In un tempo indeterminato, scelsi la mia meta. Avrei viaggiato, avrei attraversato monti, vallate e oceani profondi. Mi dissi che tutto quel creato stava lì per me, e che avrei dovuto sentire con mano, per dare un senso a questo mondo. Ma poi arrivò la pioggia.
La pioggia che porta via tutto con sé. L’acqua che attraversa le strade, non chiede chi e cosa. Fa così e basta. E la pioggia portò via anche la mia meta.
Mi ci volle del tempo per capire che la pioggia l’avevo provocata io. L’avevo invocata senza accorgermene. Perché mai l’avevo fatto? Perché la pioggia aveva impregnato di lacrime la mia meta?
Ci pensai per molto tempo. Dovetti affrontare molti pericoli e delusioni, per capire cosa mi aveva fatto piovere. Viaggiai con la mente, e alla fine arrivai a carpire l’essenza del mio dilemma.
Sapevo che l’essermi prefissata una meta non bastava.
Avrei dovuto desiderarla, la mia meta.
Avrei dovuto compierla.
Così attraversai il primo monte. Poi il secondo, il terzo. Il quarto, e poi arrivai alle vallate. Ne contai tante, e gli oceani mi parvero infiniti.
Quando finì il mio viaggio, mi dissi che ero stata brava. E ringraziai la pioggia: senza di essa, non avrei mai osato andare oltre. Mi aveva purificato, come una rivelazione.
Ma non avrei mai più invocato la pioggia. Non ne avrei avuto bisogno.