesce benissimo.”
Giunta la sera, però, più che l’ispirazione a comporre, fu la fame che iniziò a farsi sentire.
E qui si poteva ben capire quali fossero, per Beda, alcuni dei tanti vantaggi dell’essere un bardo: poteva fermarsi a qualsiasi locanda avesse desiderato, e il locandiere, secondo proprio quei costumi che Beda conosceva tanto bene, avrebbe praticamente dovuto accoglierlo, servirgli un buon pasto, e preparargli una camera per la notte; il tutto senza neanche pretendere che Beda sborsasse una singola moneta, in quanto il giovane bardo avrebbe ripagato l’ospitalità semplicemente raccontando qualcuna delle gesta di sua conoscenza.
Era stata un’idea geniale, doveva proprio ammetterlo.
E fu così, con un animo pieno di fiducia, che Beda si fermò proprio ad una locanda. Vi entrò tranquillamente, ed andò a sedersi ad un tavolo vuoto.
Dopo non molto tempo arrivò anche il locandiere. All’inizio guardò Beda da capo a piedi, a dire il vero.
“Io sono Parthalan, e questa è la mia locanda. Tu saresti…?” Fece lui.
Anche Beda ebbe modo di osservare meglio l’uomo. O forse avrebbe dovuto chiamarlo ‘il gigante’.
“un bardo.” Rispose Beda candidamente.
Il locandiere inarcò un sopracciglio, portandosi una mano ad un fianco.
“E hai intenzione di pagare, spero.”
Beda imitò l’espressione del suo interlocutore.
“A dire il vero, come ti ho già detto, sono un bardo.”
Neanche il modo in cui Aodhus l’aveva cacciato fuori dalla fornace era stato tanto irruento, a confronto con la ‘grazia’ che Parthalan utilizzò per buttarlo fuori dalla sua locanda.
Beda si alzò immediatamente da terra, facendo leva sulle proprie ginocchia.
“Ehi, Parthalan! Ehi!” Gridò Beda, in direzione dell’ingresso del piccolo edificio “Non lo sai che cacciare un bardo porta terribili sventure?”
Parthalan uscì improvvisamente dalla locanda, presentandosi di fronte a lui.
“Vuoi vedere le sventure derivanti invece dalla mia ira, bardo?”
Beda non poté che darsela a gambe, e quando ebbe messo una distanza sufficiente elevata tra lui e Parthalan – e per ‘distanza sufficientemente elevata’ intendeva il luogo in cui si era ritrovato quando aveva cominciato a mancargli terribilmente il fiato – si fermò. Respirò a pieni polmoni, cercando di riprendersi un momento, mentre con una mano, nel frattempo, si massaggiava appena il didietro dolorante.
Era ancora fermo lì, col busto piegato in avanti nel tentativo di rimettersi in sesto, che udì tuonare in cielo.
“O il dio Oghma non è contento di come me la sono cavata, o sta per piovere a dirotto.” Si disse.
Non fece neanche in tempo a rimettersi a schiena eretta che già aveva cominciato a piovere furiosamente.
Beda riprese a camminare sotto la pioggia, velocemente, alla ricerca di un riparo. E ben presto giunse in prossimità di un’altra locanda.
Beda implorò gli dei che stavolta gliela mandassero buona.
Si fermò di fronte alla porta, a quel punto, dando un’occhiata all’edificio. Se l’interno avesse rispecchiato l’esterno, allora avrebbe potuto dire che quella locanda faceva veramente… schifo. Ma non aveva altre alternative, Beda, e già era fin troppo bagnato, così entrò, ritentando la sorte.
A dire il vero l’interno della locanda fu meglio di come se l’era immaginato, ma la cosa non lo rassicurò più di tanto.
“Accontentati, Beda.” Pensò, prima di dirigersi verso il locandiere, appena individuato tre i quattro sputati avventori che popolavano quel locale.
Si avvicinò al gruppo con passo lento, mentre dal suo mantello colavano copiose gocce di pioggia che lasciavano un’umida scia lungo il suo passaggio. Non doveva avere un bell’aspetto, con tutti i lunghi capelli scuri attaccato al viso.
“Buonasera.” Esordì Beda, annunciando così la propria presenza “Sono Beda, un bardo. Poi accogliermi, oste?”
“Un bardo?” Rispose lui “Non hai l’aspetto di un bardo.”
Beda aveva già aperto la bocca per rispondere, ma una donna, appena sopraggiunta, lo precedette:
“Forse perché non ha l’aspetto di nulla, se non di un fantasma.
L’oste rise, e Beda fece un sorriso tirato.
“Hai appena conosciuto mia moglie Laoise, bardo.” Riprese il locandiere “Mentre io sono Ultan. Siediti e rifocillati, e poi ci declamerai una delle tue poesie.”
Il piccolo gruppo di uomini intorno a loro approvò con entusiasmo, e Beda gonfiò il petto, orgoglioso.
“Con molto piacere, Ultan.”
Beda mangiò, seduto ad un traballante tavolo di legno, fino a quando il suo stomaco  non cominciò a chiedergli pietà. E poi bevve. Oh, se bevve! Inghiottì un numero indefinito di boccali di birra, tanto che si sentiva la testa leggera, le guance arrossate e la risata perennemente sulle labbra.
“E ora tutti ci meritiamo la nostra poesia!” Esclamò Ultan, dando una vigorosa pacca sulle spalle di Beda.
Fortuna che il ragazzo si trovasse seduto, altrimenti, per quel gesto d’incoraggiamento sarebbe anche potuto finire a terra, tanto si sentiva le gambe molli.
Beda si schiarì la gola, allora, pronto a parlare al suo piccolo pubblico.
“Dunque!” Beda sentiva la propria voce un po’ strana, ma non ci fece neanche troppo caso “Dedicherò questa mia poesia a voi, all’oste e alla sua bella moglie!” Esclamò, e gli altri uomini approvarono sonoramente.
Beda si fece serio, a quel punto, guardando per un momento verso l’alto, in cerca della dovuta concentrazione. Prima che scoppiasse improvvisamente a ridere senza motivo, certo. Ma poi tornò serio di nuovo.
“Intitolerò quest’opera ‘Poesia per l’osteria’! Allora… Cominciamo.” Beda provò a schiarirsi nuovamente la gola, con un risolino, e poi iniziò:
 
