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Autore: 33Valu33    13/06/2012    0 recensioni
"Avrebbe voluto sotterrarsi, o peggio, uccidersi, credeva di aver dimenticato, credeva che quell'estate non le sarebbe più tornata in mente, credeva di aver già pagato a caro prezzo i suoi errori, ma invece no, tutto era ancora vivido e indelebile."
- E' il racconto di un'estate che ha condizionato un anno o, forse, molto di più
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Tema: Racconta uno dei momenti in cui ti sei sentita “grande”- leggendo una frase articolata in modo così semplice e lineare a Mary, studentessa dalle ottime capacità, scappò un sorrisino compiaciuto. -E' così facile?- pensò la ragazza, -Sarà un gioco da ragazzi per me che, con la professoressa Sheperd, riuscivo a conseguire dei risultati eccellenti affrontando temi ben più complessi!-. L'ottima studentessa, “Una delle più brillanti che io abbia mai visto” come spesso ripeteva la professoressa Sheperd, era seduta all'ultimo banco della soleggiata aula e si apprestava ad affrontare il primo compito in classe con la sua nuova insegnante che, a dire il vero, non le ispirava particolarmente fiducia, forse per la giovane età, forse perché aveva preso in simpatia Simon, suo “rivale” di sempre o, forse, semplicemente perché non era la cara Shep, come la chiamavano i suoi alunni. I lunghi capelli biondi le contornavano il viso tondo, un po' da bambina e lievemente arrossato, i perlacei occhi blu erano fissi su quella frase scritta in modo incerto alla lavagna e la mano dalle unghie ben curate era poggiata sul foglio protocollo. No, la nuova insegnante le piaceva anche meno di quella traccia, a suo parere puerile. E, poi, quale insegnate di lettere che si rispetti somministra una sola traccia alla sua classe? Fissava la lavagna con un ghigno quasi divertito, quando la ragazza seduta accanto a lei, l'unica che riuscisse a sopportare la compagnia di una persona così schiva ed introversa, le toccò il braccio e disse acidamente qualcosa di molto simile ad un: -Che stai facendo? Credi di essere così al di sopra degli altri da poter svolgere un tema in una sola ora?-. La biondina si girò ancor più divertita, pronta a sibilare qualcosa di indelicato e inopportuno alla sua compagna di banco, ma la sua voce fu coperta dal suono ridondante della campanella che non solo dava ragione alla moretta, ma la riportava alla realtà. Impossibile, proprio lei che, solitamente, era la più concentrata della classe, aveva perso un'ora ad osservare la lavagna con occhi vacui ed inespressivi. Passò una mano fra i suoi capelli biondi che catturarono un raggio di luce e brillarono al sole, abbassò lo sguardo e scrisse velocemente la traccia. Allungò la mano verso il portapenne, per prendere un elastico che potesse domare quella chioma setosa e si decise a prestare attenzione al suo foglio, ma, fu proprio quando rilesse la traccia con attenzione che capì perché tutti si stessero agitando: l'argomento trattato non era per niente stupido e insensato, come lei aveva scioccamente pensato per un'ora, ma era abbastanza complicato per una sedicenne descrivere un momento in cui si fosse sentita “grande”. -Grande, grande, grande, ma cosa si intende per grande?- si domandò la ragazza scrocchiando le dita -Bene, Mary, intelligente da parte tua osservare la lavagna per un'ora intera credendo di essere troppo brava per quel compito- si rimproverò, mentre assumeva un'espressione molto poco intelligente. E, poi, quando si voltò per rispondere a un compagno che le aveva chiesto un'informazione, una serie di immagini sconnesse cominciarono a vorticare nella sua mente. Ebbe una specie di flashback, o forse un déjà vu: la sua estate, passata stesa su un letto, abbracciando un cuscino, le ritornò tutta alla mente; non era bastato prendere tutti i suoi ricordi di un anno, chiuderli in un cassetto della sua memoria, far finta di non aver mai vissuto quei momenti e chiudersi a riccio per evitare che qualcun altro la facesse soffrire, perché i ricordi restano, malgrado tutto ritornano, sono solo i sentimenti che variano. Si ritrovò, quindi, con la fronte imperlata di sudore freddo, il corpo scosso da brividi regolari, la mano tremante che stringeva la penna, gli occhi fissi nel vuoto e tutta la classe che la scrutava con aria interrogativa. -Stai bene?- La voce melliflua della nuova insegnante interruppe quel silenzio agghiacciante -Vuoi uscire a prendere un po' d'aria?