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Autore: remsaverem    01/01/2007    2 recensioni
I ricordi di Wilson sul fratello scomparso, prima del processo che coinvolge House nel corso della III serie.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Wilson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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fratelli

FRATELLI

-Jimmy!! Jimmy…Jimmy!!!Avanti scendi dal letto!!-

Una voce infantile, che proveniva da una regione remota del suo passato. Una voce quasi dimenticata.

-Jimmy Jimmy eddai, muoviti!!-

Qualcuno lo stava scuotendo delicatamente.

Wilson aprì gli occhi e si tirò su di scatto.

Che ora poteva essere?Cercò di abituare gli occhi all’oscurità circostante.

Per un momento gli era sembrato di essere tornato nella sua vecchia casa, nella sua vecchia stanza.

-Ti stavi agitando nel sonno- sussurrò una voce femminile al suo fianco.

-Ah!Scusa…- esclamò automaticamente. Ma chi c’era vicino a lui? Wilson si grattò la testa tentando di raccapezzarsi un po’, ma era tutto così confuso…

- E’buffo sai...- aggiunse dopo un po’ - per un attimo mi è sembrato di essere tornato ai tempi del liceo, quando mio fratello veniva a svegliarmi-. Tacque stupito anche lui per quell’uscita. Non parlava mai di suo…

-Non mi avevi detto di avere un fratello- buttò lì la donna

-Appunto, avevo- rispose lui educatamente.

Cadde un silenzio imbarazzato.

-Senti… -

-Scusa, io non…-fece Wilson quasi contemporaneamente. Non voleva metterla in imbarazzo, né costringerla ad ascoltare qualcosa che non voleva, tuttavia, inspiegabilmente, cominciò a raccontare.

-Era più piccolo di me, lui bè…- Wilson fece una pausa per raccogliere i pensieri- era il cocco della casa, nato dal secondo matrimonio di mio padre, quando lui ormai era già in età avanzata…per questo… forse l’abbiamo sempre viziato troppo- Si passò una mano sulla fronte e proseguì- Sai, non si dovrebbero dire queste cose dei propri famigliari, ma lui, Steve, era era così...a volte era così dannatamente cocciuto.-

-Mi ricorda qualcuno- sussurrò la donna accendendosi una sigaretta.

-Cominciò ad avere problemi quando era ancora un ragazzino- riprese Wilson senza curarsi del suo commento –all’inizio sembravano solo disturbi legati all’adolescenza, era sempre stato un po’ ribelle, un po’ introverso…io…noi, se avessimo capito subito… - si morse un labbro, ritornando col pensiero a quei giorni.

Rumori di passi concitati, sulle scale di una lussuosa casa con giardino.

-Non ti lascerò il gusto di cacciarmi via, me ne andrò io prima!!-La voce squillante di un ragazzo che rimbalzava sulle mura di una casa arredata con gusto.

Wilson, una quindicina di anni prima, intento a fare le valigie, piegando con cura gli abiti.

Una porta che si apriva e una che sbatteva, poi…

-Digli qualcosa per piacere- la voce lamentosa della sua matrigna che lo supplicava di andare da suo fratello, di parlargli e mettere le pezze su quello che era il loro primo litigio della giornata.

E Wilson acconsentiva con un sorriso. Lo faceva sempre del resto. Suo padre era spesso assente per lavoro e toccava a lui tenere le redini di quello che andava diventando un bellissimo puzzle in frantumi.

-Jimmy, io non ce la faccio più- continuava a ripetere la donna che il padre si era scelto come compagna della sua vecchiaia. Era sul punto di scoppiare in lacrime.

Wilson la tranquillizzò- Ora vai giù e aspetta-

E lei, fazzoletto alla mano, annuiva e seguiva i suoi consigli.

Sempre.

Wilson attese di udire il fischio della caffettiera sul fornello, poi bussò delicatamente alla porta.

Toc toc, una, due volte, piano, come se maneggiasse un ordigno esplosivo.

La porta di aprì e una testa riccioluta spuntò fuori- E’ andata via?-

Wilson annuì.

-Allora posso uscire?-

Wilson annuì di nuovo.

Il ragazzo, sui quattordici anni, colse l’occasione per trasferirsi nella camera del fratello e accomodarsi sul letto.

-Senti Steve- cominciò Wilson. In realtà odiava quel ruolo, odiava essere lui l’uomo delle prediche.

Per tutta risposta il ragazzo si distese sul letto aprendo un giornale.

-Steve…-

-Allora sei proprio in partenza eh?-

Wilson annuì.- ma non è della mia partenza che…-

-Non andare!-così, detto tutto d’un fiato.

Wilson fu preso in contropiede, come al solito. Che diavolo c’entrava questo?

- Ok ho detto una stupidaggine!-

Era sempre così quel suo strano fratello, prima gettava il sasso e poi era abilissimo a ritirare la mano.

-Lo sai benissimo che inizio l’internato tra un mese-cominciò Wilson con calma. Ne avevano parlato a lungo, cioè lui ne aveva parlato a lungo, ora si chiedeva se qualcuno in quella casa avesse ascoltato anche solo un briciolo di quello che andava dicendo da mesi.

-Ho detto che non fa niente!- gridò Steve tagliente. E poi c’era anche questo, se la prendeva per un nonnulla.