E così la sorte mia
si è fermata in questa osteria.
Non volevo neanche entrarci, all’inizio,
ma il tempo non era tanto propizio,
e così sono stato costretto
a passare per l’uscio stretto.
Dell’osteria l’interno
non era certamente molto meglio dell’esterno,
ma la fame, la sete e la stanchezza
reclamavano almeno un luogo caldo
che avesse eliminato la spossatezza
di un umile e semplice bardo.
Spero che la mia camera sia pronta in fretta,
perché un gran sonno mi attanaglia il cuore.
Sperando comunque di non trovarci nessun roditore.
…Ehm… Perché quelle facce, suvvia?
Non è così male quest’osteria.
Certo, se ci fosse meno fetore
sarebbe anche migliore!
Ma io mi accontento,
povero bardo di –  uhm… poco talento…?
 
Beda non capì subito il perché, ma quando finì nessuno si complimentò o gioì con lui. In verità non capiva quasi niente, in quel momento.
“Ti stai prendendo gioco di me, bardo?” Disse allora Ultan rompendo il silenzio venutosi a creare.
“Uh? Cosa?” Fu giusto in grado di rispondere Beda, confuso.
“Mi hai sentito bene.”
“Io… No, non… Non vi è piaciuta la poesia?”
E senza volerlo Beda scoppiò di nuovo a ridere, andandosi poi subito a tappare la bocca con una mano.
Per la seconda volta, quella sera, venne buttato in strada da un uomo più grosso di lui, intimandogli di non farsi più vedere, altrimenti la prossima volta non gli sarebbe stato riservato ‘un trattamento tanto clemente’. Testuali parole.
E così Beda si ritrovò di nuovo in strada, solo che stavolta, a causa della pioggia che continuava pure a cadere, era finito con la faccia dritta nel fango.
“Fare il bardo è uno schifo.” Si disse Beda, rimettendosi in piedi, barcollando, tanto che cadde altre due volte, prima di ritrovare l’equilibrio “E’ stata un stupidaggine voler intraprendere questo viaggio. Una gran stupidaggine! Dovessi continuare così morirei di fame, dato che alle locande mi odiano. Certo, sempre che non muoia prima di freddo.”
Doveva trovare alla svelta un riparo, e un albero, purtroppo, non sarebbe bastato a ripararlo e a scaldarlo a sufficienza. Fortunatamente – almeno una misera volta, nella serata, la sorte gli fu favorevole – Beda non dovette fare molta strada. Quasi per niente, pensandoci bene: dietro la locanda dalla quale era appena stato… allontanato, infatti, vi era una stalla, e Beda vi si avvicinò. La porta era chiusa, ma non sprangata, così il ragazzo poté entrarvi senza problemi.
Quelli sarebbero sorti qualora fosse sbucato dal nulla Ultan, ma sul momento neanche ci pensò. Pensò solo al fatto che quella stalla era un luogo asciutto, che i pochissimi animali che c’erano lì già stavano dormendo, e che l’unica cosa face voleva fare, a quel punto, era imitarli.
Fu proprio per questo che Beda si lasciò praticamente andare a peso morto su un gran cumulo di paglia, e, dopo essersi coperto meglio che poteva col proprio mantello, si lasciò rapire dalla melodia del canto di Lug.
 