- Continuò la giovane donna, sperando di poter fare qualcosa per quella ragazzina pietrificata. Ma Mary non rispose, si trovava in una specie di limbo, tormentata da quei pensieri che aveva per troppo tempo represso. Si alzò senza dire una parola, lasciò cadere la penna a terra, uscì dall'aula chiudendo la porta alle sue spalle e, trascinando i piedi, raggiunse il bagno. La stanzetta, lievemente sporca, era illuminata da una luce fioca e, a dire il vero un po' inquietante, proveniente da una finestrella posta troppo in alto, una leggera nuvoletta di fumo incorniciava il lavandino che, sempre più spesso, veniva usato come se fosse un grande posacenere. Stranamente, la biondina non si curò dei mozziconi di sigaretta che, normalmente, avrebbero scatenato la sua ira più funesta, si limitò ad avvicinarsi al lavabo con passo felpato e, con un gesto veloce della mano, bagnò il suo viso con un po' d'acqua. Alzò la testa lentamente e si guardò allo specchio: i capelli non erano più ordinati e lucenti, il trucco leggero era sbavato, il suo classico pallore era svanito , le labbra e la fronte erano contratte in una smorfia indefinita. Avrebbe voluto sotterrarsi, o peggio, uccidersi, credeva di aver dimenticato, credeva che quell'estate non le sarebbe più tornata in mente, credeva di aver già pagato a caro prezzo i suoi errori, ma invece no, tutto era ancora vivido e indelebile. Passarono svariati minuti, che a quella ragazzina apparentemente indifesa, sembrarono ore, prima del suono della campanella che decretava la fine delle lezioni. Ancora in silenzio, con la bocca impastata e una sensazione di vuoto che le si era impadronita di tutto il corpo, la ragazza scese le scale, ignorando tutti i suoi compagni di classe che le chiedevano come si sentisse e come avrebbe fatto a recuperare il pessimo voto che avrebbe preso, non avendo consegnato il compito. Raggiunse velocemente la macchina di suo padre, coprì la sua testa con il cappuccio della felpa e, come di consueto, infilò un paio di cuffiette nelle orecchie, per evitare discorsi strani con il suo vecchio. Arrivata a casa, non disse una parola, non si accomodò a tavola, ancora troppo scossa per l'accaduto, raggiunse la sua stanza e chiuse la porta alle sue spalle. Istintivamente, si diresse verso il computer e un fitta le logorò quel cuore che, per troppo tempo, era stato soffocato dal cervello. E' lui, quell'oggetto grigio e lucente, il colpevole del suo dolore, se solo non avesse passato metà dell'anno appena trascorso in quella chat a parlare con persone inesistenti, ora non sarebbe in quella situazione. Abbandonò, così, l'idea di accendere il pc, si stese sul letto ma, nel momento in cui chiuse gli occhi, quel nome le balzò dinanzi, quella notifica che aveva per troppo tempo aspettato era arrivata, sì, ma solo nella sua mente. L'apparizione di quel nome, che tanto aveva desiderato leggere in passato, si alternava con quella ancora più dolorosa di quella piccola frase che l'aveva mandata in crisi. -Se non fosse stato per quell'inetta della prof!- disse fra sé e sé la ragazza, mentre una sequenza sconnessa di parole le tornava alla mente periodicamente e le feriva il cuore. -Basta- urlò la ragazza, ormai, esasperata dal peso di quei pensieri. -Basta- continuò, urlando più forte di quanto non avesse mai fatto in vita. Voleva che finisse, voleva chiudere di nuovo quei ricordi in una scatola nel suo cuore e ritornare schiva ed introversa. Il suo deliro fu, però, interrotto dalla madre, accorsa per vedere cosa fosse successo, che urlò: -Si può sapere cosa succede? Sei forse impazzita? Ah, no, dimenticavo, sarà una di quelle stranezze che hai imparato da quella gentaglia conosciuta su Fastbook!-. La ragazza aprì gli occhi, indecisa se ucciderla ora o dopo e urlò in risposta: -Uno: si chiama Facebook. Due: sai benissimo che io con queste cose ho chiuso parecchio tempo fa, purtroppo!-. -Purtroppo? Mary quando crescerai? Quando diventerai grande?- ribatté la madre ormai furibonda. La biondina si alzò allora dal letto e urlò: -Mamma, se fossi stata io a dire basta la situazione sarebbe diversa, lo sai.-. -Allora dì basta. Se non si ha coraggio si rimane dove si è!- sentenziò la madre, prima di uscire sbattendo la porta. -Se non si ha coraggio si rimane dove si è- sussurrò la ragazzina, mentre il suo sguardo venne, nuovamente, rapito da quell'oggetto che tanto dolore le aveva procurato. -Devi essere tu a dire basta- continuava a sussurrare Mary ormai in una sorta di trance, o forse in preda a una crisi psicotica. Si avvicinò al computer con aria disperata, mossa da una specie di intenzione; lo aprì e lo accese con un passo veloce e, accedette alla sua pagina Facebook. Era lui il vero colpevole del suo dolore. -Momento, momento...Ma perché incolpare il computer o Facebook? Quando la vera colpevole del mio dolore sono io che, stupidamente, mi sono fidata di una persona conosciuta online che, poi, mi ha abbandonato senza farsi alcuno scrupolo?