-Ma se hai appena…-

-Se vuoi andartene allora vai!!Chi ti trattiene??-

Wilson incrociò le braccia sul petto-e questi cosa sarebbero?-

-Tò i Giants stanno per vincere il campionato!-buttò lì Steve sfogliando la sua rivista con noncuranza.

-Non stavamo parlando dei Giants!- gli fece eco il fratello maggiore cercando di mantenere la calma- devi avere ancora un po’ di pazienza, tra poco potrai andartene anche tu come io sono andato al college e…- si interruppe bruscamente. Ma cosa stava dicendo? Stava forse obliquamente ammettendo che loro, lì, nella loro perfetta casa, nel loro lindo quartiere avevano un problema?

-Dimmi Jimmy bello, tu fai sempre la cosa giusta vero?Andare al college, laurearti in medicina…-

-Cosa vorresti…-non terminò la frase.

-Io non sarò mai come vogliono loro hai capito??!Mai!!mai!!-

-va bene va ben…-Wilson tentò di calmarlo, mentre dal piano di sotto giungeva il tonfo di piatti e bicchieri.

-E lasciami Jimmy!!- senza volerlo l’aveva afferrato per un braccio-Non sei mio padre, cosa che tendi a dimenticare. Il nostro caro paparino, il vecchio gaudente che si scop..-

Partì senza preavviso ed entrambi rimasero a guardarsi allibiti.

-scusa, non volevo…-mormorò Wilson

Steve si massaggiò una guancia dolorante.- Ti odio!!Vi odio. Vattene!!non ho bisogno di te!!Non ho bisogno di te!!-

La porta si richiuse sbattendo con uno scatto secco.

Non cambiò nulla- aggiunse Wilson dopo una breve pausa- Non ho bisogno di nessuno disse, già…non aveva bisogno di nessuno quando cominciò a fare uso di acidi, né quando passò a…-la sua voce tremò e si spense, per poi riaccendersi un secondo dopo -non ho bisogno di nessuno continuava a ripetere quando andavamo a trovarlo…-

-Wilson non devi andare avanti se non…- sussurrò la donna posandogli una mano sul braccio.

Ma ormai era lanciato. Era come se, una volta per tutte stesse cercando di espellere quello che si teneva dentro da anni- e poi vennero le cliniche, i ricoveri e…loro..oh- si passò una mano tra i capelli, nervoso-loro...oh loro…-sai, sono almeno dieci anni che non lo vedo. Un giorno l’ha fatto davvero: è’ sparito e …loro sono andati in pezzi. Letteralmente…in pezzi-. Wilson chiuse gli occhi. Le urla, le accuse, i pianti, ora era tutto finito, fino a quando almeno, e lui sapeva che prima o poi sarebbe successo, il telefono avrebbe squillato di nuovo, per l’ultima volta, cambiando le loro vite per sempre.

-In pezzi sai, come un vetro..paff-e fece un gesto molto significativo con le mani.

-E tu?- domandò lei dopo un tempo così lungo da fargli credere che si fosse addormentata.

-Io cosa?-

-Tu intendo...tu …non sei andato in pezzi.-

-No- sussurrò Wilson. Ci doveva essere qualcuno che portasse i remi in porto, un punto saldo, altrimenti…-

Tornò a guardare i raggi di luce che pian piano avevano la meglio sull’oscurità che avvolgeva la stanza.- per questo forse…-azzardò dopo un po’- per questo forse faccio questo lavoro: James Wilson, primario di oncologia! Suona rassicurante vero?E’ come avere tutto sotto controllo…- Gli sfuggì una risata amara.

-Wilson…-

-Non dire niente va bene?-esclamò dandole le spalle-non dire niente. Va bene anche così- si tirò le coperte sulle spalle, aveva freddo.

-in realtà, sto solo aspettando quella telefonata.-mormorò girandosi tra le coltri. Sapeva di avere un appuntamento importante, ma non si ricordava più con chi.

Avrebbe dovuto uscire dal letto, vestirsi, prepararsi, ma qualcosa lo tratteneva ancora lì.

-Anche House è così vero?-

-Cosa?- Wilson sussultò. Si era quasi dimenticato che lei era lì.- così come?-Non capiva.

-Sì, anche lui non ha bisogno di nessuno vero?-suggerì la donna.

Wilson si concesse un sorriso mesto e scosse la testa –l’ultima volta che ho visto Steve stava entrando in un centro…non l’ho nemmeno salutato…ero così arrabbiato con lui…ero…ero così stupido, ma perchè? Perché non faccio mai la cosa giusta??!- chiuse gli occhi-lui non accetterà il mio aiuto-esclamò infine.

-Chi?-domandò la donna puntellandosi a un gomito.

Per tutta risposta Wilson ripetè-…lui non capirà, lui non capirà, non accetterà…-

-Wilson…-

E d’improvviso si ricordò: era il giorno dell’udienza.

Balzò giù dal letto, vestendosi in un baleno.

Aveva già una mano sulla maniglia della porta quando, dal fondo della camera, udì qualcuno che domandava -E adesso dove vai?-

Wilson si voltò con quel sorriso triste che era una delle sue caratteristiche-Vado a vedere il mio migliore amico finire in prigione-.

fine

  
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