Beda si svegliò quasi di soprassalto; poi però si rese conto di quanto la testa gli stesse scoppiando e pensò che fosse più opportuno muoversi con la dovuta calma. Solo che, quando aprì gli occhi, si rese anche conto di non essersi svegliato da solo, ma perché qualcuno lo stava scrollando per una spalla. O almeno ci provava.
Era un bambino.
Beda lo guardò stranito, e si scansò un po’ da lui, quasi strisciando sul terreno. Lo stava fissando in modo veramente perplesso.
“E tu chi saresti?” Chiese allora Beda.
“Tu chi sei?” Fece subito lui, quasi nello stesso istante in cui Beda formulò la sua, di domanda.
Beda sollevò le sopracciglia. “Io sono Beda. E tu, invece?”
“E perché sei nella stalla?”
“Una domanda per uno sarebbe più corretto, non trovi?”
Il bambino lo guardò inclinando la testa da un lato, rimanendo accucciato sulle proprie ginocchia – posizione che aveva assunto si da quando Beda si era svegliato.
“Io sono Tam.” Rispose poi “E ora tocca a me: perché sei nella stalla? Ti sei nascosto?”
“Ehi, queste sono già due domande.” Beda si mise a sedere più compostamente, appoggiando la schiena alla parete “Ma ti risponderò comunque: mi sono messo qui perchè avevo bisogno di un riparo dalla pioggia.”
“Ah! Allora tu sei quello che ieri ha offeso Ultan!”
Beda si massaggiò le tempie. Non si ricordava molto bene, a dire il vero, cosa fosse successo la sera prima nei minimi particolari.
“Io… Credo di sì.”
“Io sono il figlio di Ultan.” Continuò Tam “E tu sei nella nostra stalla.”
E a quel punto calò il silenzio, mentre Beda guardò il suo interlocutore con tanto d’occhi.
Perfetto. Era appena stato scoperto dal figlio dell’uomo che aveva offeso.
Beh, in effetti, però, meglio il figlio che l’uomo stesso.
“Non andrai a chiamare tuo padre… Spero.”
“Beh, dipende.” Rispose Tam, con un sorrisetto scaltro, e Beda si inquietò appena.
“Dipende da… cosa?”
“Fammi vedere una magia.” Spiegò Tam sedendosi finalmente a terra ance lui “Io inizierò a studiare fra un anno, quindi… Voglio vedere una bella magia.”
Perfetto.
“Io… Io non posso fare nessuna magia.”
“Perché?”
“Non ho una bacchetta.”
“Perché?”
“Tu chiedi troppe cose ragaz…”
“Vuoi che chiami mio padre?”
“No!”
“E allora?”
Beda sospirò. “Non posso fare magie perché sono un Magonò.”
Tam si azzittì, pensieroso. Per solo un momento, però.
“E perché?”
Beda alzò gli occhi al cielo. “Che domanda è? Ci sono nato.”
“Ah. Quindi non sai niente, di magia?”
“Non ho mica detto questo. Io so tutto, di magia. Solo… A livello teorico, diciamo.”
Tam fece una leggera pausa, prima di continuare con la sua parlantina. “Però sei un bardo, no?”
Beda sospirò. “Sì, beh. Più o meno, a quanto pare…”
“Allora raccontami una storia.” Beda fece per interrompere Tam, ma lui continuò: “Ma non quelle storie che si raccontano sempre, sulle guerra o sugli dei.” Tam fece un gesto in aria con la mano, come se stesse scacciando una mosca “Voglio una storia per me.”
Beda assunse un’espressione piuttosto perplessa. “Una storia… per te?”
“Cos’è, non ci senti?”
“Io ci sento benissimo, grazie. Solo… Che vuol dire una storia per te?”
Tam fece spallucce. “Una storia diversa che mi faccia dimenticare che tu ti trovi nella stalla di mio padre, per esempio.” E fece una piccola risata, divertito.
Beda, invece, era sempre più perplesso. Che diamine voleva, quel Tam? Una storia, certo, ma… Non riusciva bene a capire. Non voleva storie sugli dei, o sulle guerra.
Le poesie, si disse Beda, sarebbe stato meglio evitarle.
Doveva necessariamente inventarsi qualcosa, era ovvio.
“Allora?” Lo incalzò Tam.
Beda guardò ancora per un momento il viso del bambino. Sembrava… speranzoso. Lui voleva quella storia; e non solo come prezzo da pagare per smettere di tenere in pugno il povero Beda. Voleva una storia tutta sua. sarebbe stato quasi un vero e proprio privilegio, per lui, a pensarci.
“Vuoi sapere…” Disse allora Beda, raccogliendo le idee più in fretta che poté “Vuoi sapere che era Baba Raba?”
Tam fece un cenno di assenso con la testa, e Beda, allora, cominciò a raccontare.
 