- pensò la ragazza che intanto sembrava aver ritrovato la sua cara razionalità -Ma, poi, perché non ho chiuso io? Perché ho lasciato che quell'essere calpestasse i miei sentimenti e potesse dire che lui aveva chiuso con me?- continuò a pensare la ragazza, mentre prendeva la decisione più importante della sua vita, mentre prendeva quella decisione che l'avrebbe resa “Grande”: scrivere una mail a quell'essere per chiudere definitivamente la loro “storia infinita”. Scrisse quel nome che tanto la tormentava nella barra della ricerca e, prontamente ed istintivamente, clicco sulla scritta: “Invia un messaggio” e scrisse: “Caro Austen, ti ricordi di me? Credo che dovresti, ma, sinceramente, credo che tu non mi abbia mai considerato un essere umano, visto il modo in cui mi hai trattata. Ti racconto di noi, ti va? Era aprile, quando lessi il tuo nome per la prima volta. Austen: un nome ordinario, ma che suscitò subito il mio interesse. Ti aggiunsi, così, un po' per gioco, un po' perché pensavo che non ci fosse nulla di male. Ignorai, così, la scritta che diceva “Aggiungi solo le persone che conosci davvero”. Mi contattasti quasi subito, per chiedermi chi fossi, per conoscermi. Te lo ricordi questo? Ti ricordi di me ora? Cominciammo a parlare, ogni giorno: di mattina, di pomeriggio, di sera, insomma a qualsiasi ora eri sempre lì disponibile. Eri diventato il mio confidente, ricordi? Ti parlavo di qualsiasi cosa, mettevo a nudo la mia anima. Riuscivo a parlare di tutto con te, forse, perché eravamo molto simili per tanti versi: entrambi ottimi studenti, apparentemente freddi, con pochi amici, leggermente asociali, pigri, schivi ed introversi. Sai una cosa? Spero di non essere come te, spero non essermi comportata con tutte le persone, che non frequento più, come tu ti sei comportato con me. Mi sento male al solo pensiero di quello che mi hai fatto, mi sento male al solo pensiero del tempo perso aggrappandomi a quest'amicizia falsa. Già, amicizia. Ti ricordi quando ti dissi che non sapevo definire il nostro rapporto? Che non riuscivo a capire se potevo considerarti o meno un amico? Tu, in risposta dicesti: “Sei una mia amica, un'amica reale, a volte, capita che abbracci il computer pensando che tu sia qui.”. Mi si riempì il cuore di un sentimento così forte per te che, sinceramente parlando, credevo di non aver mai conosciuto una persona migliore di te. Ti ricordi ora? Ti ricordi di me? Se non lo ricordi, ti racconto anche la fine della nostra storia: ti sei annoiato e mi hai buttato in un cestino. Già. Erano passati un paio di mesi e tu avevi fatto pace con la tua ex-migliore amica, quindi, io, la stupidina conosciuta su Facebook a cosa servivo? A niente! Ricordo ancora la nostra ultima conversazione, quelle parole mi sono ritornate in mente a ritmo regolare per troppo tempo. Tu la ricordi? Ti scrissi per comunicarti una notizia, a mio avviso, sensazionale, tu mi rispondesti che non avevi tempo, che eri impegnato in un concorso e, io, stupidamente, aspettai due giorni per avere una tua opinione. Passarono due giorni e poi ti contattai dicendo che, se fossi stata per morire, non te ne saresti neppure accorto. Mi rispondesti che eri impegnato con i problemi delle tue amiche e io, animata da una sorta di gelosia ti dissi che ti avrei lasciato salvare il mondo. “Ti contatterò quando vorrò, perché non mi piace quello che mi hai appena detto”: questa è stata la tua ultima frase. La ricordi? Beh, ora ricorderai di sicuro tutto. Volevo solo farti sapere che ti ho voluto un gran bene, talmente tanto che mi batteva il cuore quando leggevo il tuo nome, talmente tanto che il tuo addio mi ha cambiato, mi ha reso diversa, mi ha reso una persona cupa e triste e prima non loro. Ma sai una cosa? Non mi dispiace essere stata depressa, non mi dispiace essermi chiusa in me stessa, aver perso quei pochi amici che avevo o il mio sorriso, mi dispiace solo aver perso un anno della mia vita incollata un pc e aver dimenticato di vivere. Cordialmente, Mary P.s: Dopo averti mandato questa mail, ti cancellerò e bloccherò perché “non si parla con gli sconosciuti”.” Scrisse queste parole di getto e, velocemente, premette invio. Sì, ora sapeva cosa avrebbe dovuto scrivere in quel tema, ora sapeva cosa si intendeva per “Grande” e, ora poteva tornare a vivere e sorridere.
  
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