Nome:
So
many directions – the one.
Autore: braver
than nana
Rating: giallo
Conteggio parole: 1787
Riassunto: Da lontano, dentro la mini nera lavata a lucido,
Louis vide per
la prima volta il Directions. Sul volantino che Stan gli aveva portato
a
lavoro, e che poi aveva messo nel portafoglio senza neanche rendersene
conto,
c’era scritto sotto la grande scritta rovinata con il nome
del locale un
semplicissimo ‘all that you’re searching
for’ che lo aveva fatto ridere e
riflettere.
Note:
So
many directions – the one.
In
città, il Directions,
volenti o nolenti, lo
conoscevano tutti. Le vecchiette di Kenginston ne parlavano storcendo
le labbra
raggrinzite quando si incontravano per strada, gli uomini
d’affari lo avevano
nominato davanti al caffè della colazione nei bar, le
ragazzine si passavano le
informazioni quasi sempre del tutto sbagliate arrossendo e sussurrando.
Da
quando un potente uomo d’affari, il cui nome ancora era
tenuto nascosto, aveva
aperto quel locale nel centro di Soho tutti, nessun cittadino di Londra
e
dintorni era stato escluso, ne aveva sentito parlare.
Si raccontava
di questo
grande vecchio magazzino all’apparenza malandato e decadente,
con una vecchia
insegna illuminata da vecchie lampadine intermittenti, che al suo
interno
racchiudeva il paradiso.
Louis,
ovviamente, ne aveva
sentito parlare così tante volte, in versione ogni volta
così diversa, che ogni
tanto si domandava se un posto del genere esistesse sul serio. Josh,
qualche
settimana prima, gli aveva accennato qualcosa tra le risate
–come se in un
locale per gay ci fosse qualcosa di estremamente divertente–
ma non era
riuscito a dargli molti particolari. Poi Stan lo aveva raggiunto a
lavoro, un
paio di giorni prima, portando con se un biglietto tutto stropicciato
che
diceva di aver trovato tra i tergicristalli della sua macchina tutta
rotta.
Avrebbe voluto
liquidarlo
con il solito non rompere, non vedi che
sto lavorando!, nonostante quel giorno nella boutique
c’era meno movimento
del solito, ma la curiosità l’aveva assalito e,
dopo aver abbandonato il
maglione color corallo di cachemire della nuova collezione su uno
scaffale
qualsiasi, lo aveva trascinato vicino alla cassa facendo finta di
lavorare su
le prime carte a disposizione, intimandogli di fare in fretta.
«È
l’invito alla serata di
inaugurazione» aveva sparato subito, con la voce emozionata e
imbarazzata di
una quattordicenne davanti al suo primo nudo integrale, e lui aveva
alzato lo
sguardo terribilmente azzurro cupo, per colpa del cattivo tempo di quel
giorno,
e aveva alzato elegantemente un sopracciglio.
«Stan,»
gli aveva allora
detto con calma «lo sai, vero, che quel locale è
aperto da almeno un mese?»
Il suo amico
era diventato
di un colore simile a quello del maglione che Louis aveva in mano fino
a pochi
minuti, aveva abbassato lo sguardo sul biglietto e aveva letto la data
vecchia
di almeno tre settimane, balbettando.
Poi era
arrivata la
versione del suo capo, che diceva di aver visto da lontano questo
edificio
malandato, con una fila lunga almeno tre metri dalla porta, e di aver
visto –giuro sul pacco di Johnny Depp
aveva
detto, mettendo una mano sul cuore- uscire da una porta di servizio, il
ragazzo
più bello che i suoi occhi avessero mai visto con solo uno
slip di lattex e
fumarsi una sigaretta come se niente fosse. E di aver intravisto Ben
Barnes e
Colin Firth pomiciare tra la folla.
Alla fine si
era anche
messa sua madre, e a quel punto le cose avevano iniziato a farsi
imbarazzanti,
perché per quanto la ritenesse una mamma giovane e
comprensiva, con la quale si
confidava e alla quale aveva confessato la sua omosessualità
a soli sedici
anni, sentirla parlare di come le sue amiche raccontavano dei bei fusti che avevano intravisto nel
locale, con tanto di ammiccamenti vari, la voglia di sotterrarsi
diventava
sempre più grande.