Quando Beda uscì da quella stalla, si sentì… rinvigorito. Sì, gli facevano male la schiena e le gambe per aver dormito in un posto non troppo comodo, e la testa per quanto successo la sera prima, ma… stava bene. Molto bene. Magnificamente. Il tutto perché aveva appena scoperto una cosa che lo stava facendo sentire orgoglioso di se stesso, per una volta.
Tam, difatti, era rimasto a dir poco estasiato dopo la fine del racconto, e aveva praticamente cominciato a chiedere a Beda storie su storie.
Beda si era sentito sempre più confuso, all’inizio, ma poi, quando – dopo esser riuscito a placare l’esuberanza di Tam – aveva capito cosa fosse successo in realtà, non poté non provare quasi l’impulso di mettersi a ridere convulsamente: era appena diventato davvero un bardo. Con delle storie per i più giovani, stavolta, da raccontare. Sì: era, a quanto pareva, diventato un vero e proprio bardo. Solo… In un modo un po’ particolare.
Beda cominciò seriamente a viaggiare, stavolta, passando di villaggio in villaggio, e ovunque andasse venne sempre elogiato per le sue capacità, le sue doti, il suo dono. Nessuno lo derideva o si infuriava più con lui; se si fermava in una locanda, faceva chiamare tutta la famiglia dell’oste, soprattutto i bambini, e quando Beda finiva di raccontare la propria storia, il luccichio di ammirazione negli occhi di quei giovani ascoltatori bastava al padrone per sentirsi soddisfatto.
Il nome di Beda divenne conosciuto più che ai più, e la sua fame si espanse per tutto il Paese. Giunse persino alle orecchie di un re, che lo mandò a chiamare perché risolvesse il suo problema: sua figlia, infatti, non riusciva a divertirsi più con nulla, rifiutava ogni buffone e si chiudeva sempre più in se stessa. Quando il sovrano vide che dopo un racconto di Beda la piccola principessa chiedeva, ridendo estasiata, altre storie, si riempì di gioia, e Beda ricevette da lui i più grandi onori possibili ad un bardo.
Alla fine Beda tornò anche al suo villaggio, dopo aver concluso il suo primo, lungo viaggio. Riabbracciò sua madre, orgogliosa, e, a dire il vero, si diede un po’ di arie mentre guardava camminando per le strade, gli altri  uomini, così grossi e virili, che ora non potevano far altro che rimanere in silenzio, davanti a lui.
“Me lo sarò meritato, no?” Pensava Beda.
Aveva riscattato la sua condizione, Beda, e ora non si sentiva più inferiore a tutto il resto del mondo. Anche lui, nonostante la sua minuta corporatura, si sentiva di poter guardare gli altri con la stessa fierezza negli occhi.
Ora non era più Beda il Magonò, infatti.
Era Beda il Bardo. 

 

Fine

 
 



Note-note-note!!
 
Salve! :D
Allora, passo subito a spiegare un po' di cosette, qualora vi interessassero XD

Ho scelto, come ambientazione per questa fanfiction, il mondo dei Celti. Ho infatti trovato (grazie a Wikipedia) che i bardi, intesi come poeti e ‘racconta storie’, li si trovava principalmente nella società gallica, al tempo di Giulio Cesare, e proprio Cesare classificava con ‘Galli’ numerose popolazioni, tra cui anche i Celti. Ah, la cosa della locanda (vitto e alloggio in cambio di storie) è storicamente vera, così come la superstizione che rifiutare un bardo in casa propria (o nella propria locanda) portasse grandi sventure.
 
Proprio per il fatto che ho ambientato il tutto al tempo dei Celti, i nomi utilizzati all’interno della storia (a parte quello di Beda, si intende) sono nomi celtici (o almeno li ho trovati classificati come tali), così come quelli degli dei. Infatti metto qui sotto una piccola, piccola lista degli dei che avete visto comparire durante la narrazione:
-        Belenus: Dio Padre della luce, del potere e della bellezza. Mi sembrava un dio abbastanza importante da poterlo utilizzare in una simile frase.
-        Oghma: Dio dell’eloquenza e del linguaggio, patrono dei bardi.
-        Creidhne: Dio dei fabbri.
-        Lug: praticamente il corrispettivo celtico di Morfeo, dio del sonno.

Ah, la poesia assolutamente idiota è opera della mia mente malata XD
Per quanto invece riguarda Beda... Non ho idea se lui fosse o meno un Magonò... Quindi ho fatto tutto di testa mia, sperando che la cosa non risultasse forzata col resto della storia :)

Beh, che aggiungere...
Alla prossima! ;)
   
 
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