Aveva deciso di
fare un
salto quando a fine mese, con in tasca i soldi del lavoro al negozio
più quelli
che puntualmente gli mandava suo padre per riempire il vuoto della sua
continua
assenza che ormai non pesava più, si era reso conto di non
sopportarle più
tutte quelle voci, quei sussurri, quelle mezze notizie.
Nessuno che
conosceva era
veramente riuscito a entrarci, nessuno aveva delle vere informazioni,
però
tutti continuavano a venire da lui a raccontare qualsiasi pettegolezzo
riuscissero a rimediare. Come se l’essere gay implicasse
voler sapere quello
che succedeva in quel posto!
Si era vestito
come un
qualsiasi venerdì sera, aveva fatto la barba e sistemato i
capelli. Poi aveva
chiamato Stan e Ed, nonostante quest’ultimo ancora riusciva a
digerirlo poco, e
gli aveva detto di farsi trovare per le undici davanti alla fermata di
Piccadilly. Sapeva che sarebbero arrivati con almeno mezz’ora
di ritardo quindi
aveva preso la macchina di sua madre e, dopo averla salutata con un
bacio,
aveva deciso di iniziare a fare un giro per almeno rendersi conto a
cosa andava
incontro.
Soho non gli
piaceva più di
tanto. Più che altro era la reputazione di Soho che non gli
faceva voglia di
trascorrere le sue serate da quelle parti, anche perché i
night club non erano
esattamente i luoghi in cui trascorrere le sue serate ideali. A lui
bastava un
buon film, i suoi amici di sempre, un trancio di pizza. Nick si
lamentava
sempre della sua poca voglia di iniziativa, parlando con la sua voce
lasciva e
irritante, di come stesse sprecando l’età migliore
della vita di un giovane
gay, e lui lo lasciava ciarlare perché se non fosse stato la
spalla su cui
aveva pianto tutte le sue insicurezze nel periodo della scuola, adesso
lo
avrebbe decisamente mandato a quel paese.
Da lontano,
dentro la mini
nera lavata a lucido, Louis vide per la prima volta il Directions. Sul
volantino che Stan gli aveva portato a lavoro, e che poi aveva messo
nel
portafoglio senza neanche rendersene conto, c’era scritto
sotto la grande
scritta rovinata con il nome del locale un semplicissimo ‘all
that you’re searching
for’ che lo aveva fatto ridere e riflettere. Chiunque fosse
il proprietario di
quel posto era di sicuro qualcuno di molto intelligente, e a questo
punto di
sicuro molto più ricco di quanto lo era prima di aprire il
locale.
La fila, come
gli aveva
detto Aiden, era lunga ma meno di quanto si sarebbe aspettato per un
venerdì
sera. Ad occhio e crocce in un quarto d’ora sarebbero anche
riusciti ad entrare
se nel tempo che sarebbe passato dal tornare a Piccadilly, prendere
quei due
ritardatari cronici e tornare la situazione fosse rimasta simile.
Poi
però era successo. La
porta di servizio si era aperta, nel viottolo dove la sua macchina
aveva
intenzione di fare manovra, ed era apparso un angelo. A pensarci era
impossibile fosse una creatura celeste visto che usciva dal posto di
perdizione
più conosciuto di Londra, ma se le maratone di Supernatural
e di Britan’s Next
Top Model gli avevano insegnato qualcosa, o era un angelo o un modello.
E la
luce gialla che veniva dalle sue spalle però, probabilmente
dal camerino
sudicio che ospitava i ballerini di
quel posto, lo aveva leggermente confuso. Il fisico modellato, i ricci
ribelli,
lo sguardo magnetico.
Poi sorrise, e
fu come
sentirsi morire perché quel ragazzo aveva il sorriso
più bello del mondo e le
fossette più dolci, e il cellulare squillò nella
tasca dei pantaloni facendogli
ingranare la marcia e scappare via.
Si
passò una mano tra i
capelli al primo semaforo rosso, prendendo il telefono per dare
un’occhiata
alla chiamata persa e appoggiò la schiena al sedile
spugnoso. Era una specie di
trucco, un tranello, ne era sicuro. Una persona con quello
sguardo non poteva lavorare in un posto del genere.
Guidò
senza rendersene
conto, salutò i due ragazzi che salirono sulla sua macchina
e tornò in quel
posto senza praticamente dire una parola –Stan parlava
abbastanza anche per
lui– e una volta che il locale apparve di nuovo
all’orizzonte ebbe improvvisamente
paura. Doveva veramente entrare lì dentro e magari rivedere
quel ragazzo per
rovinare l’idilliaca visione che aveva avuto, sostituendola
con uno
spogliarello di quattro soldi? Sporcandola con la musica alta che
mentre
camminava come un automa sentiva arrivare alle orecchie, annegandola
nell’alcol
che gli avrebbero servito ad un sudicio bar.
Aveva visto la
fila
scorrere e una volta arrivato a due passi dalla porta, con in mano la
patente e
nella testa il vuoto si era ricordato di un discorso che aveva sentito
fare da
Matt, il ragazzo del suo capo, un giorno di un mese fa quando ancora
nessuno
gli aveva raccontato di quel posto.
«E
così la maggiore
esibizione sono questi quattro ragazzi, quattro bellissimi ragazzi che
il boss
ha trovato non si sa bene dove. Sono tutti praticamente dei ragazzini e
mi
hanno raccontato che tre di loro, un biondino con l’aspetto
così ingenuo che
solo l’idea di sporcare tutta quell’innocenza te lo
fa venire duro, un tipico
bad-boy sempre strafatto ma con un corpo da paura e un altro tipo con
la faccia
da bravo ragazzo, tutto ricciolino, hanno una specie di tresca e se
glielo
chiedi fanno tutto davanti a te.»
Allora Aiden
aveva riso,
aveva appeso un paio di pantaloni verde acqua e si era girato
lasciandogli un
bacio sulla fronte. «E il quarto?» aveva detto.
«Il
quarto è Harry.»
Così
quando si era
ritrovato a pochi metri da un palco sporco, con una bruttissima canzone
a fare
da sottofondo e le urla scalmanate di ragazzine e ragazzi in calore,
aveva
capito. Il posto era quello. L’attrazione principale stava
iniziando. Il
biondo, il bad boy, il ragazzo per bene erano già sul palco
e quando Harry apparve tutto aveva
senso.
Gli occhi
chiusi e
l’espressione seria quasi non lo facevano assomigliare al
ragazzo in bermuda
che aveva visto neanche mezz’ora prima eppure era lui. Lo
stesso corpo, quella
stella tatuata sul braccio che neanche si era accorto di aver
memorizzato, i
ricci ribelli che i suoi compagni accarezzavano mentre si faceva
avanti,
ancheggiando, perfettamente stabile su tacchi alti, dentro calze a rete
che gli
ricordavano vagamente un video di Lady Gaga.
Voleva
disperatamente che
aprisse gli occhi e lo guardasse. Lo voleva così tanto che
avrebbe tirato un
cazzotto a chiunque in quella sala soffocante aveva posato lo sguardo
su di
lui, voleva salire sul palco, coprirlo con il primo pezzo di stoffa
disponibile
e portarselo via, lontano. Avrebbe volentieri mandato a quel paese Ed
che non
faceva altro che emettere fischi di apprezzamento, o Stan che
continuava a
tirargli gomitate nelle costole per attirare la sua attenzione.
«Harry»
ripeté sottovoce e
lui aprì gli occhi ma non vide niente. Sorrise, ma mentre si
muoveva, mentre
ballava, mentre tutti imploravano un suo cenno e gli donavano i loro
averi, lui
non era lì.
Mandò
giù il drink che
qualcuno gli aveva messo tra le mani e realizzò che non
c’erano tante
direzioni, non c’erano mai state.
La direzione
era una sola,
quella che lo aveva portato in quel posto, e tutti in quel mese
continuavano a
ripeterglielo, continuavano a ricordarglielo, a implorarlo di alzare il
culo e
andare in quel locale perché era lì che si
concludeva una ricerca che non aveva
mai neanche immaginato di star iniziando. La direzione era una e
portava a lui.
Gli occhi verdi si posarono
un attimo su lui, le fossette tornarono.